dalla pagina https://comune-info.net/disarmare-la-guerra/
Pasquale Pugliese
Quando i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi a ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra. La strada principale resta l’intervento di terzi a mediare. Ma rispetto a quanto accade in Ucraina tutto ciò è brutalmente ignorato dal circo mediatico e dalla politica istituzionale. A livello internazionale esiste anche una vasta letteratura sulla difesa civile non armata e nonviolenta come proposta in grado di rompere la vulgata binaria “resistenza armata o resa”. Ma anche questo viene brutalmente disprezzato da grandi media e partiti. Si fa di tutto per oscurare i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, tra gli altri, ad Hannah Arendt, che ne “La banalità del male”, faceva un appello per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche, “per dare un’idea della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento e dispone di mezzi infinitamente superiori…”
|
Un momento del presidio in piazza promosso delle Donne in nero a Parma sabato 15 ottobre 2022 |
Tra le tante confusioni lessicali –
e di conseguenza concettuali – che hanno una ripercussione fuorviante
nella comunicazione e nell’informazione, fino a falsificare la posta in
gioco in riferimento alla guerra in Ucraina, continua a essere
riproposta l’identificazione strumentale tra richiesta di cessare il
fuoco e negoziare subito – che avanzano i movimenti per la pace, il
disarmo e la nonviolenza, insieme a papa Francesco – e richiesta, che
non fa nessuno, di resa dell’Ucraina. Non è di questa semplificazione
che si tratta. Si tratta invece di aiutare le parti coinvolte a trovare
una via d’uscita responsabile e sostenibile per entrambe da un
avvitamento della guerra che comprende effettivamente – mai come questa
volta – il folle rischio di escalation nucleare, che mette in pericolo
per primo il popolo ucraino e poi tutti i popoli europei. Se non
l’intero pianeta. Chi blatera di “vittoria”, come abbiamo ripetutamente spiegato, sta giocando con le parole a un gioco che non si può giocare. E le parole, in questo caso più che mai, sono pietre.
Oggi, finalmente, questa irresponsabile follia comincia ad essere
timidamente stigmatizzata anche da testate giornalistiche che per mesi
hanno considerato filo-putiniano chiunque solo osasse dirlo. “Urge
affrancarci dalla marcia della follia – scrive, per esempio, da Lucio
Caracciolo, direttore di Limes, su La Stampa di sabato 15 ottobre – “Non
lo faremo mai finché ci inchioderemo nel presente immediato, matrice
del futuro già scritto. Conviene partire dall’avvenire desiderato,
implausibile finché rimaniamo prigionieri della cronaca. Primo passo,
tregua in Ucraina. Condizione insufficiente e necessaria della pace che
molto dopo tempo verrà. Decisori responsabili si esercitano in questa
simulazione coraggiosa e salvifica. Sicuramente anche al Cremlino. Ma
noi?”. Noi? Noi oltre a recitare il mantra dell’”aggressore” e
dell’”aggredito” e alimentare con ulteriori invii di armi una guerra che
uccide gli uni e gli altri, nella perversa spirale di violenza e
contro-violenza – dentro all’orizzonte nucleare che si staglia sullo
sfondo – il nulla. Se non continuare da parte di certi politici e
intellettuali a dare addosso a chi propone responsabili passi di pace.
Fino a dar loro, per esempio, degli “immorali” (Carlo Calenda, Ansa, 10
ottobre 2022) o sostanzialmente dei vili, accusandoli preventivamente di
aver “subito arreso” l’Italia in caso di invasione straniera (Nadia
Urbinati, profilo facebook personale, 12 ottobre 2022).
Quel che manca, nel dibattito pubblico, oltre – in molti casi – all’onestà intellettuale ed all’uso della guerra per i “posizionamenti” politici interni, sono i saperi minimi delle pratiche di pacificazione.
I saperi di base della nonviolenza. Quelli che conoscono, per esempio,
tutti coloro che si occupano di mediazione, i quali sanno che se i conflitti degenerano in violenza e sono lasciati a se stessi (o peggio alimentati da istigatori) ad ogni azione violenta di una parte corrisponde un’azione contraria di livello di violenza superiore dall’altra, in un crescendo fino potenzialmente alla distruzione dell’altro. O di entrambi. Se non intervengono soggetti terzi a mediare tra le parti,
anziché ad alimentare il conflitto. Si chiama dinamica dell’escalation,
quella che Mohandas K. Gandhi spiegava dicendo che “occhio per occhio,
il mondo diventa cieco”. È invece ci sono ancora voci insane di mente
che – pur scandalizzandosi ogni volta di più per una nuova tappa di
violenza e contro-violenza – continuano a ribadire che il conflitto tra
Russia ed Ucraina, che vede già il coinvolgimento sul campo di due
potenze nucleari, possa e debba risolversi sul piano militare. Sul
terreno della guerra, anche nucleare. E continua ad inviare strumenti
funzionali a questo scopo.
E poi nella vulgata binaria – resistenza o resa –
che costruisce fin dagli inizi di questa guerra la narrazione tossica
anti-pacifista, mancano i saperi di oltre un secolo di lotte nonviolente
e resistenze disarmate. Saperi che non mancavano, per
esempio ad Hannah Arendt, che proprio ne La banalità del male, faceva un
appello inascoltato per lo studio della resistenza danese all’occupazione nazista in tutte le facoltà di scienze politiche
“per dare un’idea
della potenza enorme della nonviolenza, anche se l’avversario è violento
e dispone di mezzi infinitamente superiori”.
Saperi che non mancano, per esempio, in Italia alla campagna Un’altra difesa è possibile
che già per due legislature consecutive ha presentato in parlamento la
proposta di legge organica per la creazione in Italia di una vera difesa civile, non armata e nonviolenta,
appunto per preparare, organizzare e finanziare le alternative
possibili al monopolio militare della difesa, secondo gli articoli 11 e
52 della Costituzione. Ossia tutt’altro che la resa. Proposta sostanzialmente ignorata dai due parlamenti precedenti, che dovrà essere rilanciata nella nuova legislatura.
Se il circo mediatico, dunque, anziché rincorrere (salvo rare
eccezioni) il circo politico nei posizionamenti – reali o strumentali –
sulla “pace” raccontasse approfonditamente le proposte, le campagne, le
riflessioni e le iniziative che le organizzazioni impegnate per la pace,
il disarmo e la nonviolenza svolgono quotidianamente e ne valorizzasse i
saperi, questo potrebbe essere un paese informato sui fatti e capace di
fare proposte per disarmare la guerra, anziché l’intelligenza. Perché,
come spiegava ancora una volta Hannah Arendt – di cui il 14 ottobre è
stato l’anniversario della nascita – questa volta nel saggio Sulla violenza,
“Il pericolo della
violenza, anche se essa si pone consapevolmente in un quadro non
estremistico di obiettivi a breve termine, sarà sempre quello che i
mezzi sopraffacciano il fine (…). La pratica della violenza, come ogni
azione, cambia il mondo, ma il cambiamento più probabile è verso un
mondo più violento”.
Di
formazione filosofica, Pasquale Pugliese si occupa di educazione,
formazione e politiche giovanili. Già segretario nazionale del Movimento
Nonviolento, cura diversi blog ed è autore di Introduzione alla filosofia della nonviolenza di Aldo Capitini e Disarmare il virus della violenza (per le edizioni goWare). Altri suoi articoli sono leggibili qui. Ha aderito alla campagna Dieci anni e più.
_________________________________
leggi anche: