martedì 26 ottobre 2021

Costituente Terra, Lettera al G 20 sul futuro del mondo

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Newsletter n. 51 del 26 ottobre 2021

Lettera al G 20 sul futuro del mondo

Care Amiche e Amici,

Nei prossimi giorni, il 30 e 31 ottobre, si terrà a Roma sotto la presidenza di Draghi il G 20; potremmo dire, data la drammaticità della situazione mondiale sia riguardo alla crisi climatica che alla pandemia del Covid, che esso abbia all’ordine del giorno la salvezza del mondo. Noi non abbiamo modo di influire sulle sue decisioni, ma un po’ sul serio e un po’ per celia potremmo immaginare di scrivere a quegli illustrissimi personaggi una lettera che dica più o meno così:

Illustrissimi Signori e Signore,

Con grande gioia vi accogliamo a Roma dove siete convenuti per la vostra riunione del G 20 che ha all’ordine del giorno, per dirla con una sola parola, la salvezza del mondo. Non vogliamo darvi suggerimenti riguardo alla vostra agenda, perché senz’altro voi avete tutte le conoscenze e la sapienza per decidere che fare. Vogliamo solo ricordarvi le due ispirazioni fondamentali che potete ricavare dal fatto di riunirvi questa volta a Roma.

1 - La prima è quella che deriva dalla stessa origine leggendaria di Roma, di cui si dice che i suoi due fondatori, Romolo e Remo, fossero stati allattati e allevati da una lupa. Questo ci ricorda che l’uomo e la donna, una volta messi al mondo, sono presi in carico dalla Natura che li nutre e li cura e ne assicura la vita nella sua identità umana senza eguali ma anche in relazione con tutti gli animali. Tocca ora a voi, che siete capi di Stato e di governo, di restituire alla Natura questo dono e pagare questo debito, adottando decisioni e politiche globali capaci di rispondere al gemito della Terra con ben altra radicalità e urgenza rispetto a quelle adottate fin qui, per far fronte alla crisi ecologica e riparare i danni arrecati all’aria, ai mari, alle foreste e agli animali di cui si stanno estinguendo sempre nuove specie. Anche qui, per dirla con una sola parola, non solo occorre uscire dai combustibili fossili, ma ricostruire l’integrità devastata del mondo vivente e dare lunga vita alla Terra.

2 - La seconda ispirazione è senza dubbio quella che viene dall’aver Sede a Roma il Papa, primo vescovo della Chiesa romana e vorremmo aggiungere, assumendo come è proprio della politica la contemporaneità, di questo papa che si chiama Francesco. Ciò fa sì che l’ispirarsi al fatto di riunirsi dov’è anche questa  Sede romana non possa avere alcuna implicazione partigiana o escludente, come poteva essere fino a qualche decennio fa quando il cattolicesimo definiva se stesso come l’unica religione vera e la Chiesa cattolica come unica arca fuori della quale non potesse darsi salvezza; l’ispirazione che oggi ne può venire è al contrario universale e includente sia per il riconoscimento operato dal Concilio Vaticano Secondo dei doni di Dio profusi come semi in tutte le religioni e le culture, sia per l’affermazione di fraternità tra tutti gli uomini che papa Francesco ha condiviso con ogni religione e ha esteso in particolare all’Islam con cui nel patto di Abu Dhabi ha firmato l’attestazione che “le diversità di religione… sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani”. Lo stesso papa nel messaggio ai Movimenti popolari del 16 ottobre scorso ha chiesto a se stesso e a tutti gli altri leader religiosi “di non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre o colpi di Stato”. Questa ispirazione può pertanto essere oggi tale da incoraggiare tutti i responsabili della vita sulla Terra a perseguire l’unità umana, a adottare un’ecologia integrale, a far proprio il Trattato già varato dall’ONU per la proibizione di tutte le armi nucleari, a promuovere la fine della corsa al riarmo e delle relative spese, nonché a indurre a una conversione dell’ideologia delle Forze Armate; tutto ciò al fine di costruire un mondo in cui rimangano come unici uccisi dal fuoco delle Forze Armate quelli uccisi per sbaglio nei set cinematografici di Hollywood.

Cari partecipi del G 20,

Oltre a richiamare queste due associazioni di idee legate al fatto che vi riunite a Roma vogliamo informarvi che a Roma è stata da poco istituita una Scuola che promuove il pensiero e cerca le vie per dar luogo alla stesura e all’adozione per tutto il mondo di una Costituzione della Terra. È una proposta che vogliamo portare alla vostra attenzione quasi che voi, come responsabili di popoli e protagonisti decisivi  della scena mondiale, di tale Scuola poteste essere i primi docenti e discepoli. Sarebbe bello infatti  che fra voi sorgessero persone iniziative e politiche che facessero proprio questo progetto, lo includessero nelle tematiche presenti nella comunità delle Nazioni e lo portassero a buon fine,  in modo che la Terra intera possa avere la sua Costituzione: una Legge fondamentale che garantisca diritti e doveri a tutti gli uomini e le donne del pianeta e che con il supporto di efficaci garanzie giuridiche ed istituzionali assicuri che la Terra sia salva, la vita sia prospera e la storia continui.

Contro ogni giusto allarme riguardo al rischio di poteri invasivi, vogliamo sottolineare che una Costituzione del mondo non è un governo del mondo, ma è una regola che nella pluralità e autonomia dei regimi politici e degli ordinamenti istituisca la sovranità del diritto su tutti i poteri pubblici e privati del mondo; le Costituzioni hanno offerto molte volte e per molto tempo le più alte esperienze di giustizia e di pace nei nostri singoli Stati, sicché si può pensare che il modello costituzionale esteso sul piano globale possa mantenere analoghe promesse per tutti i Paesi.

Anche la sfida della pandemia conduce nella stessa direzione, suggerendo di instaurare una politica dei beni comuni dell’umanità che non si possano né comprare né vendere, che siano fuori commercio e messi a disposizione di tutti da un’economia di liberazione, a cominciare dalla decisione della non brevettabilità dei vaccini contro il Covid e dei farmaci salvavita.

Che tale proposta non sia mai stata formulata fin qui non depone contro la sua attuabilità, ma deriva piuttosto dal fatto che finora da ogni punto del pianeta la Terra è apparsa frammentata e divisa e il corso storico si è andato svolgendo attraverso contrapposizioni etniche, religiose, culturali e politiche via via apparse come insormontabili, sicché una Costituzione di tutta la Terra sembrava impensabile;  ma oggi la Terra può essere osservata dall’alto come un tutto globale e anzi un poliedro, come dice il Papa, e come si sa al mutamento del punto di vista corrisponde il mutamento delle cose; oggi in realtà le divisioni identitarie, pur feconde e  inviolabili nel loro ordine, non sono più tali da precludere unità più costruttive e più vaste. Né questa costruzione di un ordinamento costituzionale mondiale può essere considerata un’utopia di intellettuali, se negli anni 80 del 900 un mondo ricomposto nella pace, “senza armi nucleari e non violento” fu proposto da due grandi compagini statali, l’Unione Sovietica e l’India, pur appartenenti a mondi diversi, i cui popoli insieme rappresentavano un quinto dell’umanità.

Questa è la lettera che ci piacerebbe ricevessero i “Grandi” e ne tenessero conto.
Con i più cordiali saluti

www.costituenteterra.it

 

giovedì 21 ottobre 2021

Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro

dalla pagina https://www.settimanesociali.it/ 

49a Settimana Sociale

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La Settimana Sociale è anche social

La 49ª Settimana Sociale dei cattolici italiani è anche social. Tutte le sessioni dell’evento “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso”, in programma dal 21 al 24 ottobre, potranno essere seguite in streaming sul sito www.settimanesociali.it e sui canali YouTube e Facebook della Conferenza Episcopale Italiana:  www.facebook.com/conferenzaepiscopaleitaliana/ www.youtube.com/ChiesaCattolicaItaliana

La pagina Facebook delle Settimane Sociali (www.facebook.com/Settimanesociali/) invece offrirà aggiornamenti, interviste, brevi video. Gli hashtag dell’appuntamento sono: #ilpianetachesperiamo; #tuttoèconnesso; #settimanesociali.

