lunedì 31 ottobre 2022

Educazione e retorica di guerra alla vigilia del 4 novembre

dalla pagina http://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2022/10/educazione-e-retorica-di-guerra-alla.html

Antonio Mazzeo

Perché è dovere di tutte le educatrici e tutti gli educatori boicottare le iniziative del Ministero della Difesa e del Ministero dell’Istruzione e del “Merito” il 4 novembre "Giorno dell'Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate".

In questi anni abbiamo provato a documentare le finalità e la metodologia con cui le Forze Armate sono andate all'assalto del sistema scolastico nazionale, imponendo un pericolosissimo processo di militarizzazione della scuola e della didattica. E proprio in queste settimane lo stiamo provando a fare nei corsi di formazione “la Scuola laboratorio di Pace” per il personale scolastico, promossi in tutti Italia dal CESP (Centro Studi per la Scuola Pubblica).
Quanto sta accadendo in questi giorni in Italia alla vigilia delle "ricorrenze" per il 4 novembre è davvero inquietante.

Alzabandiera con studenti e militari all’ingresso di scuola, il “Treno del Milite Ignoto” che ha attraversato il paese intero (un dispendioso viaggio di oltre 5.000 km), sono alcuni degli esempi più eclatanti di un progetto assai poco mascherato di riprodurre il processo di fascistizzare e militarizzare della società e della cultura italiana di un secolo fa, dopo la sanguinosa tragedia della Prima Guerra Mondiale. A proposito è utile ricordare che proprio l’Alzabandiera negli istituti scolastici fu un “rito” imposto nelle scuole del Regno durante il Ventennio fascista, congiuntamente al “culto” dei valori dell’identità nazionale (obiettivo “pedagogico” delle odierne mille iniziative delle forze armate con bambini e preadolescenti), del militarismo e dei “martiri” della Grande Guerra.

Stamani ho avuto modo di leggere il fumetto pubblicato dal Ministero della difesa e in via di distribuzione alle alunne e agli alunni delle scuole, dal titolo "La Storia del Milite Ignoto". Si tratta di un’irresponsabile orgia di retorica bellico-nazionalista dove vengono esaltate, tra l’altro, alcune delle peggiori figure della storia del fascismo e delle forze armate italiane, dal generale Giulio Dohuet (il primo militare a teorizzare i bombardamenti aerei sulle città e le popolazioni inermi, ritenendoli gli strumenti più idonei per vincere le guerre moderne, al parlamentare fascista Cesare Maria De Vecchi, quadrumviro della Marcia su Roma, poi ministro nei governi Mussolini (anche all’Educazione dove contribuì alla rapida “fascistizzazione” della scuola italiana) e pure “governatore della Somalia italiana” dove si rese responsabile di inauditi crimini e feroci repressioni della popolazione civile.

“Ancora oggi l’Altare della Patria è il luogo più sacro degli italiani”, riporta la didascalia finale dell’infausto fumetto. “Una struttura imponente, in cui sono riportati i simboli più sacri della nostra Nazione. La sua Maestà ed Imponenza incutono Rispetto. Ma se si scruta con attenzione, al suo centro, tra due bracieri e sorvegliato da due sentinelle, c’è il luogo dove riposa il Milite Ignoto. Se si presta attenzione, se si affina l’orecchio (e lo spirito), si può percepire, sotto quintali di marmo e bronzo, qualcosa di vivo, che vibra e fa vibrare l’anima. Questo suono impercettibile e che solo pochi riescono ad udire è il Cuore del Milite Ignoto, che pulsa e batte per gli Italiani, batte per chi felice, fa ritorno a casa. Batte per chi avvolto nell’oscurità non farà ritorno, batte forte e batterà… per sempre”.


lunedì 24 ottobre 2022

Disarmare la guerra

dalla pagina https://comune-info.net/disarmare-la-guerra/

Pasquale Pugliese 

Quando i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi a ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra. La strada principale resta l’intervento di terzi a mediare. Ma rispetto a quanto accade in Ucraina tutto ciò è brutalmente ignorato dal circo mediatico e dalla politica istituzionale. A livello internazionale esiste anche una vasta letteratura sulla difesa civile non armata e nonviolenta come proposta in grado di rompere la vulgata binaria “resistenza armata o resa”. Ma anche questo viene brutalmente disprezzato da grandi media e partiti. Si fa di tutto per oscurare i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, tra gli altri, ad Hannah Arendt, che ne “La banalità del male”, faceva un appello per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche, “per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori…”

Un momento del presidio in piazza promosso delle Donne in nero a Parma sabato 15 ottobre 2022

Tra le tante confusioni lessicali – e di conseguenza concettuali – che hanno una ripercussione fuorviante nella comunicazione e nell’informazione, fino a falsificare la posta in gioco in riferimento alla guerra in Ucraina, continua a essere riproposta l’identificazione strumentale tra richiesta di cessare il fuoco e negoziare subito – che avanzano i movimenti per la pace, il disarmo e la nonviolenza, insieme a papa Francesco – e richiesta, che non fa nessuno, di resa dell’Ucraina. Non è di questa semplificazione che si tratta. Si tratta invece di aiutare le parti coinvolte a trovare una via d’uscita responsabile e sostenibile per entrambe da un avvitamento della guerra che comprende effettivamente – mai come questa volta – il folle rischio di escalation nucleare, che mette in pericolo per primo il popolo ucraino e poi tutti i popoli europei. Se non l’intero pianeta. Chi blatera di “vittoria”, come abbiamo ripetutamente spiegato, sta giocando con le parole a un gioco che non si può giocare. E le parole, in questo caso più che mai, sono pietre.

