domenica 28 luglio 2019

La nostra Costituzione: non sempre viene rispettata da politici e governanti. Vigiliamo

Per vigilare sulla Costituzione, occorre conoscerla. Ecco alcuni "collegamenti": 



I primi 3 articoli: 

Art. 1

L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.

Art. 2

La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.

Art. 3

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

"Carta di Roma": non sempre viene rispettata dai giornalisti. Vigiliamo

dalla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Carta_di_Roma

Carta di Roma è il nome con cui è noto il «Protocollo deontologico concernente richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti».

Storia del documento

Il documento è stato redatto congiuntamente da FNSI (il sindacato dei giornalisti) e dal Consiglio Nazione dell'Ordine dei giornalisti tra aprile e giugno 2008 e fa parte del bagaglio di strumenti di lavoro dei giornalisti italiani. La Carta si fonda sul riferimento al criterio enunciato nell'articolo 2 della legge istitutiva dell'Ordine (legge n. 69 del 3 febbraio 1963): il rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati. L'Ordine dei Giornalisti e la FNSI, insieme a venti organizzazioni della società civile organizzata, hanno creato l'«Associazione Carta di Roma» allo scopo di promuovere e diffondere la conoscenza del protocollo.
Dal 3 febbraio 2016 il Glossario della Carta è parte integrante del «Testo unico dei doveri del giornalista». La Carta di Roma non esiste più come documento autonomo: i suoi principii sono stati inglobati nel Testo unico[1].
L'«Associazione Carta di Roma» riceve il supporto della Open Society di George Soros[2].

Finalità

Scopo della Carta è fornire le linee guida per il trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della Repubblica Italiana.

Principi

La carta enuncia i seguenti principii:
  1. Adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore ed all'utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l'uso di termini impropri;
  2. Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e FNSI richiamano l'attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità dell'intera categoria dei giornalisti;
  3. Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, adottando quelle accortezze in merito all'identità ed all'immagine che non consentano l'identificazione della persona, onde evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari, tanto da parte di autorità del paese di origine, che di entità non statali o di organizzazioni criminali. Inoltre, va tenuto presente che chi proviene da contesti socioculturali diversi, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell'esposizione attraverso i media;
  4. Interpellare, quando ciò sia possibile, esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l'informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause dei fenomeni.

domenica 21 luglio 2019

Cause e Conseguenze dei cambiamenti climatici


dalle pagine:

https://ec.europa.eu/clima/change/causes_it
https://ec.europa.eu/clima/change/consequences_it



LE CAUSE
L'uomo esercita un'influenza crescente sul clima e sulla temperatura terrestre con attività come la combustione di combustibili fossili, la deforestazione e l'allevamento di bestiame.
Queste attività aggiunge enormi quantità di gas serra a quelle naturalmente presenti nell'atmosfera, alimentando l’effetto serra e il riscaldamento globale.
Gas serra
Alcuni gas presenti nell'atmosfera terrestre agiscono un po’ come il vetro di una serra: catturano il calore del sole impedendogli di ritornare nello spazio.
Molti di questi gas sono presenti in natura, ma l'attività dell'uomo aumenta le concentrazioni di alcuni di essi nell'atmosfera, in particolare:
  • l'anidride carbonica (CO2)
  • il metano
  • l'ossido di azoto
  • i gas fluorurati
La COè un gas serra prodotto soprattutto dall'attività umana ed è responsabile del 63% del riscaldamento globale causato dall'uomo. La sua concentrazione nell'atmosfera supera attualmente del 40% il livello registrato agli inizi dell'era industriale.  
Gli altri gas serra vengono emessi in quantità minori, ma catturano il calore molto di più della CO2, a volte mille volte di più. Il metano è responsabile del 19% del riscaldamento globale di origine antropica, l'ossido di azoto del 6%.

Cause dell’aumento delle emissioni
  • La combustione di carbone, petrolio e gas produce anidride carbonica e ossido di azoto.
  • Abbattimento delle foreste (deforestazione). Gli alberi aiutano a regolare il clima assorbendo COdall'atmosfera. Abbattendoli, quest'azione viene a mancare e la CO2 contenuta nel legno viene rilasciata nell'atmosfera, alimentando in tal modo l'effetto serra.
  • Lo sviluppo dell’allevamento di bestiame. I bovini e gli ovini producono grandi quantità di metano durante il processo di digestione.
  • fertilizzanti azotati producono emissioni di ossido di azoto.
  • gas fluorurati causano un potente effetto serra, fino a 23 000 volte più forte dei quello provocato dalla CO2. Fortunatamente, questi gas vengono emessi in quantità minori e la legislazione dell'UE ne prevede la graduale eliminazione.

Riscaldamento globale
L'attuale temperatura media mondiale è più alta di 0,85ºC rispetto ai livelli della fine del 19° secolo. Ciascuno degli ultimi tre decenni è stato più caldo dei precedenti decenni, da quando sono iniziate le prime rilevazioni nel 1850.
I più grandi esperti di clima a livello mondiale ritengono che le attività dell'uomo siano quasi certamente la causa principale dell'aumento delle temperature osservato dalla metà del 20° secolo.
Un aumento di 2ºC rispetto alla temperatura dell’era preindustriale viene considerato dagli scienziati come la soglia oltre la quale vi è un rischio di gran lunga maggiore che si verifichino mutamenti ambientali pericolosi e potenzialmente catastrofici a livello mondiale. Per questo motivo, la comunità internazionale ha riconosciuto la necessità di mantenere il riscaldamento sotto i 2ºC.

LE CONSEGUENZE
I cambiamenti climatici interessano tutte le regioni del mondo. Le calotte polari si sciolgono e cresce il livello dei mari. In alcune regioni i fenomeni meteorologici estremi e le precipitazioni sono sempre più diffusi, mentre altre sono colpite da siccità e ondate di calore senza precedenti.
Questi fenomeni dovrebbero intensificarsi nei prossimi decenni.

Scioglimento dei ghiacci e innalzamento dei mari
Scaldandosi, l’acqua si riscalda. Il riscaldamento globale provoca allo stesso tempo lo scioglimento delle calotte polari e dei ghiacciai.
La combinazione di questi fenomeni fa aumentare il livello dei mari, causando alluvioni e fenomeni di erosione lungo le regioni costiere basse.

Condizioni meteorologiche estreme e aumento delle precipitazioni
Le forti precipitazioni e altri eventi climatici estremi stanno diventando sempre più frequenti. Ciò può causare inondazioni e un deterioramento della qualità dell'acqua, e in alcune regioni anche la progressiva carenza di risorse idriche.


Conseguenze per l’Europa
  • Nell'Europa centro-meridionale si registrano ondate di calore, incendi forestali e siccità sempre più frequenti.
  • Il Mediterraneo si sta trasformando in una regione arida, il che lo rende ancora più vulnerabile di fronte alla siccità e agli incendi boschivi.
  • L'Europa settentrionale sta diventando molto più umida e le alluvioni invernali potrebbero diventare un fenomeno ricorrente.
  • Le zone urbane, nelle quali vivono oggi 4 europei su 5, sono esposte a ondate di calore e alluvioni e all'innalzamento del livello dei mari, ma spesso non sono preparate per adattarsi ai cambiamenti climatici. 

Conseguenze per i paesi in via di sviluppo
I paesi in via di sviluppo poveri sono spesso i più colpiti. In genere le loro popolazioni dipendono fortemente dal loro habitat naturale e dispongono di pochissime risorse per far fronte ai cambiamenti climatici.

Rischi per la salute umana
I cambiamenti climatici stanno già avendo un impatto sulla salute:
  • in alcune regioni si registra un aumento nel numero di decessi dovuti al calore e in altre si assiste a un aumento delle morti causate dal freddo
  • si osservano già alcuni cambiamenti nella distribuzione di determinate malattie trasmesse dall'acqua e dai vettori di malattie.