“L’impegno per una comunicazione integrale passa anche dalla capacità di farsi prossimi negli ambienti digitali. Per questo abbiamo previsto una narrazione che sappia coniugare le diverse possibilità offerte dalle nuove tecnologie. La partecipazione e la condivisione riceveranno sicuramente un impulso in più. Verranno allargati i confini per mettere in circolo idee, progetti, riflessioni perché in gioco c’è il futuro di tutti. D’altronde #tuttoèconnesso”, afferma Vincenzo Corrado, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali della CEI.

 

lunedì 18 ottobre 2021

Il papa: è urgente ridurre l’orario di lavoro

dalla pagina https://ilmanifesto.it/il-papa-e-urgente-ridurre-lorario-di-lavoro/

Papa Bergoglio. «Un reddito minino o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita. E giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media che - generalmente, quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più»

 

Il Papa, parlando ai Movimenti Popolari è tornato a chiedere «il salario universale e la riduzione della giornata lavorativa: «Un reddito minino o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita – ha detto Bergoglio -. E giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media che – generalmente, quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più». Quanto alla riduzione della giornata lavorativa «occorre analizzarla seriamente. Nel XIX secolo gli operai lavoravano 12, 14, 16 ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di 8 ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora – insisto – lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro».

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dalle pagine:

 

 

VIDEOMESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
IN OCCASIONE DEL IV INCONTRO MONDIALE DEI MOVIMENTI POPOLARI

[Multimedia]

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Sorelle, fratelli, cari poeti sociali!

1. Cari poeti sociali

Così mi piace chiamarvi, “poeti sociali”. Perché voi siete poeti sociali, in quanto avete la capacità e il coraggio di creare speranza laddove appaiono solo scarto ed esclusione. Poesia vuol dire creatività, e voi create speranza. Con le vostre mani sapete forgiare la dignità di ciascuno, quella delle famiglie e quella dell’intera società con la terra, la casa e il lavoro, la cura e la comunità. Grazie perché la vostra dedizione è parola autorevole, capace di smentire i rinvii silenziosi e tante volte “educati” a cui siete stati sottoposti, o a cui sono sottoposti tanti nostri fratelli. Ma pensando a voi credo che la vostra dedizione sia principalmente un annuncio di speranza. Vedervi mi ricorda che non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull’esclusione e la disuguaglianza, sullo scarto o sull’indifferenza; dove la cultura del privilegio sia un potere invisibile e insopprimibile e lo sfruttamento e l’abuso siano come un metodo abituale di sopravvivenza. No! Questo voi lo sapete annunciare molto bene. Grazie.

Grazie per il video che abbiamo appena condiviso. Ho letto le riflessioni dell’incontro, la testimonianza di quello che avete vissuto in questi tempi di tribolazione e di angoscia, la sintesi delle vostre proposte e delle vostre aspirazioni. Grazie. Grazie di rendermi partecipe del processo storico che state attraversando e grazie di condividere con me questo dialogo fraterno, che cerca di vedere il grande nel piccolo e il piccolo nel grande, un dialogo che nasce nelle periferie, un dialogo che giunge a Roma e nel quale tutti possiamo sentirci invitati e interpellati. «Per incontrarci e aiutarci a vicenda abbiamo bisogno di dialogare» (Enc. Fratelli tutti, 198), e quanto!

Avete avvertito che la situazione attuale meritava un nuovo incontro. Lo stesso ho sentito io. Anche se non abbiamo mai perso il contatto – sono già passati sei anni, credo, dall’ultimo incontro generale –. In questo tempo sono successe molte cose, tante sono cambiate. Si tratta di cambiamenti che segnano punti di non ritorno, punti di svolta, crocevia in cui l’umanità è chiamata a scegliere. Occorrono nuovi momenti di incontro, discernimento e azione congiunta. Ogni persona, ogni organizzazione, ogni Paese, e il mondo intero, ha bisogno di cercare questi momenti per riflettere, discernere e scegliere. Perché ritornare agli schemi precedenti sarebbe davvero suicida e, se mi consentite di forzare un po’ le parole, ecocida e genocida. Sto forzando!

In questi mesi molte delle cose da voi denunciate sono risultate del tutto evidenti. La pandemia ha fatto vedere le disuguaglianze sociali che colpiscono i nostri popoli e ha esposto – senza chiedere permesso né scusa – la straziante situazione di tanti fratelli e sorelle, quella situazione che tanti meccanismi di post-verità non hanno potuto occultare.

Molte cose che davamo per scontate sono cadute come un castello di carte. Abbiamo sperimentato come, da un giorno all’altro, il nostro modo di vivere può cambiare drasticamente, impedendoci, per esempio, di vedere i nostri familiari, compagni e amici. In molti Paesi gli Stati hanno reagito. Hanno ascoltato la scienza e sono riusciti a porre limiti per garantire il bene comune e hanno frenato almeno per un po’ questo “meccanismo gigantesco” che opera in modo quasi automatico, dove i popoli e le persone sono semplici ingranaggi (cfr S. Giovanni Paolo II, Enc. Sollicitudo rei socialis, 22).

Tutti abbiamo subito il dolore della chiusura, ma a voi come sempre è toccata la parte peggiore. Nei quartieri privi di infrastrutture di base (dove vivono molti di voi e milioni e milioni di persone), è difficile restare in casa; non solo perché non si dispone di tutto il necessario per portare avanti le misure minime di cura e di protezione, ma semplicemente perché la casa è il quartiere. I migranti, le persone prive di documenti, i lavoratori informali senza reddito fisso si sono visti privati, in molti casi, di qualsiasi aiuto statale e impossibilitati a svolgere i loro compiti abituali, aggravando la loro già lacerante povertà. Una delle espressioni di questa cultura dell’indifferenza è che sembrerebbe che questo “terzo” sofferente del nostro mondo non rivesta sufficiente interesse per i grandi media e per chi fa opinione. Non appare. Rimane nascosto, “rannicchiato”.

Voglio fare riferimento anche a una pandemia silenziosa che da anni colpisce i bambini, gli adolescenti e i giovani di ogni classe sociale; e credo che, in questo tempo d’isolamento, sia cresciuta ancora di più. Si tratta dello stress e dell’ansia cronica, legata a diversi fattori come l’iperconnettività, lo smarrimento e la mancanza di prospettiva di futuro, che si aggrava senza un vero contatto con gli altri – famiglie, scuole, centri sportivi, oratori, parrocchie –; insomma, si aggrava per la mancanza di un vero contatto con gli amici, perché l’amicizia è la forma in cui l’amore risorge sempre.

È evidente che la tecnologia può essere uno strumento di bene, ed è uno strumento di bene, che permette dialoghi come questo e tante altre cose, ma non può mai sostituire il contatto tra noi, non può mai sostituire una comunità in cui radicarci e in cui far sì che la nostra vita diventi feconda.

E, parlando di pandemia, non possiamo non interrogarci sul flagello della crisi alimentare. Nonostante i progressi della biotecnologia, milioni di persone sono state private di alimenti, benché questi siano disponibili. Quest’anno venti milioni di persone in più si sono viste trascinate a livelli estremi di insicurezza alimentare, salendo a [molti] milioni di persone. L’indigenza grave si è moltiplicata. Il prezzo degli alimenti è aumentato notevolmente. I numeri della fame sono orribili, e penso, per esempio, a Paesi come Siria, Haiti, Congo, Senegal, Yemen, Sud Sudan; ma la fame si fa sentire anche in molti altri Paesi del mondo povero e, non di rado, anche nel mondo ricco. È possibile che le morti annuali legate alla fame possano superare quelle del Covid. [1] Ma questo non fa notizia, questo non genera empatia.

