martedì 29 marzo 2022

domenica 27 marzo 2022

"Tra guerra e resa, la terza via della non-violenza"

dalla pagina https://ilmanifesto.it/tra-guerra-e-resa-la-terza-via-della-non-violenza/ 

"Crisi Ucraina. La soluzione facile non c’è altrimenti non saremmo qua a piangere, a temere per il futuro stesso dell’Europa; ma se non la cerchiamo subito non ci sarà alternativa alla guerra con le sue annunciate conseguenze: occupazione dell’Ucraina con la distruzione del paese, migliaia di morti, feriti, invalidi e milioni di profughi"


, presidente del Movimento Nonviolento e Esecutivo Rete italiana Pace Disarmo
 
No alla guerra ma sì alla difesa. È possibile? Il punto decisivo e dirimente di tutta la discussione sul “pacifismo” è: come ci si difende meglio? con le armi o senza armi? Esprimere una posizione contraria all’invio di armi in Ucraina è una valutazione di contesto. È fondata sull’esperienza e i risultati negativi di trent’anni di guerre (Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Cecenia: dove sono finite le armi? Agli eserciti regolari o alle bande paramilitari? Che uso ne è stato fatto? Con quali conseguenze?) e sulla necessità di costruire una strategia alternativa allo schema di gioco imposto dalle armi stesse: misurarsi sul terreno militare, del terrore, della minaccia della guerra nucleare. Significa invocare la soluzione politica e la difesa della vita.

La soluzione facile non c’è altrimenti non saremmo qua a piangere, a temere per il futuro stesso dell’Europa; ma se non la cerchiamo subito non ci sarà alternativa alla guerra con le sue annunciate conseguenze: occupazione dell’Ucraina con la distruzione del paese, migliaia di morti, feriti, invalidi e milioni di profughi. Lo scenario più terribile e probabile è quello di un’Ucraina occupata militarmente, di uno scontro generalizzato, di un Afghanistan permanente nel cuore d’Europa. Le guerre non si debbono fare: l’ONU è nata per “salvare le future generazioni dal flagello della guerra”, e l’Italia il ripudio di questo strumento ce l’ha scritto in Costituzione.

La storia della nonviolenza moderna è storia di movimenti di difesa. Gandhi difendeva l’indipendenza dell’India; Martin Luther King difendeva i diritti dei neri; Nelson Mandela difendeva la libertà del Sudafrica; oggi i movimenti nonviolenti nel mondo agiscono in difesa della vita di chi fugge dalle guerre. Come difendersi e difendere la pace senza aumentare la violenza già in atto, è un problema che non può ridursi all’alternativa tra subire o fare la guerra.

La sintesi tra i due pacifismi, quello “profetico” e quello “concreto”, sta nella nonviolenza che si pone due imperativi: l’etica e l’efficacia. È il problema al quale hanno cercato risposte, in epoche e contesti diversi, Gandhi, Capitini, Langer. Il pensiero di Gandhi (verificato nella teoria e nella pratica) era chiaro e non manipolabile già nel 1939: “Voi volete eliminare il nazismo, ma non riuscirete mai ad eliminarlo con i suoi stessi metodi” e propose alle nazioni occupate da Hitler di ottenere la vittoria con la resistenza nonviolenta: “L’Europa eviterebbe lo spargimento di fiumi di sangue innocente e l’orgia di odio a cui oggi assistiamo”.

E Aldo Capitini, che conobbe le conseguenze del secondo conflitto mondiale, dopo le bombe su Hiroshima e Nagasaki sentì l’urgenza di aprire una varco nuovo nella storia, superando l’orrore della guerra con il metodo della nonviolenza: “Tanto dilagheranno violenza e materialismo che ne verrà stanchezza e disgusto; e salirà l’ansia appassionata di sottrarre l’anima ad ogni collaborazione con quell’errore”.

Alex Langer si trovò ad affrontare concretamente il dilemma dell’alternativa alla guerra nel 1993 nell’assedio di Sarajevo: “Oggi penso che davvero occorra un uso misurato e mirato della forza internazionale, e quindi nel quadro dell’Onu. Per fare cosa? Non certo per appoggiare alcuni dei contendenti contro altri, ma per fermare alcune azioni particolarmente intollerabili e far capire che c’è un limite”, che la logica della guerra non paga.

Dunque il tema che il pacifismo pone da almeno mezzo secolo è quello della costruzione di un sistema di difesa e sicurezza non offensivo. Non sto parlando di utopie, ma della revisione radicale dell’industria europea di difesa che oggi non risponde più alle esigenze reali dei singoli paesi, ma è concentrata sulla competitività sui mercati esteri: oltre il 60% dei prodotti militari europei vanno al mercato del Mediterraneo allargato (Nord Africa, Paesi Arabi, Medio Oriente, ecc.) contribuendo di fatto all’aumento dei conflitti e alla tensione nel mondo, cioè alla nostra insicurezza globale anziché alla nostra sicurezza.

Quindi quando proponiamo la revisione del modello di difesa, basato su criteri di sostenibilità, razionalizzazione, riconversione, e chiediamo una politica estera alternativa al modello imposto dalla Nato, stiamo facendo politica nonviolenta di prevenzione dei conflitti di oggi e del futuro e rispondiamo alla supplica di Papa Francesco: “i governanti capiscano che comprare armi e dare armi non è la soluzione al problema”.

La soluzione è prendere sul serio la nonviolenza.
 

sabato 26 marzo 2022

"La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato ..."

dalla pagina https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/march/documents/20220324-centro-femminile-italiano.html

 

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
AI PARTECIPANTI ALL'INCONTRO PROMOSSO DAL CENTRO FEMMINILE ITALIANO
    

Sala Clementina
Giovedì, 24 marzo 2022

[Multimedia]

_____________________________

 

Care sorelle, buongiorno e benvenute! E buongiorno, Eminenza [è presente il Cardinale E. Menichelli]

Ringrazio la Presidente, Renata Natili Micheli, per le parole con cui ha introdotto il nostro incontro. È coraggiosa questa ragazza! È coraggiosa! Siete venute a Roma per celebrare il vostro Congresso elettivo, il cui tema va ben al di là delle scadenze associative, è un tema ampio, di ampio respiro: “Identità creazionale dell’uomo e della donna in una condivisa missione”. Bel lavoro. Vi ringrazio perché offrite il vostro contributo al dialogo su questa tematica dell’identità dell’uomo e della donna. Una questione molto attuale, non solo e non tanto in senso teorico, ma in senso esistenziale, nella vita delle persone; penso specialmente ai bambini e alle bambine, ai ragazzi e alle ragazze che, nella loro crescita, hanno bisogno di punti di riferimento, di figure adulte con cui confrontarsi. Uomini e donne.