Oggi, finalmente, questa irresponsabile follia comincia ad essere timidamente stigmatizzata anche da testate giornalistiche che per mesi hanno considerato filo-putiniano chiunque solo osasse dirlo. “Urge affrancarci dalla marcia della follia – scrive, per esempio, da Lucio Caracciolo, direttore di Limes, su La Stampa di sabato 15 ottobre – “Non lo faremo mai finché ci inchioderemo nel presente immediato, matrice del futuro già scritto. Conviene partire dall’avvenire desiderato, implausibile finché rimaniamo prigionieri della cronaca. Primo passo, tregua in Ucraina. Condizione insufficiente e necessaria della pace che molto dopo tempo verrà. Decisori responsabili si esercitano in questa simulazione coraggiosa e salvifica. Sicuramente anche al Cremlino. Ma noi?”. Noi? Noi oltre a recitare il mantra dell’”aggressore” e dell’”aggredito” e alimentare con ulteriori invii di armi una guerra che uccide gli uni e gli altri, nella perversa spirale di violenza e contro-violenza – dentro all’orizzonte nucleare che si staglia sullo sfondo – il nulla. Se non continuare da parte di certi politici e intellettuali a dare addosso a chi propone responsabili passi di pace. Fino a dar loro, per esempio, degli “immorali” (Carlo Calenda, Ansa, 10 ottobre 2022) o sostanzialmente dei vili, accusandoli preventivamente di aver “subito arreso” l’Italia in caso di invasione straniera (Nadia Urbinati, profilo facebook personale, 12 ottobre 2022).

Quel che manca, nel dibattito pubblico, oltre – in molti casi – all’onestà intellettuale ed all’uso della guerra per i “posizionamenti” politici interni, sono i saperi minimi delle pratiche di pacificazione. I saperi di base della nonviolenza. Quelli che conoscono, per esempio, tutti coloro che si occupano di mediazione, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi (o peggio alimentati da istigatori) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo fino potenzialmente alla distruzione dell’altro. O di entrambi. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti, anziché ad alimentare il conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation, quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio, il mondo diventa cieco”. È invece ci sono ancora voci insane di mente che – pur scandalizzandosi ogni volta di più per una nuova tappa di violenza e contro-violenza – continuano a ribadire che il conflitto tra Russia ed Ucraina, che vede già il coinvolgimento sul campo di due potenze nucleari, possa e debba risolversi sul piano militare. Sul terreno della guerra, anche nucleare. E continua ad inviare strumenti funzionali a questo scopo.

E poi nella vulgata binaria – resistenza o resa – che costruisce fin dagli inizi di questa guerra la narrazione tossica anti-pacifista, mancano i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, per esempio ad Hannah Arendt, che proprio ne La banalità del male, faceva un appello inascoltato per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche

“per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori”.

Saperi che non mancano, per esempio, in Italia alla campagna Un’altra difesa è possibile che già per due legislature consecutive ha presentato in parlamento la proposta di legge organica per la creazione in Italia di una vera difesa civile, non armata e nonviolenta, appunto per preparare, organizzare e finanziare le alternative possibili al monopolio militare della difesa, secondo gli articoli 11 e 52 della Costituzione. Ossia tutt’altro che la resa. Proposta sostanzialmente ignorata dai due parlamenti precedenti, che dovrà essere rilanciata nella nuova legislatura.

Se il circo mediatico, dunque, anziché rincorrere (salvo rare eccezioni) il circo politico nei posizionamenti – reali o strumentali – sulla “pace” raccontasse approfonditamente le proposte, le campagne, le riflessioni e le iniziative che le organizzazioni impegnate per la pace, il disarmo e la nonviolenza svolgono quotidianamente e ne valorizzasse i saperi, questo potrebbe essere un paese informato sui fatti e capace di fare proposte per disarmare la guerra, anziché l’intelligenza. Perché, come spiegava ancora una volta Hannah Arendt – di cui il 14 ottobre è stato l’anniversario della nascita – questa volta nel saggio Sulla violenza,

“Il pericolo della violenza, anche se essa si pone consapevolmente in un quadro non estremistico di obiettivi a breve termine, sarà sempre quello che i mezzi sopraffacciano il fine (…). La pratica della violenza, come ogni azione, cambia il mondo, ma il cambiamento più probabile è verso un mondo più violento”.



