martedì 28 aprile 2020

1˚ Maggio Festa delle Lavoratrici e dei Lavoratori ed Emergenza Covid-19


Vicenza, 27 aprile 2020


La festa del Primo Maggio era diventata per la nostra diocesi vicentina una buona occasione per organizzare e vivere un momento di condivisione allargata di preghiera e di riflessione sul tema del lavoro, un appuntamento ormai diventato tradizione. L’emergenza causata dal Covid-19, che invece ci costringe a fermare gli eventi pubblici e le occasioni di assembramento sociale, obbliga ancora di più a riflettere e pregare per trovare un senso a questa situazione.

La prima considerazione è che le nostre vite possono cambiare in modo radicale in pochi giorni a causa di un virus, talmente piccolo da non essere visibile a occhio nudo ma allo stesso tempo capace di fermare il mondo intero. Questo ricorda a tutti noi che siamo tutti legati l'uno all'altro, è un richiamo forte a prendere sul serio l’invito a riconciliarci con la Terra.

Ci apprestiamo a celebrare il Primo Maggio, per i cristiani cattolici nel ricordo di san Giuseppe lavoratore, esempio e testimone di fedeltà al progetto di Dio anche attraverso il lavoro quotidiano e l’impegno a crescere una famiglia grazie all’opera delle proprie mani. È un giorno che unisce tutti attorno al “grande tema del lavoro”, tema che in questo contesto assume una dimensione ancora più universale e carica di interrogativi.

Sappiamo che attraverseremo una fase di crisi economica e sociale e una recessione profonda, dentro un processo più generale di crisi e tensioni dovuta a guerre vere e proprie cosi come commerciali, a speculazioni finanziarie, ridislocazione dei sistemi produttivi, ecc.  Sappiamo che gli effetti sugli assetti economici e produttivi saranno pesanti: è forte nelle persone l'incertezza verso il futuro, la paura di perdere il lavoro che, a sua volta, chiederà molti cambiamenti nell'organizzazione del lavoro, nei tempi, nei luoghi e nei modi in cui si potrà stare assieme, nell'uso delle nuove tecnologie…  E questo cambiamento coinvolge tutti: sindacati, imprenditori, famiglie, la scuola così come la vita ecclesiale. Può anche questa essere una occasione per ripensare il lavoro e avviare un percorso per una sua maggiore redistribuzione e umanizzazione.

Se il coronavirus colpisce tutti e non fa distinzioni, i suoi effetti però andranno inevitabilmente ad approfondire le disuguaglianze preesistenti nella nostra società, a livello nazionale e locale.  Come può “restare a casa” chi una casa non ce l’ha? Chi ha un lavoro precario o in attesa di rinnovo del contratto di quali tutele può godere? Chi non ha un computer o una connessione internet come può attuare lo “smart working” oppure seguire le lezioni scolastiche?

Impareremo perciò qualcosa di utile da questa emergenza?

C’è il rischio che tanti di noi, impauriti, reagiscano con una maggiore chiusura.
Anche la Comunità cristiana è chiamata perciò a fare la sua parte per un “dopo coronavirus” da costruire tutti assieme: laici, religiosi e preti, lavoratori e lavoratrici, giovani e studenti, insegnanti e operai e poi con le tante persone competenti di buona volontà, che sono già in prima linea in questa battaglia.

Si sente dire spesso che “siamo in guerra”, “siamo in un ospedale da campo”… ma finita l’emergenza ci vorrà molto tempo per sanare, curare. 

I Vescovi nel loro messaggio per la Festa del Primo Maggio molto concretamente scrivono: "Nulla sarà come prima per le famiglie [...] per gli operatori sanitari [...] per il mondo del lavoro [...] in tutti i settori dalla produzione ai servizi, dal turismo al terzo settore, dalla scuola alla pastorale". 

Nulla sarà come prima, e allora?

“La sfida che abbiamo di fronte è formidabile e richiede l’impegno di tutti. C’è una missione comune da svolgere nelle diverse dimensioni del nostro vivere come cittadini che partecipano alla vita sociale e politica, come risparmiatori e consumatori consapevoli, come utilizzatori dei nuovi mezzi di comunicazione digitali. Questo chiede a tutti di dare un contributo alla costruzione di un modello sociale ed economico dove la persona sia al centro e il lavoro più degno. Così, senza rimuovere impegno e fatica, si può rendere la persona con-creatrice dell’opera del Signore e generativa”.

Costruire un'economia diversa non solo è possibile, ma è l'unica via che abbiamo per salvarci e per essere all'altezza del nostro compito nel mondo. È in gioco la fedeltà al progetto di Dio sull'umanità".

Don Matteo Zorzanello
e la segreteria della Commissione di Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi di Vicenza

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Messaggio Vescovi CEI

Video Messaggio Papa Francesco per la Settimana “Laudato Si'
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leggi anche: 

La CEI per il 1° maggio. “Il lavoro in un’economia sostenibile”

