La Repubblica, 9 settembre 2015
intervista a Enzo Bianchi a cura di Silvia Ronchey
intervista a Enzo Bianchi a cura di Silvia Ronchey
«Il
papa ha lanciato l'allarme già due anni fa, dopo la visita a Lampedusa.
È rimasto inascoltato e credo che anche questo suo nuovo appello lo
sarà. Il fastidio di un certo clero verrà magari dissimulato
dall'ipocrisia religiosa, che è la più bieca e spaventosa di tutte».
Siamo a Bose, alla vigilia dell'apertura dell'annuale convegno ecumenico
internazionale di spiritualità ortodossa, e il priore Enzo Bianchi
commenta l'esortazione di Bergoglio ad accogliere nelle parrocchie i
rifugiati del grande movimento di popoli di cui quest'estate, con i suoi
avvenimenti sconvolgenti, sembra avere cambiato la percezione generale.
«Un mese fa il vescovo di Crema ha chiesto di ospitare i rifugiati in
locali adiacenti una scuola cattolica, è stato contestato dalle
famiglie. La situazione italiana è una vergogna, soprattutto nelle
regioni tradizionalmente più cattoliche, il Veneto e la Lombardia».
Il rifiuto è più sociale o più confessionale?
«Quello
confessionale l'hanno gridato a suo tempo il cardinal Biffi e il
vescovo Maggiolini, secondo cui bisognava eventualmente accogliere solo i
cristiani. Ma il problema è la vera e propria fabbrica di paura dei
barbari, edificata da forze politiche attente solo all'interesse locale,
forze che prima di Francesco la chiesa italiana ha assecondato, anche
se all'inizio sembravano assumere riti pagani, precristiani, quelli sì
barbarici. Ora si proclamano cattolici ma io li chiamo cristiani del
campanile. Il grande silenzio di una chiesa complice li ha aiutati a
iniettare nel tessuto sociale del territorio il veleno della xenofobia».
Guardiamo
gli eventi nella misura dei millenni di storia anche ecclesiastica,
parliamo del V secolo, quando alle cosiddette invasioni barbariche si è
affiancata l'assunzione del cristianesimo a religione di stato.
«Quando
con Teodosio il cristianesimo è diventato religione dello stato
imperiale la furia dei monaci - lo dico con dolore, mi strappa il cuore -
ha distrutto i templi pagani, fatto uno scempio di opere d'arte non
diverso da quello dell'Is, ma ben più vasto. È il motivo per cui san
Basilio non ha mai usato nei suoi scritti la parola "monaco": designava
integralisti violenti, i talebani del momento. Guardando i secoli mi
permetto di dire, pur con tutte le differenze: vediamo che altri rifanno
a noi quello che abbiamo fatto».
Come
ad Alessandria d'Egitto, quando fu distrutto il Serapeo e i parabalani
del vescovo Cirillo assassinarono Ipazia. Nel "Libro dei testimoni", lo
straordinario martirologio ecumenico di Bose, questa martire pagana
potrebbe trovare posto?
«Sì,
come tutti coloro che - da Buddha a Savonarola, da Rumi a Gandhi - in
qualunque religione o anche all'esterno hanno perseverato in una
posizione di umanità e di tolleranza. La dottrina cattolica del Vaticano
II ribadisce con chiarezza che la coscienza prevale su qualsiasi
autorità, anche su quella papale».
Torniamo ai movimenti di popoli della cosiddetta fine dell'antichità.
«Con
saggezza papa Gregorio Magno chiese accoglienza per i barbari in arrivo
dando un'unica dignità a stranieri e latini, che si espresse nel
monachesimo benedettino e fece fiorire il cristianesimo, allora esangue
soprattutto in occidente. La storia serve da un lato a non stupirci
dell'intolleranza, dall'altro a spegnerla richiamandoci alla
razionalità, che oggi significa mostrare ai popoli dell'oriente
postcoloniale che gli riconosciamo soggettività, dignità, diritto di
sedere alla tavola delle genti, anziché continuare a sfruttarli
economicamente».
La
memoria storica ecclesiastica, la conoscenza delle ere passate di cui
si nutre, non ha anche il dovere di ricordare a tutti l'onda lunga della
tolleranza islamica?