Di formazione filosofica, Pasquale Pugliese si occupa di educazione, formazione e politiche giovanili. Già segretario nazionale del Movimento Nonviolento, cura diversi blog ed è autore di Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini e Disarmare il virus della violenza (per le edizioni goWare). Altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Dieci anni e più.

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leggi anche:

Disarmare pace e libertà

Roma, 5 novembre

 


 

sabato 15 ottobre 2022

La trasformazione del lavoro

dalla pagina https://comune-info.net/la-trasformazione-del-lavoro/

Guido Viale 

Dobbiamo cominciare a chiamare lavoro quello direttamente o indirettamente subordinato all’accumulazione del capitale e cura le attività che hanno finalità ed effetti benefici sulla salute, l’ambiente e la convivenza. Dobbiamo essere consapevoli che nell’approccio alla trasformazione del lavoro può prevalere una visione aziendalista o una territoriale: un esempio del secondo tipo è la lotta No Tav che non dimentica il suo obiettivo – il blocco del progetto Tav – ma che intorno a esso da oltre trent’anni ha creato una straordinaria cultura della trasformazione economica e sociale. Dobbiamo anche chiederci, nell’affrontare i cambiamenti radicali di cui il mondo ha bisogno, come conciliare il fare propositivo con il conflitto, altrettanto indispensabile ma inevitabilmente fonte di caos. Appunti per il tempo epocale che viviamo


C’è un equivoco che attraversa quasi tutta la storia del movimento operaio fino ai giorni nostri: l’identificazione o l’intercambiabilità tra i termini il lavoro, da un lato, e lavoratori e lavoratrici, dall’altro. Questo interscambio è continuo nel linguaggio sindacale, politico e anche economico. Con l’avvento del capitalismo il lavoro non è altro che un fattore della produzione, come la terra e il capitale (in tempi recenti si è aggiunta, come fattore della produzione, anche l’informazione): una risorsa produttiva di merci. Prima di allora il lavoro era considerato solo fatica, sofferenza, tortura, come dimostra l’etimologia dei termini che lo designano in varie lingue. I lavoratori e le lavoratrici invece sono persone; e lo sono sempre stati/e, almeno per noi. La forza lavoro di cui parla Marx appartiene sì al lavoratore, ma per farsi risorsa produttiva deve essere venduta al capitalista, ed è solo lui che ne dispone. Che cosa cambia? Cambia che nel lavoro in quanto tale non c’è niente di “progressivo” (termine orrendo, duecento anni dopo Leopardi; il progresso ormai è solo più crescita, accumulazione del capitale); di “dignitoso” nel lavoro non c’è nulla, se non quando e nella misura in cui esso coincide con un’attività di cura. Ma quando è nocivo per chi lo fa, o per chi ne subisce gli effetti (degrado ambientale o prodotti nocivi per la salute fisica o mentale), non può rivendicare alcuna dignità. La dignità è tutta dei lavoratori e delle lavoratrici che lo subiscono per far vivere sé stessi e le loro famiglie e soprattutto di quelli che si battono per sottrarsi allo sfruttamento o ai suoi eccessi. Questo equivoco è stato istituzionalizzato nella nostra Costituzione: che cosa significa “fondata sul lavoro”? Fondata sull’accumulazione del capitale? Oppure sui lavoratori e sulle loro esigenze? E gli altri? Quelli che il lavoro non ce l’hanno o non possono averlo? Entreranno a far parte della Repubblica solo se e quando ne avranno uno?

Altro equivoco, insorto solo in tempi recenti, è l’espressione “lavoro riproduttivo” o “di riproduzione”, da equipararsi al “lavoro produttivo” (di merci, plusvalore, capitale) nel benevolo intento di valorizzare, nobilitare, dare “dignità” alle attività di cura, svolte prevalentemente dalle donne, ascrivendole, includendole, nell’universo del lavoro, di per sé meritevole di dignità. O rivendicando un salario al “lavoro domestico”, obiettivo che dovrebbe sancire questa inclusione o equiparazione; ma al tempo stesso inchiodare chi lo fa (prevalentemente), cioè le donne, a questo loro ruolo. Dobbiamo – secondo me, soprattutto quando parliamo o scriviamo – cominciare a chiamare lavoro quello direttamente o indirettamente subordinato all’accumulazione del capitale e attività quelle svolte – non necessariamente per “libera scelta” – al di fuori di quel circuito; e cura le attività che hanno finalità ed effetti benefici sulla salute, l’ambiente e la convivenza, sia che sia remunerato che no. Non è facile anche solo modificare il nostro lessico. Ma quando parliamo di “società della cura” che cosa intendiamo? Una società in cui si svolgono solo attività di cura? O una riduzione/redistribuzione del lavoro produttivo in modo che tutti abbiano anche la possibilità di svolgere adeguate attività di cura? E qual è, in via ipotetica, la strada da percorrere dalla situazione attuale a questo assetto futuro? Può essere percorsa “per gradi”?