fr MichaelDavide, Lettera a un Vescovo

dalla pagina https://www.facebook.com/dmarcogallo/posts/10158218113204347

Di fr. MichaelDavide Semeraro
Lettera a un Vescovo
Mattino del 27 Aprile 2020
Carissimo Vescovo,
permettimi di condividere con te la riflessione di questa mattina. Penso alla reazione forte della CEI alla dichiarazione del Presidente del Consiglio circa la famigerata "fase 2". Se ho capito bene, si invoca la "libertà di culto" per reagire alla delusione del mantenimento delle restrizioni circa le celebrazioni liturgiche con la sola eccezione per i funerali. Non ritengo assolutamente di conoscere l'insieme della questione e non penso di avere né soluzioni da proporre, né approcci più saggi di quello di chi è costituito in autorità nella Chiesa. Ma condivido con te questa suggestione che mi è salita dal cuore passando dalle “ultime notizie” all'angolo della mia cella in cui mi dedico alla Lectio divina:
Libertà di culto o libertà nel culto?
Proprio in forza del Vangelo e del mistero pasquale di Cristo Signore, ciò che ci caratterizza non è solo la libertà di culto, ma anche la libertà da un certo culto, che permette di maturare un bene cristiano prezioso: una libertà nel culto. Se con le altre religioni condividiamo la giusta rivendicazione della libertà di culto per tutti, precipuo di ciò che il Cristo ci ha "guadagnato" è che la nostra pratica di fede non si identifica con il culto. In alcuni momenti, il culto si può trascendere, senza venir meno alla fedeltà discepolare.
Un miracolo che era avvenuto fin qui era la serena alleanza tra la Chiesa, lo Stato e persino la scienza. Gli unici che si sono opposti a questa serena assunzione di responsabilità sono stati i tradizionalisti e quei politici stigmatizzati da papa Francesco in Gaudete et Exsultate 102. Taluni invocano la "religio" e la "christianitas", ma così poco conoscono del profumo sottile e sempre eccedente del Vangelo di Cristo.
Mi auguro vivamente che i vescovi del nostro Paese non prestino oltre il fianco alla tentazione, in nome del culto, di perdere un appuntamento storico per rimettere al primo posto il Vangelo. Anche quando i sacramenti non possono essere celebrati, il Vangelo è sufficiente come sorgente di comunione tra i discepoli e di carità verso tutti.
Spero tanto che la nostra Chiesa in Italia non ceda alla tentazione di passare dalla testimonianza appassionata, serena e creativa ad una denuncia di non riconoscimento del "diritto di culto" assumendo la postura di "perseguitata". Questo rischia di rendere vano il grande guadagno di queste settimane difficili in cui siamo stati capaci di vivere in regime di alleanza nella consapevolezza che nessuno sa bene come comportarsi per evitare il peggio e cercare il meglio. Non penso che si possa accusare il Governo in carica della colpa di "incertezza", quando la situazione non permette di capire l'evoluzione della pandemia.
Sarebbe un peccato passare dall'accompagnamento dei fedeli a vivere serenamente le restrizioni imposte, a lanciarsi in una "crociata" sul diritto alla "libertà di culto". Sinceramente, penso non si possa nemmeno minimamente immaginare che il nostro Governo attuale voglia calpestare la libertà di culto proprio mentre persino i nostri fratelli musulmani, nel tempo sacro del Ramadan, hanno serenamente accettato di viverlo in modo diverso. Forse è più vero che le forze politiche potrebbero approfittare di questa crepa che si è creata nelle ultime ore per far rientrare alcune pressioni tanto "cattoliche" quanto poco "evangeliche". Penso in particolare al senso ampio della vita di fede e l'attenzione ai più poveri.
Come discepoli del Risorto possiamo andare al Tempio come facevano i primi cristiani e "spezzare il pane" a casa. Se questo non è possibile o diventa troppo pericoloso o semplicemente incerto abbiamo sempre le nostre “serene catacombe” dove con fiducia attendiamo tempi migliori senza inutili agitazioni. Il Cristo Signore ci dona, con le sue parole e i suoi gesti, di vivere il culto senza identificarci con il culto.
Il dialogo magnifico tra il Signore Gesù e la Samaritana può esserci di guida, di luce, di pace.
Vedo il rischio di sprecare ciò che siamo stati capaci di recuperare stupendamente in queste settimane prestando il fianco a posizioni che difendendo la religione, in realtà, hanno a cuore la preservazione di un mondo di privilegi e di egoismi. La nostra fede in Cristo ci spinge piuttosto ad una rinuncia unilaterale ai nostri diritti per portare insieme agli ultimi i <pesi> di doveri condivisi per rendere più prossimo il Regno di Dio. Se anche fossimo gli ultimi tra gli ultimi a ritrovare la possibilità di radunarsi nelle nostre chiese, potremmo portarlo con grazia e perfino con eleganza.
Quando parla un Vescovo si esprime il Collegio dei vescovi, successori degli apostoli.
Quando si parla ad un Vescovo, ci si rivolge al Collegio dei vescovi, successori degli apostoli.
E' quello che sto facendo all'alba di questo giorno nel tempo che dedico abitualmente alla Lectio divina: attraverso di te chiedo ai Vescovi della Chiesa che è in Italia di non rendere vana la libertà che Cristo ci ha conquistato con la sua morte in croce. Di questo mistero l'Eucaristia è memoria irrinunciabile. Eppure, la nostra vita di battezzati - anche senza Eucaristia - è incarnazione nella realtà che rimane più grande di ogni idea dogmatica e di pratica anche cultuale.
In ultimo, mi sento di rammentare che sempre si debba vigilare nel purificare ogni presa di posizione sugli ideali e i principi, dalla nostra paura di aprirci all'inedito e al nuovo accettando anche di rinunciare alla nostra influenza e, persino, al nostro potere religioso.
Ti chiedo scusa di importunarti così presto al mattino e spero tu possa accogliere la confidenza di un monaco che spera di morire cristiano.
Ti chiedo di benedirmi e di correggermi se ti sembra necessario.
fr MichaelDavide

domenica 26 aprile 2020

Clima, WMO: il riscaldamento globale sta accelerando

dalla pagina https://valori.it/clima-riscaldamento-globale-accelera/

L'Organizzazione meteorologica mondiale sul global warming: ecco i suoi effetti su territori, atmosfera, salute, acque, eventi meteo

Di Marco Talluri


I segnali rivelatori del cambiamento climatico, come l’aumento del calore terrestre e oceanico, l’accelerazione dell’innalzamento del livello del mare e lo scioglimento dei ghiacci sono evidenziati in un rapporto redatto dall’Organizzazione meteorologica mondiale WMO in collaborazione con una vasta rete di partner, comprendenti i servizi meteorologici e idrologici nazionali, i principali esperti internazionali, i servizi istituzioni scientifiche e agenzie dell’ONU.
Il rapporto documenta gli impatti degli eventi meteorologici e climatici sullo sviluppo socioeconomico, sulla salute umana, sulle migrazioni, sulla sicurezza alimentare e sugli ecosistemi terrestri e marini.
La relazione fornisce informazioni autorevoli per i responsabili politici sulla necessità di un’azione per contrastare il cambiamento climatico.

L’ultimo decennio, il più caldo della storia. 
E non finisce qui

Il rapporto conferma che il 2019 è stato il secondo anno più caldo dal 1850, che gli anni 2015-2019 sono i cinque anni più caldi registrati e che il periodo 2010-2019 è il decennio più caldo mai registrato. Dagli anni ’80, ogni decennio successivo è stato più caldo di qualsiasi decennio precedente dal 1850.
Il 2019 si è concluso con una temperatura media globale di 1,1° C al di sopra dei livelli preindustriali stimati, seconda solo al record stabilito nel 2016, quando un fortissimo evento di El Niño ha contribuito ad aumentare la temperatura media globale, ponendola al vertice della tendenza generale del riscaldamento.

[continua]

sabato 25 aprile 2020

25 aprile 2020. La festa della Liberazione in streaming e sui social: come partecipare


All’iniziativa 25 aprile 2020 #iorestolibera #iorestolibero è collegata la raccolta fondiaprile, a favore della Caritas Italiana e della Croce Rossa Italiana



Il 25 aprile 2020 sarà una giornata di liberazione, forse la più grande dal dopoguerra. Quest'anno, a causa della emergenza sanitaria Covid-19, non si potranno riempire le piazze di canti e bandiere ma l’Italia potrà unirsi nella grande manifestazione virtuale 25 aprile 2020 #iorestolibera #iorestolibero, trasmessa in streaming a partire dalle 14,30 dalla pagina Facebook e da numerose altre piattaforme il cui elenco è aggiornato sul sito www.25aprile2020.it.