Soprattutto però voglio ringraziarvi perché ci siete, perché in Italia esiste e va avanti questa vostra associazione di donne, che è animata dal Vangelo e vuole dialogare con tutti per il bene comune della società. E questo non è scontato. Grazie.

Il Centro Italiano Femminile è nato in un contesto di difesa della dignità e dei diritti della donna, in quel periodo così ricco, così fecondo per l’Italia che ha fatto seguito alla seconda guerra mondiale. In quel contesto fortemente polarizzato in senso ideologico, il CIF nasce come scelta della responsabilità, dell’impegno per custodire l’umano. Era la scelta per quella che oggi chiamiamo cultura della cura, alternativa alla cultura dello sfruttamento e del dominio. Tornerò su questo.

Nell’Assemblea Costituente, Maria Federici Agamben, prima presidente nazionale del CIF, insieme alle altre rappresentanti femminili e trasversalmente agli schieramenti partitici, partecipò alla stesura di alcuni Articoli della Costituzione e influì sulla “filosofia” costituzionale riguardo ai temi della solidarietà, della sussidiarietà e della laicità dello Stato.

Per voi, la partecipazione alla vita politica, come sottolineava Pio XII, non risponde semplicemente alla rivendicazione della piena cittadinanza delle donne, no, vuol essere un atto di giustizia nei confronti della comunità e una valorizzazione della politica considerata come forma di carità, la forma più alta, forse, della carità. Un impegno che si attua non nell’agone politico, ma sul versante dei diritti e della cultura. Il CIF, allora come oggi, esprime questa visione della politica intesa come servizio al bene comune animato dalla carità. A tale proposito, il Catechismo della Chiesa Cattolica afferma che la giustizia consiste nel realizzarsi delle «condizioni che consentono alle associazioni e agli individui di conseguire ciò a cui hanno diritto secondo la loro natura e la loro vocazione» (n. 1928).

Care amiche, è ormai evidente che la buona politica non può venire dalla cultura del potere inteso come dominio e sopraffazione, ma solo da una cultura della cura, cura della persona e della sua dignità e cura della nostra casa comune. Lo prova, purtroppo negativamente, la guerra vergognosa a cui stiamo assistendo.

Penso che per quelle di voi che appartengono alla mia generazione sia insopportabile vedere quello che è successo e sta succedendo in Ucraina. Ma purtroppo questo è il frutto della vecchia logica di potere che ancora domina la cosiddetta geopolitica. La storia degli ultimi settant’anni lo dimostra: guerre regionali non sono mai mancate; per questo io ho detto che eravamo nella terza guerra mondiale a pezzetti, un po’ dappertutto; fino ad arrivare a questa, che ha una dimensione maggiore e minaccia il mondo intero. Ma il problema di base è lo stesso: si continua a governare il mondo come uno “scacchiere”, dove i potenti studiano le mosse per estendere il predominio a danno degli altri.

La vera risposta dunque non sono altre armi, altre sanzioni. Io mi sono vergognato quando ho letto che non so, un gruppo di Stati si sono impegnati a spendere il due per cento, credo, o il due per mille del Pil nell’acquisto di armi, come risposta a questo che sta succedendo adesso. La pazzia! La vera risposta, come ho detto, non sono altre armi, altre sanzioni, altre alleanze politico-militari, ma un’altra impostazione, un modo diverso di governare il mondo ormai globalizzato – non facendo vedere i denti, come adesso –, un modo diverso di impostare le relazioni internazionali. Il modello della cura è già in atto, grazie a Dio, ma purtroppo è ancora sottomesso a quello del potere economico-tecnocratico-militare.

Perché ho voluto fare con voi questa riflessione? Perché voi siete un’associazione di donne, e le donne sono le protagoniste di questo cambiamento di rotta, di questa conversione. Purché non vengano omologate dal sistema di potere imperante. Sempre che mantengano la propria identità di donne. A questo proposito vorrei riprendere un passaggio del Messaggio di San Paolo VI alle donne, al termine del Vaticano II. Dice così: «Viene l’ora, l’ora è venuta, in cui la vocazione della donna si completa in pienezza, l’ora in cui la donna acquista nella società un’influenza, un irradiamento, un potere finora mai raggiunto. È per questo, in questo momento nel quale l’umanità sperimenta una così profonda trasformazione, che le donne imbevute dello spirito del Vangelo possono tanto per aiutare l’umanità a non decadere» (nn. 3-4). È impressionante la forza profetica di questa espressione. In effetti le donne, acquistando potere nella società, possono cambiare il sistema. Voi potete cambiare il sistema, le donne possono cambiare il sistema se riescono, per così dire, a convertire il potere dalla logica del dominio a quella del servizio, a quella della cura. C’è una conversione da fare: il potere con la logica del dominio, convertirlo in potere con la logica del servizio, con la logica della cura.

E ho voluto parlare di questo con voi per ricordare a me stesso e a tutti, a partire da noi cristiani, che questo cambiamento di mentalità riguarda tutti e dipende da ciascuno. È la scuola di Gesù, che ci ha insegnato come il Regno di Dio si sviluppi sempre a partire dal piccolo seme. È la scuola di Gandhi, che ha guidato un popolo alla libertà sulla via della nonviolenza. È la scuola dei santi e delle sante di ogni tempo, che fanno crescere l’umanità con la testimonianza di una vita spesa al servizio di Dio e del prossimo. Ma è anche – direi soprattutto – la scuola di innumerevoli donne che hanno coltivato e custodito la vita; di donne che hanno curato le fragilità, che hanno curato le ferite, che hanno curato le piaghe umane e sociali; di donne che hanno dedicato mente e cuore all’educazione delle nuove generazioni.