«Al
tempo della conquista musulmana i cristiani del Medio Oriente hanno
aperto le porte delle loro città agli arabi che portavano libertà di
culto e affrancavano dalle angherie economiche del governo imperiale
cristiano. La convivenza di cristiani, ebrei e musulmani nel corso del
medioevo islamico ha fatto fiorire momenti di cultura straordinari, come
nel mondo sufita, che conosco bene. L'islam è una religione di pace e
mitezza con una mistica di forza pari a quella cristiana. Se nel Corano
ci sono testi di violenza, non sono molto diversi da quelli che troviamo
nella Bibbia e che ci fanno inorridire. La lettura integralista della
Bibbia può rendere integralisti quanto quella del Corano. L'esegesi
storico-critica delle scritture, cui il cristianesimo è approdato con
fatica e subendo terribili condanne dell'autorità ecclesiastica, è il
primo passo di un lungo cammino che aspetta anche i musulmani. Nel
frattempo servono ascolto, dialogo, seri studi universitari per
dissipare la propaganda ideologica che attecchisce sull'ignoranza: non è
vero che l'islam è una religione della violenza e della jihad ,
affermarlo serve solo a giustificare la nostra nei suoi confronti».
Dai
Buddha di Bamyan al tempio di Bel a Palmira, il nostro secolo assiste
ad atti islamisti di cancellazione del passato dal contenuto altamente
simbolico. Ma non è chiaro quanta parte effettiva vi abbia la religione o
la religiosità.
«Una
parte minima. Il problema non è religioso, è sociale ed economico. Gli
integralisti islamici, anche abbattendo una chiesa, non mirano tanto a
offendere la fede cristiana quanto a colpire l'occidente. Un pacifico
abitante di Palmira mi ha detto: "Voi occidentali, piangendo la
distruzione di templi etichettati dall'Unesco, date l'idea di averli più
cari della nostra popolazione. Così li fate diventare una protesi
dell'occidente nella nostra terra". Mostrando di tenere così tanto a un
pezzo di colonna - giustamente, perché è segno di un cammino di
umanizzazione - ma facendo saltare in aria le persone nelle guerre da
noi scatenate in Iraq, in Siria, in Libia, finiamo per apparire
mostruosi. Certo le distruzioni dell'Is sono crimini contro l'umanità
oltre che contro la cultura e la dignità dei monumenti va difesa, ma
abbiamo la stessa forza nel difendere le popolazioni perché non
soccombano alle nostre armi o non trovino vie di morte nella
migrazione?».
I
popoli sono in marcia e un'ibridazione, che la si voglia o no, dovrà
avvenire, perché questa è la storia. Il che pone anche specifici
problemi sociali come quello del ruolo della donna: l'islam impone il
velo, ma non trovi che anche nella chiesa cristiana ci sia un ritardo?
«Si
dice sbrigativamente che certi musulmani siano ancora nel medioevo. Ma
il velo completo per le suore di clausura è stato abolito solo nel 1982.
È molto recente la presa di coscienza della pari dignità della donna e
dell'uomo nel cristianesimo, che non ha ancora nemmeno il linguaggio per
esprimerla. La soggezione delle donne agli uomini è un retaggio
scritturale nell'islam, ma è presente anche nelle nostre scritture: san
Paolo afferma che le donne non devono assolutamente parlare
nell'assemblea della chiesa e devono stare a capo coperto. Di nuovo,
serve una rilettura storico-critica di tutti i libri sacri, per
scorgerne l'intenzione e non le forme. Nella chiesa c'è buona volontà ma
poi della donna si hanno immagini irreali: il modello di Maria, vergine
e madre, che non può essere il riferimento per una promozione della
donna nella chiesa; l'idea, insinuata per moda, che la Madonna sia più
importante di San Pietro, idea insipiente come dire che la ruota in un
carro è più importante del volano... Non siamo ancora capaci di prendere
sul serio l'uguaglianza indubbia tra uomini e donne. Il cammino per la
chiesa è ancora lunghissimo perché ovunque ci sia un esercizio di
comando restano gli uomini, mentre le donne sono confinate al servizio
umile».
Il
convegno che si apre oggi è dedicato a "Misericordia e perdono": sono
istanze che, dall'ambito ecclesiale cui appartengono, possono suggerire
prassi anche giuridiche e sociali?
«Declinare
la giustizia con il perdono, anche a livello politico, è un'esigenza
che già Giovanni Paolo II aveva evocato con forza in un suo messaggio
per la Giornata della pace. L'insistenza di papa Francesco sulla pratica
della misericordia, vissuta nei secoli da tanti cristiani d'oriente e
d'occidente anche in controtendenza rispetto alla mentalità dominante,
dischiude percorsi fecondi nella faticosa purificazione della memoria
cui non ci possiamo più sottrarre, pena l'abbrutimento di ogni nostra
relazione».