All’iniziativa 25 aprile 2020 #iorestolibera #iorestolibero è collegata la raccolta fondi, lanciata lo scorso 7 aprile, a favore della Caritas Italiana e della Croce Rossa Italiana, capofila rispetto alla rete del volontariato che è la prima linea dell’emergenza sociale sui territori, per fornire aiuto a quanti non hanno un tetto o un pasto garantito. Oltre 200 mila euro e 4 mila persone hanno donato fino a oggi attraverso la piattaforma di crowdfunding GoFundMe, spesso anche piccole cifre, ognuno secondo le proprie possibilità, per un'iniziativa corale che ha unito i valori di libertà e solidarietà.

All’appello, inizialmente firmato da oltre un migliaio di protagonisti italiani della cultura, della società civile, dello spettacolo, dello sport, hanno aderito più di 12mila persone. Tra le testimonianze raccolte attraverso la pagina Facebook e il profilo Instagram citiamo Bruno Pizzul che arricchisce la parola libertà di altri significati “Se in questi momenti siamo particolarmente colpiti dalla lotta contro un malefico virus, non dobbiamo dimenticare altri nemici quali il riscaldamento globale e le inaccettabili diseguaglianze sociali”; i racconti partigiani di Aldo Cazzullo “Il 25 aprile è la festa di tutti. Dignità, libertà e democrazia non sono valori di parte, tutti dovrebbero riconoscersi”; l’appello di Jovanotti sulle note di Stornelli d’esilio “Il 25 aprile è la festa della libertà, una parola che oggi ha bisogno di essere esplorata, vivificata, vissuta e difesa nella sua forza e bellezza”; il ricordo di Carlo Conti “Quest’anno più che mai vorremmo essere liberati da questo virus, ma non ci dobbiamo dimenticare di coloro che si sono sacrificati per la nostra libertà”; e l’orgoglio di Jimmy Ghione “Io arrivo da una famiglia di partigiani, mio padre era partigiano, mio zio in nome della libertà è morto ucciso dai nazifasciti”; per Nina Zilli, che ci ha regalato un bellissimo brano, la libertà al giorno d’oggi è una questione di testa e di cuore “Anche tra quattro mura #iorestolibera, e noi tutti dobbiamo restare liberi, perché la Libertà è alla base della rivoluzione e dell'evoluzione dell'esistenza. È necessaria all'essere umano”. E poi ancora le note del Bella Ciao di Paolo Fresu, il freestyle di Frankie hi-nrg, l’invito a non lasciare indietro nessuno di Vasco che ricorda il suo Liberi liberi, la melodia con cui ci ha accompagnato Giuliano Sangiorgi, le parole di Orietta Berti, Willie Peyote, Stefano Accorsi, Enzo Iacchetti e tantissimi altri.

Tornando alla diretta streaming della giornata del 25 aprile: si apre con l’Inno di Mameli cantato da Tosca, e seguono gli interventi di Carla Federica Nespolo, presidente nazionale dell’Anpi, Maria Lisa Cinciari Rodano, staffetta partigiana; Sara Diena, giovane attivista per il clima e la giustizia sociale. La manifestazione è presentata da Lella Costa.

«Proprio nel 75esimo anniversario del 25 aprile, una terribile pandemia ci costringe per la prima volta a non poter essere tutti in piazza, a guardarci negli occhi, a toccarci, a intonare i canti partigiani che ci fanno tornare alla mente la grande festa popolare di quei giorni dell’aprile ‘45» sottolinea Carla Federica Nespolo. «Per rispettare la memoria dei nostri caduti, sabato le autorità depositeranno un piccolo fiore presso i monumenti partigiani, ma la gran parte degli italiani farà sentire il proprio cuore antifascista on line, dalle proprie case con bandiere, canti partigiani a cominciare da Bella Ciao, mettendo in rete foto, pensieri, musica e letture. La lotta del popolo per la libertà non aveva in sé solo l’esigenza di scacciare l’orrore e la prevaricazione, ma anche di costruire e progettare un mondo nuovo. Quel mondo è stato attraversato da mille contraddizioni, ma ha lasciato al nostro Paese la Costituzione e per essa dobbiamo continuare a batterci, soprattutto per tutte quelle parti che non sono state attuate, come la pace e i diritti per tutti. Questo è il valore della raccolta fondi promossa da Carlo Petrini, perchè guarda anche a chi non ha accesso ai beni fondamentali, come la casa, la salute, la possibilità di pranzare tutti i giorni con i propri figli. C’è ancora bisogno di cambiare molte strade, abbandonare la strada dell’individualismo egoistico, del privato è bello, e imboccare quella del senso di comunità e della solidarietà. Il cardine della lotta contro il Coronavirus è la sanità pubblica e dobbiamo difenderla e promuoverla. I partigiani ce ne saranno grati».

«Credo questa iniziativa sia importante da un lato perchè purtroppo alle giovani generazioni non è stato trasmesso il senso di questa giornata e quello che è stata la Resistenza, dall’altro perchè in qualche modo anche oggi ci troviamo nel pieno di una battaglia» racconta Maria Lisa Cinciari Rodano. «Il 25 aprile del 1945 le forze partigiane stavano entrando a Milano, c’era stata l’insurrezione a Bologna e Genova mentre Roma era già stata liberata due giorni prima. Non avevo ancora la percezione di cosa sarebbe accaduto, ma vedendo quelle donne e quegli uomini che entravano a Milano ho subito pensato: è la liberazione! Quest’anno avremo molta voglia di essere liberati e di portare a termine questa guerra al virus che ci costringe in casa e ci impedisce di manifestare.»

Sara Diena è la più giovane tra le relatrici: «Appartengo a una famiglia partigiana di origini ebraiche e sono cresciuta con l’idea che lottare vuol dire affermare i diritti di tutti e non solo del singolo individuo. Questi per me sono i valori che definiscono le donne e gli uomini, l’intera collettività. Dal mio punto di vista, di attivista per il clima, oggi la resistenza è ancora più necessaria perchè il nostro futuro al momento è segnato negativamente e credo che l’unico modo per assicurare una vita degna di essere definita tale sia resistere alla società di oggi, basata sullo sfruttamento e sulle disuguaglianze, che rischia di rendere vani gli sforzi di chi ha sacrificato la propria vita dedicandola alla libertà, che adesso viene a mancare. Il fatto che qualcuno ha lottato per la nostra libertà non significa che noi non dobbiamo lottare per la libertà di altre persone che ne sono prive».