È grande la forza della donna. È grande! C’è un detto – più che un detto è una riflessione: se un uomo piuttosto giovane rimane vedovo, difficilmente da solo se la cava. L’uomo non può tollerare una solitudine così grande. Se una donna rimane vedova, se la cava: porta avanti la famiglia, porta avanti tutto. Spiegate voi la differenza, dov’è? Il genio femminile: è questo il genio femminile. Questo esempio illumina abbastanza questa realtà.

La cultura della cura, dell’accoglienza, la cultura del farsi prossimo. Voi la vivete attingendo dal Vangelo. L’avete imparata nella Chiesa, madre e maestra, e formandovi a coltivare prima di tutto in voi stesse la vita spirituale, ad avere cura le une delle altre, nell’amicizia, nell’attenzione reciproca, specialmente nei momenti di difficoltà, pregando le une per le altre, non chiacchierando le une delle altre, no, questo non va! Ma voi non lo fate, sono sicuro.

Care amiche, per tutto questo vi ringrazio e vi incoraggio ad andare avanti. Come altre associazioni cattoliche storiche, anche la vostra è cambiata con il mutare della società italiana. Fa bene per questo anche “alleggerirsi” di strutture diventate insostenibili, per dedicarsi meglio alla formazione e all’animazione culturale e sociale. Vi accompagni sempre la Vergine Maria, che domani contempleremo nell’Annunciazione. Benedico di cuore voi qui presenti e tutte le socie, specialmente quelle più fragili. E anche, voi, per favore, pregate per me. Grazie!

 

venerdì 25 marzo 2022

Azioni culturali di pace

dalla pagina https://www.collettiva.it/copertine/internazionale/2022/03/25/news/azioni_di_pace-1972311/


Roberta Lisi 

Virginia Woolf diceva che le università servono a formare persone capaci di prevenire la guerra. Da qui è partito il rettore dell'Università per stranieri di Siena, Tomaso Montanari, con una serie di iniziative all'insegna del dialogo e dell'accoglienza

Dare voce al dissenso russo pubblicando in italiano e in russo i testi degli intellettuali di qual paese, accogliere studenti e studentesse ucraini che scappano dalla guerra offrendo borse di studio e alloggi. Borse di studio da offrire anche a ragazzi e ragazze russe che erano già in Italia e a cui sono stati tolti i finanziamenti dal loro paese. E poi aprirsi alla ricerca e alla docenza di professori che arrivano dai due paesi in guerra. Questo è molto altro è quello che ci racconta Tomaso Montanari, rettore dell’Università per stranieri di Siena, che ritiene compito dell’accademia quello di costruire ponti e pensiero critico. Insomma: gesti di pace quotidiani.

Da un mese l’Università per stranieri di Siena è divenuto luogo d'incontro tra russi e ucraini. Cosa state facendo?
Innanzitutto, stiamo dando voce, voce a chi apparentemente in queste settimane sembra silente, ma non lo è affatto. Stiamo provando a mettere al centro dell'attenzione la resistenza intellettuale russa contro la guerra di Putin. Sembra che non esista e invece c’è. Nonostante la repressione violenta imposta da Putin e dal sistema che lui ancora controlla saldamente, ci sono moltissime persone che parlano. A noi interessano soprattutto gli intellettuali, devo dire ancora di più le intellettuali, le scrittrici, le autrici. Sul sito dell’Università abbiamo aperto una sezione che si chiama Voci contro la guerra in cui pubblichiamo in russo e in italiano i testi che ci arrivano grazie a rapporti personali delle nostre docenti con amici e colleghi russi o attraverso i social.

Perché pubblicare anche in russo?
Li mettiamo anche in russo perché spesso invece in Russia testi di questo tipo vengono rimossi. È dunque importante che da noi siano in italiano per gli italiani, ma in russo per i russi e per i russofoni. Pensiamo sia importante far conoscere agli italiani la produzione culturale di quel paese, e non solo perché Dostoevskij non c’entra nulla con Putin. È importante aiutarli a far circolare le proprie idee nella propria lingua, fare quello che dovrebbe fare sempre l'università, cioè creare ponti, creare dialoghi, colloqui, luoghi terzi, luoghi franchi. E devo dire, dal mio punto di vista, anche insegnare a disertare le guerre in tutti i modi possibili e immaginabili, da quelli letterali e quelli culturali, una insubordinazione alla guerra, diciamo con le categorie e gli strumenti propri dell’accademia.

Ma non tutta la produzione culturale russa di questi giorni è contro la guerra...
Il nostro lavoro è passato anche attraverso la traduzione di documenti terribili come quello dei lettori russi che sostengono il governo Putin: tradurli e contrastarli ma, nello stesso tempo, dire che però questo non giustifica la rottura di rapporti con l'Università russa perché l'università non sono i lettori esattamente come la Russia non è Putin. Insomma, stiamo provando ad articolare un discorso complesso che è esattamente quello che sembra non si possa fare in Italia perché altrimenti si è accusati di intelligenza col nemico. I testi che pubblichiamo contro Putin sono durissimi. Non c'è nessun tentennamento, ma c’è la complessità del mondo. Teniamo molto a questo lavoro perché ha proprio a che fare con la missione di mediazione di un’università a statuto speciale che lavora sulle lingue, sugli stranieri, sul concetto di straniero contro ogni nazionalismo.

Oltre al compito di diffusione della produzione culturale, vi è un’attività più direttamente, legata a studenti e docenti.
Innanzitutto aiutiamo i nostri studenti che erano in Russia e che purtroppo sono dovuti rientrare. C’è poi l'assistenza ai nostri studenti e studentesse ucraini e russi in Italia, che hanno difficoltà diverse ma alla fine simili per altre ragioni: hanno visto interrotti flussi di finanziamento, hanno grossi problemi di ogni tipo e noi li aiutiamo anche economicamente. Anche ai russi che sono rimasti tagliati fuori dalle borse dello Stato russo, i soldi glieli diamo noi, non hanno nessuna colpa. Tra l'altro sono tutti pacifisti, tutti fieramente avversari del governo. Sia chiaro, nessuno chiede loro una "certificazione" di questa posizione, perché crediamo sarebbe una forma di maccartismo, la richiesta gravissima di una abiura. Pensiamo che sia nostro dovere aiutarli a sopravvivere qua. Lavoriamo anche per accogliere chi viene da fuori, sia come studenti (soprattutto gli ucraini), sia come rifugiati e che qui possono avere borse di studio, accoglienza per dormire e vitto offerti dall'azienda regionale del diritto allo studio. L’Università ha attivato un numero crescente di borse di studio. Ancora, abbiamo deciso di aprire per loro gratuitamente i corsi di italiano. L'insegnamento dell'italiano agli stranieri, d'altra parte, è una delle caratteristiche fondamentali della nostra Università. Conoscere la lingua è la via più importante per l'integrazione, ma anche per la minuta sopravvivenza.