Desidero ringraziarvi perché avete sentito come vostro il dolore degli altri. Voi sapete mostrare il volto della vera umanità, quella che non si costruisce voltando le spalle alla sofferenza di chi sta accanto, ma nel riconoscimento paziente, impegnato e spesso perfino doloroso del fatto che l’altro è mio fratello (cfr Lc 10,25-37) e che i suoi dolori, le sue gioie e le sue sofferenze sono anche i miei (cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. Gaudium et spes, 1). Ignorare chi è caduto è ignorare la nostra stessa umanità che grida in ogni nostro fratello.

Cristiani e non, avete risposto a Gesù che ha detto ai suoi discepoli davanti alla gente affamata: «Voi stessi date loro da mangiare» (Mt 14,16). E dove c’era scarsità, il miracolo della moltiplicazione si è ripetuto in voi che avete lottato instancabilmente perché a nessuno mancasse il pane (cfr Mt 14,13-21). Grazie!

Come i medici, gli infermieri e il personale sanitario nelle trincee sanitarie, voi avete messo il vostro corpo nella trincea dei quartieri emarginati. Ho presenti molti, tra virgolette, “martiri” di questa solidarietà, dei quali ho saputo tramite voi. Il Signore ne terrà conto.

Se tutti quelli che per amore hanno lottato insieme contro la pandemia potessero anche sognare insieme un mondo nuovo, come sarebbe tutto diverso! Sognare insieme.

2. Beati

Voi siete, come vi ho detto nella lettera che vi ho inviato lo scorso anno, [2] un vero esercito invisibile; siete parte fondamentale di quella umanità che lotta per la vita di fronte a un sistema di morte. In questa dedizione vedo il Signore che si fa presente in mezzo a noi per donarci il suo Regno. Gesù, quando ci ha presentato il “protocollo” con il quale saremo giudicati – cfr Mt 25 –, ci ha detto che la salvezza consisteva nel prendersi cura degli affamati, dei malati, dei prigionieri, degli stranieri, insomma, nel riconoscere e servire Lui in tutta l’umanità sofferente. Perciò mi sento di dirvi: «Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati» ( Mt 5,6); «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» ( Mt 5,9).

Vogliamo che questa beatitudine si estenda, permei e unga ogni angolo e ogni spazio dove la vita si vede minacciata. Ma ci succede, come popolo, come comunità, come famiglia e persino individualmente, di dover affrontare situazioni che ci paralizzano, dove l’orizzonte scompare e lo smarrimento, il timore, l’impotenza e l’ingiustizia sembrano impossessarsi del presente. Sperimentiamo anche resistenze ai cambiamenti di cui abbiamo bisogno e a cui aspiriamo, resistenze che sono profonde, radicate, che vanno al di là delle nostre forze e decisioni. È ciò che la Dottrina sociale della Chiesa ha chiamato “strutture di peccato”, che siamo chiamati anche noi a convertire e che non possiamo ignorare nel momento in cui pensiamo al modo di agire. Il cambiamento personale è necessario, ma è anche imprescindibile adeguare i nostri modelli socio-economici, affinché abbiano un volto umano, perché tanti modelli lo hanno perso. E, pensando a queste situazioni, divento insistente nel chiedere. E inizio a chiedere. A chiedere a tutti. E a tutti voglio chiedere in nome di Dio.

Ai grandi laboratori, che liberalizzino i brevetti. Compiano un gesto di umanità e permettano che ogni Paese, ogni popolo, ogni essere umano, abbia accesso al vaccino. Ci sono Paesi in cui solo il tre, il quattro per cento degli abitanti è stato vaccinato.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito di permettere ai Paesi poveri di garantire i bisogni primari della loro gente e di condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli.

Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere –, forestali, immobiliari, agroalimentari, di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti.

Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie alimentari di smettere d’imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti della tecnologia di smettere di sfruttare la fragilità umana, le vulnerabilità delle persone, per ottenere guadagni, senza considerare come aumentano i discorsi di odio, il grooming [adescamento di minori in internet], le fake news [notizie false], le teorie cospirative, la manipolazione politica.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti delle telecomunicazioni di liberalizzare l’accesso ai contenuti educativi e l’interscambio con i maestri attraverso internet, affinché i bambini poveri possano ricevere un’educazione in contesti di quarantena.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai mezzi di comunicazione di porre fine alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia e a quell’attrazione malata per lo scandalo e il torbido; che cerchino di contribuire alla fraternità umana e all’empatia con le persone più ferite.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai Paesi potenti di cessare le aggressioni, i blocchi e le sanzioni unilaterali contro qualsiasi Paese in qualsiasi parte della terra. No al neocolonialismo. I conflitti si devono risolvere in istanze multilaterali come le Nazioni Unite. Abbiamo già visto come finiscono gli interventi, le invasioni e le occupazioni unilaterali, benché compiuti sotto i più nobili motivi o rivestimenti.

Questo sistema, con la sua logica implacabile del guadagno, sta sfuggendo a ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo.

Ai governi in generale, ai politici di tutti i partiti, voglio chiedere, insieme ai poveri della terra, di rappresentare i propri popoli e di lavorare per il bene comune. Voglio chiedere loro il coraggio di guardare ai propri popoli, di guardare negli occhi la gente, e il coraggio di sapere che il bene di un popolo è molto più di un consenso tra le parti (cfr Esort. ap. Evangelii gaudium, 218). Si guardino dall’ascoltare soltanto le élite economiche tanto spesso portavoce di ideologie superficiali che eludono le vere questioni dell’umanità. Siano al servizio dei popoli che chiedono terra, casa, lavoro e una vita buona. Quel “buon vivere” aborigeno che non è la “dolce vita” o il “dolce far niente”, no. Quel buon vivere umano che ci mette in armonia con tutta l’umanità, con tutto il creato.

Voglio chiedere anche a noi tutti, leader religiosi, di non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre o colpi di Stato. Stiamo accanto ai popoli, ai lavoratori, agli umili e lottiamo insieme a loro affinché lo sviluppo umano integrale sia una realtà. Gettiamo ponti di amore perché la voce della periferia, con il suo pianto, ma anche con il suo canto e la sua gioia, non provochi paura ma empatia nel resto della società.

E così sono insistente nel chiedere.

È necessario che insieme affrontiamo i discorsi populisti d’intolleranza, xenofobia, aporofobia – che è l’odio per i poveri –, come tutti quelli che ci portano all’indifferenza, alla meritocrazia e all’individualismo, queste narrative sono servite solo a dividere i nostri popoli e a minare e neutralizzare la nostra capacità poetica, la capacità di sognare insieme.

3. Sogniamo insieme!

Sorelle e fratelli, sogniamo insieme! E poiché chiedo questo con voi, insieme a voi, voglio anche trasmettervi alcune riflessioni sul futuro che dobbiamo costruire e sognare. Ho detto riflessioni, ma forse bisognerebbe dire sogni, perché in questo momento non bastano il cervello e le mani, abbiamo bisogno anche del cuore e dell’immaginazione: abbiamo bisogno di sognare per non tornare indietro. Abbiamo bisogno di utilizzare quella facoltà tanto eccelsa dell’essere umano che è l’immaginazione, quel luogo dove l’intelligenza, l’intuizione, l’esperienza, la memoria storica si incontrano per creare, comporre, avventurarsi e rischiare. Sogniamo insieme, perché sono stati proprio i sogni di libertà e di uguaglianza, di giustizia e di dignità, i sogni di fraternità a migliorare il mondo. E sono convinto che attraverso questi sogni passa il sogno di Dio per tutti noi, che siamo suoi figli.