Do per scontata una convergenza sostanziale di massima tra termini come decrescita, conversione ecologica, transizione, ecosocialismo, ciascuno con un suo focus specifico che non va trascurato ma coltivato, ma non contraddittorio con quello degli altri termini. Per lo più si presentano tutti come “visioni” (di uno stato da raggiungere) e non come processi. Quello che manca – con poche eccezioni, in campo agroalimentare – è la loro connessione con i processi in corso: conflitti o trasformazioni “molecolari” socioculturali, e con le rivendicazioni di maggiore impatto: salario minimo, salario di dignità, reddito di base, ecc. ma anche trasporto gratuito, sanità territoriale, ecc. È possibile indirizzare questi processi materiali verso quelle visioni? O una di quelle visioni? Certo il compito non spetta al nostro “circolo” di discussione, ma ai protagonisti di quei processi. Ma possiamo cominciare a fare un inventario degli ostacoli (disinformazione, scetticismo, abitudini, ignoranza, preoccupazioni, urgenze, ecc.) che si frappongono a questo obiettivo e degli strumenti (informazione, coinvolgimento in attività di carattere comunitario, inserimento in reti solidali, supporti, amicizie, ecc.) per facilitarne il perseguimento? È qui, soprattutto, che entra in gioco il lavoro (quello salariato, o comunque dipendente): difendere con le unghie e con i denti l’esistente (il proprio posto) anche quando magari si vede che ha poco futuro? O aprirsi a una prospettiva diversa e necessariamente in gran parte indefinita? E con che supporti? E le due cose sono conciliabili? E come? Ce ne sono degli esempi?

Ci sono due approcci differenti (e per molti versi opposti) ai cambiamenti radicali di cui ci diciamo attivisti. Chiamo uno di carattere “statutario” e l’altro di carattere “processuale”. Il primo mette al centro una visione o, per lo meno, una “meta” intermedia da raggiungere; e si occupa soprattutto di definirne regole e funzionamento per renderlo “desiderabile”. Il secondo mette al centro il conflitto e il suo carattere necessariamente caotico e imprevedibile e si occupa più della direzione da imboccare che della meta da raggiungere (chiedere camminando). Sono conciliabili questi due approcci? Ce ne sono degli esempi?

Infine, nell’approccio alla trasformazione del lavoro può prevalere una visione aziendalista o una territoriale. Un esempio della prima è il documento I consigli del lavoro e della cittadinanza del Forum Diseguaglianze. Qui l’azienda è al centro e al centro dell’azienda c’è il lavoro (non i lavoratori e le lavoratrici), presupponendo che sostanzialmente non cambino né la natura del prodotto né le dimensioni dell’azienda e delle sue reti di fornitura, anche se non si dimentica il resto: l’ambiente e la comunità di cui l’azienda fa parte. La strada per promuovere l’adesione e la partecipazione a questo progetto sembra essere la persuasione. Un esempio del secondo tipo è la lotta della popolazione della Valdisusa, che non dimentica il suo obiettivo iniziale – il blocco del progetto TAV – ma che intorno ad esso lavora per costruire una cultura della trasformazione economica e sociale. Più difficile, ma più impegnativa, l’esperienza della GKN, dove ci si rende conto di quanto sia difficile mantenere la riconversione dello stabilimento entro il perimetro dell’automotive, anche cambiando tipo di produzione. La strada della progressiva adesione a questo percorso sta tutta nell’allargamento del conflitto. Senza conflitto niente partecipazione. Come sostenere nel tempo la partecipazione quando gli obiettivi intermedi invece di avvicinarsi si dileguano?


Intervento introduttivo al tavolo lavoro della conferenza internazionale sulla decrescita Venezia 2022


martedì 11 ottobre 2022

È il momento di scegliere la pace

dalla pagina https://sbilanciamoci.info/e-il-momento-di-scegliere-la-pace/ 


Di fronte al rischio nucleare non è il momento delle tifoserie. È il momento della pace, della responsabilità, della nonviolenza. Come diceva Aldo Capitini: «A ciascuno di fare qualcosa». Dal 21 al 23 ottobre con la rete Europe for Peace organizziamo manifestazioni e iniziative in oltre 100 città italiane.

Dal 21 al 23 ottobre la rete Europe for Peace (di cui fanno parte Sbilanciamoci, Rete Disarmo, Anpi, Cgil, Emergency e oltre 400 organizzazioni della società civile) promuoverà iniziative in oltre 100 città italiane per chiedere l’immediato cessate il fuoco in Ucraina e l’avvio di negoziati verso una conferenza internazionale di pace.

La guerra si sta aggravando e il rischio nucleare incombe: ecco perché, dalla spinta delle prossime iniziative del 21-23 ottobre la possibilità di una mobilitazione e di un appuntamento nazionale – unitario ed inclusivo – si pone con grande forza e urgenza.