Lo streaming si chiuderà con Bella Ciao, consegnando un ideale testimone all’iniziativa dell’Anpi che invita gli italiani a uscire sui balconi e intonare all'unisono il canto simbolo della lotta partigiana: insieme, seppur distanti.


mercoledì 22 aprile 2020

Earth Day 2020. Il Papa: dare vita a un movimento "dal basso" per la terra, le sfide globali si vincono insieme




Dalla Biblioteca del Palazzo apostolico il Papa dedica oggi la catechesi dell’udienza generale alla difesa del creato, in occasione della 50.ma Giornata Mondiale della Terra

Debora Donnini – Città del Vaticano
Dobbiamo crescere nella coscienza della cura della casa comune, che è stata invece inquinata e depredata, dando anche a vita a un movimento popolare “dal basso”. Proprio la tragica pandemia di Covid-19 sta, infatti, dimostrando che soltanto insieme e facendosi carico dei più deboli, “possiamo vincere le sfide globali”. È l’orizzonte indicato da Papa Francesco nella catechesi all’udienza generale del mercoledì, tenuta nella Biblioteca del Palazzo apostolico. Serve quindi “una conversione ecologica” e “un piano condiviso” per scongiurare il deterioramento della terra, avendo cura delle altre creature e nutrendo amore e compassione per gli altri. Con una sosta, dunque, nel ciclo che sta tenendo sulle Beatitudini, il Papa incentra stamani la sua riflessione sulla difesa del creato, in occasione della 50.ma Giornata Mondiale della Terra, dedicata proprio a lui, nel quinto anniversario della Laudato si’, e vissuta in Italia quest’anno, a causa della pandemia da coronavirus, con "maratona multimediale" live di 12 ore, iniziata alle 08.00 del mattino, con ospiti e collegamenti internazionali.
La terra, infatti, non è un “deposito di risorse” ma “per noi credenti il mondo naturale è il ‘Vangelo della Creazione’", sottolinea. Questo è il “modo nuovo” con cui guardare alla creazione. Siamo, infatti, un’unica famiglia umana interdipendente, fatti di materia terrestre, con il soffio vitale che viene da Dio, e quindi a immagine di Dio. Ma a causa dell’egoismo, siamo venuti meno a questa responsabilità di “custodi” della terra, mettendo in pericolo la nostra stessa vita. Il Papa esprime, quindi, apprezzamento sincero per i “vari movimenti internazionali e locali”, che si sono formati “per risvegliare le coscienze”. “Sarà ancora necessario - dice - che i nostri figli scendano in strada per insegnarci ciò che è ovvio, vale a dire che non c’è futuro per noi se distruggiamo l’ambiente che ci sostiene”. Un incoraggiamento, quindi, all’impegno di ciascuno che può dare il suo piccolo contributo:
Vorrei incoraggiare a organizzare interventi concertati anche a livello nazionale e locale. È bene convergere insieme da ogni condizione sociale e dare vita anche a un movimento popolare “dal basso”.
Riguardo alla collaborazione come comunità internazionale, la sua esortazione si volge anche a quanti hanno autorità a guidare il processo che condurrà a due “importantissimi” incontri, la COP15 sulla Biodiversità a Kunming (Cina) e la COP26 sui Cambiamenti Climatici a Glasgow (Regno Unito).

Non rovinare l'opera del Signore

Si tratta di creare “armonia” anche nel “nostro rapporto con la gente, con il prossimo, con i più poveri, con la terra”, rimarca. E l’armonia è ciò che fa lo Spirito Santo.
Nel celebrare oggi la Giornata Mondiale della Terra, siamo chiamati a ritrovare il senso del sacro rispetto per la terra, perché essa non è soltanto casa nostra, ma anche casa di Dio. Da ciò scaturisce in noi la consapevolezza di stare su una terra sacra!
Dio davanti alla creazione vide, infatti, che era cosa molto buona ma davanti a “queste tragedie naturali che sono la risposta della terra al nostro maltrattamento” , “non credo che mi dica che è una cosa molto buona”, rileva il Papa ricordando che “siamo stati noi a rovinare l’opera del Signore”. "Abbiamo peccato - afferma - contro la terra, contro il nostro prossimo e, in definitiva, contro il Creatore".

La saggezza del "buon vivere"

Il Papa richiama, quindi, un detto spagnolo che dice così: “Dio perdona sempre; noi uomini perdoniamo alcune volte sì, alcune volte no; la terra non perdona mai”. Se l’abbiamo deteriorata, avverte Papa Francesco, la risposta sarà molto brutta. Forte anche il richiamo alla contemplazione, a quella saggezza del “buon vivere” dei popoli originari, intesa da loro non nel senso di passarla bene, ma del vivere in armonia con la terra.  Infine, il Papa conclude tornando ad esortare, in questo tempo pasquale, ad apprezzare il magnifico dono del creato e a prendersi cura dei fratelli.


martedì 21 aprile 2020

Una preghiera civile per la Terra

dalla pagina https://comune-info.net/una-preghiera-civile-per-la-terra/

aa.vv. - 18 Aprile 2020

La Terra è un macrorganismo vivente in cui tutto si tiene. Il susseguirsi di malattie nuove e terribili sono la conseguenza della alterazione dei delicati equilibri naturali. È il sistema economico dominante che provoca quel progressivo deterioramento. Non possiamo più fingere di non vedere. La normalità del mondo dopo-coronavirus non può essere quella di prima. Poniamo la vita e la cura della vita al centro… . In occasione della Giornata mondiale della Terra, il 22 aprile, un gruppo di personalità del mondo della cultura, della scienza e dell’ecologia ha elaborato un documento per alzare l’impegno civile in difesa dell’ambiente e della salute a partire dall’emergenza coronavirus. Il documento si intitola: “Una preghiera civile: mai più come prima”