Sogniamo insieme, sognate tra voi, sognate con altri. Sappiate che siete chiamati a partecipare ai grandi processi di cambiamento, come vi ho detto in Bolivia: «Il futuro dell’umanità è in gran parte nelle vostre mani, nella vostra capacità di organizzare, di promuovere alternative creative» (Discorso ai movimenti popolari, Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015). È nelle vostre mani.

“Ma queste sono cose irraggiungibili”, dirà qualcuno. Sì, ma hanno la capacità di metterci in movimento, di metterci in cammino. E proprio lì sta tutta la vostra forza, tutto il vostro valore. Perché siete capaci di andare al di là delle miopi autogiustificazioni e dei convenzionalismi umani che riescono solo a continuare a giustificare le cose così come stanno. Sognate! Sognate insieme. Non cadete in quella rassegnazione dura e perdente… Il Tango lo esprime bene: “Dai che va tutto bene! Che tanto è lo stesso. Laggiù all’inferno ci incontreremo!”. No, no, per favore, non cascateci. I sogni sono sempre pericolosi per quanti difendono lo status quo, perché mettono in discussione la paralisi che l’egoismo del forte e il conformismo del debole vogliono imporre. E qui c’è una sorta di patto non fatto ma che è inconscio: quello tra l’egoismo dei forti e il conformismo dei deboli. Ma non può funzionare così. I sogni trascendono gli angusti limiti che ci vengono imposti e ci propongono nuovi mondi possibili. E non sto parlando di fantasticherie basse che confondono il vivere bene con il divertirsi, che non è altro che passare il tempo per riempire il vuoto di senso e così restare alla mercé della prima ideologia di turno. No, non è questo, ma sognare per quel buon vivere in armonia con tutta l’umanità e con il creato.

Ma qual è uno dei pericoli più grandi che dobbiamo affrontare oggi? Durante la mia vita – non ho quindici anni, una certa esperienza ce l’ho – ho potuto rendermi conto che da una crisi non si esce mai uguali. Da questa crisi della pandemia non usciremo uguali: o ne usciremo migliori o ne usciremo peggiori, come prima no. Non ne usciremo mai uguali. E oggi dobbiamo affrontare insieme, sempre insieme, questa domanda: “Come usciremo da questa crisi? Migliori o peggiori? Certamente vogliamo uscirne migliori, ma per questo dobbiamo rompere i legacci di ciò che è facile e dell’accettazione passiva del “non c’è alternativa”, del “questo è l’unico sistema possibile”, quella rassegnazione che ci annienta, che ci porta a rifugiarci solo nel “si salvi chi può”. E per questo bisogna sognare. Mi preoccupa il fatto che, mentre siamo ancora paralizzati, ci sono già progetti avviati per riarmare la stessa struttura socioeconomica che avevamo prima, perché è più facile. Scegliamo il cammino difficile, usciamone migliori.

In Fratelli tutti ho utilizzato la parabola del Buon Samaritano come la rappresentazione più chiara di questa scelta impegnata nel Vangelo. Mi diceva un amico che la figura del Buon Samaritano viene associata da una certa industria culturale a un personaggio mezzo tonto. È la distorsione che provoca l’edonismo depressivo con cui s’intende neutralizzare la forza trasformatrice dei popoli, e specialmente della gioventù.

Sapete che cosa mi viene in mente adesso, insieme ai movimenti popolari, quando penso al Buon Samaritano? Sapete che cosa mi viene in mente? Le proteste per la morte di George Floyd. È chiaro che questo tipo di reazione contro l’ingiustizia sociale, razziale o maschilista può essere manipolato o strumentalizzato da macchinazioni politiche o cose del genere; ma l’essenziale è che lì, in quella manifestazione contro quella morte, c’era il “samaritano collettivo” (che non era per niente scemo!). Quel movimento non passò oltre, quando vide la ferita della dignità umana colpita da un simile abuso di potere. I movimenti popolari sono, oltre che poeti sociali, “samaritani collettivi.

In questi processi ci sono così tanti giovani che io sento speranza…; ma ci sono molti altri giovani che sono tristi, che forse per sentire qualcosa in questo mondo hanno bisogno di ricorrere alle consolazioni a buon mercato che offre il sistema consumistico e narcotizzante. E altri – è triste – altri scelgono proprio di uscire dal sistema. Le statistiche di suicidi giovanili non vengono pubblicate nella loro totale realtà. Quello che voi fate è molto importante, ma è anche importante che riusciate a contagiare le generazioni presenti e future con ciò che fa ardere il vostro cuore. In questo avete un duplice lavoro o responsabilità. Restare attenti, come il Buon Samaritano, a tutti quelli che sono feriti lungo la strada ma, al tempo stesso, far sì che molti di più si uniscano in questo atteggiamento: i poveri e gli oppressi della terra lo meritano, la nostra casa comune ce lo chiede.

Voglio offrire alcune piste. La Dottrina sociale della Chiesa non contiene tutte le risposte, ma ha alcuni principi che possono aiutare questo cammino a concretizzare le risposte e aiutare sia i cristiani sia i non cristiani. A volte mi sorprende che ogni volta che parlo di questi principi alcuni si meravigliano e allora il Papa viene catalogato con una serie di epiteti che si utilizzano per ridurre qualsiasi riflessione alla mera aggettivazione screditante. Non mi fa arrabbiare, mi rattrista. Fa parte della trama della post-verità che cerca di annullare qualsiasi ricerca umanistica alternativa alla globalizzazione capitalista; fa parte della cultura dello scarto e fa parte del paradigma tecnocratico.

I principi che espongo sono misurati, umani, cristiani, compilati nel Compendio elaborato dall’allora Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace” [3]. È un piccolo manuale della Dottrina sociale della Chiesa. E a volte, quando i Papi, sia io, sia Benedetto, o Giovanni Paolo II, diciamo qualcosa, c’è gente che si meraviglia: “Da dove ha preso questo?”. È la dottrina tradizionale della Chiesa. C’è molta ignoranza in questo. I principi che espongo stanno in quel libro, al capitolo quarto. Voglio chiarire una cosa: sono inseriti in questo Compendio e questo Compendio è stato voluto da san Giovanni Paolo II. Raccomando a voi, e a tutti i leader sociali, sindacali, religiosi, politici e imprenditoriali di leggerlo.

Nel capitolo quarto di questo documento troviamo principi come l’opzione preferenziale per i poveri, la destinazione universale dei beni, la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, il bene comune, che sono mediazioni concrete per attuare a livello sociale e culturale la Buona Novella del Vangelo. E mi rattrista quando alcuni fratelli della Chiesa s’infastidiscono se ricordiamo questi orientamenti che appartengono a tutta la tradizione della Chiesa. Ma il Papa non può non ricordare questa dottrina anche se molto spesso dà fastidio alla gente, perché a essere in gioco non è il Papa ma il Vangelo.

E in questo contesto, vorrei riprendere brevemente alcuni principi sui quali contiamo per portare avanti la nostra missione. Ne menzionerò due o tre, non di più. Uno è il principio di solidarietà. La solidarietà non solo come virtù morale ma come principio sociale, principio che cerca di affrontare i sistemi ingiusti allo scopo di costruire una cultura della solidarietà che esprima – dice letteralmente il Compendio – «la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune» (n. 193).

Un altro principio è quello di stimolare e promuovere la partecipazione e la sussidiarietà tra i movimenti e tra i popoli, capace di limitare qualsiasi schema autoritario, qualsiasi collettivismo forzato o qualsiasi schema stato-centrico. Non si può utilizzare il bene comune come scusa per schiacciare l’iniziativa privata, l’identità locale o i progetti comunitari. Pertanto, questi principi promuovono un’economia e una politica che riconoscano il ruolo dei movimenti popolari, «della famiglia, dei gruppi, delle associazioni, delle realtà territoriali locali, in breve, di quelle espressioni aggregative di tipo economico, sociale, culturale, sportivo, ricreativo, professionale, politico, alle quali le persone danno spontaneamente vita e che rendono loro possibile una effettiva crescita sociale». Questo nel numero 185 del Compendio.