I pericoli che ci stanno di fronte sono incommensurabili: le parole pronunciate prima da diversi leader della Federazione russa sulla possibilità dell’uso dell’arma nucleare e le reazioni del Parlamento europeo (che invita l’Europa a rispondere in caso di attacco nucleare) e ancora di Biden il 6 ottobre scorso sulla possibilità di un’apocalisse nucleare, gettano grande allarme e apprensione. Alla guerra di parole può seguire una deflagrazione devastante. E le atomiche cosiddette «tattiche» di tattico non hanno nulla: la più piccola in circolazione devasterebbe l’intero centro storico di Milano.

Il deleterio rifiuto di Zelensky -stabilito per legge – a qualsiasi negoziato con la Federazione russa è un altro elemento che aggrava la situazione: scegliere la guerra come unica strada possibile, con il nucleare dietro le porte, è un segno di avventurismo e di irresponsabilità inaccettabili. La continuazione della guerra è un alibi per la criminale aggressione di Putin e a pagarne il prezzo sono le popolazioni ucraine, i ragazzi che muoiono in guerra, i pacifisti e i disertori russi che vengono messi in carcere.

Quello che è grave è che una parte della comunità internazionale (gli Stati Uniti, l’Unione europea) avvalla queste scelte di guerra. Invece di premere per il cessate il fuoco e riaprire i negoziati (e puntare da subito ad una conferenza internazionale di pace, come ha scritto ieri sul manifesto Gaetano Azzariti), continua a soffiare sul fuoco, a inviare le armi, a sostenere le scelte di chi rifiuta ogni possibilità di dialogo. Ora, il Segretario di Stato americano Blinken auspica una via diplomatica – contraddicendo apertamente Zelensky – e lo stesso presidente americano Joe Biden parla di “off ramp”, una via d’uscita a Putin per non fargli perdere la faccia. Staremo a vedere se si tratta di ipocrite parole al vento com’è spesso accaduto o se invece seguiranno atti concreti.

Questa guerra, oltre a prefigurare il rischio nucleare, alimenta un aggravamento economico, sociale e umanitario in ogni parte del mondo: non solo per l’emergenza energetica che colpisce anche noi, ma soprattutto per la difficoltà di rifornimento del grano per i paesi più poveri, che da questi approvvigionamenti dipendono per sfamare le popolazioni. È una guerra combattuta non solo sulla pelle della popolazione ucraina, ma su quella di tutto il mondo, ed in particolare quella più povera.

C’è una parte della comunità internazionale (maggioritaria sia per popolazione che per numero di paesi, ma non dal punto di vista geopolitico: India, Cina, Paesi africani, ecc.) che è contraria a questa escalation e che vorrebbe subito lo stop e i negoziati.

Ecco perché ritornare in piazza, sulle strade è importante. Ecco perché saremo l’8 ottobre con la Cgil a Roma e lo saremo poi dal 21 al 23 ottobre in tutta Italia. È necessario far sentire di nuovo, con forza la voce della pace in ogni angolo del paese, organizzando manifestazioni, sit-in, presidi davanti alle prefetture, incontri, chiedendo al nostro governo attuale (e a quello futuro) di intraprendere una nuova strada.

Invece di essere subalterno ad una logica di guerra, il governo deve sposare un’altra via, quella della mediazione e del dialogo, deve fare concrete proposte di negoziato, coinvolgere le Nazioni unite. Non possiamo più stare a guardare delegando alla Nato la responsabilità di condurci verso scelte sbagliate che invece di fermare Putin, lo portano a legittimare una escalation incontrollabile.

In questi anni, dopo la guerra civile ucraìna iniziata nel 2014, si poteva prevenire l’aggressione della Federazione russa del 2022, ma nulla è stato fatto: anzi si è perso tempo volutamente, alimentando inutili provocazioni. Si poteva quest’anno, prevenendo l’aggravamento dei mesi a venire, facendo sentire la propria voce nei primi mesi di questa guerra, quando sono partiti i negoziati tra ucraini e russi, ma anche in questo caso la comunità internazionale è stata divisa, latitante e complice della continuazione dei combattimenti. Si potrebbe oggi prevenire l’escalation nucleare, ma continua a prevalere un atteggiamento che mette in campo una sola opzione: il sostegno alla guerra, accompagnata dalla propaganda.

Ma ora, di fronte al rischio nucleare non è il momento della propaganda e delle tifoserie. È il momento della pace e della responsabilità, è il momento dell’azione nel nome della nonviolenza. Come diceva Aldo Capitini: «A ciascuno di fare qualcosa».

 

sabato 8 ottobre 2022

Cessate il fuoco

dalla pagina https://www.domenicogallo.it/2022/10/cessate-il-fuoco-2/

Con l’annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson, la Russia ha scavato una trincea “politica” lungo le linee dei territori occupati, facendo sapere al nemico che da quelle linee non si muoverà, costi quel che costi.