Foto tratta dal Flickr di Stefano Corso
L'epidemia provocata dal nuovo virus SARS-CoV-2, con il suo tragico carico di morti e miseria, serva da insegnamento. La Terra è un macrorganismo vivente in cui tutto si tiene: biologia, ecologia, economia, istituzioni sociali, giuridiche e politiche. La salute di ciascun individuo è interconnessa e dipendente dal buon funzionamento dei cicli vitali del pianeta.
Il susseguirsi di malattie nuove e terribili sempre più frequenti e virulente (Ebola, HIV, influenza suina e aviaria, afta, febbre gialla, dengue, solo per citare le più note) sono la conseguenza della alterazione dei delicati equilibri naturali esistenti tra le differenti specie viventi e i loro relativi habitat. L’abbattimento e gli incendi delle foreste tropicali, il consumo di suolo vergine, lo sfruttamento minerario, la caccia e il consumo di fauna selvatica, la concentrazione di allevamenti animali, l’agricoltura superintensiva, il sovraffollamento urbano e lo spostamento continuo di merci e persone sono le cause primarie dello scatenamento delle pandemie. Come aveva scritto inascoltato un attento osservatore dei microrganismi patogeni:
“Là dove si abbattono gli alberi e si uccide la fauna, i germi del posto si trovano a volare in giro come polvere che si alza dalle macerie” (David Quammen, Spillover, 2012).
Non c’è alcun “nemico invisibile”, tantomeno imprevisto e sconosciuto che ha dichiarato guerra al genere umano. Nessuna “catastrofe naturale” e nessun “castigo di Dio” si sono abbattuti su di noi. Al contrario è il sistema economico dominante che provoca un progressivo deterioramento dei sistemi ecologici, l’estinzione di massa delle specie viventi, il surriscaldamento del clima. Tutto ciò aumenta i rischi, la vulnerabilità e abbassa le difese immunitarie degli individui. La retorica sui sacrifici necessari (a partire da quelli affrontati da medici e infermieri, spesso lasciati senza nemmeno i più elementari dispositivi di protezione individuale) non basta a coprire il tracollo del sistema sanitario.
La sottovalutazione dei fenomeni in atto, l’impreparazione e l’incompetenza delle istituzioni pubbliche a ogni livello – laddove è prevalso il modello neoliberista – hanno indebolito i presidi socio-sanitari con definanziamenti e privatizzazioni.
L’aziendalizzazione dei servizi è andata nella direzione opposta a una medicina di territorio. In particolare in Italia abbiamo dovuto constatare un tasso di letalità eccessivo, troppi contagi registrati tra gli operatori sanitari, insufficienza delle attrezzature, mancanza di scorte di strumenti di protezione, assenza di luoghi dedicati alla quarantena, inadeguatezza dei protocolli diagnostici e terapeutici e la mancanza di un piano di emergenza e prevenzione in caso di malattie epidemiche.
Foto tratta dal Flickr di Friends of the Earth Europe
Per mascherare questi fallimenti – quasi fossero inevitabili – molti mass-media, politici e persino dirigenti sanitari hanno scelto di raccontare l’impegno per contenere la pandemia da coronavirus usando una terminologia bellica: “battaglie”, “armi”, “trincee”, “nemico”. Il linguaggio della medicina invece si esprime con parole di cura e di pace, non di guerra. Di salute psicofisica, di sollievo della sofferenza, di rispetto della dignità umana. Le guerre vere, quelle che servono per accaparrare le terre e le risorse del pianeta, la cui violenza si abbatte sulla parte più debole della popolazione civile, continuano purtroppo a essere finanziate (si pensi alla costruzione dei bombardieri F35 e dei sottomarini U-212), preparate e messe in atto in molte parti del mondo causando distruzioni irreparabili all’ambiente e grandi spostamenti forzati di popolazioni. Ha dichiarato Antonio Guterres, segretario generale dell’ONU: “La furia del virus mostra la follia della guerra. Per questo chiedo un cessate il fuoco mondiale”.
Le ripercussioni del lockdown sull’economia globalizzata porteranno a una crisi senza precedenti con effetti catastrofici specie nei paesi più periferici (rimasti senza commesse), nei ceti più poveri (rimasti senza reddito), tra i precari (rimasti senza lavoro), tra le donne madri (rimaste senza reti e servizi), tra le bambine e i bambini. Le pandemie non conoscono differenze di classe, ma si ripercuotono accentuando ancor di più le disuguaglianze e le ingiustizie sociali. Per uscirne non basterà inondare il mondo con una pioggia di denaro “a debito”. Bisognerà che quel denaro serva effettivamente ad avviare una profonda conversione ecologica e solidale degli apparati produttivi e dei comportamenti di consumo.
La salute è un bene comune globale. In quanto esseri umani siamo parte della natura. Esistiamo gli-uni-con-gli-altri, in reciproca connessione. Ogni componente organica e inorganica, dai microorganismi agli esseri umani concorre a formare un unico complesso sistema che mantiene le condizioni della vita sulla Terra. Ognuno di noi dipende dall’aria che respira, dai cibi con cui si nutre, dal tipo di energia che usa per muoversi, riscaldarsi e comunicare, dall’organizzazione sociale in cui è inserito. Siamo parte dell’universo bio-geo-fisico ed energetico.
Il 2020 è l’anno dedicato dall’Onu alla biodiversità. Secondo l’ultimo Rapporto dell’Agenzia Europea per l’Ambiente circa il 75% dell’ambiente terrestre e oltre il 60% dell’ambiente marino sono gravemente alterati. In più, come nota il Rapporto: “L’accelerazione dei cambiamenti climatici sarà probabilmente associata a un aumento dei rischi, in particolare per i gruppi vulnerabili”. Il 2020 è l’anno della verifica dell’Accordo di Parigi sul clima, ma la Cop 26 prevista a Glasgow è stata rinviata al prossimo anno.
Sono già passati cinque anni dall’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile dell’Onu e molti dei target intermedi fissati al 2020, nell’ambito dei suoi 17 macro obiettivi, sono stati clamorosamente disattesi. Sono passati cinque anni anche dalla pubblicazione dell’enciclica Laudato sì, ma il suo messaggio per un’ecologia integrale è stato ignorato.
Non possiamo più fingere di non vedere. La normalità del mondo dopo-coronavirus non può essere quella di prima. Tutto e subito deve cambiare direzione, parametri di misura, valori di riferimento.
Non vogliamo essere testimoni muti. Mai come oggi è evidente che se volessimo trarre qualche insegnamento dalla tragedia della pandemia dovremmo trasformare alla radice il sistema socioeconomico dominante capitalista, che sta mostrando tutta la sua carica distruttiva e autodistruttiva, nella direzione di una società mondiale giusta e sostenibile.
Foto tratta dal Flckr di Friends of the Earth Europe
Speriamo che la giornata della Terra del 22 aprile possa essere il momento di uscita dall’emergenza, di ricongiungimento degli affetti, di abbraccio simbolico dei parenti con i propri cari deceduti, di cordoglio di tutta la comunità, di ringraziamento per quanti si sono assunti rischi enormi nella cura dei malati e, per tutte e tutti, di un nuovo inizio dell’impegno per:
  • restituire ai dinamismi naturali almeno il 50% del suolo e delle aree marine;
  • proteggere e promuovere la biodiversità e il rispetto di tutte le specie viventi;
  • ridurre da subito le emissioni che alterano il clima;
  • fermare immediatamente tutte le guerre in corso, riconvertire le produzioni belliche e liberare risorse per la cura della salute;
  • contingentare, tracciare e controllare l’estrazione di materiali vergini dal sottosuolo (combustibili fossili, metalli, altri minerali);
  • fermare gli allevamenti intensivi, l’agrobusiness e promuovere l’agricoltura contadina;
  • potenziare la ricerca, la prevenzione, la cura e la medicina di comunità;
  • applicare sistematicamente il principio di precauzione alle trasformazioni tecnologiche che producono inquinamenti o che manipolano l’autonomia e la riservatezza personale su cui si fonda la democrazia;
  • riconoscere la soggettività delle donne, il diritto alla sicurezza anche in famiglia, all’indipendenza economica e all’autodeterminazione nelle scelte riproduttive (unica vera risposta alla crescita della popolazione);
  • riconoscere alle comunità locali il potere di decisione sui propri destini e rispettare i saperi e le forme di esistenza delle popolazioni indigene;
  • promuovere i beni comuni e le pratiche sociali di gestione comunitaria delle risorse sociali e ambientali di un territorio con modi e forme che garantiscano l’integrazione e la solidarietà tra comunità civili nazionali, continentali e planetarie;
  • riconoscere immediatamente i diritti civili e di accesso ai servizi sanitari e al welfare per tutti i cittadini stranieri che si trovano, per qualsiasi motivo, in Italia o in un paese dell’Unione europea;
  • anteporre la cura della vita alle leggi del mercato tutelando il lavoro di cura;
  • garantire le condizioni di lavoro e la sicurezza di tutti i lavoratori e le lavoratrici;
  • varare misure urgenti e strutturali per garantire ad ogni persona un reddito di base per una vita dignitosa;
  • modificare stili di vita, consumi e produzione nel rispetto della Terra e di tutti i suoi abitanti umani e non umani;
  • garantire i diritti di tutte le bambine e di tutti i bambini come rappresentanti delle generazioni future.
Questa pandemia ha toccato profondamente le nostre vite. Poniamo la vita e la cura della vita al centro.

