sabato 25 novembre 2017

"PROSPETTIVE PER UN MONDO LIBERO DALLE ARMI NUCLEARI E PER UN DISARMO INTEGRALE"

dalla pagina https://w2.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2017/november/documents/papa-francesco_20171110_convegno-disarmointegrale.html

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO
"PROSPETTIVE PER UN MONDO LIBERO DALLE ARMI NUCLEARI
E PER UN DISARMO INTEGRALE"
Sala Clementina
Venerdì, 10 novembre 2017

Cari amici,
porgo a ciascuno di voi il mio cordiale saluto ed esprimo viva gratitudine per la vostra presenza e per la vostra attività al servizio del bene comune. Ringrazio il Cardinale Turkson per le parole di saluto e di introduzione.
Siete convenuti a questo Simposio per affrontare argomenti cruciali, sia in sé stessi, sia in considerazione della complessità delle sfide politiche dell’attuale scenario internazionale, caratterizzato da un clima instabile di conflittualità. Un fosco pessimismo potrebbe spingerci a ritenere che le “prospettive per un mondo libero dalle armi nucleari e per un disarmo integrale”, come recita il titolo del vostro incontro, appaiano sempre più remote. È un dato di fatto che la spirale della corsa agli armamenti non conosce sosta e che i costi di ammodernamento e sviluppo delle armi, non solo nucleari, rappresentano una considerevole voce di spesa per le nazioni, al punto da dover mettere in secondo piano le priorità reali dell’umanità sofferente: la lotta contro la povertà, la promozione della pace, la realizzazione di progetti educativi, ecologici e sanitari e lo sviluppo dei diritti umani.[1]
Non possiamo poi non provare un vivo senso di inquietudine se consideriamo le catastrofiche conseguenze umanitarie e ambientali che derivano da qualsiasi utilizzo degli ordigni nucleari. Pertanto, anche considerando il rischio di una detonazione accidentale di tali armi per un errore di qualsiasi genere, è da condannare con fermezza la minaccia del loro uso, nonché il loro stesso possesso, proprio perché la loro esistenza è funzionale a una logica di paura che non riguarda solo le parti in conflitto, ma l’intero genere umano. Le relazioni internazionali non possono essere dominate dalla forza militare, dalle intimidazioni reciproche, dall’ostentazione degli arsenali bellici. Le armi di distruzione di massa, in particolare quelle atomiche, altro non generano che un ingannevole senso di sicurezza e non possono costituire la base della pacifica convivenza fra i membri della famiglia umana, che deve invece ispirarsi ad un’etica di solidarietà.[2] Insostituibile da questo punto di vista è la testimonianza degli Hibakusha, cioè le persone colpite dalle esplosioni di Hiroshima e Nagasaki, come pure quella delle altre vittime degli esperimenti delle armi nucleari: che la loro voce profetica sia un monito soprattutto per le nuove generazioni!
Inoltre, gli armamenti che hanno come effetto la distruzione del genere umano sono persino illogici sul piano militare. Del resto, la vera scienza è sempre a servizio dell’uomo, mentre la società contemporanea appare come stordita dalle deviazioni dei progetti concepiti in seno ad essa, magari per una buona causa originaria. Basti pensare che le tecnologie nucleari si diffondono ormai anche attraverso le comunicazioni telematiche e che gli strumenti di diritto internazionale non hanno impedito che nuovi Stati si aggiungessero alla cerchia dei possessori di armi atomiche. Si tratta di scenari angoscianti se si pensa alle sfide della geopolitica contemporanea come il terrorismo o i conflitti asimmetrici.
Eppure, un sano realismo non cessa di accendere sul nostro mondo disordinato le luci della speranza. Recentemente, ad esempio, attraverso una storica votazione in sede ONU, la maggior parte dei Membri della Comunità Internazionale ha stabilito che le armi nucleari non sono solamente immorali ma devono anche considerarsi un illegittimo strumento di guerra. E’ stato così colmato un vuoto giuridico importante, giacché le armi chimiche, quelle biologiche, le mine antiuomo e le bombe a grappolo sono tutti armamenti espressamente proibiti attraverso Convenzioni internazionali. Ancora più significativo è il fatto che questi risultati si debbano principalmente ad una “iniziativa umanitaria” promossa da una valida alleanza tra società civile, Stati, Organizzazioni internazionali, Chiese, Accademie e gruppi di esperti. In tale contesto si colloca anche il documento che voi, insigniti del Premio Nobel per la Pace, mi avete consegnato e per il quale esprimo il mio grato apprezzamento.
Proprio in questo 2017 ricorre il 50° anniversario della Lettera Enciclica Populorum progressio di Paolo VI. Essa, sviluppando la visione cristiana della persona, ha posto in risalto la nozione di sviluppo umano integrale e l’ha proposta come nuovo nome della pace. In questo memorabile e attualissimo Documento il Papa ha offerto la sintetica e felice formula per cui «lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» (n. 14).
Occorre dunque innanzitutto rigettare la cultura dello scarto e avere cura delle persone e dei popoli che soffrono le più dolorose disuguaglianze, attraverso un’opera che sappia privilegiare con pazienza i processi solidali rispetto all’egoismo degli interessi contingenti. Si tratta al tempo stesso di integrare la dimensione individuale e quella sociale mediante il dispiegamento del principio di sussidiarietà, favorendo l’apporto di tutti come singoli e come gruppi. Bisogna infine promuovere l’umano nella sua unità inscindibile di anima e corpo, di contemplazione e di azione.
Ecco dunque come un progresso effettivo ed inclusivo può rendere attuabile l’utopia di un mondo privo di micidiali strumenti di offesa, nonostante la critica di coloro che ritengono idealistici i processi di smantellamento degli arsenali. Resta sempre valido il magistero di Giovanni XXIII, che ha indicato con chiarezza l’obiettivo di un disarmo integrale affermando: «L’arresto agli armamenti a scopi bellici, la loro effettiva riduzione, e, a maggior ragione, la loro eliminazione sono impossibili o quasi, se nello stesso tempo non si procedesse ad un disarmo integrale; se cioè non si smontano anche gli spiriti, adoprandosi sinceramente a dissolvere, in essi, la psicosi bellica» (Lett. enc. Pacem in terris, 11 aprile 1963, 61).
La Chiesa non si stanca di offrire al mondo questa sapienza e le opere che essa ispira, nella consapevolezza che lo sviluppo integrale è la strada del bene che la famiglia umana è chiamata a percorrere. Vi incoraggio a portare avanti questa azione con pazienza e costanza, nella fiducia che il Signore ci accompagna. Egli benedica ciascuno di voi e il lavoro che compie al servizio della giustizia e della pace. Grazie.