Come vedete, cari fratelli, care sorelle, sono principi equilibrati e ben stabiliti nella Dottrina sociale della Chiesa. Con questi due principi credo che possiamo compiere il prossimo passo dal sogno all’azione. Perché è tempo di agire.

4. Tempo di agire

Spesso mi dicono: “Padre, siamo d’accordo, ma in concreto, che dobbiamo fare?”. Io non ho la risposta, perciò dobbiamo sognare insieme e trovarla insieme. Tuttavia, ci sono misure concrete che forse possono permettere qualche cambiamento significativo. Sono misure che si trovano nei vostri documenti, nei vostri interventi, e di cui ho tenuto molto conto, sulle quali ho meditato e ho consultato esperti. In incontri passati abbiamo parlato dell’integrazione urbana, dell’agricoltura familiare, dell’economia popolare. A queste, che ancora richiedono di continuare a lavorare insieme per concretizzarle, mi piacerebbe aggiungerne altre due: il salario universale e la riduzione della giornata lavorativa.

Un reddito minino (l’RMU) o salario universale, affinché ogni persona in questo mondo possa accedere ai beni più elementari della vita. È giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei Governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media – generalmente, quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più –. Non dimentichiamo che le grandi fortune di oggi sono frutto del lavoro, della ricerca scientifica e dell’innovazione tecnica di migliaia di uomini e donne nel corso di generazioni.

La riduzione della giornata lavorativa è un’altra possibilità. Il reddito minimo è una possibilità, l’altra è la riduzione della giornata lavorativa. E occorre analizzarla seriamente. Nel XIX secolo gli operai lavoravano dodici, quattordici, sedici ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di otto ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora – insisto – lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con una certa urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro.

Ritengo che siano misure necessarie, ma naturalmente non sufficienti. Non risolvono il problema di fondo, e non garantiscono neppure l’accesso alla terra, alla casa e al lavoro nella quantità e qualità che i contadini senza terra, le famiglie senza una casa sicura e i lavoratori precari meritano. Non risolveranno nemmeno le enormi sfide ambientali che abbiamo davanti. Ma ho voluto menzionarle perché sono misure possibili e segnerebbero un positivo cambiamento di direzione.

È bene sapere che in questo non siamo soli. Le Nazioni Unite hanno cercato di stabilire alcune mete attraverso i cosiddetti Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (OSS), ma purtroppo non conosciute dai nostri popoli e dalle periferie; e questo ci ricorda l’importanza di condividere e di coinvolgere tutti in questa ricerca comune.

Sorelle e fratelli, sono convinto che il mondo si veda più chiaramente dalle periferie. Bisogna ascoltare le periferie, aprire loro le porte e permettere loro di partecipare. La sofferenza del mondo si capisce meglio insieme a quelli che soffrono. Nella mia esperienza, quando le persone, uomini e donne, che hanno subito nella propria carne l’ingiustizia, la disuguaglianza, l’abuso di potere, le privazioni, la xenofobia, nella mia esperienza vedo che capiscono meglio ciò che vivono gli altri e sono capaci di aiutarli ad aprire, realisticamente, strade di speranza. Quanto è importante che la vostra voce sia ascoltata, rappresentata in tutti i luoghi in cui si prendono decisioni! Offrirla come collaborazione, offrirla come una certezza morale di ciò che si deve fare. Sforzatevi di far sentire la vostra voce, e anche in quei luoghi, per favore, non lasciatevi incasellare e non lasciatevi corrompere. Due parole che hanno un significato molto grande, del quale non parlerò ora.

Riaffermiamo l’impegno che abbiamo preso in Bolivia: mettere l’economia al servizio dei popoli per costruire una pace duratura fondata sulla giustizia sociale e sulla cura della Casa comune. Continuate a portare avanti la vostra agenda di terra, casa e lavoro. Continuate a sognare insieme. E grazie, grazie sul serio, perché mi lasciate sognare con voi.

Chiediamo a Dio di effondere la sua benedizione sui nostri sogni. Non perdiamo le speranze. Ricordiamo la promessa che Gesù ha fatto ai suoi discepoli: “Sarò sempre con voi” (cfr Mt 28,20); e ricordandola, in questo momento della mia vita, voglio dirvi che anche io sarò con voi. L’importante è che siate consapevoli che Lui è con voi. Grazie!

___________________

[1] “Il virus della fame si moltiplica”, rapporto dell’Oxfam del 9 luglio 2021, in base al Global Report on Food Crises (GRFC) del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite.

[2] Lettera ai movimenti popolari, 12 aprile 2020.

[3] Dicastero per il Servizio dello Sviluppo Umano Integrale, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 2004.

 

domenica 17 ottobre 2021

Il Papa ai potenti della terra: in nome di Dio, cambiate un sistema di morte

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2021-10/papa-francesco-messaggio-iv-incontro-movimenti-popolari.html


In un videomessaggio rivolto ai partecipanti al IV incontro mondiale dei movimenti popolari, Francesco lancia un forte appello ai potenti del pianeta a lavorare per un mondo più giusto, solidale e fraterno. Chiede la cancellazione del debito dei Paesi poveri, il bando delle armi, la fine delle aggressioni e delle sanzioni, la liberalizzazione dei brevetti perché tutti abbiano accesso al vaccino. Due le proposte da attuare nell’immediato: il salario minimo e la riduzione della giornata lavorativa

Michele Raviart- Città del Vaticano

Sognare insieme un mondo migliore dopo la pandemia, cercando di superare le resistenze che impediscono il raggiungimento di “quel buon vivere in armonia con tutta l’umanità e con il creato” che si ottiene solo attraverso libertà, uguaglianza, giustizia e dignità. Cambiare “un sistema di morte” chiedendo, in nome di Dio, a chi detiene il potere politico ed economico, di mutare lo status quo e permettere che ai nostri sogni si infiltri “il sogno di Dio per tutti noi, che siamo suoi figli”.

È quanto Papa Francesco propone, in un lungo videomessaggio, ai rappresentanti dei movimenti popolari, riuniti in videoconferenza per il loro quarto incontro mondiale organizzato dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Poeti sociali che creano speranza

I movimenti popolari e le persone che loro rappresentano e aiutano sono quelli che hanno sofferto di più per la pandemia. Il Papa li chiama “poeti sociali” per “la capacità e il coraggio di creare speranza” e dignità:

Vedervi mi ricorda che non siamo condannati a ripetere né a costruire un futuro basato sull’esclusione e la disuguaglianza, sullo scarto o sull’indifferenza; dove la cultura del privilegio sia un potere invisibile e insopprimibile e lo sfruttamento e l’abuso siano come un metodo abituale di sopravvivenza. No! Questo voi lo sapete annunciare molto bene.

I più colpiti dalla pandemia

“La pandemia - ribadisce Francesco - ha fatto vedere le disuguaglianze sociali che colpiscono i nostri popoli e ha esposto – senza chiedere permesso né perdono – la straziante situazione di tanti fratelli e sorelle”. Tutti “abbiamo subito il dolore della chiusura” e “abbiamo sperimentato come, da un giorno all’altro, il nostro modo di vivere può cambiare drasticamente” ma, sebbene “in molti Paesi gli Stati hanno reagito”, “hanno ascoltato la scienza e sono riusciti a porre limiti per garantire il bene comune”, “a voi come sempre è toccata la parte peggiore”:

Nei quartieri che sono privi d’infrastruttura di base (dove vivono molti di voi e milioni di persone) è difficile restare in casa; non solo perché non si dispone di tutto il necessario per portare avanti le misure minime di cura e di protezione, ma semplicemente perché la casa è il quartiere. I migranti, le persone prive di documenti, i lavoratori informali senza reddito fisso, si sono visti privati, in molti casi, di qualsiasi aiuto statale e impossibilitati a svolgere i loro compiti abituali, aggravando la loro già lacerante povertà.