Per adesioni inviare un messaggio alla mail: adesioni.appello2020@gmail.com

Elenco dei primi sottoscrittori del documento «Celebriamo la giornata mondiale della Terra con una preghiera civile: mai più come prima» (alla data del 15 aprile) Mario Agostinelli (Ass. Energiafelice), Ilaria Agostini (urbanista), Jean-Louis Aillon (medico psicoterapeuta), Angelo Albero (ass. Maschile plurale, Lucca), Donata Albiero (CiLLSA), Giulia Albonico Loredana Aldegheri (socia fondatrice e direttrice di MAG Verona). Amelio Anzeliero, Sabrina Arcuti, Associazione Laudato si’ di Milano, Associazione per la decrescita, Paolo Baffari, Emily Barbieri, Nicola Barbina, Marco Bersani (Attac Italia), Maria Bertolini, Bruna Bianchi (storica), Mauro Bonaiuti (Ass. per la decrescita), Marco Boschini (Associazione Comuni virtuosi), Partizia Bravo, Renato Briganti (costituzionalista), Andreina Brogani, Pierpaolo Brovedani (pediatra), Roberto Brioschi (giornalista), Paolo Cacciari (giornalista), Palo Cagnoli, Alessandro Calabria (giornalista), Marco Calabria (giornalista), Martina Camarada, Gianluca Carmosino (giornalista), Antonio Canova (Gruppo Uomini, Viareggio), Alberto Castagnola (economista), Michele Carducci (professore ordinario di Diritto costituzionale comparato e climatico),Andrea Cavallari, Marco Cazzaniga (ass. Identità e differenza), Carlo Cellamare (urbanista), Roberto Checcucci, Furio Chiaretta (giornalista), Rosanna Cima, Circolo culturale “Apodiafazzi” Comitato Stop TTIP (Udine), Paola Compassi, Comunità cristiana di base S.Agostino (Alghero), Marcella Corò, Paolo Dagazzini (Mag Verona), Daniele Degan (Laboratorio itinerante della decrescita), Leonardo de Sancti (Fefè Editore), Marco Deriu (sociolgo, univ. di Parma), Antonia De Vita (pedagogista eco femminista, univ. Verona), Giuseppina Di Crescenzo, Laura Di Lucia Coletti (insegnate, Laboratorio Venezia), Paola Dusi, Salvatore Esposito (psicologo di comunità), Giovanni Antonio Fabbris (docente univ. Sassari), Aldo Femia (economista), Carmelo Claudio Femina (ingegnere), Gennaro Ferillo (Altromondo Flegreo), Giulio Ferrara, Domeinco Finiguerra (ecologista), Raffaella Fiz, Ilaria Franchi, Francesco Gesualdi (Centro nuovo modello di sviluppo), Letizia Gigli Bruno Giorgini (fisico), Ilartia Giovenale, Sabina Giovenale (biologa), Maurizio Gritta (coop. IRIS), Gruppo Solidarietà (Ancona), Franco Guaschino, Maria Teresa Giacomazzi (presidente MAG Servizi – Verona),Silvana Ladogana, Luca Lazzarato, Emanuele Leonardi (ricercatore, univ. Parma), Giovanni Leone (architetto), Lucia Lesizza, Nino Lo Bello (Comitato Fa la cosa giusta Sicilia), Giulio Locco (Fuorimercato – Autogestione in movimento), Franco Lolli, Adriana Maestro (filosofa eco femminista), Anna Rita Maestro (medico, dirigente Asl), Gianna Magnolfi (medico psichiatra), Oliver Malcor Paola Malgaretto (architetta), Roberto Mancini (prof. Filosofia teoretica, univ. Macerata), Laura Marchetti (antropologa), Caterina Martinelli (docente di geografia), Domenico Matarozzo (ass. Maschile plurale), Ugo Mattei (giurista), Laura Matteucci, Cristina Molesini, Fabio Miscera, Alessandro Murgia (medico ematologo e oncologo), Cristina Muscelli, Edoardo Nannetti, Ferruccio Nilia, Lucia Novello (assistente sociale), Oltreconfin (distretto di economia solidale), Enrico Ottolini (Verdi Parma), Daniela Padoan (scrittrice, ass. Laudato si’ di Milano), Claudio Paolantoni, Anna Maria Paoletti (ricercatrice CNR), Giovanni Papa (ass. Polyteknos e Accoglienza), Beppe Pavan (Segreteria tecnica CdB italiane), Dario Pelissero, Tonino Perna (socio-economista), Mario Pezzella (docente), Anna Pitotti, Giulia Pravato, Maria Quintiliani, Valeria Romano, Ugo Rossi (HempRevolution), Rebecca Rovoletto (architetta), Gianluca Ricciato (educatore, ass. Maschile plurale), Rifondazione Comunista di Verona, Salvatore Ritrovato, Anna Maria Rivera (antropologa, attivista antirazzista femminista antispecista), Viviana Roveda, Pio Russo Krauss (medico), Salvatore Saladini, Adriana Sbrogiò, Adriana Schiavoni, Mario Simoncini (ass. Machile plurale), Cristina Simonelli (Coordinamento teologhe italiane), Sergio Sinigaglia (attivista sociale), Alessio Suria, Giovanna Tagliacozzo (ricercatrice per lo sviluppo sostenibile), Gianni Tamino (biologo), Massimiliano Tarantino (Fondazione Giangiacomo Feltrinelli), Roberto Tecchio (formatore), Antonio Tesini (presidente Cooperativa Agricola Cà Magre e presidente MAG Mutua – Verona), Alessandra Tempesta, Nadia Tikhomirova Wanda Tommasi (filosofa), Fabrizio Tonello (giornalista, univ. Pd), Soana Tortora (Solidarius Italia), Riccardo Troisi (economista), Paolo Tubaro, Mao Valpiana (Azione Nonviolenta), Daniele Varese, Lucia Vastano (giornalista), Guido Viale (economista), Alex Zanotelli (missionario comboniano)

