giovedì 22 dicembre 2022

“Disarmare i cuori per seminare Pace”, 14° Cammino di Pace, Diocesi di Vicenza

 
video "Voce e Parola"
 
 

Il Cammino di Pace nella diocesi di Vicenza è giunto alla sua quattordicesima edizione. Dopo i due anni segnati dall’esperienza della pandemia, con tutte le relative restrizioni legate alla necessaria attenzione per evitare il contagio, torniamo a proporre il Cammino per le strade della città, fino alla nostra Cattedrale in centro a Vicenza. 

Purtroppo i motivi per cui riflettere, pregare e decidere di impegnarci per la Pace non sono venuti meno nel frattempo. Circa un anno fa è iniziato anche il conflitto in Ucraina che è venuto a complicare ulteriormente la situazione e a far crescere la preoccupazione e la necessità di impegno da parte di tutti su questo tema. 

Quest’anno ci troveremo Domenica 1° Gennaio 2023 alle ore 14.45 presso la piazza di Araceli vecchia per iniziare un cammino che abbiamo intitolato: “Disarmare i cuori per seminare la Pace”. Concluderemo il Cammino in Cattedrale verso le 16.30 con l’ultima tappa del percorso. 

Proveremo a riflettere, a partire dal racconto biblico dell’incontro tra Giacobbe ed Esaù, circa la necessità di diventare sempre più capaci di relazioni e di riconciliazione tra di noi e con il creato, consapevoli di essere tutti sulla stessa barca e chiamati a seminare Pace in questo nostro tempo, come ci ricorda anche Papa Francesco nel suo messaggio per la Giornata Mondiale della Pace 2023.

Inoltre avremo con noi anche il Vescovo Giuliano e alcuni amici che ci parleranno di iniziative ed esperienze di Pace già in corso, per condividere questo impegno con tutta la Chiesa vicentina e ogni altro uomo e donna di buona volontà.

 
don Matteo Zorzanello 
Pastorale Sociale e del Lavoro, Giustizia e Pace, Cura del Creato
Diocesi di Vicenza
 
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dalla pagina https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/20221208-messaggio-56giornatamondiale-pace2023.html

MESSAGGIO
DI SUA SANTITÀ

FRANCESCO
PER LA
LVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

 

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze.Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al “giorno del Signore”. Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cfr Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

 Francesco

 

lunedì 19 dicembre 2022

Landini: «Cambiamo modello sociale». La Cgil in udienza da papa Francesco

dalla pagina https://www.avvenire.it/attualita/pagine/intervista-di-avvenire-a-landini-cgil-udienza-da-papa-francesco

 

Lunedì il segretario e 5.000 attivisti e dirigenti del sindacato in Vaticano. «Grande consonanza su pace, valore della persona e dignità del lavoro. Sui temi bioetici ascolto senza diffidenze» 

 

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in una foto di qualche giorno fa, a Perugia contro la manovra - Fotogramma

«Abbiamo bisogno di ascoltare, vogliamo confrontarci, costruire percorsi unitari perché nessuno si salva da solo. Stiamo vivendo tempi davvero difficili con la guerra nel cuore dell’Europa, la minaccia di uno scontro nucleare che rischia di diventare reale, la crisi ambientale e la povertà che aumenta». Tempi eccezionali, sfide enormi che hanno sollecitato un avvenimento di per sé “storico”: domani, per la prima volta, 5.000 tra delegati, attivisti e dirigenti della Cgil varcheranno le porte del Vaticano per essere ricevuti in udienza dal Papa. Un incontro che il segretario generale Maurizio Landini e il sindacato tutto hanno fortemente desiderato, dopo l’udienza privata con alcuni dirigenti avvenuta nel 2019.

Segretario, su quali temi sentite maggiore vicinanza al magistero del Papa?

Nelle sue encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti abbiamo trovato una riflessione comune: questione ambientale e questione sociale sono strettamente connesse. E per affrontarle occorre cambiare il modello di sviluppo e promuovere una nuova fratellanza tra le persone, un nuovo rapporto tra l’uomo e la natura. Siamo un sindacato che ha l’ambizione di essere un soggetto di trasformazione della società e quindi sentiamo particolarmente consonanti le parole del Papa che invitano a costruire una vera e propria rivoluzione, anche culturale, in termini di valori e di azione. Lottando contro le diseguaglianze, mettendo al centro le persone e il lavoro dignitoso, un’economia non fondata solo sul profitto. E, a unire tutti questi temi, un impegno forte, prioritario, per affermare la pace e superare la logica stessa della guerra.

In questi mesi avete manifestato per la pace, assieme a molta parte del mondo cattolico, attirandovi pure accuse di “ambiguità”. Ma come difendere gli ucraini?

Noi non siamo mai stati neutrali, siamo stati fin dall’inizio contro la guerra, contro chi l’ha scatenata, la Russia, e dalla parte di chi è stato aggredito: gli ucraini. E a loro abbiamo fornito aiuti umanitari, abbiamo accolto le donne e i bambini che scappavano dai bombardamenti. Oggi non riusciamo a vedere ancora la conclusione della guerra, mentre si fa purtroppo più concreto il pericolo di un allargamento del conflitto, fino allo scenario peggiore: quello di uno scontro nucleare. Ora c’è bisogno di un cessate il fuoco, di una tregua per il Natale cattolico e ortodosso come ha proposto Andrea Riccardi, di aprire un vero negoziato di pace.

Sbaglia quindi il governo attuale, come quello precedente, a inviare ancora armi?

Di armi, nel conflitto in Ucraina e in generale nel mondo, ce ne sono già troppe. La vera sicurezza viene dall’affermare la cultura della pace, non dall’aumento delle spese militari. L’Europa e il nostro governo dovrebbero agire con maggior forza perché sia convocata una seria conferenza di pace. L’altra strada, quella del conflitto infinito, porta solo distruzione e morte.

Francesco ha denunciato molte volte la “logica dello scarto”: è un rischio che avvertite anche voi?

Non è un rischio, è una realtà concreta in molti ambiti. Si diffondono le carestie nel mondo, crescono le diseguaglianze fra le nazioni e in ogni nazione, il lavoro viene considerato come una merce qualsiasi e con esso le stesse persone finiscono per perdere valore. Questa è la logica dello scarto: quella che misura tutto in base ai soldi anziché ai bisogni e al valore della persona.

Il sindacato, però, appare a volte come un soggetto conservatore, più attento alla difesa di chi è già tutelato, che non ai più deboli come i disoccupati e i precari.

Diciamo anzitutto che la produzione legislativa dei diversi governi negli ultimi decenni ha aumentato la precarietà nel lavoro e favorito una frantumazione dei diritti dei lavoratori. Aumentando la competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Occorre quindi ripristinare un principio di equità e di uguaglianza con un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che sancisca uguali diritti e tutele per tutti, a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro: a tempo indeterminato o a termine, autonomo o a partita Iva. Questo penso sia il compito primario del sindacato e della politica: mettere al centro la persona ed evitare che chi per vivere deve lavorare debba accettare qualsiasi condizione. Dopodiché, anche le organizzazioni sindacali, a partire da quella che io rappresento, devono cambiare, essere sempre più in grado di rappresentare l’intero mondo del lavoro e le sue diverse forme. Per questo, però, è necessario anche un sostegno legislativo alla contrattazione collettiva, che cancelli i “contratti pirata” e dia valore generale ai contratti nazionali, sancisca così anche un salario minimo e gli altri diritti normativi. Penso alla malattia, gli infortuni, le ferie, il Tfr, solo per citarne alcuni, che debbono essere garantiti a tutti i lavoratori e le lavoratrici.

La dottrina sociale della Chiesa auspica un lavoro che sia «libero, creativo, partecipativo e solidale». Vi riconoscete in questa definizione? Come si realizza tale obiettivo?

Sì, il lavoro è lo strumento fondamentale per la realizzazione della persona. Ma oggi purtroppo il lavoro è precario e non di rado chi lavora è comunque povero, è aumentato lo sfruttamento, manca la sicurezza tanto che si continua a morire in maniera tragica e scandalosa. L’obiettivo di un lavoro migliore si può realizzare introducendo per legge e nei contratti un diritto alla formazione, perché ciò che fa la differenza oggi è la conoscenza. Anche l’impresa deve ripensarsi come luogo nel quale imprenditore e lavoratori possano discutere e realizzare accordi non solo su salari e orari ma anche su ciò che fanno e di come lo fanno, con quale sostenibilità ambientale, sociale. I lavoratori devono avere il diritto di essere informati preventivamente sulle scelte di investimento e su queste poter esprimere un parere, poter partecipare alla fase decisionale, visto che tutto ciò riguarda anche le condizioni e il futuro degli stessi lavoratori.

Ecco, appunto: il futuro delle relazioni industriali può essere ancora caratterizzato dal conflitto e non dalla partecipazione? Verso quale modello evolve il sindacato?

Noi proponiamo un’idea di impresa nel quale tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi, in cui venga superato il modello del comando, unico ed esclusivo, in cui il sindacato è ammesso solo se assume a prescindere gli obiettivi dell’impresa. Per questo io penso che contrapporre il sindacato conflittuale e quello partecipativo come due modelli antitetici non ha senso, perché questi due momenti – conflitto e partecipazione – sono sempre necessariamente intrecciati e insieme determinano un equilibrio, che può di volta in volta variare a seconda delle situazioni concrete. Per questo io penso a un sindacato confederale fondato sulla rappresentanza e la democrazia, nel senso del diritto delle persone che lavorano di poter votare, di poter partecipare. E allo stesso tempo fondato sulla contrattazione, intesa come mediazione tra due soggetti portatori di interessi – il lavoro e l’impresa – che debbono riconoscersi reciprocamente.

Avete scelto di fare scioperi articolati contro La legge di bilancio: c’è una filosofia sottesa che vi preoccupa, al di là dei singoli provvedimenti?

C’è alla base di questa manovra una filosofia profondamente sbagliata. Sul fisco anzitutto. Con 100 miliardi di evasione all’anno, il 95% dell’Irpef pagato da lavoratori dipendenti e pensionati, non solo non si dà vita alla riforma necessaria per alleggerire il peso sui dipendenti e far crescere i loro salari, ma si va in direzione contraria con la flat tax che diminuisce la progressività dell’imposizione e crea nuove disparità. Ancora, di fronte a giovani che trovano occupazioni sempre più precarie, tanto da emigrare in massa all’estero, reintrodurre i voucher significa penalizzarli ulteriormente. Così come è inaccettabile cancellare il Reddito di cittadinanza in un Paese in cui la povertà è in aumento. Mancano poi veri investimenti per creare lavoro, in particolare nel Mezzogiorno e sono preoccupanti i tagli che si prospettano a sanità, formazione e istruzione.

Torniamo al magistero del Papa e alla Dottrina della Chiesa. Un rischio che corrono tutti – per primi i cattolici – è quello di condividere solo ciò che ci piace, non cogliendo il disegno complessivo sull’uomo. Non rischia di essere così anche per la Cgil: adesione sulle battaglie sociali, ma visione opposta sulla vita, ad esempio con la promozione dell’aborto come diritto e il sostegno alle scelte eutanasiche?

Ma la Cgil non ha mai promosso l’aborto, che rimane un passaggio doloroso e traumatico nella vita di qualsiasi donna. Semmai ha sempre tutelato la salute e la sicurezza delle donne che possono decidere di non portare a termine una gravidanza per diversi motivi. Anche perché l’alternativa è il rischio che si torni agli aborti clandestini, con la morte di migliaia di donne. Per questo noi chiediamo di investire sulla prevenzione delle cosiddette gravidanze indesiderate attraverso una corretta educazione alla sessualità e il potenziamento dei consultori. Quanto ad eutanasia e suicidio assistito, non c’è una posizione formale della Cgil. È un tema sul quale mi interrogo. Certo, occorre anche ascoltare chi vive una condizione di sofferenza insopportabile. Credo sia fondamentale su temi di questa natura e portata l’apertura e la disponibilità all’ascolto reciproco.

La Cgil è un’organizzazione laica, a cui peraltro partecipano anche molti credenti. Se posso entrare nel personale, qual è il suo rapporto con la fede?

Posso dire che credo nella possibilità di lottare, qui ed ora, per affermare la libertà delle persone nel lavoro e credo nella giustizia sociale. E penso che per farlo serva anche superare qualsiasi diffidenza verso i diversi atteggiamenti personali. Fratellanza, per me, significa essere sempre pronti ad aiutare quelli che stanno peggio di te e renderli protagonisti del cambiamento delle loro condizioni.

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dalla pagina https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/december/documents/20221219-cgil.html

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A DIRIGENTI E DELEGATI DELLA
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO (CGIL)

Aula Paolo VI
Lunedì, 19 dicembre 2022

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi do il benvenuto e ringrazio il Segretario Generale per le sue parole. Questo incontro con voi, che formate una delle storiche organizzazioni sindacali italiane, mi invita ad esprimere ancora una volta la mia vicinanza al mondo del lavoro, in particolare alle persone e alle famiglie che fanno più fatica.

Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato. Viviamo un’epoca che, malgrado i progressi tecnologici – e a volte proprio a causa di quel sistema perverso che si definisce tecnocrazia (cfr Laudato si’, 106-114) – ha in parte deluso le aspettative di giustizia in ambito lavorativo. E questo chiede anzitutto di ripartire dal valore del lavoro, come luogo di incontro tra la vocazione personale e la dimensione sociale. Lavorare permette alla persona di realizzare sé stessa, di vivere la fraternità, di coltivare l’amicizia sociale e di migliorare il mondo. Le Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti possono aiutare a intraprendere percorsi formativi che offrano motivi di impegno nel tempo che stiamo vivendo.

Il lavoro costruisce la società. Esso è un’esperienza primaria di cittadinanza, in cui trova forma una comunità di destino, frutto dell’impegno e dei talenti di ciascuno; tale comunità è molto di più della somma delle diverse professionalità, perché ognuno si riconosce nella relazione con gli altri e per gli altri. E così, nella trama ordinaria delle connessioni tra le persone e i progetti economici e politici, si dà vita giorno per giorno al tessuto della “democrazia”. È un tessuto che non si confeziona a tavolino in qualche palazzo, ma con operosità creativa nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole, commerciali, artigianali, nei cantieri, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, negli uffici, e così via. Viene “dal basso”, dalla realtà.

Cari amici, se richiamo questa visione, è perché tra i compiti del sindacato c’è quello di educare al senso del lavoro, promuovendo una fraternità tra i lavoratori. Non può mancare questa preoccupazione formativa. Essa è il sale di un’economia sana, capace di rendere migliore il mondo. In effetti, «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (Enc. Laudato si’, 128).

Accanto alla formazione, è sempre necessario segnalare le storture del lavoro. La cultura dello scarto si è insinuata nelle pieghe dei rapporti economici e ha invaso anche il mondo del lavoro. Lo si riscontra ad esempio là dove la dignità umana viene calpestata dalle discriminazioni di genere – perché una donna deve guadagnare meno di un uomo? Perché una donna, appena si vede che incomincia a “ingrassare”, la mandano via per non pagare la maternità? –; lo si vede nel precariato giovanile – perché si devono ritardare le scelte di vita a causa di una precarietà cronica? –; o ancora nella cultura dell’esubero; e perché i lavori più usuranti sono ancora così poco tutelati? Troppe persone soffrono per la mancanza di lavoro o per un lavoro non dignitoso: i loro volti meritano l’ascolto, meritano l’impegno sindacale.

Vorrei condividere con voi in modo particolare alcune preoccupazioni. In primo luogo, la sicurezza dei lavoratori. Il vostro Segretario generale ne ha parlato. Ci sono ancora troppi morti – li vedo sui giornali: tutti i giorni c’è qualcuno –, troppi mutilati e feriti nei luoghi di lavoro! Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l’intera società. Più che contarli al termine di ogni anno, dovremmo ricordare i loro nomi, perché sono persone e non numeri. Non permettiamo che si mettano sullo stesso piano il profitto e la persona! L’idolatria del denaro tende a calpestare tutto e tutti e non custodisce le differenze. Si tratta di formarsi ad avere a cuore la vita dei dipendenti e di educarsi a prendere sul serio le normative di sicurezza: solo una saggia alleanza può prevenire quegli “incidenti” che sono tragedie per le famiglie e le comunità.

Una seconda preoccupazione è lo sfruttamento delle persone, come se fossero macchine da prestazione. Ci sono forme violente, come il caporalato e la schiavitù dei braccianti in agricoltura o nei cantieri edili e in altri luoghi di lavoro, la costrizione a turni massacranti, il gioco al ribasso nei contratti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia. Quante contraddizioni e quante guerre tra poveri si consumano intorno al lavoro! Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”: persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro. Il sindacato – ascoltate bene questo – è chiamato ad essere voce di chi non ha voce. Voi dovete fare rumore per dare voce a chi non ha voce. In particolare, vi raccomando l’attenzione per i giovani, spesso costretti a contratti precari, inadeguati, anche schiavizzanti. Vi ringrazio per ogni iniziativa che favorisce politiche attive del lavoro e tutela la dignità delle persone.

Inoltre, in questi anni di pandemia è cresciuto il numero di coloro che presentano le dimissioni dal lavoro. Giovani e meno giovani sono insoddisfatti della loro professione, del clima che si respira negli ambienti lavorativi, delle forme contrattuali, e preferiscono rassegnare le dimissioni. Si mettono in cerca di altre opportunità. Questo fenomeno non dice disimpegno, ma la necessità di umanizzare il lavoro. Anche in questo caso, il sindacato può fare opera di prevenzione, puntando alla qualità del lavoro e accompagnando le persone verso una ricollocazione più confacente al talento di ciascuno.

Cari amici, vi invito ad essere “sentinelle” del mondo del lavoro, generando alleanze e non contrapposizioni sterili. La gente ha sete di pace, soprattutto in questo momento storico, e il contributo di tutti è fondamentale. Educare alla pace anche nei luoghi di lavoro, spesso segnati da conflitti, può diventare segno di speranza per tutti. Anche per le future generazioni.

Grazie per quello che fate e che farete per i poveri, i migranti, le persone fragili e con disabilità, i disoccupati. Non tralasciate di prendervi cura anche di chi non si iscrive al sindacato perché ha perso la fiducia; e di fare spazio alla responsabilità giovanile.

Vi affido alla protezione di San Giuseppe, che ha conosciuto la bellezza e la fatica di fare bene il proprio mestiere e la soddisfazione di guadagnare il pane per la famiglia. Guardiamo a lui e alla sua capacità di educare attraverso il lavoro. Auguro un Natale sereno a tutti voi e ai vostri cari. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E se potete, pregate per me. Grazie!

 

venerdì 16 dicembre 2022

"Nessuno può salvarsi da solo"

dalla pagina https://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/20221208-messaggio-56giornatamondiale-pace2023.html

MESSAGGIO
DI SUA SANTITÀ

FRANCESCO
PER LA
LVI GIORNATA MONDIALE DELLA PACE

1° GENNAIO 2023

Nessuno può salvarsi da solo.
Ripartire dal Covid-19 per tracciare insieme sentieri di pace

 

«Riguardo poi ai tempi e ai momenti, fratelli, non avete bisogno che ve ne scriva; infatti sapete bene che il giorno del Signore verrà come un ladro di notte» (Prima Lettera di San Paolo ai Tessalonicesi 5,1-2).

1. Con queste parole, l’Apostolo Paolo invitava la comunità di Tessalonica perché, nell’attesa dell’incontro con il Signore, restasse salda, con i piedi e il cuore ben piantati sulla terra, capace di uno sguardo attento sulla realtà e sulle vicende della storia. Perciò, anche se gli eventi della nostra esistenza appaiono così tragici e ci sentiamo spinti nel tunnel oscuro e difficile dell’ingiustizia e della sofferenza, siamo chiamati a tenere il cuore aperto alla speranza, fiduciosi in Dio che si fa presente, ci accompagna con tenerezza, ci sostiene nella fatica e, soprattutto, orienta il nostro cammino. Per questo San Paolo esorta costantemente la Comunità a vigilare, cercando il bene, la giustizia e la verità: «Non dormiamo dunque come gli altri, ma vigiliamo e siamo sobri» (5,6). È un invito a restare svegli, a non rinchiuderci nella paura, nel dolore o nella rassegnazione, a non cedere alla distrazione, a non scoraggiarci ma ad essere invece come sentinelle capaci di vegliare e di cogliere le prime luci dell’alba, soprattutto nelle ore più buie.

2. Il Covid-19 ci ha fatto piombare nel cuore della notte, destabilizzando la nostra vita ordinaria, mettendo a soqquadro i nostri piani e le nostre abitudini, ribaltando l’apparente tranquillità anche delle società più privilegiate, generando disorientamento e sofferenza, causando la morte di tanti nostri fratelli e sorelle.

Spinti nel vortice di sfide improvvise e in una situazione che non era del tutto chiara neanche dal punto di vista scientifico, il mondo della sanità si è mobilitato per lenire il dolore di tanti e per cercare di porvi rimedio; così come le Autorità politiche, che hanno dovuto adottare notevoli misure in termini di organizzazione e gestione dell’emergenza.

Assieme alle manifestazioni fisiche, il Covid-19 ha provocato, anche con effetti a lungo termine, un malessere generale che si è concentrato nel cuore di tante persone e famiglie, con risvolti non trascurabili, alimentati dai lunghi periodi di isolamento e da diverse limitazioni di libertà.

Inoltre, non possiamo dimenticare come la pandemia abbia toccato alcuni nervi scoperti dell’assetto sociale ed economico, facendo emergere contraddizioni e disuguaglianze.Ha minacciato la sicurezza lavorativa di tanti e aggravato la solitudine sempre più diffusa nelle nostre società, in particolare quella dei più deboli e dei poveri. Pensiamo, ad esempio, ai milioni di lavoratori informali in molte parti del mondo, rimasti senza impiego e senza alcun supporto durante tutto il periodo di confinamento.

Raramente gli individui e la società progrediscono in situazioni che generano un tale senso di sconfitta e amarezza: esso infatti indebolisce gli sforzi spesi per la pace e provoca conflitti sociali, frustrazioni e violenze di vario genere. In questo senso, la pandemia sembra aver sconvolto anche le zone più pacifiche del nostro mondo, facendo emergere innumerevoli fragilità.

3. Dopo tre anni, è ora di prendere un tempo per interrogarci, imparare, crescere e lasciarci trasformare, come singoli e come comunità; un tempo privilegiato per prepararsi al “giorno del Signore”. Ho già avuto modo di ripetere più volte che dai momenti di crisi non si esce mai uguali: se ne esce o migliori o peggiori. Oggi siamo chiamati a chiederci: che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? Quali nuovi cammini dovremo intraprendere per abbandonare le catene delle nostre vecchie abitudini, per essere meglio preparati, per osare la novità? Quali segni di vita e di speranza possiamo cogliere per andare avanti e cercare di rendere migliore il nostro mondo?

Di certo, avendo toccato con mano la fragilità che contraddistingue la realtà umana e la nostra esistenza personale, possiamo dire che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo. È urgente dunque ricercare e promuovere insieme i valori universali che tracciano il cammino di questa fratellanza umana. Abbiamo anche imparato che la fiducia riposta nel progresso, nella tecnologia e negli effetti della globalizzazione non solo è stata eccessiva, ma si è trasformata in una intossicazione individualistica e idolatrica, compromettendo la garanzia auspicata di giustizia, di concordia e di pace. Nel nostro mondo che corre a grande velocità, molto spesso i diffusi problemi di squilibri, ingiustizie, povertà ed emarginazioni alimentano malesseri e conflitti, e generano violenze e anche guerre.

Mentre, da una parte, la pandemia ha fatto emergere tutto questo, abbiamo potuto, dall’altra, fare scoperte positive: un benefico ritorno all’umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni; nonché un impegno, in certi casi veramente eroico, di tante persone che si sono spese perché tutti potessero superare al meglio il dramma dell’emergenza.

Da tale esperienza è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola “insieme”. Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall’amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali.

4. Al tempo stesso, nel momento in cui abbiamo osato sperare che il peggio della notte della pandemia da Covid-19 fosse stato superato, una nuova terribile sciagura si è abbattuta sull’umanità. Abbiamo assistito all’insorgere di un altro flagello: un’ulteriore guerra, in parte paragonabile al Covid-19, ma tuttavia guidata da scelte umane colpevoli. La guerra in Ucraina miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali – basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante.

Di certo, non è questa l’era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l’umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate. Certamente il virus della guerra è più difficile da sconfiggere di quelli che colpiscono l’organismo umano, perché esso non proviene dall’esterno, ma dall’interno del cuore umano, corrotto dal peccato (cfr Vangelo di Marco 7,17-23).

5. Cosa, dunque, ci è chiesto di fare? Anzitutto, di lasciarci cambiare il cuore dall’emergenza che abbiamo vissuto, di permettere cioè che, attraverso questo momento storico, Dio trasformi i nostri criteri abituali di interpretazione del mondo e della realtà. Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un “noi” aperto alla fraternità universale. Non possiamo perseguire solo la protezione di noi stessi, ma è l’ora di impegnarci tutti per la guarigione della nostra società e del nostro pianeta, creando le basi per un mondo più giusto e pacifico, seriamente impegnato alla ricerca di un bene che sia davvero comune.

Per fare questo e vivere in modo migliore dopo l’emergenza del Covid-19, non si può ignorare un dato fondamentale: le tante crisi morali, sociali, politiche ed economiche che stiamo vivendo sono tutte interconnesse, e quelli che guardiamo come singoli problemi sono in realtà uno la causa o la conseguenza dell’altro. E allora, siamo chiamati a far fronte alle sfide del nostro mondo con responsabilità e compassione. Dobbiamo rivisitare il tema della garanzia della salute pubblica per tutti; promuovere azioni di pace per mettere fine ai conflitti e alle guerre che continuano a generare vittime e povertà; prenderci cura in maniera concertata della nostra casa comune e attuare chiare ed efficaci misure per far fronte al cambiamento climatico; combattere il virus delle disuguaglianze e garantire il cibo e un lavoro dignitoso per tutti, sostenendo quanti non hanno neppure un salario minimo e sono in grande difficoltà. Lo scandalo dei popoli affamati ci ferisce. Abbiamo bisogno di sviluppare, con politiche adeguate, l’accoglienza e l’integrazione, in particolare nei confronti dei migranti e di coloro che vivono come scartati nelle nostre società. Solo spendendoci in queste situazioni, con un desiderio altruista ispirato all’amore infinito e misericordioso di Dio, potremo costruire un mondo nuovo e contribuire a edificare il Regno di Dio, che è Regno di amore, di giustizia e di pace.

Nel condividere queste riflessioni, auspico che nel nuovo anno possiamo camminare insieme facendo tesoro di quanto la storia ci può insegnare. Formulo i migliori voti ai Capi di Stato e di Governo, ai Responsabili delle Organizzazioni internazionali, ai Leaders delle diverse religioni. A tutti gli uomini e le donne di buona volontà auguro di costruire giorno per giorno, come artigiani di pace, un buon anno! Maria Immacolata, Madre di Gesù e Regina della Pace, interceda per noi e per il mondo intero.

Dal Vaticano, 8 dicembre 2022

 Francesco

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dalla pagina https://www.avvenire.it/papa/pagine/papa-francesco-il-messaggio-per-giornata-mondiale-della-pace

Il Papa: dobbiamo pensarci come un "noi" aperto alla fraternità universale

«Non possiamo più pensare solo a preservare lo spazio dei nostri interessi personali o nazionali, ma dobbiamo pensarci alla luce del bene comune, con un senso comunitario, ovvero come un ‘noi’ aperto alla fraternità universale». Con queste parole papa Francesco, nel messaggio per la 56esima Giornata mondiale della pace che ricorre l'1 gennaio, ci chiede di interrogarci sul nostro futuro e sulle nostre responsabilità. Che cosa abbiamo imparato da questa situazione di pandemia? È una delle sue domande, e ci ricorda che la più grande lezione che il Covid-19 ci lascia in eredità è la consapevolezza che abbiamo tutti bisogno gli uni degli altri, che «il nostro tesoro più grande, seppure anche più fragile, è la fratellanza umana, fondata sulla comune figliolanza divina, e che nessuno può salvarsi da solo».

Il Papa rende omaggio all'impegno eroico di quanti si sono spesi nell'emergenza pandemica e ragiona di alcune «scoperte positive» come un benefico ritorno all'umiltà; un ridimensionamento di certe pretese consumistiche; un senso rinnovato di solidarietà che «ci incoraggia a uscire dal nostro egoismo per aprirci alla sofferenza degli altri e ai loro bisogni».

E ancora «da tale esperienza - osserva - è derivata più forte la consapevolezza che invita tutti, popoli e nazioni, a rimettere al centro la parola "insieme". Infatti, è insieme, nella fraternità e nella solidarietà, che costruiamo la pace, garantiamo la giustizia, superiamo gli eventi più dolorosi. Le risposte più efficaci alla pandemia sono state, in effetti, quelle che hanno visto gruppi sociali, istituzioni pubbliche e private, organizzazioni internazionali uniti per rispondere alla sfida, lasciando da parte interessi particolari. Solo la pace che nasce dall'amore fraterno e disinteressato può aiutarci a superare le crisi personali, sociali e mondiali».

Non solo il Covid, ma anche la guerra, «nuova terribile sciagura», guidata però da scelte umane colpevoli viene citata più volte nel messaggio per prossima la giornata mondiale della pace. «La guerra in Ucraina - sottolinea ancora Francesco nel messaggio - miete vittime innocenti e diffonde incertezza, non solo per chi ne viene direttamente colpito, ma in modo diffuso e indiscriminato per tutti, anche per quanti, a migliaia di chilometri di distanza, ne soffrono gli effetti collaterali - basti solo pensare ai problemi del grano e ai prezzi del carburante». E di certo, «non è questa l'era post-Covid che speravamo o ci aspettavamo. Infatti, questa guerra, insieme a tutti gli altri conflitti sparsi per il globo, rappresenta una sconfitta per l'umanità intera e non solo per le parti direttamente coinvolte. Mentre per il Covid-19 si è trovato un vaccino, per la guerra ancora non si sono trovate soluzioni adeguate».


giovedì 15 dicembre 2022

Un Natale di guerra e di speranza

www.costituenteterra.it


Newsletter n. 103 del 14 dicembre 2022

UN NATALE DI GUERRA E DI SPERANZA

Cari amici,
per la prima volta, dopo molti anni, ci troviamo a celebrare un Natale di guerra. Siamo sgomenti per questa determinazione di tutti gli attori protagonisti a perpetuarla, da Putin che pur dichiara “inevitabile” l’accordo con l’Ucraina e intanto la bombarda, a Zelensky che lo rifiuta sdegnosamente e ora chiede, oltre alle armi, due miliardi di metri cubi di gas per protrarre al suo Paese il lungo suicidio, a Biden che gode del successo del suo Impero, al G7 che infierisce anche da remoto, fino al nostro piccolo governo che assicura le sue armi per la guerra fino a tutto il 2023.
Non si vede come se ne possa uscire; anche la Santa Sede è ora esclusa da una possibile mediazione, per l’errore del Papa che ha addossato crudeltà solo a Russi, Ceceni e Buriati, dopo aver sempre condannato quella di tutti.
Non ci si può rassegnare tuttavia a un sindacalismo della sconfitta. A noi tocca comunque continuare a promuovere l’alternativa politica della pace impegnando nella ricerca di possibili soluzioni questa piccola impresa che è “Costituente Terra”. Per darle impulso convocheremo a breve, pensiamo entro gennaio, la sua assemblea annuale, a cui tutti sono invitati, sia per rinnovare gli organi sociali e approvare il bilancio, sia per avanzare proposte e precisare le nostre prospettive rispetto al fine per il quale questa Associazione è nata: un costituzionalismo mondiale, “perché la storia continui”. 
La dura replica della storia, con la perentorietà della guerra in corso, non ci permette di continuare come se nulla fosse, riproponendo illuministicamente le nostre elaborazioni concettuali. Non è pensabile che quegli stessi Stati che ora si stanno dilaniando come lupi rapaci per il dominio del mondo (la “Global domination” di cui già vent’anni fa parlava Zbigniew Brzezinski, l’ex consigliere per la sicurezza nazionale di Carter, che però non fu rieletto) si mettano ora attorno a un tavolo e d’amore e d’accordo varino un’unica Costituzione della Terra. Noi, con Ferrajoli, ne avevamo concepito una bozza, che tuttavia non intendeva essere un progetto già definito proposto da Costituente Terra ma, come ha esplicitato lo stesso Ferrajoli, aveva il solo scopo di mostrare che esiste un’alternativa alla selvaggia situazione presente e insieme offrire una base per una concreta discussione.
Si tratta ora di ridisegnare il nostro percorso e gli obiettivi finali, riaprendo un dibattito a tutto campo su quale possa essere un  assetto pacifico del mondo, da  stabilire sul  ripudio della guerra e un rinnovamento del diritto internazionale.  Ma perché questo sia un percorso realistico, esso dovrà fondarsi  sull’ordinamento già esistente che è quello dell’ONU (rovinosamente assente in questa crisi), e costruirsi su basi pluralistiche  (l’armonia delle differenze, dismesso ormai anche il “proselitismo religioso"!), universalistiche e antinazionaliste.
Alla prossima assemblea occorrerà pertanto formulare una proposta politica per l’oggi, e discutere  una proposta a più lungo termine in prospettiva antropologica e giuridica. Questa dovrà presupporre il pluralismo delle culture, la diversità, libertà ed eguaglianza delle persone e delle formazioni sociali nelle quali si sviluppano le rispettive identità, e un ordinamento costituzionale locale e internazionale che nella diversità dei reggimenti politici sancisca i diritti fondamentali  e istituisca le relative garanzie.
La proposta politica da discutere riguarda la decisione per la fine della guerra russo-atlantica in Europa. Essa non può essere lasciata nelle mani dell’Ucraina e della sua attuale guida sacrificale, né alla discrezionalità delle armi della NATO, non può pretendere né un’umiliazione dell’Ucraina né una resa incondizionata della Russia, dovrà assicurare l’esistenza, l’indipendenza e l’integrazione europea dell’Ucraina e la sicurezza della Russia inclusa in essa la Crimea, nonché statuti concordati con le relative autonomie per i popoli del Donbass.
Quanto al futuro ordine mondiale, esclusa l’aberrazione di un’unica lingua e un unico impero, non potrà essere  concepito che come una convivenza di identità diverse, di libera circolazione delle persone, di eguaglianza fondamentale e di pace originaria e realizzata.
Sarebbero questi i temi della nostra prossima assemblea romana, a cui partecipare in presenza o da remoto, aperta a quanti siano iscritti o si iscrivano mediante versamento del contributo associativo, fissato, come indicato nell’Appello istitutivo, nella misura da 0 a 100 euro, da accreditare sul conto BNL intestato a “Costituente Terra”, IBAN IT94X0100503206000000002788. 
 
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo: “Come l’Italia ha fomentato le guerre della NATO” e un articolo di Luigi Ferrajoli sulla rivista Giano in cui, già nel 1993, si avanzava la proposta di un costituzionalismo internazionale in alternativa alle spinte verso un imperialismo mondiale.
 
Con i più cordiali saluti,

www.costituenteterra.it 

 

domenica 11 dicembre 2022

"Ucraina: alternative nonviolente alla guerra"

 
Mercoledì 14 Dicembre ore 20.30-22.30
presso Missionari Saveriani, viale Trento 119, Vicenza
 

è organizzato un convegno sul tema:

UCRAINA
ALTERNATIVE NONVIOLENTE ALLA GUERRA

ne parleremo con:
 
Zaira Zafarana dell'IFOR (International Fellowship Of Reconciliation), che coordina presso l'ONU le problematiche legate all'Obiezione di Coscienza
 
Yurii Sheliazhenko (Pacifista ucraino e Segretario esecutivo del Movimento Pacifista Ucraino) in collegamento da Kiev
 
Daniele Sartori e Fabio Salandini, che porteranno la loro testimonianza in quanto partecipanti alla 4^ Carovana della Pace in Ucraina a Kiev, svoltosi lo scorso Ottobre.
 

L’iniziativa è organizzata da:

Mir, ANPI, CGIL, Gruppo Marcia Mondiale, Legambiente, SiamoVicenza, Acli,
Ass. Papa Giovanni XXIII, Pax Christi

venerdì 9 dicembre 2022

Il Papa: «contratti dignitosi e non da fame per chi lavora»

dalla pagina https://www.avvenire.it/papa/pagine/francesco-contratti-dignitosi-e-non-da-fame-per-chi-lavora-specie-donne-e-giovani

Francesco al Movimento Cristiano Lavoratori: "Il lavoro attraversa una fase di trasformazione che va accompagnata" e occorre combattere contro ogni forma di schiavitù e di sfruttamento

Reuters

“Grazie per il bene seminato in questi anni di vita”. Sono le parole con cui Papa Francesco si rivolge ai membri del Movimento Cristiano Lavoratori che incontra in Vaticano nell'ambito delle celebrazioni dei 50 anni di attività della loro organizzazione, nata "sotto la benedizione" di Papa Paolo VI. “Grazie – prosegue Francesco - per l’impegno con cui vi siete messi al servizio della società italiana attraverso le attività di formazione, i circoli, il patronato, l’attenzione al mondo del lavoro nelle varie sfaccettature e il servizio civile”.

Un anniversario, i cinquant’anni, che può essere un’occasione, afferma il Papa, per guardare alla propria storia e per proseguire “a camminare in due direzioni: un’opera di purificazione e una nuova semina”. E osserva: La disponibilità alla conversione, a lasciarsi purificare, a cambiare vita, a cambiare stile eccetera è segno di coraggio, di forza, non di debolezza; la testardaggine è segno di debolezza. Si tratta di accogliere le novità dello Spirito senza porre ostacoli: permettere che i giovani trovino spazio, che sia custodito e condiviso lo spirito di gratuità, che non si perda l’intraprendenza degli inizi preferendo scelte rassicuranti che non aiutano a vivere le novità dei tempi.

Il Concilio ci ha chiamato a leggere i segni dei tempi – e soprattutto ce ne ha dato l’esempio –; perciò, consapevoli dei mutamenti sociali, potete domandarvi: come essere fedeli al servizio dei lavoratori oggi? Come vivere l’impegno di conversione ecologica e di pacificazione? Come animare la società italiana nel campo economico, politico, lavorativo, contribuendo a fare discernimento con i criteri dell’ecologia integrale e della fraternità?

Si tratta dunque di guardare avanti, di impegnarsi per una nuova semina quanto più necessaria nella difficile e cupa stagione che stiamo vivendo a causa della pandemia, prima, e poi della guerra. “Questo vi chiama ad essere seminatori di speranza”, afferma il Papa, specie per quanto riguarda il mondo del lavoro. E sottolinea l’importanza che i lavoratori e i loro problemi trovino ascolto all'interno della comunità cristiana.

Infatti, il lavoro attraversa una fase di trasformazione che va accompagnata. Le disuguaglianze sociali, le forme di schiavitù e di sfruttamento, le povertà familiari a causa della mancanza di lavoro o di un lavoro mal retribuito sono realtà che devono trovare ascolto nei nostri ambienti ecclesiali. Sono forme più o meno di sfruttamento: diciamo le cose per nome … "Vi esorto a tenere mente e cuore aperti ai lavoratori, soprattutto se poveri e indifesi; a dare voce a chi non ha voce; a non preoccuparvi tanto dei vostri iscritti, ma di essere lievito nel tessuto sociale del Paese, lievito di giustizia e di solidarietà".