Domenico Gallo

Il 5 ottobre con la firma di Putin delle ratifiche dei trattati di annessione delle regioni di Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia e Kherson a seguito dell’esito dei referendum, si è verificato un fatto nuovo che cambia profondamente la natura del conflitto. Grazie ad un artifizio giuridico, la Russia ha trasformato i territori occupati dalle sue truppe in territorio della Federazione russa. In altre parole ha unilateralmente modificato i suoi confini, includendo nella Russia dei territori ancora formalmente soggetti alla sovranità dell’Ucraina. E’ evidente che ci troviamo di fronte ad una flagrante violazione del diritto internazionale, tanto della Carta dell’ONU, che dell’Atto finale della Conferenza di Helsinky (1975), che ha ribadito l’inviolabilità delle frontiere: queste possono essere modificate esclusivamente con mezzi pacifici e mediante accordo. Non può sussistere, pertanto, alcun dubbio sull’illegalità dell’annessione di questi territori alla Federazione russa. La Comunità internazionale non può riconoscere una modifica delle frontiere realizzata con la violenza bellica, ma questo non vuol dire che le vecchie frontiere debbano essere ripristinate con la forza.

La Comunità internazionale si è sempre rifiutata di riconoscere l’annessione di fatto realizzata da Israele della Cisgiordania a seguito della guerra dei sei giorni (1967). Più volte il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha qualificato Israele come potenza occupante, disconoscendo anche l’annessione di Gerusalemme est (in particolare con la Risoluzione 465), da ultimo lo ha fatto la Corte di Giustizia dell’ONU con la sentenza sull’illegalità del muro (9/7/2004), ma a nessuno è venuto in mente di spingere la Giordania o la Siria a riprendersi con la guerra i territori sottratti da Israele per ripristinare le frontiere violate. E’ pur vero che l’Ucraina può sempre invocare il diritto naturale di autotutela previsto dall’art. 51 della Carta dell’ONU, ma la mossa di Putin fa sì che, almeno su fronte interno, il Governo russo possa invocare il medesimo principio e trasformare “l’operazione militare speciale” in una sorta di guerra santa per la difesa della madre patria. Di qui il rischio che, di fronte ad un pericolo di smembramento, la Russia possa fare ricorso alle armi nucleari, come prevede la sua dottrina militare. Con questa svolta la Russia ha scavato una trincea “politica” lungo le linee dei territori occupati, facendo sapere al nemico che da quelle linee non si muoverà, costi quel che costi. Il fatto che la controffensiva ucraina stia riguadagnando il terreno perduto non è una buona notizia perché non può far altro che spingere la Russia ad incrementare il proprio impegno militare e alzare il livello dello scontro.

Si profila una fase nuova della guerra, simile alla guerra di logoramento che si combattè su vari teatri europei nel corso della Prima guerra mondiale. Nella sola battaglia di Verdun, che si protrasse dal febbraio al dicembre del 1916, ci furono nei due schieramenti oltre 700.000 morti. In tutto il conflitto la Francia ebbe oltre 1.300.000 morti (700.000 in Italia). Di fronte ad una catastrofe simile, aveva un senso chiedersi chi avesse iniziato o chi avesse vinto? La guerra era il male assoluto e la riannessione alla Francia delle terre di confine dell’Alsazia e della Lorena non poteva certo giustificare o mitigare le tremende devastazioni provocate dalla guerra e la perdita di milioni di vite umane. In questa nuova situazione la determinazione dell’Ucraina di recuperare manu militari i territori occupati dall’esercito russo apre uno scenario tremendo di violenza bellica simile a quello della Prima guerra mondiale, con la differenza che all’epoca non esistevano ancora le armi nucleari. Tanto per non suscitare equivoci sulle sue intenzioni, il Presidente Zelensky, dopo aver chiesto di essere anche formalmente ammesso nella NATO, ha emesso un decreto che vieta di aprire qualsiasi negoziato con la Russia.

La possibilità che la Russia, messa alle strette, ricorra all’uso di armi nucleari tattiche comporterebbe l’automatica estensione della guerra a tutti i 30 paesi della NATO poiché, come ci ha avvertito, da ultimo il gen. Petraeus, gli Stati Uniti, insieme agli alleati della Nato, “eliminerebbero” le forze russe in Ucraina e distruggerebbero la flotta russa nel Mar Nero. Nessun Parlamento potrebbe battere ciglio, l’Italia, come gli altri paesi NATO si troverebbe coinvolta in una tempesta di fuoco con la Russia, sullo sfondo della quale ci sarebbe l’olocausto nucleare Abbiamo visto che gli Stati Uniti hanno tutto l’interesse al proseguimento di una guerra che dissangua la Russia e danneggia soltanto l’Europa, ma è possibile che tutti gli Stati europei continuino ad appoggiare con finanziamenti e rifornimenti militari questa aspirazione dell’Ucraina di andare allo scontro finale con la Russia? Di fronte a queste prospettive tremende, l’unica speranza è che venga ascoltato l’ultimo accorato appello al cessate il fuoco di papa Francesco: ” Mi addolorano le migliaia di vittime, in particolare tra i bambini, e le tante distruzioni, che hanno lasciato senza casa molte persone e famiglie e minacciano con il freddo e la fame vasti territori. Certe azioni non possono mai essere giustificate, mai! (..) E che dire del fatto che l’umanità si trova nuovamente davanti alla minaccia atomica? È assurdo. Che cosa deve ancora succedere? Quanto sangue deve ancora scorrere perché capiamo che la guerra non è mai una soluzione, ma solo distruzione? In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore, rinnovo il mio appello affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco. Tacciano le armi e si cerchino le condizioni per avviare negoziati capaci di condurre a soluzioni non imposte con la forza, ma concordate, giuste e stabili.”

Anche noi ci chiediamo, cos’altro deve succedere prima che si verifichi un sussulto morale nella coscienza collettiva che faccia capire ai responsabili politici delle Nazioni che stanno commettendo un errore imperdonabile, perché la guerra in sé stessa è un orrore?


(una versione ridotta di quest’articolo è stata pubblicata dal Fatto quotidiano del 7 ottobre con il titolo: ha senso solo la via del Papa)

 

Costituente Terra, Newsletter n. 95 del 7 ottobre 202

dal sito www.costituenteterra.it


IL SABATO

Carissimi,

domenica scorsa il Papa invece di spiegare il Vangelo all’Angelus, come fa da nove anni e facevano gli altri Papi prima di lui, si è messo in gioco per la pace nel mondo, rinnovando dopo duemila anni lo scandalo, lui capo del Sabato, secondo cui il Sabato (il Vangelo) è fatto per l’uomo e non l’uomo per il Vangelo. Ha supplicato Putin di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte, ha fatto appello a Zelensky perchè si apra al dialogo, cioè al negoziato, su serie proposte di pace, ha chiesto con insistenza ai protagonisti della vita internazionale, cioè all’ONU all’Unione Europea e alla NATO, e ai responsabili politici delle Nazioni, cioè a Biden a Ursula e a Stoltenberg, di porre fine alla guerra in corso, senza lasciarsi coinvolgere in pericolose escalation. Egli non ha chiesto a uno solo di fermare la spirale della guerra, impossibile a uno solo, ma di farlo mediante un negoziato tra “i protagonisti”. Lasciando stare le sale di tortura, il furto dei denti d’oro ai morti, il piano perverso della conquista dell’Ucraina, della Polonia e, con effetto domino, di tutta l’Europa e il ristabilimento dell’Impero di Pietro il Grande, il negoziato dovrebbe farsi sul vero contenzioso che è all’origine della guerra, cioè rimettendo in gioco nonostante le annessioni lo status delle quattro regioni del Donbass e la consegna dell’Ucraina alla NATO. Putin ha risposto col silenzio, Zelensky ha risposto emanando una legge che proibisce il negoziato con la Russia e chiedendo altre armi, gli altri protagonisti hanno risposto aspettandosi il ricorso della Russia all’arma atomica “tattica”, e preparandosi a rispondere con le armi nucleari “strategiche”.
Sapranno ora i capi delle Nazioni, i padroni delle loro opinioni pubbliche, gli opposti promotori delle manifestazioni “per la pace”, Micromega, i partiti, gli associati nelle alleanze di governo e sapremo anche noi sacrificare ciascuno il suo Vangelo all’uomo, e non l’uomo al suo Vangelo?
Con i più cari saluti,

www.costituenteterra.it

giovedì 6 ottobre 2022

Fermate la guerra: negoziato e Conferenza di Pace subito. Dal 21 al 23 ottobre Europe for Peace in piazza

dalla pagina https://retepacedisarmo.org/2022/fermate-guerra-negoziato-conferenza-di-pace-ottobre-europe-for-peace-piazza/

Coordinamento Campagne Rete Italiana Pace e Disarmo

Fermate la guerra: negoziato subito. L’ONU convochi una Conferenza Internazionale di Pace

 

Ritorna la mobilitazione diffusa di Europe For Peace: dal 21 al 23 ottobre di nuovo nelle piazze di tutta Italia

La coalizione Europe for Peace, formata dalle principali reti per la pace in Italia con l’adesione di centinaia di organizzazioni, profondamente preoccupata per l’escalation militare che ha portato il conflitto armato alla soglia critica della guerra atomica, torna di nuovo nelle piazze italiane per chiedere percorsi concreti di Pace in Ucraina e in tutti gli altri conflitti armati del mondo.

Un nuovo passo comune che avviene dopo l’importante mobilitazione dello scorso 23 luglio (con 60 città coinvolte) e l’invio di una lettera al Segretario Generale ONU Guterres in occasione della Giornata della Pace per un sostegno ad azioni multilaterali, le uniche capaci di “portare una vera democrazia globale, a partire dalla volontà di pace della maggioranza delle comunità e dei popoli”. E dopo la quarta Carovana “Stop The War Now” recentemente rientrata dal Kiev dove ha portato il sostegno della società civile italiana ad associazioni ed obiettori di coscienza ucraini, oltre che nuovi aiuti umanitari.