Stress tra i giovani e crisi alimentare: gli effetti nascosti del virus

Una situazione talmente evidente da non potere essere occultata da “tanti meccanismi di post-verità” e anche un’espressione della cultura dell’indifferenza, come se “questo terzo sofferente del nostro mondo non rivesta sufficiente interesse per i grandi media e per chi fa opinione”. Un mondo che rimane “nascosto, rannicchiato”, come altri aspetti poco noti della vita sociale che la pandemia ha peggiorato. Lo stress e l’ansia cronica di bambini, adolescenti e giovani, ad esempio, aggravati dall’isolamento e dalla mancanza di contatto reale con gli amici. “L’amicizia è la forma in cui l’amore risorge sempre”, ricorda infatti il Papa, e sebbene sia evidente che la tecnologia possa essere uno strumento di bene, “non può mai sostituire il contatto”. “Non fa notizia”, “non genera empatia”, nemmeno la crisi alimentare, che potrebbe generare nell’immediato futuro più morti annuali di quelli per il Covid-19.

Quest’anno venti milioni di persone in più si sono viste trascinate a livelli estremi di insicurezza alimentare, salendo a (molti) milioni di persone. L’indigenza grave si è moltiplicata. Il prezzo degli alimenti è aumentato notevolmente. I numeri della fame sono orribili, e penso, per esempio, a paesi come Siria, Haiti, Congo, Senegal, Yemen, Sud Sudan; ma la fame si fa sentire anche in molti altri Paesi del mondo povero e, non di rado, anche nel mondo ricco.

Sentire come proprio il dolore degli altri

Eppure, in questo contesto, gli operatori dei movimenti popolari hanno sentito come loro il dolore degli altri. “Cristiani e non”, dice il Papa “avete risposto a Gesù che ha detto ai suoi discepoli di fronte alla gente affamata: voi stessi date loro da mangiare”.

Come i medici, gli infermieri e il personale sanitario nelle trincee sanitarie, voi avete messo il vostro corpo nella trincea dei quartieri emarginati. Ho presente molti, tra virgolette, “martiri”, di questa solidarietà, dei quali ho saputo tramite voi. Il Signore ne terrà conto. Se tutti quelli che per amore hanno lottato insieme contro la pandemia potessero anche sognare insieme un mondo nuovo, come sarebbe tutto diverso!

Cambiare sistema economico

Il Papa ribadisce che “da una crisi non si esce mai uguali”. Dalla pandemia “o ne usciremo migliori o ne usciremo peggiori, come prima no”. Per cogliere un’opportunità di miglioramento bisogna quindi “riflettere, discernere e scegliere”, perché “ritornare agli schemi precedenti sarebbe davvero suicida”, “ecocida e genocida”. Per uscirne migliori è “imprescindibile adeguare i nostri modelli socio-economici affinché abbiano un volto umano, perché tanti modelli lo hanno perso”. Modelli che sono diventati “strutture di peccato” che persistono e che siamo chiamati a cambiare.

Questo sistema, con la sua logica implacabile del guadagno, sta sfuggendo o ogni controllo umano. È ora di frenare la locomotiva, una locomotiva fuori controllo che ci sta portando verso l’abisso. Siamo ancora in tempo.

“In nome di Dio”, l’appello del Papa ai potenti della terra

Di qui l’appello forte al cambiamento rivolto per nove volte “in nome di Dio” a chi conta e ha il potere di decidere.

A tutti voglio chiedere in nome di Dio. Ai grandi laboratori, che liberalizzino i brevetti. Compiano un gesto di umanità e permettano che ogni Paese, ogni popolo, ogni essere umano, abbia accesso al vaccino. Ci sono Paesi in cui solo il tre, il quattro per cento degli abitanti è stato vaccinato.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai gruppi finanziari e agli organismi internazionali di credito di permettere ai Paesi poveri di garantire i bisogni primari della loro gente e di condonare quei debiti tante volte contratti contro gli interessi di quegli stessi popoli.

Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie estrattive – minerarie, petrolifere –, forestali, immobiliari, agroalimentari, di smettere di distruggere i boschi, le aree umide e le montagne, di smettere d’inquinare i fiumi e i mari, di smettere d’intossicare i popoli e gli alimenti.

Voglio chiedere, in nome di Dio, alle grandi compagnie alimentari di smettere d’imporre strutture monopolistiche di produzione e distribuzione che gonfiano i prezzi e finiscono col tenersi il pane dell’affamato.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai fabbricanti e ai trafficanti di armi di cessare totalmente la loro attività, che fomenta la violenza e la guerra, spesso nel quadro di giochi geopolitici il cui costo sono milioni di vite e di spostamenti.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti della tecnologia di smettere di sfruttare la fragilità umana, le vulnerabilità delle persone, per ottenere guadagni, senza considerare come aumentano i discorsi di odio, il grooming [adescamento di minori in internet], le fake news [notizie false], le teorie cospirative, la manipolazione politica.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai giganti delle telecomunicazioni di liberalizzare l’accesso ai contenuti educativi e l’interscambio con i maestri attraverso internet, affinché i bambini poveri possano ricevere un’educazione in contesti di quarantena.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai mezzi di comunicazione di porre fine alla logica della post-verità, alla disinformazione, alla diffamazione, alla calunnia e a quell’attrazione malata per lo scandalo e il torbido; che cerchino di contribuire alla fraternità umana e all’empatia con le persone più ferite.

Voglio chiedere, in nome di Dio, ai Paesi potenti di cessare le aggressioni, i blocchi e le sanzioni unilaterali contro qualsiasi Paese in qualsiasi parte della terra. No al neocolonialismo. I conflitti si devono risolvere in istanze multilaterali come le Nazioni Unite. Abbiamo già visto come finiscono gli interventi, le invasioni e le occupazioni unilaterali, benché compiuti sotto i più nobili motivi o rivestimenti.

Appello ai leader politici e religiosi

Ai governi e ai politici di tutti i partiti, Francesco chiede di evitare di “ascoltare soltanto le élite economiche” per mettersi “al servizio dei popoli che chiedono terra, tetto, lavoro e una vita buona”, mentre ai leader religiosi chiede di “non usare mai il nome di Dio per fomentare guerre o colpi di Stato”. Occorre invece gettare ponti di amore.

I Samaritani collettivi e la forza trasformatrice dei popoli

I discorsi populisti d’intolleranza, xenofobia e disprezzo per i poveri, continua il Papa, sono narrative che portano all’indifferenza e all’individualismo, dividendo i popoli per impedirgli di sognare insieme un mondo migliore. In questa sfida a sognare, i movimenti popolari fungono da “samaritani collettivi”. Il Buon Samaritano, ricorda il Papa - lungi dall’essere quel “personaggio mezzo tonto” ritratto da “una certa industria culturale” che vuole “neutralizzare la forza trasformatrice dei popoli e specialmente della gioventù” – è infatti la rappresentazione più chiara di un’opzione impegnata nel Vangelo.

Sapete che cosa mi viene in mente adesso, insieme ai movimenti popolari, quando penso al Buon Samaritano? Sapete che cosa mi viene in mente? Le proteste per la morte di George Floyd. È chiaro che questo tipo di reazione contro l’ingiustizia sociale, razziale o maschilista può essere manipolato o strumentalizzato da macchinazioni politiche o cose del genere; ma l’essenziale è che lì, in quella manifestazione contro quella morte, c’era il “samaritano collettivo” (che non era per niente scemo!). Quel movimento non passò oltre, quando vide la ferita della dignità umana colpita da un simile abuso di potere.

La Dottrina sociale della Chiesa dà fastidio a molti

Papa Francesco propone alcuni principi tradizionali della Dottrina sociale della Chiesa, come l’opzione preferenziale per i poveri, la destinazione universale dei beni, la solidarietà, la sussidiarietà, la partecipazione, il bene comune.