Questo per quanto riguarda gli studenti. E invece, per i docenti?
Nella prossima riunione del Senato accademico proporrò di rendere più semplice la possibilità di insegnamento annuale o triennale per docenti ucraini, ma anche russi, che scappano dal proprio paese, in modo da offrire loro la possibilità di continuare la propria attività di ricerca e di insegnamento, e di avere anche uno stipendio. Vorremmo anche inaugurare un insegnamento di lingua ucraina e poi vedremo se ci saranno le condizioni per attivare anche quelli di storia e cultura di quel paese. Anche con colleghe e colleghi russi in fuga ci sono stati contatti, che però per ovvie ragioni per ora non è il caso di esplicitare nel dettaglio.

E poi state mettendo in piedi un’attività più culturale, seminariale...
Si e aperta a tutti. Il 31 marzo Paolo Nori terrà da noi il seminario che non ha potuto svolgere alla Bicocca e che sarà trasmesso in streaming. Prima di quell’appuntamento, il 23 avremo tutta una giornata di seminari dedicati alla Russia, e che tra l'altro prevede la proiezione di Memorial, un documentario sui dissidenti da Stalin ad oggi. Putin nei giorni iniziali dell'invasione ha stroncato l’associazione che svolgeva questa attività di documentazione. Proietteremo questo film recentissimo in russo con i sottotitoli in italiano. Anche questo è un modo per far capire che in Russia c'è chi lotta dalla parte del dissenso, che poi è la parte che ci sta a cuore sempre ovunque. Verrà da noi a tenere delle lezioni Giovanni Santino, lo studioso italiano, professore di storia contemporanea all'Accademia presidenziale di Mosca, scappato dopo aver saputo che stava per essere arrestato per quello che aveva scritto contro la guerra. Terrà una serie di conferenze a Siena per raccontare che cosa è successo negli ultimi anni nella società russa.

Tutto questo mi pare un modo assai diverso di costruire la pace rispetto all’aumento delle spese militari...
L’aumento delle spese militari non prepara la pace, prepara la guerra. Se prepari la guerra, come si vede, alla fine la guerra arriva. Un paese che destina poche risorse a ricerca, istruzione e sanità mentre incrementa di molto, 12 miliardi circa, le spese militari, è un paese che sembra non avere voglia di futuro, un paese ripiegato su sé stesso. Del resto, questa è la cifra dei nostri governi e non ne voglio fare una questione soltanto generazionale. Abbiamo un esecutivo governato da maschi e anziani che hanno un'idea del mondo, nella migliore delle ipotesi, molto rivolta al passato. Persone disinteressate a tutto quello che riguarda il futuro, compresa la sostenibilità e la giustizia ambientale. In questo quadro, rientra la totale sottovalutazione della cultura, o forse – meglio e più cinicamente – una compressione del potenziale rivoluzionario di una cultura diffusa che proprio per questo viene osteggiata da sempre. Insomma, si ha l’impressione che non faccia per nulla comodo avere un paese di italiane e italiani più colti e più capaci di pensiero critico. Lo dico con grande tristezza, ma credo sia così. C'è una caccia alle streghe dei pacifisti, una caccia al pensiero critico, e si chiede soltanto uniformarsi alle parole d'ordine della guerra, rispondere alla guerra con la guerra e brindare ad ogni morto russo, pensando che il governo ucraino sia il più democratico dei governi. Io penso che la Russia vada fermata, che l'esercito russo vada fermato, che Putin sia un criminale. Però penso anche che il governo Zelensky sia pieno di problemi di democrazia e penso che la Nato abbia fatto molti errori, che l'Unione europea sia inesistente e che dobbiamo avere un pensiero articolato per prevenire la guerra. Virginia Woolf diceva che l'università servono a formare persone capaci di prevenire la guerra, noi invece siamo un paese che pensa di dover gestire la guerra.

Quale dovrebbe essere, allora, il ruolo della cultura in una vicenda come quella dell’aggressione della Russia all’Ucraina?
Innanzitutto, l'opposizione sistematica a ogni pensiero nazionalistico. La cultura è per sua definizione transnazionale, abbatte le frontiere, lega le identità nazionali non al sangue, non ai cannoni, non alle frontiere, ma alle parole, alle opere, e disegna un'identità meticcia che è l'unica che conta, quella umana. Questo è l'umanesimo. Questa è la cultura umanistica, la cultura degli esseri umani come tali, non degli italiani, non degli ucraini, non dei russi. Io non so immaginare la cultura occidentale di cui tanto si parla senza la cultura russa. E poi il pensiero critico, l'abitudine a giudicare non secondo la parte, ma secondo i fatti. George Orwell diceva che quando si comincia a giudicare l'atrocità dei fatti, non per quello che sono, ma a seconda di chi li compie, siamo totalmente divorati dal veleno nel nazionalismo ed è quello che sta succedendo.