lunedì 20 aprile 2020

Zuppi: «I movimenti [popolari] vanno nella direzione giusta, sono indispensabili»

dalla pagina https://ilmanifesto.it/i-movimenti-vanno-nella-direzione-giusta-sono-indispensabili/

Intervista. Il vescovo di Bologna Matteo Zuppi: la solidarietà è un principio costitutivo della Ue. È una scelta decisiva per la sua credibilità. Dobbiamo ricostruire con passione un mondo migliore e più giusto per tutti, perché è il contrario della pandemia che dobbiamo scegliere

Il cardinale Matteo Zuppi 


Vescovo di Bologna dal 2015 e recentemente creato cardinale, Matteo Zuppi si è fatto conoscere per la semplicità e l’acume della sua pastorale, da sempre molto attenta alle problematiche sociali.
Quattro anni fa ci siamo trovati insieme al centro sociale Tpo per commentare i discorsi tenuti da Bergoglio ai movimenti popolari, in occasione dei tre incontri mondiali che si sono svolti in Vaticano e in Bolivia dal 2014 al 2016.
La domenica di pasqua il papa è tornato a rivolgersi ai movimenti con una lettera di denuncia degli effetti della crisi pandemica sui settori più deboli della società: i migranti, i precari, i cartoneros, i lavoratori nell’economia informale. Nella sua analisi sociale della crisi il papa ha suggerito di mettere in campo una «forma di retribuzione universale di base». Una proposta che ha incontrato il sostegno dei movimenti, e che sembra modificare lo scetticismo che la Chiesa aveva manifestato in passato.
Cardinale, si può parlare di un aggiornamento della dottrina sul lavoro?
Nella sua lettera il papa ha in mente l’azione dei movimenti popolari e il problema dei lavoratori “informali”, senza garanzie, eppure fondamentali, soprattutto nel contesto latinoamericano. Il principio da cui muove il pontefice è che nessun lavoratore deve rimanere senza diritti. È chiaro che in questa prospettiva la quarantena, che è già insostenibile per chi vive in condizioni di precarietà e non ha tutele legali, diventa del tutto inaccettabile nella ricerca di una società più giusta.
Ecco allora che il salario universale può essere una soluzione. Chiaramente, bisogna valutare caso per caso la sua sostenibilità e questo è compito della politica. Certo, anche qui in Italia stiamo vivendo una fase emergenziale e sono davvero troppi i lavoratori senza un reddito, senza altri strumenti di sostegno e che sono in grandi difficoltà a causa della pandemia.
Dopo il messaggio molto forte del 27 marzo, quando ha affermato che «nessuno si salva da solo», nel tradizionale Urbi et Orbi pasquale, proclamato nella basilica di San Pietro vuota, il papa ha chiesto all’Unione europea di dare prova concreta di solidarietà. A suo giudizio, cosa è mancato fino ad oggi? E cosa sarebbe legittimo e opportuno attenderci?
A mancare è stata la prospettiva indicata dal papa, quella della solidarietà. Non c’è stato un meccanismo di reciproco aiuto, se non con interventi davvero troppo lenti. Il principio della solidarietà va considerato invece come costitutivo dell’Unione e la crisi pandemica ha colpito tutto il continente, anche se più duramente in alcuni paesi. È una scelta davvero decisiva per il futuro dell’Europa e della sua credibilità.
Seguendo il ragionamento per cui gli effetti della pandemia, dalla prevenzione sanitaria alle conseguenze economiche, non sono certo gli stessi per tutti, i migranti appaiono tra i soggetti più fragili in questo momento. Nella sua Roma, per esempio, sono tutt’ora in corso alcune gravi emergenze sociali: dal Selam Palace alla Romanina al Centro di accoglienza di Torre Maura. In questo contesto, nel segno della difesa della “salute pubblica”, il governo ha deciso di tornare a chiudere i porti. Come valuta questa decisione?
La vera sfida è affrontare la questione delle migrazioni nella sua complessità. Se non viene vissuta in tutti i suoi aspetti allora diventa un problema sociale per tutti.
Nessuno deve essere lasciato morire in mare e questo è tanto evidente quanto indiscutibile. Dal punto di vista pratico, si tratta di capire come garantire la sicurezza dei migranti, e di conseguenza anche quella di tutti, attraverso strumenti di quarantena idonei: una soluzione che mi sembra sia stata trovata. Inoltre, ci dobbiamo interrogare su come fare emergere il mondo dei profughi che già vive in Italia, e che difficilmente lascerà che lo teniamo nel limbo. Ma il limbo non dura a lungo e ha anche un prezzo.
È intelligente la proposta della regolarizzazione, perché guarda al futuro. Occorre parlarne con realismo e senza ideologie.
Veniamo alla Chiesa. Dopo il lockdown si è avuto l’impressione di una certa difficoltà dell’istituzione nel prendere una posizione su alcuni nodi che riguardano la libertà di culto a fronte del rischio per la salute pubblica. La Cei sta progettando per la “fase due” un «percorso meno condizionato all’accesso e alle celebrazioni liturgiche». Quale è la sua valutazione?
Stiamo affrontando il problema con discernimento e responsabilità. La priorità è coniugare il diritto al culto, cioè garantire il legittimo desiderio di partecipare alla vita liturgica, con la necessità di non disperdere i risultati di riduzione del contagio faticosamente acquisiti in questo mese.
Ci vogliono le opportune tutele per i credenti, come del resto per tutti i cittadini che si apprestano a uscire dalle loro case. Comunque la discussione è in corso e non sono state ancora presentate proposte al governo.
Sul manifesto abbiamo documentato alcune voci critiche nei confronti delle messe in streaming e, soprattutto, di un clero che sembra essere incapace di concepire una religiosità senza rito. Che ne pensa?
Gli strumenti di comunicazione hanno reso possibile che ci fossero una vicinanza e una condivisione altrimenti impossibili. Certo, una celebrazione senza popolo è un rito senza comunità, che può esistere solo in emergenza. Tuttavia queste forme di liturgia online hanno permesso la consolazione di un legame spirituale in una fase di digiuno eucaristico. Va registrata inoltre una certa creatività da parte di fedeli e pastori che hanno saputo vivere la loro spiritualità in forme diverse, valide, e che rappresentano il frutto di una Chiesa in comunione.
Torniamo ai movimenti popolari. L’incontro del 2016 si era concluso con il progetto di proseguire l’esperienza senza la cornice offerta dalla presenza del papa. Nel suo ultimo intervento Bergoglio suggerisce che per uscire dalla crisi è necessaria l’azione dal basso dei soggetti sociali. Quale futuro auspica e immagina per la rete mondiale?
Il papa non compie una scelta politica scrivendo ai movimenti, ma vede in essi un agente sociale che opera dal basso, un’altra forma di politica, fuori dagli schemi, che va nella direzione di una conversione umanistica ed ecologica alternativa al dominio del denaro.
Bergoglio riconosce che i movimenti sono in questo processo interlocutori indispensabili e li invita a proseguire esattamente in quello che già fanno.
Cardinale, anche lei, come Bergoglio, crede che il problema sia stato illuderci di «rimanere sani in un mondo malato»?
Certo. La pandemia ci fa passare dall’esistenza alla storia e dall’illusione alla speranza. Cioè da un occidente che presuntuosamente pensava di potere stare bene senza interessarsi del mondo intorno. Di aver risolto tutti i suoi problemi attraverso il benessere e invece si ritrova travolto da una pandemia, esattamente come il resto del mondo.
Spero che comprendiamo la drammaticità della fase che stiamo vivendo e che svela tanti problemi che avevamo ignorato fino ad oggi. Dobbiamo ricostruire con passione un mondo migliore e più giusto per tutti, perché è il contrario della pandemia che dobbiamo scegliere.