A volte mi sorprende che ogni volta che parlo di questi principi alcuni si meravigliano e allora il Papa viene catalogato con una serie di epiteti che si utilizzano per ridurre qualsiasi riflessione alla mera aggettivazione screditante. Non mi fa arrabbiare, mi rattrista. Fa parte della trama della post-verità che cerca di annullare qualsiasi ricerca umanistica alternativa alla globalizzazione capitalista; fa parte della cultura dello scarto e fa parte del paradigma tecnocratico.

Francesco si dice rattristato quando “alcuni fratelli della Chiesa s’infastidiscono se ricordiamo questi orientamenti che appartengono a tutta la tradizione della Chiesa” e invita tutti a leggerne un compendio nel “piccolo manuale” di Dottrina Sociale della Chiesa voluto da San Giovanni Paolo II.

Il Papa non può non ricordare questa Dottrina anche se molto spesso dà fastidio alla gente, perché a essere in gioco non è il Papa ma il Vangelo.

Impegno per il bene comune e libertà

Francesco indica in particolare due principi: la solidarietà, intesa come “determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune”, e la sussidiarietà che contrasta “qualsiasi schema autoritario, qualsiasi collettivismo forzato o qualsiasi schema stato-centrico”. Infatti - sottolinea - non si può utilizzare il bene comune “come scusa per schiacciare l’iniziativa privata, l’identità locale o i progetti comunitari”.

Salario minimo e riduzione della giornata lavorativa

È “tempo di agire” e il Papa propone alcune misure concrete: un reddito minimo (o salario universale) e la riduzione della giornata lavorativa. In questo modo ogni persona potrebbe permettersi di “accedere ai beni più elementari della vita”.

È giusto lottare per una distribuzione umana di queste risorse. Ed è compito dei Governi stabilire schemi fiscali e redistributivi affinché la ricchezza di una parte sia condivisa con equità, senza che questo presupponga un peso insopportabile, soprattutto per la classe media, generalmente, quando ci sono questi conflitti, è quella che soffre di più.

I vantaggi della riduzione della giornata lavorativa, per il Papa si possono ritrovare nella storia:

Nel XIX secolo gli operai lavoravano dodici, quattordici, sedici ore al giorno. Quando conquistarono la giornata di otto ore non collassò nulla, come invece alcuni settori avevano previsto. Allora – insisto – lavorare meno affinché più gente abbia accesso al mercato del lavoro è un aspetto che dobbiamo esplorare con una certa urgenza. Non ci possono essere tante persone che soffrono per l’eccesso di lavoro e tante altre che soffrono per la mancanza di lavoro.

Ascoltare la voce delle periferie

Infine, Francesco, ricorda l’importanza di ascoltare le periferie, il luogo da dove “il mondo si vede più chiaramente”.

Bisogna ascoltare le periferie, aprire loro le porte e permettere loro di partecipare. La sofferenza del mondo si capisce meglio insieme a quelli che soffrono. Nella mia esperienza, quando le persone, uomini e donne, che hanno subito nella propria carne l’ingiustizia, la disuguaglianza, l’abuso di potere, le privazioni, la xenofobia, nella mia esperienza vedo che capiscono meglio ciò che vivono gli altri e sono capaci di aiutarli ad aprire, realisticamente, strade di speranza.

 

venerdì 15 ottobre 2021

E la chiamano «transizione ecologica»

dalla pagina https://ilmanifesto.it/e-la-chiamano-transizione-ecologica/

Ambiente. Ormai il surriscaldamento è sotto gli occhi di tutti, anche se i politici che non mostrano segni di conversione. Ognuno di noi dovrà prendere coscienza della realtà, unirsi agli altri e formare lentamente grandi movimenti popolari per scardinare questo «Sistema di morte». Diamoci da fare, perché la Speranza nasce dal basso

Manifestazione contro l'emergenza climatica in India 

La ventiseiesima Conferenza delle Parti (COP 26) si terrà dal 1 al 13 novembre a Glasgow (Scozia) per affrontare la drammatica situazione ambientale del Pianeta. Il Pianeta è sull’orlo dell’abisso: «La Terra non ha mai affrontato una crisi simile per 65 milioni di anni, dalla quinta estinzione – ha affermato Noam Chomsky. Ora siamo nel bel mezzo della sesta estinzione. Questa è la crisi più grave della storia umana». Perfino il nostro Presidente del Consiglio Draghi è stato costretto ad affermare: «Con le politiche attuali, il riscaldamento rischia di aumentare di tre gradi. L’Occidente sta facendo poco o niente contro il riscaldamento globale». Ne abbiamo avuto la prova l’estate scorsa con un Pianeta in fiamme dalla California alla Siberia.

Ormai il surriscaldamento è sotto gli occhi di tutti, anche dei politici che non mostrano però segni di conversione. Giustamente Greta Thunberg, a Milano per Youth 4 Climate (Giovani per il Clima) ha apostrofato i discorsi dei politici come «bla, bla, bla». Come Draghi, che riconosce il disastro climatico, ma persegue politiche che lo alimentano. D’altronde, Draghi è l’uomo della Goldman Sachs, della Banca d’Italia, della Bce. Draghi è il padre del Pnrr che offre rinnovato sostegno alla cricca del cemento e delle Grandi Opere: autostrade, aeroporti, Alta Velocità, Tav, Ponte di Messina…. (come abbiamo dimenticato Alex Langer con quel suo «più lento, più profondo, più soave»!).

E per mascherare tutto questo, Draghi ha creato il Ministero della Transizione Ecologica (qualcuno ha giustamente detto che si tratta del Ministero della Finzione Ecologica!). Di fatto, come è possibile che si scelga ministro della Transizione Ecologica un uomo che non si è mai interessato di ambiente, un uomo che proviene dall’industria delle armi, da Finmeccanica (oggi Leonardo)? Tant’è che oggi sta già parlando di nucleare, idrogeno blu, inceneritori, stoccaggi di CO2 sottoterra, di trivellazioni in mare… Inoltre Draghi ha stilato il Pnrr senza aggiornare i target climatici, ma utilizzando i vecchi obiettivi della riduzione della CO2 del 40%, mentre la Ue lo ha già alzato a 55%.

Per di più non c’è nessun accenno nel Pnrr dell’agri-business, uno dei più importanti inquinatori. Il problema centrale è che il nostro stile di vita occidentale è insostenibile. Infatti se tutti vivessero come vive il 10% del mondo, avremmo bisogno di due o tre pianeti.

Alcuni esempi: nei paesi benestanti noi consumiamo a testa ogni anno 100 Kg di carne all’anno. Se tutta l’umanità consumasse la stessa quantità di carne, avremmo bisogno di un altro pianeta solo per questo. Il consumo sfrenato dell’1% della popolazione mondiale inquina il doppio dei paesi impoveriti, i quali pagano pesantemente il surriscaldamento. Le conseguenze di tutto questo scempio di beni sono ora sotto i nostri occhi, ma rifiutiamo di leggere la realtà e di fare una inversione di marcia.

«Questo comportamento evasivo – ci ammonisce Papa Francesco nella Laudato Si’ – ci serve per mantenere i nostri stili di vita, di produzione e di consumo. E’ il modo in cui l’essere umano si arrangia ad alimentare tutti i vizi autodistruttivi: cercando di non vederli, rimandando le decisioni importanti, facendo tutto come se nulla fosse» (59).

Ecco perché i paesi benestanti continuano a rimandare le decisioni di uscire dai fossili e da uno stile di vita insostenibile. Noi dobbiamo capire che solo uno stile di vita più sobrio, più essenziale, più umano può salvarci: il Pianeta però sopravviverà, ma non l’uomo, che si è trasformato nella più feroce delle bestie. «Negli ultimi 60 anni abbiamo percorso la strada sbagliata, dell’illimitata crescita capitalista – afferma il noto antropologo Amitav Ghosh (India). Le emissioni sono solo sintomi di una malattia ben più grave che è una malattia dell’anima… Viviamo una crisi di valori». E aggiunge: «Quello che oggi chiamiamo ‘sviluppo’ è solo un Sistema per spingere la gente a desiderare sempre di più e cosi rendendola scontenta. Il Capitalismo è una macchina che produce scontento da colmare con il desiderio che si nutre di consumismo». E non dobbiamo aspettarci nulla dai governi che sono parte integrante di questa malattia.