[1] Cfr Messaggio alla III Conferenza sull’impatto umanitario delle armi nucleari, 7 dicembre 2014.
[2] Cfr Messaggio alla Conferenza dell’ONU finalizzata a negoziare uno strumento giuridicamente vincolante per proibire le armi nucleari, 27 marzo 2017.

 © Copyright - Libreria Editrice Vaticana

venerdì 24 novembre 2017

Lelio Demichelis, Sociologia della tecnica e del capitalismo

dalla pagina http://www.inchiestaonline.it/economia/lelio-demichelis-sociologia-della-tecnica-del-capitalismo/


Un’analisi sistematica e innovativa – a cavallo tra sociologia, filosofia ed economia – della relazione tra tecnica e capitalismo (e delle sue ricadute sulla società e la cultura) è quella proposta da Lelio Demichelis in ‘Sociologia della tecnica e del capitalismo’, appena uscito [settembre 2017] per Franco Angeli



Il saggio ‘Sociologia della tecnica e del capitalismo’ – che non vuole essere solo un testo universitario – rappresenta una novità nel panorama della sociologia proponendo una specifica sociologia della tecnica integrata a una sociologia del capitalismo. Non si tratta quindi di un testo tradizionale di sociologia economica, ma di un’analisi delle relazioni funzionali esistenti tra tecnica e capitalismo e dei loro effetti sociali e culturali.

Tecnica e capitalismo, infatti, non sono più dei mezzi a disposizione dell’uomo ma costituiscono una autentica (e ormai quasi unica e unidimensionale) forma di vita individuale e sociale, oltre che il fine di se stessi, avendo l’accrescimento illimitato (dell’apparato tecnico, la prima; del profitto, il secondo) come obiettivo unico e totalizzante.

Sono dunque ormai un sistema integrato che produce forme tecniche ed economiche di organizzazione che diventano forme sociali ed esistenziali; nonché norme tecniche e di mercato che diventano norme sociali. Espropriando il demos della sua sovranità e l’individuo della sua libertà moderna, sono delle forme/norme che producono la propria biopolitica e il proprio biopotere – o forme/norme religiose, con una propria teologia (considerando appunto il tecno-capitalismo come una forma religiosa).

Partendo da alcuni concetti-guida essenziali per comprendere i reali processi in atto – autonomia/eteronomia, interazione/integrazione, società/comunità, cittadinanza, utopia – oltre che da una lettura sociologica di alcuni modelli di società offerti dalla filosofia o dalla letteratura (Caverna di Platone, Leggenda del Grande Inquisitore di Dostoevskji, Favola delle api di Mandeville, L’isola sconosciuta di Saramago) nelle pagine di Sociologia della tecnica e del capitalismo si espongono in dettaglio i caratteri e gli elementi di una nuova Grande trasformazione e di una nuova Grande narrazione, appunto quella di tecnica & capitalismo insieme.

giovedì 23 novembre 2017

Per liberare l’Italia dalle atomiche non basta una firma

dalla pagina http://www.paxchristi.it/?p=13434

L’Ican, coalizione internazionale di organizzazioni non-governative insignita del Premio Nobel per la Pace 2017, comunica che 243 parlamentari italiani hanno firmato l’Impegno Ican a promuovere la firma e la ratifica da parte del Governo italiano del Trattato sulla proibizione delle armi nucleari, adottato dalle Nazioni Unite il 7 luglio 2017.
All’Articolo 1 il Trattato stabilisce che «ciascuno Stato parte si impegna a non permettere mai, in nessuna circostanza, qualsiasi stazionamento, installazione o spiegamento di qualsiasi arma nucleare nel proprio territorio; a non ricevere il trasferimento di armi nucleari né il controllo su tali armi direttamente o indirettamente». All’Articolo 4 il Trattato stabilisce: «Ciascuno Stato parte che abbia sul proprio territorio armi nucleari, possedute o controllate da un altro Stato, deve assicurare la rapida rimozione di tali armi».
Impegnandosi a promuovere l’adesione dell’Italia al Trattato Onu, i 243 parlamentari si sono quindi impegnati a promuovere:
  1. la rapida rimozione dal territorio italiano delle bombe nucleari Usa B-61 e la non-installazione delle nuove B61-12 e di qualsiasi altra arma nucleare;
  2. l’uscita dell’Italia dal gruppo di paesi che, nella Nato, «forniscono all’Alleanza aerei equipaggiati per trasportare bombe nucleari, su cui gli Stati uniti mantengono l’assoluto controllo, e personale addestrato a tale scopo» (The role of NATO’s nuclear forces);
  3. l’uscita dell’Italia dal Gruppo di pianificazione nucleare della Nato, in base all’Articolo 18 del Trattato Onu che permette agli Stati parte di mantenere gli obblighi relativi a precedenti accordi internazionali solo nei casi in cui essi siano compatibili col Trattato.
I parlamentari che hanno firmato tale impegno appartengono ai seguenti gruppi: 95 al Partito democratico, 89 al Movimento 5 Stelle, 25 ad Articolo 1-Mdp, 24 a Sinistra italiana-Sel, 8 al Gruppo misto, 2 a Scelta civica.
Nel dibattito alla Camera, il 19 settembre scorso, solo i gruppi Sinistra italiana-Sel e Articolo 1-Mdp hanno chiesto la rimozione delle armi nucleari dall’Italia, come prescrive il  Trattato di non-proliferazione, e l’adesione al Trattato Onu.
Il Movimento 5 Stelle ha chiesto al governo solo di «relazionare al Parlamento sulla presenza in Italia di armi nucleari e dichiarare l’indisponibilità dell’Italia ad utilizzarle».
La Lega Nord ha chiesto di «non rinunciare alla garanzia offerta dalla disponibilità statunitense a proteggere anche nuclearmente l’Europa e il nostro paese».
Il Partito democratico – con la mozione di maggioranza approvata nella stessa seduta anche con i voti di Gruppo misto, Scelta civica, Forza Italia, Fratelli d’Italia, Alternativa popolare, Democrazia solidale – ha impegnato il governo a «continuare a perseguire l’obiettivo di un mondo privo di armi nucleari» (mentre mantiene in Italia armi nucleari violando il Trattato di non-proliferazione) e a «valutare, compatibilmente con gli obblighi assunti in sede di Alleanza atlantica, la possibilità di aderire al Trattato Onu». Il Governo ha espresso «parere favorevole» ma il giorno dopo, insieme agli altri 28 del Consiglio nord-atlantico, ha respinto in toto e attaccato il Trattato Onu.
I parlamentari di Pd, Gruppo misto e Scelta civica, e quelli del M5S, che hanno firmato l’Impegno Ican differenziandosi dalle posizioni dei loro gruppi,  devono a questo punto dimostrare di volerlo mantenere, promuovendo con gli altri una chiara iniziativa parlamentare perché l’Italia firmi e ratifichi il Trattato Onu sulla proibizione delle armi nucleari.
Lo deve fare in particolare Luigi Di Maio, firmatario dell’Impegno Ican, per la sua posizione rilevante di candidato premier. Aspettiamo di vedere nel suo programma di governo l’impegno ad aderire al Trattato Onu, liberando l’Italia dalle bombe nucleari Usa e da qualsiasi altra arma nucleare.

Manlio Dinucci
(il manifesto, 19 novembre 2017)

lunedì 20 novembre 2017

Oltre 240 deputati e senatori italiani sottoscrivono il “Parliamentary Pledge” della Campagna ICAN

dalla pagina http://www.disarmo.org/ican/a/44802.html


La massiccia adesione all’Appello promosso dalla Campagna Premio Nobel per la Pace 2017 dimostra l’alta sensibilità della politica e dell’opinione pubblica italiana ai tentativi di concretizzare un disarmo nucleare globale, in particolare nell’ambito del percorso del Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari

Fonte: Rete Italiana per il Disarmo - Senzatomica - 27 ottobre 2017

Oltre 240 parlamentari italiani di vari schieramenti politici hanno sottoscritto, a poco più di un mese dall'inizio del percorso entrata in vigore del Trattato sulla messa al bando delle armi nucleari, l'appello promosso della campagna internazionale ICAN affinché i legislatori di tutto il mondo sostengano e rilancino i contenuti del testo votato lo scorso luglio alle Nazioni Unite. Sottoscrivendo l'Appello ai parlamentari (“Parliamentary Pledge”) Deputati e Senatori hanno così voluto condividere "le preoccupazioni espresse nel Preambolo del Trattato circa le catastrofiche conseguenze umanitarie che risulterebbero da un qualsiasi uso di armi nucleari" prendendo atto quindi della "necessità impellente di eliminare totalmente queste armi disumane e ripugnanti". Con la loro decisione dunque oltre 240 parlamentari italiani si sono impegnati - in conformità a quanto esplicitato nell’Appello - a promuovere firma e ratifica dello strumento di legislazione internazionale promosso in particolare dalla campagna ICAN recentemente insignita del Premio Nobel per la Pace. Il tutto considerando "l'abolizione delle armi nucleari un obiettivo di primaria importanza per il bene dell'umanità e un passo essenziale per garantire la sicurezza e il benessere di tutti i popoli del mondo".

La Campagna Senzatomica e la Rete Italiana per il Disarmo (membri italiani di ICAN) accolgono con favore e soddisfazione l'alto numero di firme raccolte presso i parlamentari italiani, considerando questa un'ulteriore dimostrazione dell'alta sensibilità della politica e dell'opinione pubblica italiana nei confronti del disarmo nucleare. L’auspicio è dunque che, su sollecitazione dei Deputati e dei Senatori, anche il Governo italiano prenda in seria considerazione la possibilità di firmare e ratificare il Trattato di messa al bando delle armi nucleari. L'iniziativa di raccolta firme per la sottoscrizione dell'Appello parlamentare di ICAN è stata rilanciata a seguito della recente visita a Roma di Susi Snyder, membro del Comitato Direttivo della Campagna internazionale, che ha avuto l'opportunità di incontrare a Montecitorio i rappresentanti delle Istituzioni italiane e richiedere la sottoscrizione dell’Appello da parte del maggior numero di Parlamentari possibile.

giovedì 16 novembre 2017

Domenica 19.11: Prima Giornata Mondiale dei Poveri

dalle pagine 
http://www.paxchristi.it/?p=13407
http://www.paxchristi.it/?attachment_id=13408


Il prossimo 19 novembre, Domenica, viene celebrata la Prima Giornata Mondiale dei Poveri, istituita da papa Francesco.
Siamo tutti invitati a fare gesti concreti per i poveri, anche e non solo il 19 novembre.
Già nell’omelia del 13 novembre 2016, durante il giubileo delle persone socialmente escluse, papa Francesco aveva annunciato l’iniziativa della “Giornata mondiale dei poveri”.
Tale ricorrenza venne poi ufficialmente istituita nella lettera apostolica “Misericordia et misera”, a conclusione dell’Anno della Misericordia.
Il 13 giugno scorso, per la festa di Sant’Antonio di Padova, papa Francesco ha pubblicato il messaggio per la prima giornata mondiale dei poveri, stabilendo la data del 19 novembre 2017, e per la quale è stato scelto il motto “Non amiamo a parole, ma con i fatti”.
 

lunedì 13 novembre 2017

I dati di MILEX, Osservatorio sulle Spese Militari Italiane

dalla pagina http://www.paxchristi.it/?p=13411


MILEX è un progetto lanciato per realizzare un Primo Rapporto Annuale sulle Spese Militari Italiane (pubblicato ad inizio 2017) che è servito come base per la creazione di un Osservatorio stabile sul tema.
L’Osservatorio è promosso da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca con la collaborazione e la struttura operativa del Movimento Nonviolento (nell’ambito delle attività della Rete Italiana per il Disarmo).
Nel link riportato sotto è consultabile un articolo di Francesco Vignarca, del 31 ottobre 2017, sull’aumento della previsione di spesa militare italiana per il 2018, in particolare per l’acquisto di nuovi armamenti.

dalla pagina http://milex.org/2017/10/31/bozza-ddl-bilancio-2018-spese-militari-in-aumento-sopratutto-per-nuovi-armamenti/

Bozza Ddl Bilancio 2018: spese militari in aumento, sopratutto per nuovi armamenti

I dati non definitivi contenuti negli allegati tecnici al Disegno di legge di bilancio 2018 (appena diffusi dal Governo, con Ddl che dovrà passare ora al voto parlamentare) analizzati dall’Osservatorio MIL€X sulle spese militari italiane mostrano per il 2018 una previsione di spesa militare in crescita, in particolare per quanto riguarda l’acquisto di nuovi armamenti.
Il puro budget previsionale di partenza del Ministero della Difesa passa dai 20,3 miliardi del 2017 ai quasi 21 miliardi del 2018, con aumento del 3,4%. Partendo da questo dato si può ricavare quello complessivo di spesa militare 2018, secondo la metodologia già sperimentata dall’Osservatorio MIL€X: in più vanno aggiunti gli stanziamenti (stabili) del Ministero dello Sviluppo Economico per l’acquisizione di nuovi armamenti, il costo delle missioni militari all’estero sostenuto dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, gli oneri per il personale militare a riposo a carico dell’INPS oltre all’impatto finanziario derivante dai contributi al budget NATO e dalla compartecipazione per i costi delle basi USA sul territorio nazionale; da sottrarre invece i costi non militari dell’Arma dei Carabinieri (per funzioni di polizia e ordine pubblico e per le funzioni di guardia forestale).

Il calcolo conduce ad una spesa militare italiana complessiva in aumento del 4% passando dai 24,1 miliardi del 2017* agli oltre 25 miliardi del 2018, pari all’1,42% del PIL previsionale (nel 2017 la percentuale era l’1,40).
In forte crescita (circa il 7% rispetto al 2017) la spesa per nuovi armamenti che si ottiene sommando gli stanziamenti diretti della Difesa con quelli provenienti da fondi del Mise. Secondo i calcoli preliminari dell’Osservatorio MIL€X nel 2018 la tripartizione effettiva della spesa militare (personale, esercizio e investimenti, che secondo la Riforma Di Paola dovrebbe tendere ad una suddivisione 50%-25%-25%) si attesterà sul 58% per il personale, il 15% per l’esercizio e un complessivo 28% per gli investimenti in armamenti e infrastrutture.


giovedì 9 novembre 2017

L’Italia ratifichi il «Trattato di Interdizione delle Armi Nucleari»

dalla pagina https://ilmanifesto.it/litalia-ratifichi-il-trattato-di-interdizione-delle-armi-nucleari/

Al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Capo del Governo
 
All’ONU il 7 luglio scorso è stato adottato uno storico Trattato che proibisce gli ordigni «atomici» promosso dalle nazioni che non possiedono il nucleare, assenti le 9 nazioni che possiedono la bomba «atomica» e tutti i Paesi NATO (eccetto l’Olanda).
Un movimento mondiale disarmista, che ha sospinto il voto coraggioso di 122 stati «battistrada» – per lo più del «movimento dei non allineati»-, ha reso concreta la speranza che l’Umanità riesca finalmente a liberarsi dalla più terribile minaccia per la sua sopravvivenza, tenendo conto che una guerra nucleare può essere scatenata addirittura per caso, per incidente o per errore di calcolo.
Anche il Parlamento Europeo ha approvato, il 27 ottobre 2016, una risoluzione su questi temi (415 voti a favore, 124 contro, 74 astenuti), invitando tutti gli Stati membri dell’Unione Europea a «partecipare in modo costruttivo» ai negoziati ONU, quelli che successivamente hanno varato il Trattato del 7 luglio.
Ci ha sorpreso e indignato l’assenza del governo italiano alle sedute dei negoziati in sede ONU. Siamo coscienti, con tutte le alte autorità scientifiche, civili, morali e religiose, che in tal senso si sono espresse, che la deterrenza nucleare e la minaccia della distruzione reciproca sono contrarie al bene dell’umanità e all’etica di ogni civile convivenza.
Lo abbiamo già ricordato ma non lo si ripeterà mai abbastanza: indipendentemente dallo Stato di appartenenza, l’esistenza stessa delle armi nucleari è universalmente riconosciuta come una terribile minaccia per la vita dei popoli e dell’ecosistema terrestre. Una minaccia oltretutto assurda perché una guerra nucleare, persino con limitato scambio di missili, risulterebbe comunque catastrofica.
In ragione di ciò, chiediamo al nostro governo di lavorare perché questi ordigni siano ripudiati e di attivarsi perché vengano ovunque aboliti.
Per questo chiediamo che l’Italia ratifichi al più presto il Trattato di Interdizione delle Armi Nucleari del 7 luglio 2017, in coerenza con l’art. 11 della nostra Costituzione, anche per dare impulso all’alternativa di una economia di pace.
L’Italia, per essere coerente e credibile con quanto sopra richiesto, deve liberarsi con decisione autonoma delle bombe nucleari USA ospitate a Ghedi ed Aviano, anche perché, nell’interpretazione che dobbiamo far valere, violano il Trattato di Non Proliferazione Nucleare. Si tratta delle bombe B61 indicate dalla «Federation of Atomic Scientists» (FAS) – ma ufficialmente è «riservato» quante e dove siano -, che ora verranno rimpiazzate dalle più micidiali B61-12.
E dovremmo mettere in conto anche la possibilità, segnalata sempre dalla FAS, di Cruise con testata atomica a bordo della VI Flotta USA con comando a Napoli. La VI Flotta attracca nei numerosi porti italiani ufficialmente a rischio nucleare.
Ascoltiamo il monito ancora attuale dell’appello Russell – Einstein, che invitava ad eliminare le armi nucleari prima che eliminassero loro l’intero genere umano: «ricordiamo la comune umanità e mettiamo in secondo piano il resto».
 
Disarmisti Esigenti, WILPF Italia, No guerra No Nato, Pax Christi, IPRI-CCP, Pressenza, LDU, Accademia Kronos, Energia Felice, Fermiamo chi scherza col Fuoco atomico (Campagna OSM-DPN), PeaceLink, La Fucina per la Nonviolenza di Firenze, la Chiesa Valdese di Firenze, Mondo senza guerre e senza violenza, Comitato per la Convivenza e la Pace Danilo Dolci-Trieste

La lista degli aderenti sarà sempre aperta: singoli e gruppi potranno sottoscrivere  




NOTA. Nel 1969 l'Italia ha ratificato il Trattato di non proliferazione nucleare (TNP), ma di fatto non lo rispetta poiché, a dispetto dell'art. II del Trattato, ospita sul nostro territorio armi nucleari USA...

venerdì 3 novembre 2017

pldm: Verso una difesa comune europea?

primolunedìdelmese

6 Novembre 2017 - ore 20:30


presso Cooperativa Insieme, via Dalla Scola 253, Vicenza


Verso una difesa comune europea?
Il ruolo dell'Italia


Nella prospettiva di una maggiore integrazione europea, la questione della difesa comune rappresenta un nodo ineludibile. Del resto, la minaccia terroristica "globale", i conflitti militari e le tensioni  sociali e politiche che si sviluppano alle porte del Vecchio Continente, dovrebbero spingere ad un ripensamento strategico delle politiche di sicurezza. Quali scenari si intravedono? Quali sono gli orientamenti dei principali Paesi europei, Francia e Germania in testa?

E come sta cambiando la politica di difesa italiana?

Ne parliamo con


Fabrizio Coticchia


ricercatore del Dipartimento di Scienze Politiche all'Università di Genova,
tra gli autori del blog
Venusin arms

mercoledì 1 novembre 2017

Romano Guardini, Europa. Compito e destino - Critica della potenza, forza di servizio...

dal documento http://www.ccdc.it/UpLoadDocumenti/Problema_Europa_Guardini.pdf

MATTEO PERRINI
IL “PROBLEMA EUROPA” NEL PENSIERO DI ROMANO GUARDINI1

L’Europa, risposta a un problema sommamente personale.
Per motivi di professione la mia famiglia si trasferì in Germania; e mentre in casa si parlava e si pensava in italiano, io crebbi spiritualmente in seno alla lingua e alla cultura tedesca”.
Così Romano Guardini presenta il “suo” problema, a cui pure bisognava dare una risposta. Nato in Italia e figlio di genitori che si sentivano profondamente italiani, anche se per motivi di lavoro si erano trasferiti in Germania, Guardini rimane legato alla prima patria, l’Italia, e tuttavia ha imparato ad amare intensamente la seconda patria, la Germania, in cui si è svolta tutta la sua formazione culturale e spirituale e si sono annodate le grandi amicizie che costelleranno la sua esistenza. Guardini vuol pensare, scrivere, insegnare in tedesco e nel 1911 decide, nonostante l’opposizione esplicita dei genitori, di assumere la cittadinanza tedesca. 
Continuerà a visitare l’Italia e a nutrirsi della sua arte e della poesia di Dante; le sue soste nella patria di origine saranno frequenti e prolungate, inizialmente sul lago di Como e poi a Isola Vicentina, dove gli era caro preparare le sue lezioni, camminando tra gli alberi che contemplava senza mai stancarsi.
Anche dopo la scelta del 1911 la doppia appartenenza alle due patrie non fu priva di conflitti e lacerazioni; ma la grandezza di Romano Guardini ebbe modo di affermarsi proprio perché egli fece leva su ciò che avrebbe potuto costituire motivo di scissione interiore per costruire una superiore visione della vita e la sua stessa personalità, una delle più ricche e armoniche del Novecento. Guardini riuscì a non trasformare l’effettiva diversità di apporti e di risonanze, che s’intersecavano nella sua esistenza, in contrasto insanabile e reciproca esclusione. Maturò, infatti, in lui l’intima convinzione che può cogliere della vita il senso più alto solo chi non sopprime o mette a tacere le “tensioni polari” (Gegensätze) come se si trattasse di contraddizioni (Widersprüche) fra le quali bisogna scegliere. Per Guardini sarebbe stato, infatti, paralizzante dover optare fra l’immediatezza intuitiva e la chiarezza latina da un lato e, dall’altro, la riflessività e la sensibilità tedesca: in realtà le une hanno bisogno delle altre, le prime per non scadere a superficialità, le seconde per non finire in astratto cerebralismo.
Ciò che deve risultare chiaro è che ogni nazione, ogni popolo, ogni cultura reca in sé, accanto a eredità negative di cui liberarsi, dei “doni” preziosi che offre disinteressatamente agli uomini che fanno parte di altre nazioni, popoli e culture. Occorre, però, un elemento comprensivo che permetta insieme di salvaguardare le diverse identità nazionali e il superamento della loro chiusura sciovinistica. Ebbene, quell’elemento comprensivo Romano Guardini lo trovò quando scoprì che cosa significava essere europeo, divenire europeo. Per lui la “scoperta” dell’Europa significò, infatti, trovare anche “la risposta a un problema sommamente personale”.

I quattro saggi di Romano Guardini sull’Europa.

Romano Guardini, la cui vita è compresa tra 1885 e il 1968, è una delle maggiori figure della storia culturale europea ed è altresì una delle più affascinanti. I suoi libri, man mano che nascevano, sono stati tradotti in Italia dalla Morcelliana di Brescia, talora addirittura prima che apparisse l’edizione tedesca. E ora la Morcelliana ha iniziato – con Scritti politici, uscito nel gennaio 2005 - la pubblicazione delle Opere complete dell’illustre maestro.
Nell’aprile del 2004, a cura di Silvano Zucal, era apparso in traduzione italiana sempre presso l’editrice bresciana, Europa - Compito e destino, in cui sono raccolti i quattro saggi sull’Europa che il pensatore cristiano compose in momenti diversi, nell’arco di un quarantennio. Il primo di essi, in cui si affronta un argomento decisivo, Il rapporto tra coscienza nazionale ed Europa, risale al 1923, un periodo nel quale l’esplosione della crisi del primo dopoguerra sembrava travolgere ogni cosa, specialmente in Germania. Guardini era allora il leader riconosciuto della gioventù tedesca e fu ad un convegno della Jugendberwegung che prese la parola su quel tema, quasi per caso, dovendo sostituire all’ultimo momento il relatore assente. Circostanza questa che conferì più immediatezza ed efficacia al suo intervento.
Il secondo testo, il più drammatico, è scritto negli anni bui del nazismo, quando a Guardini era stata tolta la cattedra universitaria e il nazionalsocialismo era al potere. La prima redazione è del 1935 ma, la sua pubblicazione avvenne solo nel 1946. Il titolo estremamente significativo, L’Europa e Gesù Cristo, fu poi ripreso nel celebre discorso Europa e «Weltanschauung» cristiana tenuto all’Università di Monaco il 17 febbraio 1955.
L’ultimo contributo fu pronunciato a Bruxelles il 28 aprile 1962 per il conferimento al grande europeo del Premio Erasmo.
Per quattro decenni, dunque, Guardini ha riflettuto sull’Europa, sul suo compito e sul suo destino. Il suo piccolo, grande libro merita l’attenzione e la gratitudine di coloro che pensano all’Europa come alla loro patria più grande e a una grande speranza per l’umanità intera.

Il compito dell’Europa nel mondo d’oggi.

Una delle intuizioni più felici di Romano Guardini è che l’Europa contemporanea ha un grande compito nella storia mondiale proprio perché essa ha perduto le illusioni da cui tante volte si era lasciata tentare. “Non sbaglio certo – scrive con forza Guardini - se penso che all’Europa autentica è estraneo l’ottimismo assoluto, la fede nel progresso universale e necessario. I valori del passato sono ancora in essa così vivi che le permettono di sentire che cosa sta in gioco. Essa ha già visto rovinare tante cose, e spesso in modo irrecuperabile, ed è stata colpevole di tante guerre omicide, da essere capace di sentire le possibilità creatrici, ma anche il rischio, anzi la tragedia dell’umana esistenza. Nella sua coscienza vi è certamente la forma mitica di Prometeo, che porta via il fuoco dall’Olimpo, ma anche quella di Icaro, le cui ali non resistono alla vicinanza del sole e che precipita giù. Conosce le irruzioni della conoscenza e della conquista, ma in fondo non crede né a garanzie per il cammino della storia, né a utopie sull’universale felicità del mondo. L’Europa ne sa troppo. Perciò io credo che il compito affidato all’Europa - compito il meno sensazionale di tutti, ma che nel profondo conduce all’essenziale - sia la critica della potenza. Non critica negativa, né paurosa né reazionaria; tuttavia ad essa è affidata la cura per l’uomo, perché essa ne ha provato la potenza non come garanzia di sicuri trionfi, ma come destino che rimane indeciso dove condurrà”.
L’Europa ha creato l’età moderna; ma ha tenuto ferma la connessione col passato. Perciò sul suo volto, accanto ai tratti della creatività, sono segnati quelli di una millenaria esperienza. Il compito riservatole, dunque, non consiste nell’accrescere la potenza che viene dalla scienza e dalla tecnica - benché naturalmente farà anche questo - ma nel domare questa potenza e nella rinuncia definitiva a ogni idea di impero, che gronda sempre di lacrime e sangue.

Una “forza di servizio” per tutti.

L’Europa è un fatto politico, economico, tecnico, ma è soprattutto una disposizione di spirito, un sentimento. Al formarsi di questo sentimento si oppongono e si opporranno sempre forti resistenze. “Il compito dell’Europa può essere adempiuto se ciascuna delle sue nazioni ripensi la sua storia e intenda il suo passato in relazione al costituirsi della federazione europea. C’è nella storia del nostro continente un esempio che ci può mettere in guardia e mostrare quanto pericolo vi sia di sbagliare. Noi non possiamo dimenticare che, ad esempio, i greci hanno fallito di fronte all’obiettivo storico di creare uno Stato che abbracciasse insieme la ricchezza vitale di tutte le diverse etnie. Anche l’Europa può mancare la sua ora”. Ma essa sa che oggi il mondo le chiede di diventare “una forza di servizio”, che sia responsabile per la vita di tutti e s’impegni a far sì che le cose della terra divengano giuste. Il compito è arduo, tuttavia la struttura essenziale dell’Europa c’è; la vediamo in ogni gesto, la sentiamo con intensità nuova. Siamo pertanto fiduciosi che l’Europa continuerà ad essere soggetto di storia, e di una storia più alta.
Anche in questi saggi lo stile di Guardini è intensamente partecipe ed elevato. Mi piace, pertanto, concludere con una citazione in cui il pensatore tedesco dà voce al suo amore per l’Europa:
Ancora sempre mi commuovo nel cuore quando sulla carta geografica vedo l’immagine dell’Europa: la configurazione piccola e graziosa - non so più chi l’abbia detto - come fosse disposta dal cesello di un orafo tra i colossi Asia, America, Africa. La ricchezza delle sue forme, l’insinuarsi reciproco tra il mare e la terra, la molteplicità delle sue situazioni etniche dalle Alpi fino alla pianura più bassa - tutto questo appare come una preparazione al destarsi dello spirito più luminoso a opere grandi e audaci imprese”.




 1 Città e Dintorni, n.88, aprile 2006.

Papa Francesco: i cristiani ridiano un'anima all'Europa

dalla pagina http://www.news.va/it/news/papa-francesco-i-cristiani-ridiano-unanima-alleuro

2017-10-28 Radio Vaticana
di Debora Donnini

“Il primo e forse il più grande contributo che i cristiani possono portare all’Europa di oggi è ricordarle che essa non è una raccolta di numeri di istituzioni, ma è fatta di persone”.  E’ uno dei passaggi chiave dell’intenso e dettagliato discorso di Papa Francesco, rivolto ai circa 350 partecipanti alla conferenza (Re)Thinking Europe, “Ripensare l’Europa. Un contributo cristiano al futuro del progetto europeo”, riuniti nell’Aula Nuova del Sinodo. Politici, cardinali, vescovi, ambasciatori e rappresentanti di movimenti e altre denominazioni cristiane, riflettono insieme da ieri nell’incontro organizzato dalla Comece, la Commissione degli Episcopati della Comunità Europea.
A loro il Papa indica la strada: le fondamenta dell’Europa sono “persona” e “comunità”,  che “come cristiani vogliamo e possiamo contribuire a costruire”. I mattoni sono "dialogo, inclusione, solidarietà, sviluppo e pace”. Nel suo quinto intervento sull’Europa e l’Unione Europea, Francesco ricorda che uno dei valori fondamentali portati dal cristianesimo è proprio “il senso della persona, costituita a immagine di Dio”. Concretamente, ad esempio, San Benedetto pose una concezione dell’uomo radicalmente diversa da quella della classicità greco-romana e da quella ancor più violenta delle invasioni barbariche: l’uomo, non più semplicemente un cittadino né servitore del potere di turno né tantomeno una merce di scambio destinata unicamente al lavoro. “Per Benedetto non ci sono ruoli, ci sono persone” mentre purtroppo oggi si nota come spesso “non ci sono i lavoratori, ci sono gli indicatori economici”, “non ci sono i migranti, ci sono le quote”, cioè una questione di cifre.
Avere un volto, obbliga, invece, ad una responsabilità - ricorda il Papa - e quindi i cristiani devono ricordare prima di tutto che l’Europa è fatta di persone e far riscoprire il senso di appartenenza ad una comunità, contro la tendenza a vivere in solitudine dell’Occidente, fraintendendo il concetto di libertà che viene intesa come dovere di essere soli. "Per me - afferma - è una cosa grave". I cristiani, invece, sanno che la loro identità è “innanzitutto relazionale” e la famiglia rimane il fondamentale luogo di questa scoperta. E, come “unione armonica delle differenze fra l’uomo e la donna”, è “tanto più vera e profonda quanto più e generativa, capace di aprirsi alla vita e agli altri”. Una comunità, infatti, è viva se sa accogliere le diversità, generare nuove vite, lavoro, innovazione e cultura.
Dall’Atlantico agli Urali, dal Polo Nord al Mediterraneo, l’Europa deve essere un luogo di dialogo, come lo era in un certo senso l’antica agorà, non solo spazio economico ma cuore della politica. L’invito di Francesco è, quindi, a considerare il ruolo positivo che la religione possiede nella società, come può essere il dialogo interreligioso tra cristiani e musulmani in Europa. Francesco mette, infatti, in guardia da “un certo pregiudizio laicista, ancora in auge” che – dice – non riesce a percepire questo valore della religione nella sfera pubblica e preferisce relegarla solo in quella privata. Ma così si instaura “il predominio di un certo pensiero unico, assai diffuso nei consessi internazionali”, che vede “nell’affermazione di un’identità religiosa un pericolo per la propria egemonia, finendo così per favorire un’artefatta contrapposizione fra il diritto alla libertà religiosa e altri diritti fondamentali”.
Spesso, poi, nella politica alla voce del dialogo, “si sostituiscono le urla delle rivendicazioni”. In molti Paesi, così, trovano posto formazioni populiste ed estremiste. I cristiani sono, quindi, chiamati a favorire il dialogo politico e devono ridare dignità alla politica intesa come massimo servizio al bene comune. “Essere leader oggi esige studio, preparazione ed esperienza”, sintetizza il Papa mettendo l’accento anche sulla necessità di un’adeguata formazione.
L’Europa deve poi essere uno spazio inclusivo valorizzando però le differenze. In questa prospettiva i migranti sono una risorsa, più che un peso e non possono essere scartati a proprio piacimento. D’altra parte il Papa ricorda che i governanti devono gestire con prudenza la questione migratoria. Non muri, dunque, ma il processo non può essere senza regole. E da parte loro, anche i migranti devono “rispettare e assimilare la cultura” della nazione che li accoglie.
Adoperarsi per una comunità inclusiva significa edificare uno spazio di solidarietà, non un insieme di “piccoli gruppi di interesse”. Bisogna quindi avere premura per i più deboli e per il sostegno fra generazioni. “A partire dagli Anni Sessanta del secolo scorso è in atto un conflitto generazionale senza precedenti”, nota il Papa. E questo - spiega - “non solo perché in Europa si fanno pochi figli - il nostro inverno demografico - e troppi sono quelli che sono stati privati del diritto di nascere ma anche perché ci si è scoperti incapaci di consegnare ai giovani gli strumenti materiali e culturali per affrontare il futuro”. “L’Europa vive una sorta di deficit di memoria” - sintetizza Francesco - e deve riscoprire il valore del proprio passato per “arricchire il proprio presente e consegnare ai posteri un futuro di speranza”. Tanti giovani, invece, si trovano “smarriti davanti all’assenza di radici e di prospettive”, mentre l’educazione deve coinvolgere tutta la società.
L’Europa è poi chiamata ad essere sorgente di uno sviluppo integrale come lo intendeva il beato Paolo VI. “Serve lavoro e servono condizioni adeguate di lavoro”, ribadisce il Papa. Un esempio possono essere quegli imprenditori cristiani, che nel secolo scorso hanno compreso come il successo delle loro iniziative, dipendesse dall’offrire condizioni degne di lavoro: quelle iniziative sono anche l’antidoto migliore ad una “globalizzazione senz’anima”, che ha creato sacche di sfruttamento e povertà. Spetta ai governi riattivare un circolo virtuoso, che “a partire da investimenti a favore della famiglia e dell’educazione”, consenta lo sviluppo pacifico dell’intera comunità civile.
L’ultimo mattone per costruire questo edificio è il diritto alla pace. Le logiche “particolari e nazionali” rischiano, però, di vanificare i sogni coraggiosi dei Padri  fondatori, ricorda Francesco. I cristiani in Europa sono, quindi, chiamati a farsi promotori di una cultura della pace e questo esige “amore alla verità", “senza la quale non possono esistere rapporti umani autentici”,  e “ricerca della giustizia” senza la quale la sopraffazione diventa norma imperante. L’Europa, quindi, si impegnerà per la pace nella misura in cui “non perderà la speranza”. Bisogna quindi seguire il sogno dei Padri fondatori di un’Europa unita e concorde, “comunità di popoli desiderosi di condividere un destino di sviluppo e di pace”.
I cristiani sono chiamati a “ridare anima all’Europa”, come fece san Benedetto: non occupò spazi ma “diede vita ad un movimento contagioso e inarrestabile, che ridisegnò il volto dell’Europa perché dalla fede sgorga quella speranza lieta, capace di cambiare il mondo. E Francesco conclude benedicendo i presenti, i "nostri popoli" e anche l'Europa.