L’appuntamento è per il weekend dal 21 al 23 ottobre (ad otto mesi dall’invasione russa e alla vigilia della Settimana ONU per il Disarmo) ancora una volta con l’invito – rivolto ad associazioni, sindacati, gruppi che già sono attivi da mesi – ad organizzare iniziative di varia natura per rilanciare l’appello già diffuso a luglio con la richiesta di cessate il fuoco immediato affinché si giunga ad una Conferenza internazionale di Pace.

Nel testo sottoscritto dalle aderenti di Europe for Peace si sottolinea come “l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto decine di migliaia di vittime e si avvia a diventare un conflitto di lunga durata” portando conseguenze nefaste “anche per l’accesso al cibo e all’energia di centinaia di milioni di persone, per il clima del pianeta, per l’economia europea e globale”. Ribadendo la vicinanza alle popolazioni colpite dalla guerra si ricorda poi come occorra cercare “una soluzione negoziale, ma non si vedono sinora iniziative politiche né da parte degli Stati, né da parte delle istituzioni internazionali e multilaterali” sottolineando come invece sia necessario “che il nostro Paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato avviando un percorso per una Conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro”. Anche alla luce delle rinnovate ed inaccettabili minacce nucleari.

Rilanciata anche la posizione di base del movimento pacifista italiano fin dall’inizio del conflitto ucraino: “Le armi non portano la pace, ma solo nuove sofferenze per la popolazione. Non c’è nessuna guerra da vincere: noi invece vogliamo vincere la pace” e per tale motivo viene proposta una nuova occasione nazionale di mobilitazione per la pace, con uno chiaro obiettivo: “TACCIANO LE ARMI, NEGOZIATO SUBITO! Verso una Conferenza internazionale di pace”.

Che la guerra non sia la soluzione ma sia una delle principali cause delle crisi da cui il nostro sistema e la nostra società non riescono più a liberarsi è sempre più evidente. La guerra scatena l’effetto domino in una società globalizzata, interdipendente, invadendo ogni ambito e spazio: crollano i mercati ed il commercio, aumentano i costi delle materie prime e di ogni unità di prodotto, l’inflazione galoppa ed i salari perdono potere d’acquisto, ritornano la fame, le carestie e le pandemie nel mondo. Dire basta alle guerre ed alla folle corsa al riarmo e nell’interesse di tutti e di tutte. E’ l’unica strada che ci può far uscire dalla crisi del sistema.

Le iniziative che verranno definite e programmate nei prossimo saranno comunicate e rilanciate da tutte le organizzazioni parte di “Europe for Peace”

 


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TACCIANO LE ARMI, NEGOZIATO SUBITO!

Verso una Conferenza internazionale di pace

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa ed ha già fatto decine di migliaia di vittime e si avvia a diventare un conflitto di lunga durata con drammatiche conseguenze per la vita e il futuro delle popolazioni ucraine, ma anche per l’accesso al cibo e all’energia di centinaia di milioni di persone, per il clima del pianeta, per l’economia europea e globale.

Siamo e saremo sempre dalla parte della popolazione civile, delle vittime della guerra in Ucraina e dei pacifisti russi che si battono per porre fine all’aggressione militare.    

Questa guerra va fermata subito e va cercata una soluzione negoziale, ma non si vedono sinora iniziative politiche né da parte degli Stati, né da parte delle istituzioni internazionali e multilaterali che dimostrino la volontà di cercare una soluzione politica alla crisi.

Occorre invece che il nostro paese, l’Europa, le Nazioni Unite operino attivamente per favorire il negoziato e avviino un percorso per una conferenza internazionale di pace che, basandosi sul concetto di sicurezza condivisa, metta al sicuro la pace anche per il futuro.

Bisogna fermare l’escalation militare. Le armi non portano la pace, ma solo nuove sofferenze per la popolazione. Non c’è nessuna guerra da vincere: noi invece vogliamo vincere la pace, facendo tacere le armi e portando al tavolo del negoziato i rappresentanti del governo ucraino, di quello russo, delle istituzioni internazionali.

La popolazione italiana, nonostante sia sottoposta a una massiccia propaganda, continua ad essere contraria al coinvolgimento italiano nella guerra e a chiedere che si facciano passi concreti da parte del nostro governo e dell’Unione Europea perché sia ripresa con urgenza la strada dei negoziati.

Questo sentimento maggioritario nel paese è offuscato dai media mainstream ed è non rappresentato nel Parlamento. Occorre dargli voce perché possa aiutare il Governo a cambiare politica ed imboccare una strada diversa da quella attuale.

Per questo – a otto mesi dall’inizio della guerra –  promuoviamo una nuova giornata nazionale di mobilitazione per la pace con iniziative in tutto il Paese per ribadire: TACCIANO LE ARMI, NEGOZIATO SUBITO!

 

www.sbilanciamoci.info/europe-for-peace/