Infine, abbiamo parlato dell'Italia, parliamo dell'Europa o dell'assenza dell'Europa
L'Europa manca, è mancata. La guerra è un frutto dell'assenza dell'Europa e l'idea che essa possa nascere con l'esercito mi pare un'idea debole. Prima dell'esercito ci vuole una politica estera, un progetto. Insomma, l'Ucraina doveva essere un paese come la Svizzera o un paese come la Polonia? Questo è uno dei punti essenziali: quale idea di Europa abbiamo quale idea di democrazia europea? Tutto questo non c'è stato e non si può cominciare dalle armi, anche se probabilmente un discorso sulla difesa europea andrà fatto, se vogliamo superare il modello della Nato che è sopravvissuta al crollo del muro di Berlino, cosa per me sbagliata. Dovevamo andare verso un suo superamento, con l'affermazione di una difesa che fosse ispirata ai valori delle democrazie europee che non sono esattamente quelli degli Stati Uniti. Così come gli interessi dell'Europa non solo quelli degli Stati Uniti. 


martedì 22 marzo 2022

Non mentire ai bambini. Da Kiev Yurii Sheliazhenko risponde a Boris Johnson

dalla pagina https://www.azionenonviolenta.it/non-mentire-ai-bambini-da-kiev-yurii-sheliazhenko-risponde-boris-johnson/


In questo video Yurii Sheliazhenko del Movimento Pacifista Ucraino e membro della WRI e di EBCO-BEOC denuncia in che modo il primo ministro inglese Boris Johnson [BJ] ha mentito ai bambini riguardo la guerra in Ucraina in una video-intervista su Sky News. La redazione di Azione nonviolenta ha tradotto in italiano il testo saliente. Qui il link al video di Yurii in inglese

Domanda: Sappiamo che la situazione in Ucraina è molto brutta, molte persone e molti ragazzi vogliono sapere se questa diventerà la terza guerra mondiale. Inoltre molti ragazzi sono preoccupati dell’introduzione delle armi nucleari. Quindi, cosa sta succedendo?

BJ: È importante capire quello che sta accadendo in Ucraina. Questa è una guerra, una guerra convenzionale di Putin, per soggiogare e distruggere un paese totalmente innocente, e una popolazione civile altrettanto innocente, che non ha fatto nulla di male. E ciò che sta facendo. non avevo mai visto una tale divisione tra buoni e cattivi.

Yurii: La verità è che molti ucraini non sono così innocenti, così come alcuni russi. Ci sono tante persone su entrambe le parti che vogliono uccidersi perché si odiano. Gli sforzi di guerra di Putin sono senza dubbio malvagi, ma quasi tutti i giorni durante i sette anni prima dell’invasione russa in Ucraina, sia i russi che gli ucraini hanno violato l’accordo di cessare il fuoco in Donbass, in cui migliaia di persone sono state uccise. Non è giusto odiare e cercare di uccidere altre persone per nessuna ragione, e nessuno che lo fa è innocente. Un’altra mossa negativa è il tentativo del presidente Zelensky di rendere i civili dei soldati.

BJ: credo dovremmo fare di più per supportare gli ucraini. Non dovremmo lasciare che Putin descriva questa come una guerra tra lui e l’Occidente. Non è così, si tratta di lui che cerca di distruggere l’ Ucraina.

Yurii: La verità è che gli Stati Uniti, il Regno Unito e altri paesi dell’Occidente hanno creato questa alleanza militare, la NATO, per assicurarsi una superiorità collettiva contro altri grandi paesi. Questa alleanza si sta espandendo verso Est. Entrambe le parti non si sentono al sicuro ma anziché parlarsi e costruire la pace, si scambiano minacce, con il rischio di iniziare una guerra nucleare che può portare alla distruzione della vita sul nostro pianeta. La Russia e l’Occidente incoraggiano i propri amici a uccidersi a vicenda, dandogli armi, e l’Ucraina soffre a causa delle ostilità tra Est e Ovest.

BJ: Putin dovrebbe riconoscere alla Corte di giustizia internazionale che questo è un genocidio, che quello che sta facendo è un crimine di guerra.

Yurii: La verità è che la Corte Internazionale non sta facendo nulla del genere. Putin non è sotto processo per cumini di guerra, è una storia completamente diversa. L’Ucraina ha chiesto allo Corte di analizzare cosa sta facendo la Russia, la Corte non ha ancora deciso, ma ha pubblicato un ordine per assicurare che nessuna azione negativa avverrà in futuro. Queste si chiamano misure preventive: la Corte ordina di fermare l’operazione in Ucraina e chiede a russi e ucraini di non sterminarsi a vicenda con uccisioni di massa, che sarebbero un crimine di guerra. Credo che Boris Johnson sia un esempio sbagliato per ragazzi e adulti, non dovremmo mentire e dire che noi siamo i buoni e gli altri sono i cattivi, invece dovremmo assicurare che tutti noi inclusi, dovremmo impegnarci nel comportarci meglio che significa non mentire. Se continuiamo a mentire, le persone continueranno a uccidersi: le bugie alimentano la guerra.

 

Mi chiamo Yurii, vivo a Kiev, la mia casa non è sicura dopo le numerose esplosioni causate dai missili russi. Potreste chiedervi perché non me ne sono andato. È perché il nostro presidente cerca di fare di tutti gli uomini dei soldati, e ci ordina di uccidere i russi. Ci è proibito lasciare l’Ucraina, e potrei essere mobilitato per l’esercito contro la mia volontà se provassi a viaggiare anche all’interno del paese, per non dire fuori. Ma non prenderò un fucile, non sparerò ad altre persone. Questo perché sono un ucraino pacifista, cioè credo che la guerra sia una cosa sbagliata, perché è sbagliato uccidere le persone. Non andrò contro la mia coscienza, anche sotto la minaccia di una punizione, 5 anni di prigione. Credo che le persone dovrebbero parlare invece di uccidersi a vicenda. È scritto nella carta delle Nazioni Unite, la principale legge della nostra Madre Terra, è il più importante insieme di regole per tutti i paesi su come comportarsi bene. Spero che la guerra finisca presto con i colloqui di pace. Invito Putin, Zelensky e Biden a sedersi al tavolo dei negoziati e cercare un accordo su come vivere in pace insieme nel nostro pianeta. Gli aiuti militari, le minacce e le sanzioni non ci aiuteranno a smettere di uccidere e a fare amicizia. Sono sicuro che se tutte le persone della terra si rifiutassero di uccidere, non ci sarebbe mai nessuna guerra. È meglio essere amici e non nemici, pensateci. Potremmo costruire insieme un mondo migliore senza esercito e frontiere, un pianeta libero e felice, una casa comune per tutte le persone, abbracciando l’est e l’ovest, secondo le parole della mia amica olandese “dovremmo costruire un mondo in cui tutti i bambini possano giocare”.

 

domenica 20 marzo 2022

Più investimenti per la salute, meno spese militari

dalla pagina https://retepacedisarmo.org/spese-militari/2020/piu-investimenti-per-la-salute-meno-spese-militari/ 

articolo del 17 marzo 2020 

Emergenza Coronavirus: necessario un nuovo modello di difesa e sicurezza

L’Italia e il mondo intero stanno affrontando la gravissima emergenza sanitaria derivante dalla pandemia di coronavirus COVID-19, forse la più grande crisi di salute pubblica (e non solo) del dopoguerra per i paesi ricchi ed industrializzati. Rete della Pace e Rete italiana per il Disarmo si uniscono alle voci di vicinanza e compartecipazione ai problemi che l’intero Paese sta vivendo, con un particolare pensiero ai familiari delle vittime e un forte sostegno nei confronti degli operatori della sanità e di chi mantiene operativi i servizi essenziali.

La drammatica situazione causata dal COVID-19 deve farci riflettere e ripensare alle nostre priorità, al concetto di difesa, al valore del lavoro e della salute pubblica, al ruolo dello Stato e dell’economia al servizio del bene comune, con una visione europea ed internazionale, costruendo giustizia sociale, equità, democrazia, pieno accesso ai diritti umani universali, quali condizioni imprescindibili per ottenere sicurezza, benessere e pace.

Non possiamo però dimenticare che l’impatto di questa epidemia è reso ancora più devastante dal continuo e recente indebolimento del Sistema Sanitario Nazionale a fronte di una ininterrotta crescita di fondi e impegno a favore delle spese militari e dell’industria degli armamenti. Non siamo cosi sprovveduti da pensare che tutti i problemi sanitari dell’Italia si possano risolvere con una riduzione della spesa militare (anche per il diverso ordine di grandezza: 5 a 1), ma è del tutto evidente che una parte della soluzione potrebbe risiedere proprio nel trasferimento di risorse dal campo degli eserciti e delle armi a quello del sistema sanitario e delle cure mediche, tenendo conto che le tendenze degli ultimi anni dimostrano una strada diametralmente opposta. Mentre infatti (come dimostrano le analisi della Fondazione GIMBE – Gruppo Italiano per la Medicina Basata sulle Evidenze) la spesa sanitaria ha subito una contrazione complessiva rispetto al PIL passando da oltre il 7% a circa il 6,5% previsto dal 2020 in poi, la spesa militare ha sperimentato un balzo avanti negli ultimi 15 anni con una dato complessivo passato dall’1,25% rispetto al PIL del 2006 fino a circa l’1,40% raggiunto ormai stabilmente negli ultimi anni (a partire in particolare dal 2008 e con una punta massima dell’1,46% nel 2013).

Le stime dell’Osservatorio Mil€x degli ultimi due anni ci parlano di una spesa militare di circa 25 miliardi di euro nel 2019, (cioè 1,40% rispetto al PIL) e di oltre 26 miliardi di euro previsti per il 2020 (cioè l’1,43% rispetto al PIL), quindi quasi ai massimi dell’ultimo decennio.

All’interno di questi costi sono ricompresi sia quelli delle 36 missioni militari all’estero (ormai stabilmente pari a 1,3 miliardi annui circa) sia quelli del cosiddetto “procurement militare”, cioè di acquisti diretti di armamenti. Una cifra che negli ultimi bilanci dello Stato si è sempre collocata tra i 5 e i 6 miliardi di euro annuali. Sono questi i fondi che servono a finanziare lo sviluppo e l’acquisto da parte dell’Italia di sistemi d’arma come i caccia F-35 (almeno 15 miliardi di solo acquisto), le fregate FREMM e tutte le unità previste dalla Legge Navale (6 miliardi di euro complessivi) tra cui la “portaerei” Trieste (che costerà oltre 1 miliardo), elicotteri, missili. Senza dimenticare i 7 miliardi di euro “sbloccati” dalla Difesa e dal MISE, in particolare per mezzi blindati e la prevista “Legge Terrestre” da 5 miliardi (con Leonardo principale beneficiario).

Contemporaneamente nel settore sanitario sono stati tagliati oltre 43.000 posti di lavoro e in dieci anni si è avuto un definanziamento complessivo di 37 miliardi (dati sempre della Fondazione GIMBE) con numero di posti letto per 1.000 abitanti negli ospedali sceso al 3,2 nel 2017 (la media europea è del 5). Le drammatiche notizie delle ultime settimane dimostrano come non siano le armi e gli strumenti militari a garantire davvero la nostra sicurezza, promossa e realizzata invece da tutte quelle iniziative che salvaguardano la salute, il lavoro, l’ambiente (per il quale l’Italia alloca solamente lo 0,7% del proprio bilancio spendendone poi effettivamente solo la metà).

Infine va ricordato come l’Amministrazione statunitense sotto Trump stia spingendo affinché tutti gli alleati NATO raggiungano un livello di spesa militare pari al 2% rispetto al PIL. Una richiesta che, secondo recenti dichiarazioni e notizie di stampa, sarebbe stata accettata anche degli ultimi Governi italiani: ciò significherebbe un ulteriore esborso per spese militari di almeno 10 miliardi di euro per ogni anno. Riteniamo questa prospettiva inaccettabile, soprattutto quando è evidente che dovrebbero essere potenziati i servizi fondamentali per la sicurezza ed il progresso del Paese, a partire dal Sistema Sanitario Nazionale, insieme all’educazione, alla messa in sicurezza idro-geologica del territorio, alla processi di disinquinamento, agli investimenti per l’occupazione.

Il Governo, proprio in queste ore, ha messo in campo misure economiche straordinarie per rispondere all’emergenza sanitaria del coronavirus: “Cura Italia” costa 25 miliardi di denaro fresco, la stessa cifra del Bilancio della Difesa annuale, e certamente non basterà; quanto si potrebbe fare di più risparmiandoci le spese militari anche in tempi ordinari?