I costi per la società e l’economia
I danni alle case, alle infrastrutture e alla salute umana impongono elevati costi alla società e all'economia.
Tra il 1980 e il 2011 le alluvioni hanno colpito più di 5,5 milioni di persone e provocato perdite economiche dirette per oltre 90 miliardi di euro.
I settori che dipendono fortemente da determinate temperature e livelli di precipitazioni come l'agricoltura, la silvicoltura, l'energia e il turismo, sono particolarmente colpiti.

Rischi per le specie selvatiche
I cambiamenti climatici si stanno verificando a ritmi talmente veloci che numerose specie animali e vegetali stentano ad adattarsi.
Molte specie terrestri, marine e di acqua dolce si sono già spostate verso altre zone. Alcune specie vegetali e animali saranno esposte a un maggior rischio di estinzione se la temperatura media mondiale continua ad aumentare in maniera incontrollata.

martedì 16 luglio 2019

20 luglio 1969: L'uomo sulla Luna?

dalle pagine:

  1. https://www.avvenire.it/agora/pagine/anniversario-luna-complotto 
  2. https://www.youtube.com/watch?time_continue=2&v=F1xmyWw93ls
  3. https://www.luogocomune.net/LC/americanmoon

1. Quella del falso primo allunaggio è forse la più classica di tutte le teorie complottiste. Per l'anniversario ne ripercorriamo la storia [continua]

2. In occasione dei primi 50 anni dallo sbarco sulla Luna, mentre i media mainstream sono tutti intenti alle celebrazioni ufficiali, come non riesumare l'antica questione che ha imperversato per anni, in rete, sulle prove dell'allunaggio, contestate o difese a spada tratta? E chi meglio del regista e documentarista Massimo Mazzucco e del noto debunker Paolo Attivissimo potevano dare nuova linfa vitale a questo dibattito, partendo - certo - da punti di vista diametralmente opposti? Ecco lo speciale realizzato da Byoblu per celebrare quello che fu "un grande passo per l'umanità" o "un piccolo passo per la Nasa". [vai al video]

3. homepage del documentario American Moon di Massimo Mazzucco: americanmoon

Sono 50 anni che si discute sulla veridicità dei viaggi lunari. Questo film finalmente riunisce, in un'opera unica, tutte le migliori argomentazioni a favore degli allunaggi e tutte le argomentazioni contrarie, comprese alcune prove mai presentate prima.
Al film partecipano inoltre diversi fotografi professionisti di livello mondiale, che offrono la loro analisi tecnica sulle fotografie delle missioni Apollo. Vengono così chiarite una volta per tutte le varie questioni dibattute nel corso dei decenni, dalla assenza di stelle nelle fotografie fino alla direzione delle ombre, dalla questione delle pellicole esposte alle radiazioni, fino al tipo di illuminazione utilizzata per scattare le storiche immagini dell'uomo sulla luna.

sabato 13 luglio 2019

ZANOTELLI CONTRO LE NUOVE NORME: «IN PIAZZA PER GRIDARE: VITA»

dalla pagina https://www.famigliacristiana.it/articolo/padre-zanotelli-contro-il-decreto-sicurezza-in-piazza-per-gridare-vita.aspx


13/07/2019  Padre Alex missionario comboniano, già direttore di Nigrizia e a lungo attivo nello slum più degradato di Nairobi, aderisce alla mobilitazione indetta lunedì 15 luglio, alle 16, a Roma, davanti a Montecitorio. Obiettivo: richiamare i parlamentari a non convertire in legge il testo anti-migranti. «Nega compassione e misericordia. È in gioco il cuore del Vangelo». L'appello chiede preghiera, digiuno e, a chi conta, sia nella Chiesa che fuori, precise (e pubbliche) prese di posizione: «Restiamo umani, resistiamo».


APPELLO 

E’ come missionario che lancio questo appello contro il Decreto Sicurezza bis.