sabato 18 aprile 2020

Coronavirus, Yunus: "Non torniamo al mondo di prima"

dalla pagina 
https://www.repubblica.it/economia/2020/04/18/news/coronavirus_yunus_non_torniamo_al_mondo_di_prima_-254319011/

La portata dei disastri provocati nel mondo dalla pandemia da coronavirus è sconvolgente. Nonostante ciò, e malgrado danni ingentissimi, siamo davanti a un’occasione senza precedenti.
di MUHAMMAD YUNUSIn questo momento tutto il mondo deve trovare una risposta a un grande interrogativo. Non si tratta di come far ripartire l’economia perché, per fortuna, sappiamo già farlo. Le esperienze vissute in passato ci hanno aiutato a mettere a punto una terapia generica per ridare vita all’economia. No, il grande interrogativo a cui dobbiamo dare risposta è un altro: riportiamo il mondo nella situazione nella quale si trovava prima del coronavirus o lo ridisegniamo daccapo? La decisione spetta soltanto a noi.
 
Inutile dire che, prima del coronavirus, il mondo non ci andava bene. Fino a quando tutti i titoli dei giornali non sono stati dedicati interamente al coronavirus, ovunque si gridava a gran voce annunciando le terribili calamità che stavano per accadere. Contavamo letteralmente i giorni che mancavano a quando l’intero pianeta sarebbe diventato inabitabile per la catastrofe climatica. Parlavamo di quanto fosse grave la minaccia di una disoccupazione di massa provocata dall’intelligenza artificiale, e in che modo la concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi stesse raggiungendo un livello deflagrante. Ci rammentavamo di continuo a vicenda che questo decennio è l’ultimo a nostra disposizione. Al termine di esso, infatti, tutti i nostri sforzi porteranno a risultati soltanto parziali, inadeguati a salvare il nostro pianeta.
Dovremmo tornare a quel mondo? A noi la scelta.All’improvviso il coronavirus ha cambiato radicalmente il contesto delle cose e i dati spiccioli. Ha spalancato davanti ai nostri occhi possibilità temerarie che non erano mai state prese in considerazione in precedenza. All’improvviso, eccoci di fronte a una tabula rasa. Possiamo andare in qualsiasi direzione vorremo. Che incredibile libertà di scelta!Prima di farla ripartire, dobbiamo decidere che tipo di economia vogliamo. Prima e più di ogni altra cosa, l’economia è uno strumento che ci può aiutare a perseguire gli obbiettivi che noi stessi ci prefiggiamo. Non deve farci sentire tormentati e impotenti. Non dovrebbe fungere da trappola letale messa a punto da qualche potenza divina per infliggerci una pena. Non dobbiamo dimenticare mai, neppure per un istante, che l’economia è uno strumento creato da noi uomini. Dobbiamo dunque continuare a progettarlo e riconfigurarlo finché non renderà tutti felici. È uno strumento messo a punto per arrivare alla massima felicità collettiva possibile.Se, a un certo punto, abbiamo la sensazione che non ci sta portando dove vogliamo andare, sappiamo immediatamente che nel suo hardware o nel suo software di cui facciamo uso c’è qualcosa di sbagliato. Tutto quello che dobbiamo fare è sistemarlo. Non possiamo esimerci dicendo semplicemente “scusate, non possiamo realizzare i nostri obbiettivi perché il nostro software e il nostro hardware non ce lo permettono”. Si tratterebbe di una scusa patetica e inaccettabile. Se vogliamo creare un mondo di zero emissioni di anidride carbonica, costruiremo il software e l’hardware giusti per riuscirci. Se vogliamo un mondo nel quale la disoccupazione non esista, faremo altrettanto. Se vogliamo un mondo nel quale non ci sia nessuna concentrazione della ricchezza, faremo altrettanto. Tutto sta nel mettere a punto l’hardware e il software giusti. Ne abbiamo le capacità. Possiamo farlo. Quando gli esseri umani decidono di fare qualcosa, la fanno e basta. Niente è impossibile per gli uomini.La notizia più entusiasmante legata alla crisi del coronavirus è che ci sta offrendo inestimabili opportunità per un nuovo inizio. Possiamo iniziare progettando l’hardware e il software su uno schermo praticamente vuoto.[continua]