Papa Francesco raccomanda particolare attenzione per il lavoro femminile e dei giovani, un lavoro che, specifica, veda “contratti dignitosi e non da fame”, e salvaguardi “tempi e spazi di respiro per la famiglia”. Osserva poi che il Movimento fa riferimento alla dottrina sociale della Chiesa con al centro i principi di solidarietà e di sussidiarietà, e ricorda che “le famiglie, le cooperative, le imprese, le associazioni sono il tessuto vivo della società”. Come si legge nella Fratelli tutti, dice, “tante aggregazioni e organizzazioni della società civile aiutano a compensare le debolezze della Comunità internazionale”. E Francesco conclude: "Questa terza guerra mondiale in corso ci fa consapevoli che il rinnovamento nasce dal basso, dove si vivono le relazioni con solidarietà e fiducia. Non lasciamoci rubare il coraggio di nuovi inizi di riconciliazione e di fraternità".

 

mercoledì 7 dicembre 2022

La guerra non paga dividendi

dalla pagina https://ilmanifesto.it/la-guerra-non-paga-dividendi

La distruzione alla periferia di Kiev il 27 marzo 2022 - Ap

MEMORIA ATTUALE. Riproponiamo questo articolo da "il manifesto", Dossier Pace, ottobre 1983, da allora mai più ripreso

Federico Caffè *

Malgrado il grande rispetto dovuto allo sforzo intellettuale dei pensatori che hanno visto nella guerra lo sbocco ineluttabile delle contraddizioni del capitalismo e l’evento distruttivo in grado di dare nuovo alimento alla domanda e rinnovato stimolo all’accumulazione, vi sono molti motivi per ritenere che le trasformazioni intervenute nella sfera dei fatti e in quella delle idee non consentano di considerare ancora valido questo indirizzo di pensiero.

Non deve tacersi, tuttavia, che, mentre i cultori delle scienze maggiormente in grado di pronunciarsi con competenza sulle probabili conseguenze dell’olocausto nucleare non hanno esitato a denunciarne gli effetti apocalittici, gli economisti sono ancora, in larga parte, legati a una ricerca dell’efficienza anche rispetto alle spese per il riarmo, assumendo come un dato estraneo alla loro competenza la decisione politica delle spese stesse.

Non è stato sempre così.

Il maggiore economista italiano dell’Ottocento, Francesco Ferrara, ebbe a scrivere, una volta raggiunta l’unità del nostro Paese e delineatesi le sue velleità militariste, «una larghissima riduzione dell’esercito attivo, un gagliardo rallentamento della troppo rapida formazione della marina italiana sono condizione inesorabile a quello stato di equilibrio senza del quale è vana lusinga che un’era di prosperità cominci davvero per l’Italia» (discorso parlamentare del 1867). E si trattava di un intransigente liberale.

Ora, malgrado il tempo trascorso e le profonde modificazioni economiche verificatesi nel nostro Paese, quando la realtà sociale si esamini senza retorica, è ben dubbio che la descrizione stupenda, da parte di Giovanni Verga, dello stato d’animo dei Malavoglia per il loro Luca, lontano in mare ove morirà a Lissa, non sia oggi riferibile all’affanno di famiglie cui appartengano giovani reclute inviate nel Libano, per ambizioni di presenza politica del tutto velleitarie.

In definitiva, si tratta di stabilire se il nostro Paese «ritardatario» debba proporsi e perseguire ideali amministrativi di bonifica ambientale, di eliminazione del persistente sfasciume geologico, di elevazione del grado di qualificazione professionale dei giovani in cerca di lavoro, di ricerca impegnata di nuove possibilità di impiego; o se intenda essere pedina di altrui imperialismi, svolgendo inoltre questo ruolo di sovranità limitata con la ben nota «cupidigia del servilismo» di cui già altra volta gli è stato mosso addebito.

La ricerca della prosperità nella fortissima riduzione delle armi, e non nella loro moltiplicazione, non vale soltanto per il nostro Paese, ma per il mondo in generale.

I 35 milioni di disoccupati nell’OCSE e gli 11 milioni della Cee richiedono non demenziali appelli all’affetto magico del mercato, ma uno sforzo organizzativo poderoso, mirante non all’opulenza o al benessere, ma alla faticosa rimessa in moto di un meccanismo inceppato dai troppi avventurieri della finanza, dell’accaparramento dell’altrui risparmio, della speculazione valutaria destabilizzante.

Gli antichi mercanti di cannoni si sono istituzionalizzati e multinazionalizzati.

Marce, canti, slogans, pur con un loro significato di testimonianza, costituirebbero uno sperpero di energie, se non si comprendesse che la neutralizzazione delle trame dei falchi non può limitarsi a una constatazione vocale, ma richiede un incessante impegno di lucida intelligenza e di appassionata progettualità.

 

* Riproponiamo questo articolo da “il manifesto”, Dossier Pace, ottobre 1983, da allora mai più ripreso. Vi si fa riferimento alla prima missione militare italiana all’estero del dopoguerra, in Libano nel 1982-1983, che fu di interposizione dopo l’invasione israeliana del Paese, e che però arrivò dopo la strage di civili palestinesi di Sabra e Shatila.

Federico Caffè, 1914 – 1987, è stato uno dei più importanti economisti italiani del secondo dopoguerra. Professore di Politica economica presso la Sapienza di Roma, è stato il maestro di una intera generazione di economisti, tra i quali Mario Draghi e Ignazio Visco. Uscì di scena nel 1987, evento che ancora oggi resta un mistero. Fu un assiduo collaboratore del manifesto, grazie al legame profondo con Valentino Parlato. Quasi tutti i suoi articoli sul quotidiano sono raccolti in “Scritti quotidiani”, a cura di Roberta Carlini, manifestolibri.