Ognuno di noi dovrà prendere coscienza della realtà, unirsi agli altri e formare lentamente grandi movimenti popolari per scardinare questo «Sistema di morte». Dal basso, insieme possiamo fare molto. E dato che il cuore del problema sono le banche che investono in fossili, dobbiamo avere il coraggio del disinvestimento, cioè di togliere i nostri soldi da quelle banche che pagano per i fossili.

Banca San Paolo fra il 2016 e il 2020 ha stanziato per i fossili 13,7 miliardi di dollari. Unicredit (anche se si è impegnata di disinvestire nei fossili entro il 2028) investe 8 miliardi di dollari in società come Total, Eni.

Se tutti, cristiani e non, seguissero seriamente l’insegnamento di Papa Francesco nella Laudato Si’, dovrebbero «disinvestire» da quelle banche che investono in carbone, petrolio e gas . Se unitariamente facessimo questo, potremmo scuotere i nostri governi, prigionieri delle Banche.

Diamoci da fare, perché la Speranza nasce dal basso.

 

mercoledì 13 ottobre 2021

Viviamo in un’economia di guerra

dalla pagina https://www.azionenonviolenta.it/viviamo-in-uneconomia-di-guerra/

Stiamo vivendo un periodo storico estremamente contradditorio e complicato, dove finiamo per scontrarci per un vaccino fatto o rifiutato, per un’azione giusta o sbagliata, per l’adesione o il sospetto verso le tecnologie.

Temi attuali ed importanti, occasioni per andare a cercare dentro il conflitto ed imparare. Ma anche forse solo una parte di un problema molto più grande: quello dell’economia della guerra, che subiamo tutte e tutti.

In guerra con la natura

Continua senza sosta la guerra che non si è mai fermata: quella di predazione della natura, della nostra madre Terra. Avviene a livello del suolo, coi disboscamenti, gli incendi, l’uso di pesticidi e di sementi modificate geneticamente, le speculazioni edilizie, le espropriazioni industriali e militari, gli allevamenti intensivi. Avviene a livello del sottosuolo, attraverso un’estrazione continua di idrocarburi e, al contempo e in ottemperanza all’ era tecno e green con i i computer e gli smartphone dappertutto e l’elettrificazione dei mezzi di trasporto, l’accanita ricerca di minerali rari, come il litio, il cotlan, il cobalto, la cui estrazione mineraria rischia di far saltare interi ecosistemi. Questa guerra non risparmia l’acqua: i continui sversamenti di petrolio e carburanti nei mari, le “isole” di plastica negli oceani, la contaminazione dei fondali, delle coste e degli stagni costieri, così come l’inquinamento delle falde acquifere, da parte dell’industria e di una zoo-agricoltura intensiva, ci stanno pian piano sottraendo l’elemento base della vita. Né certo la guerra contro la natura risparmia l’aria, la sostanza che respiriamo: la riempiamo di anidride carbonica fino a creare una vera e propria cappa nell’atmosfera, in larga misura responsabile del brusco innalzamento medio della temperatura e dei cambiamenti climatici, col conseguente aumento degli eventi catastrofici, come siccità, alluvioni, uragani, tempeste.

Questa guerra è portata avanti da un sistema economico-finanziario basato sul profitto e che usa tutte le sue armi per mantenere ed ampliare il proprio potere, cieco davanti alle conseguenze dei suoi atti, sordo davanti alle grida degli altri esseri, col fiuto riservato al denaro, ruvido, senza più tatto, col gusto di metallo del comando.

Le guerre fra gli stati e i popoli

In relazione a questo principio di accaparramento selvaggio delle risorse naturali si sono, fin da tempi remoti, scatenate le guerre fra gli uomini, fra le nazioni, fra i popoli. Per rimanere agli ultimi cento, centodieci anni: abbiamo avuto due guerre mondiali, una guerra fredda, l’egemonia USA, e poi un’infinità di scontri locali o macro-regionali, che hanno interessato per lo più il Medioriente, l’Africa, il sud-est asiatico e l’America Latina, ma che si sono concretizzati anche in Europa, col conflitto balcanico.

Oggi, oltrepassati i primi venti anni del terzo millennio, ci ritroviamo davanti a guerre quasi secolari, come quella fra palestinesi e israeliani, o fra russi ed ukraini, o a guerre nuove, per l’accaparramento delle risorse idriche, o delle risorse minerarie, come qua e là in tutti i continenti. Dietro queste guerre si annidano gli interessi delle multinazionali finanziarie e quelli delle grandi potenze politico-militari, per avere accesso alle risorse, o per contrastare chi può averne accesso. Viviamo in un’economia di guerra, dove la produzione e la vendita di armi sempre più sofisticate e letali fa il paio con i proventi miliardari delle ricostruzioni post-belliche.

Il conflitto uomo-natura e le guerre fra Stati appaiono quindi fenomeni intimamente allacciati e che si alimentano a vicenda. Per fare un esempio, così come l’estrazione di diamanti da parte di potentati economici senza scrupoli diventa causa di guerra fra le popolazioni dell’Africa centrale, le stesse ostilità armate e i massacri fra i civili portano a loro volta ad ulteriori catastrofi ambientali, quali incendi, avvelenamenti delle acque, distruzione dei raccolti, carestie. Similmente le guerre per il controllo del petrolio e del gas in Iraq, in Libia, in Siria hanno portato, oltre ad innumerevoli eccidi, ad ulteriori predazioni delle risorse e a nuovi squilibri ambientali che, con molte probabilità, diventeranno carburante per altre guerre fra gli uomini.

Uscire dal cerchio

Uscire da questo circolo vizioso sembrerebbe oggi impresa impossibile.

Abbiamo alterato e stiamo avvelenando tutti gli elementi che consentono la vita umana e mammifera sulla Terra, innescando processi che appaiono sempre più irreversibili. Il sistema capitalistico del profitto e delle diseguaglianze sociali ha trovato nella globalizzazione la sua apoteosi e, insieme, l’inizio del suo declino. Perché diventerà presto sempre più chiaro a tutti che salvarsi dalla catastrofe planetaria non sarà possibile, mantenendo questo sistema.

Il movimento internazionale giovanile lanciato da Greta Thumberg rappresenta una scossa importante e le nuove generazioni stanno facendo forse un piccolo salto storico, riguardo alla coscienza dell’equilibrio uomo-natura, proprio nel momento in cui sono potenzialmente più a rischio di assuefazione alla “virtualità” delle nuove tecnologie di massa. Tuttavia questa generazione dovrà avere del tempo per comprendere meglio i legami fra il conflitto uomo-natura e il conflitto uomo contro uomo.

Perché è necessaria ma non basta la contestazione, neppure la ribellione, occorre creare un progetto costruttivo e cominciare a sperimentarlo. Più riusciremo a farlo, più isole di autogestione locale nasceranno, meno saremo dipendenti dall’economia di guerra dei potenti e più convinceremo con l’esempio altri. L’esempio non è solo un corollario della teoria: solo la pratica crea effervescenza, impegno ed unità.

L’economia di guerra in cui stiamo vivendo è lo specchio di un’ecologia rimasta nei libri di scuola. Eppure se in greco antico eikos significa casa, logos significa principio, fondamento, nomos vuol dire ordinamento, possiamo meglio capire che mettere insieme ecologia ed economia dovrà essere l’impegno dell’umanità oggi e nel prossimo futuro.

Carlo Bellisai 2021