In definitiva è essenziale ed urgente:

  • rilanciare proposte e pratiche di vera difesa costituzionale dei valori fondanti la nostra Repubblica, come le iniziative a sostegno della Difesa Civile non armata e Nonviolenta. È necessario un aumento delle spese per la sanità, come è pure necessario investire, senza gravare sulla spesa pubblica, a favore della difesa civile nonviolenta e per questo chiediamo che vi siano trasferimenti di fondi dalla spesa militare verso la Protezione Civile, il Servizio Civile universale, i Corpi civili di Pace, un Istituto di ricerca su Pace e disarmo. Proponiamo inoltre che i contribuenti, in sede di dichiarazione dei redditi, possano fare la scelta se preferiscono finanziare la difesa armata o la difesa civile riunita in un apposito Dipartimento che ne coordini le funzioni.  Un’opzione fiscale del 6 per 1000 a beneficio della difesa civile potrebbe consentire ai cittadini di contribuire direttamente a questa forma nonviolenta di difesa costituzionale, finora trascurata dai Governi che hanno sempre privilegiato la difesa militare armata;
  • ridurre le spese militari ed utilizzare tali fondi per rafforzare la sanità, per l’educazione, per sostenere il rilancio della ricerca e degli investimenti per una economia sostenibile in grado di coniugare equità, salute, tutela del territorio ed occupazione;
  • puntare alla riconversione produttiva (anche grazie alla diversa allocazione dei fondi pubblici) delle industrie a produzione bellica verso il settore civile che consentirebbe, inoltre, di utilizzare migliaia di tecnici altamente qualificati per migliorare la qualità della vita (verso l’economia verde e la lotta al cambiamento climatico), non per creare armi sempre più sofisticate e mortali;

Già subito dopo la seconda guerra mondiale il nascente movimento pacifista chiedeva “Ospedali e scuole, non cannoni”, come ricordava Aldo Capitini alla prima Marcia italiana per la pace e la fratellanza tra i popoli. Dopo 60 anni ci accorgiamo che quel semplice slogan non era un sogno utopistico generico, ma una realistica necessità politica: oggi ci troviamo con ospedali insufficienti e scuole chiuse, mentre spendiamo troppo per le armi.

Una conversione della difesa dal militare al civile è quello di cui abbiamo tutti  bisogno.

 

purtroppo la spesa militare è ulteriormente aumentata e aumenterà ancora...

dalla pagina La Camera chiede aumento delle spese militari al 2% del PIL: 104 milioni al giorno - MILEX Osservatorio sulle spese militari italiane

Il 16 marzo 2022 "[...] la Camera dei Deputati ha approvato a larghissima maggioranza (391 voti favorevoli su 421 presenti, 19 voti contrari) un Ordine del giorno collegato al cosiddetto “Decreto Ucraina” proposto dalla Lega Nord e sottoscritto da deputati di Pd, Fi, Iv, M5S e FdI che impegna il Governo ad avviare l’incremento delle spese per la Difesa verso il traguardo del 2 per cento del Prodotto lnterno Lordo. Nella parte dispositiva del testo approvato si legge come tale risultato dovrebbe essere raggiunto “predisponendo un sentiero di aumento stabile nel tempo, che garantisca al Paese una capacità di deterrenza e protezione” mentre nell’immediato si debba agire per "incrementare alla prima occasione utile il Fondo per le esigenze di difesa nazionale" [...]”. 

Hanno votato contro: Sinistra Italiana, Verdi ed ex-grillini.

_______________________________

dalla pagina https://ilmanifesto.it/la-strada-sbagliata-dellaumento-delle-spese-militari/

La strada sbagliata dell’aumento delle spese militari

coordinatore delle campagne di Rete Pace e Disarmo

Oltre a devastare l’Ucraina, l’invasione decisa da Valdimir Putin ha ribaltato gli orizzonti di molte scelte politiche internazionali, soprattutto in Europa. È successo per le esportazioni di armi, con i Paesi dell’Unione europea che hanno deciso di ignorare norme condivise vincolanti, ma soprattutto lo si rileva sul tema delle spese militari. Un clima politico totalmente cambiato dal recente passato, in cui comunque il rialzo negli investimenti armati era in qualche modo limitato da una contrarietà nell’opinione pubblica evidenziata da diversi sondaggi. Oggi invece si cerca il consenso politico in direzione militarista.

Un consenso politico in direzione militarista che fa dichiarare con allegria al Sottosegretario alla Difesa Mulé che “non ci diciamo più che con un F-35 si costruiscono cento asili, ma che con l’F-35 ne proteggiamo migliaia”. Sempre che in futuro ci sia qualche soldo per costruirli e gestirli…

Nelle ultime settimane la Germania ha deciso di portare a 100 miliardi (praticamente raddoppiandolo) il proprio livello di spesa militare, la Francia si adeguerà e anche l’usualmente “neutrale” Svezia intende raggiungere i livelli suggeriti dalla Nato. Lo stesso è avvenuto in Italia con l’ordine del giorno votato a larga maggioranza alla Camera dei Deputati e spiegato come risposta alle richieste di Mario Draghi. Che in realtà aveva già rilasciato dichiarazioni di questo tenore dopo la conclusione della presenza in Afghanistan (situazione dimenticata, dopo solo sei mesi dal fallimento della missione militare occidentale) descrivendolo come passo verso la Difesa comune Europea, che potrà invece concretizzarsi solo dopo un reale affidamento all’Unione di competenze su politica estera. Tanto è vero che un Report diffuso in questi giorni dalla rete ENAAT dimostra che i primi fondi europei destinati alla difesa stiano solo diventando l’ennesimo sussidio all’industria militare.

Non regge nemmeno quanto dice il primo firmatario dell’OdG, il leghista Paolo Ferrari, secondo cui la spesa militare avrebbe avuto di recente una costante contrazione invertita solo dall’ultimo esercizio finanziario. I dati dell’Osservatorio Mil€x evidenziano invece una crescita costante dai 21,5 miliardi del 2019 ai 25,8 previsti per il 2022 soprattutto per l’aumento dei fondi per nuovi armamenti balzati da 4,7 a 8,2 miliardi di euro.

«È solo l’applicazione di una richiesta Nato già prevista» dicono in molti. Nemmeno questo è vero. L’indicazione di almeno il 2% del Pil in spesa militare fa capolino nel 2006 in un accordo informale dei Ministri della Difesa rilanciato al vertice dei Capi di Stato e di Governo del 2014 in Galles (obiettivo per il 2024) in cui si indicava anche una quota per investimenti del 20%. Dichiarazioni di intenti mai ratificate dal Parlamento con forza normativa e obbligo vincolante per il Bilancio dello Stato. L’obiettivo del 2% non è mai stato giustificato in termini militari e collega una spesa pubblica a un parametro soggetto a fluttuazioni comprendente produzione di ricchezza privata: è quindi aleatorio e scollegato da reali esigenze tecniche.

«In una fase come questa è inevitabile aumentare le spese per la difesa», è un’altra delle giustificazioni addotte, vedendo nella Russia una minaccia sempre maggiore cui far fronte. Difficile però che un aumento di spesa da realizzare nei prossimi anni, e con effetti ancor più trascinati nel tempo, possa incidere sulla crisi in corso in Ucraina. Soprattutto perché, considerando il volume di fondi come parametro di potenza militare e assumendo che sia correlato a efficacia nella sicurezza, la sproporzione è già oggi enorme.

Dal 2015 in poi (cioè dall’occupazione di Crimea e Donbass quando la «faccia cattiva» di Putin era già evidente, ma senza che ciò fermasse gli «affari armati» europei) la Nato in totale ha investito nei propri eserciti oltre 14 volte quanto fatto dalla Federazione Russa. Un’astronomica cifra di 5.892 miliardi di dollari contro 414 (cioè una differenza di quasi 5.500 miliardi). Anche limitandosi all’Unione europea i dati indicano che i Paesi Ue (con Regno Unito considerato solo fino al 2019) hanno avuto una spesa militare combinata di oltre 3,5 volte quella di Putin: 1.510 miliardi di dollari, quasi 1.100 in più dei russi…

Chi ritiene che per rispondere alla minaccia del Cremlino, che uscirà dal conflitto ucraino con forze armate decimate e fortemente indebolite in assetti e capacità, si debbano ulteriormente aumentare le spese militari o ha problemi di aritmetica o ritiene altamente inefficienti (magari per corruzione?) gli investimenti fatti dai Paesi occidentali. Oppure, più semplicemente, si fa trascinare da una diffusa retorica con l’elmetto (comoda, semplificatoria, politicamente vantaggiosa) orchestrata in maniera interessata da chi sta già contando le montagne di soldi in arrivo per questa decisione. Resta da capire come le casse dello Stato possano permettersi 12 miliardi in più all’anno per soldati e armi.

 

venerdì 18 marzo 2022

Fermatevi!

dalla pagina https://www.laciviltacattolica.it/quaderno/4122/


Oggi, a nove anni dalla sua elezione, comprendiamo pienamente quanto giusta sia la definizione di «Terza guerra mondiale a pezzi» che il Pontefice ha coniato: una guerra progressiva, che coinvolge altri scenari insanguinati quali lo Yemen, la Siria, l’Etiopia, e che sembra inarrestabile.

L’appello di Francesco è alle coscienze davanti a un conflitto che non risparmia nessuno, neanche i bambini. E bisogna fermarsi perché l’escalation potrebbe condurre l’umanità in un vicolo cieco, dal quale sarà difficile uscire. Più crudele sarà la guerra, più il fiume di lacrime e sangue sarà in piena, più sarà tortuoso il percorso di una possibile riconciliazione. E sullo sfondo, per la prima volta, dopo la crisi cubana del 1962, appare lo spettro della minaccia atomica. Da qui la nostra scelta di gridare dalla nostra copertina: Fermatevi!

Ci ha colpito pure che Francesco abbia fatto esplicito riferimento alla Costituzione italiana per dire che chi ama la pace «ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali» (art. 11).

Come cittadini e come credenti, gli scrittori de La Civiltà Cattolica si uniscono al suo appello e lo rilanciano, nella speranza di contribuire, con la loro voce – alla quale invitiamo i nostri lettori a unirsi –, a far tacere le armi. Fermatevi!

___________________________

 

dalla pagina https://www.laciviltacattolica.it/articolo/linvasione-dellucraina-da-parte-della-russia/ 

L’INVASIONE DELL’UCRAINA DA PARTE DELLA RUSSIA

Giovanni Sale   Quaderno 4122  pag. 521 - 551   Anno 2022   Volume I

Putin e l’Ucraina

Vladimir Putin non vuole essere ricordato come il Presidente che ha perso l’Ucraina, lo Stato più importante della vecchia Unione Sovietica e considerato dai nazionalisti russi la patria originaria della «nazione russa», la cosiddetta «Rus’ di Kiev». Nel 2014, «senza sparare un proiettile», ha invaso e annesso la penisola di Crimea e la sua importante base navale sul Mar Nero, donata da Nikita Krusciov all’Ucraina nel febbraio del 1954. Ma questo presunto «ricongiungimento» non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale. Putin farà di tutto perché l’Ucraina «non passi dalla parte degli occidentali», cioè non entri, come si ritiene vogliano il governo e molti cittadini ucraini, nella Nato, come già avvenuto per alcuni altri Stati ex sovietici.

La pretesa di Putin, che lo ha portato nel dicembre del 2021 a schierare un esercito in assetto da guerra sui confini dell’Ucraina, con il quale minacciare la pace in Occidente, si basa su un importante precedente storico. I russi sostengono che, con la caduta del muro di Berlino nel 1989, ci fu un accordo non scritto tra il leader sovietico Mikhail Gorbaciov e l’allora presidente statunitense George Bush: in cambio della riunificazione della Germania e del ritiro delle forze armate di Mosca da quel territorio, la Nato non si sarebbe mai allargata ai Paesi del Patto di Varsavia, e tanto meno alle Repubbliche ex-sovietiche. L’esistenza di questo accordo non è stata mai ufficialmente riconosciuta dagli Stati Uniti.

Secondo Maxim Samorukov, giornalista di The Moscow Times, la Russia non avrebbe inteso «assumere l’ingrato compito di occupare l’Ucraina, ma piuttosto convincere l’Occidente di essere pronta a entrare in guerra pur di cambiare uno status quo che considera inaccettabile». Questa preoccupazione non è certo nuova, ma ora, nel mutato contesto internazionale, non si vuole che il Paese limitrofo «si trasformi in una testa di ponte statunitense al confine russo»…