Sono vissuto per dodici anni dentro la baraccopoli di Korogocho (Nairobi) e ho sperimentato nel mio corpo l’immensa sofferenza dei baraccati (oggi sono duecento milioni i baraccati nella sola Africa!). Siamo passati dall’apartheid politica a quella economica: l’1% della popolazione mondiale ha tanto quanto il 99%. E’ questa una delle ragioni fondamentali per le migrazioni, insieme alle guerre e ai cambiamenti climatici. Per questo, come missionario, denuncio il cinismo con cui il governo giallo-verde respinge i “ naufraghi dello sviluppo”.

Non avrei mai pensato che un governo italiano avrebbe potuto regalarci un boccone avvelenato come il Decreto Sicurezza bis, che il 15 luglio verrà presentato in Parlamento per essere trasformato in legge.
Un Decreto le cui clausole violano i principi fondamentali della nostra Costituzione, del diritto e dell’etica.

E’ proprio l’etica ad essere colpita a morte perché questo Decreto dichiara reato salvare vite umane in mare. Ne abbiamo subito visti i vergognosi risultati con la Sea Watch 3 con la capitana Carola Rackete e con il veliero Alex di Mediterranea!
E in commissione Affari costituzionali e Giustizia, la Lega e i Cinque Stelle hanno ulteriormente peggiorato quel testo con nuovi giri di vite contro i migranti.
Infatti il Decreto rimaneggiato prevede lo schieramento delle navi della Marina e Guardia di Finanza in difesa del ‘confine’ delle acque territoriali; l’impiego massiccio di radar e monitoraggi con mezzi aerei e navali sulle coste africane per intercettare le partenze di migranti e segnalarle alle autorità libiche perché li riportino nei lager; il regalo di altre dieci motovedette al governo di Tripoli per riportare i rifugiati nell'inferno libico; infine un incremento delle multe fino a un milione di euro a navi salva-vite in mare, con l’arresto del comandante e sequestro dell’imbarcazione.

Nessun accenno al fatto che in Libia è in atto una spaventosa guerra e che Tripoli non è “un porto sicuro”!

Questo Decreto Sicurezza bis, che sarà discusso e votato in Parlamento, ad iniziare dal 15 luglio, è un obbrobrio giuridico e etico che viola i dettami costituzionali ed è uno schiaffo al Vangelo. “Sono politiche criminali - afferma giustamente L. Ferrajoli - che provocano ogni giorno decine di migliaia di morti, oltre all’apartheid mondiale di due miliardi di persone.
Verrà un giorno in cui questi atti saranno ricordati come crimini e non potremo dire che non sapevamo, perché sappiamo tutto!”. Trovo vergognoso che i Cinque Stelle si siano allineati e sostengano le posizioni leghiste. Per questo mi appello a quei parlamentari grillini che non condividono le posizioni razziste  e criminali della Lega a disobbedire come hanno fatto la storica attivista del Meet-up di Napoli, Paola Nugnes e il comandante G. De Falco. Non si può barare su vite umane, nello specifico, vite dei poveri!

E’ l’ora delle decisioni: se stare dalla parte della vita o della morte. Ma questo vale per ogni cittadino perché è in ballo la nostra democrazia e i suoi valori fondamentali (uguaglianza, solidarietà…), ma vale anche per ogni cristiano perché è in ballo il cuore del Vangelo. 

Per questo uniamoci a “Restiamo Umani” che ha indetto un presidio davanti a Montecitorio, il 15 luglio alle ore 16, per dire NO a questo Decreto criminale. Noi ci saremo come “Digiuno di giustizia in solidarietà con i migranti”, che da un anno, ogni primo mercoledì del mese, digiuniamo davanti al Parlamento contro le politiche migratorie del governo giallo-verde. Anche quel giorno digiuneremo. 

Chiedo a tutte le forze sindacali (CGIL,CISL, UIL), a tutto l’associazionismo laico, alle reti, ai comitati di resistenza di scendere in piazza. Ma soprattutto mi appello all'associazionismo cattolico (Azione Cattolica, Caritas, Migrante, Focolarini, ACLI, FOCSIV…) perché si unisca alle forze laiche per dire no all'imbarbarimento della nostra società.
Mi appello ai missionari italiani, che hanno toccato con mano la sofferenza di quest’Africa crocifissa, perché alzino la voce e scendano in piazza contro leggi razziste e disumane.
Chiedo soprattutto ai nostri vescovi perché prendano posizione contro questo Decreto che nega radicalmente l’etica della compassione e della misericordia e propongano alle Parrocchie giornate di digiuno e di preghiera.

Uniamoci, credenti e laici, per difendere quei valori fondamentali negati da questo Decreto che, criminalizzando la solidarietà, disumanizza i migranti e tutti noi.

Restiamo umani e resistiamo!
                                   
Alex Zanotelli 
Napoli, 11 luglio 2019

giovedì 11 luglio 2019

Plastic Radar di GREENPEACE

dalla pagina


Segnala la plastica in mare, spiaggia, fiumi e laghi su Whatsapp

Inquinamento da plastica: la situazione è drammatica!
Più del 90% della plastica finora prodotta (oltre 8 miliardi di tonnellate!) non è stata riciclata, ma le aziende continuano a fare profitti vendendo sempre più plastica usa-e-getta, spesso senza darci alternative.
 INVIA AL +39 342 3711267
ATTIVA IL TUO PLASTIC RADAR! Aiutaci a mettere i grandi inquinatori di fronte alle loro responsabilità e partecipa alla nostra indagine collettiva.

domenica 7 luglio 2019

Il dovere di salvare e di obiettare a guerre contro i poveri e tra poveri

dalla pagina https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/il-dovere-di-salvare-e-di-obiettare-a-guerre-contro-i-poveri-e-tra-poveri


Caro direttore,
questa è la lettera appello che abbiamo indirizzato al presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella. «Signor Presidente, le scriviamo per manifestarle la nostra totale condivisione con le scelte compiute da Carola Rackete – comandante della piccola nave “Sea Watch” – sia per aver salvato la vita a dei naufraghi nel Mediterraneo sia per aver deciso, dopo 17 giorni di vana attesa, di farli sbarcare in Italia dopo le lunghissime sofferenze patite nei loro viaggi precedenti e in una nazione in guerra come la Libia. Signor Presidente, se la solidarietà sta divenendo in Italia un reato allora noi le comunichiamo che vogliamo compiere ogni reato di umana solidarietà e che ci associamo a quanto ha fatto la comandante Rackete e desideriamo essere indagati e processati anche noi per apologia di reato e ci offriamo di ricevere la pena prevista per questo reato. Troviamo inaccettabili le parole dell’attuale ministro dell’Interno il quale, mentre agita a scopo elettorale il Vangelo e il Rosario, parla di atto di guerra compiuto dalla comandante Rackete. È inverosimile e anche ridicolo, infatti, sostenere che una minuscola unità navale, totalmente disarmata e con a bordo dei poveri naufraghi voglia e possa far guerra all’Italia. Non vi è nessuna minaccia e nessuna guerra in atto se non quella scatenata da mesi nei confronti di esseri umani bisognosi di soccorso e desiderosi di vivere. Non si fa guerra ai poveri e il nostro posto di insegnanti di una Facoltà Teologica è lì dove la vita viene offesa e negata.
Appena il 21 giugno papa Francesco ha partecipato ad un convegno nella Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale nella quale lavoriamo e ci ha incoraggiato dicendoci: «La teologia – tenendo la mente e il cuore fissi sul “Dio misericordioso e pietoso” (cfr Gn 4,2) – può aiutare la Chiesa e la società civile a riprendere la strada in compagnia di tanti naufraghi, incoraggiando le popolazioni del Mediterraneo a rifiutare ogni tentazione di riconquista e di chiusura identitaria. Ambedue nascono, si alimentano e crescono dalla paura. La teologia non si può fare in un ambiente di paura». Per questo motivo noi non possiamo insegnare teologia rimanendo indifferenti alla progressiva crescita di paura, di terrore, di sospetti, di accuse, di minacce, di incitamento alla violenza e all’odio. E proprio perché rifiutiamo la paura vogliamo fino in fondo svolgere il nostro ruolo di insegnanti e ci associamo a quanto ha scelto di fare la comandante Rackete, perché il primato della coscienza e dell’umanità resterà sempre superiore a tutte le leggi umane, soprattutto quelle leggi che fomentano paure e aprono la strada alle persecuzioni. Facciamo questo proprio ispirandoci a quanto ancora ci ha detto papa Francesco il 21 giugno: «È importante che i teologi siano uomini e donne di compassione – sottolineo questo: che siano uomini e donne di compassione –, toccati dalla vita oppressa di molti, dalle schiavitù di oggi, dalle piaghe sociali, dalle violenze, dalle guerre e dalle enormi ingiustizie subite da tanti poveri che vivono sulle sponde di questo “mare comune”».
Le scriviamo, signor Presidente, motivati anche da quell’imperativo morale che ci richiama il Concilio Vaticano II nella Costituzione PastoraleGaudium et spes: «I capi di Stato, infatti, i quali sono mallevadori del bene comune delle proprie nazioni e fautori insieme del bene della umanità intera, dipendono in massima parte dalle opinioni e dai sentimenti delle moltitudini. È inutile infatti che essi si adoperino con tenacia a costruire la pace, finché sentimenti di ostilità, di disprezzo e di diffidenza, odi razziali e ostinate ideologie dividono gli uomini, ponendoli gli uni contro gli altri. Di qui la estrema, urgente necessità di una rinnovata educazione degli animi e di un nuovo orientamento nell’opinione pubblica. Coloro che si dedicano a un’opera di educazione, specie della gioventù, e coloro che contribuiscono alla formazione della pubblica opinione, considerino loro dovere gravissimo inculcare negli animi di tutti sentimenti nuovi, ispiratori di pace. E ciascuno di noi deve adoperarsi per mutare il suo cuore, aprendo gli occhi sul mondo intero e su tutte quelle cose che gli uomini possono compiere insieme per condurre l’umanità verso un migliore destino» (n. 82). E noi sollecitati da queste istanze conciliari, prendiamo posizione chiara in spirito di collaborazione al Suo servizio di Capo di Stato poiché come insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale inseriti nei corsi formativi della Sezione San Luigi, retta dai padri Gesuiti, ormai da anni ab- biamo promosso un percorso di approfondimento epistemologico e di revisione dei corsi accademici, teso a contestualizzare l’insegnamento teologico nel solco della Tradizione di fede e all’interno delle coordinate socio territoriali del Meridione d’Italia nel quale viviamo e per il quale formiamo i nostri studenti. In tempi recenti il raggio d’interesse e di approfondimento si è esteso all’orizzonte del Mediterraneo, quale bacino culturale che raccoglie le sfide di civiltà e d’integrazione storicamente raggiunte come traguardi di vera umanità e oggi, purtroppo, compromesse da preoccupanti tentativi di chiusure e irrigidimenti sistemici verso le altre civiltà che si affacciano sullo stesso mare. Come insegnanti, signor Presidente, siamo molto allarmati da questo crescente clima di odio e di aggressione continua soprattutto nei confronti di impoveriti, indeboliti e sfruttati. Questo clima non potrà non avere conseguenze gravissime nella formazione di un comune sentire degli italiani, soprattutto dei più giovani nei cui confronti abbiamo il dovere di dire la verità, di promuovere il dialogo e l’accoglienza, di mostrare il bene della nonviolenza e non favorire e sostenere la mistificazione e l’intolleranza che sfociano inevitabilmente nell’odio.
Per questi motivi, signor Presidente, non lasceremo sola la comandante Rackete che con la sua disobbedienza civile ha dimostrato una passione per l’umanità esemplare e associandoci alla comandante attendiamo di essere anche noi processati. Voglia accogliere, signor Presidente, la nostra più viva partecipazione all’impegnativo compito che lei assolve a servizio dell’Italia anche in questi mesi sempre più difficili per coloro che hanno come faro la nostra Costituzione e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo sempre più spesso calpestate dalle esigenze della propaganda e del consenso elettorale». Tutti noi firmatari siamo insegnanti della Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale, sezione san Luigi.
Giorgio Agnisola, Giuliana Albano, Enzo Appella, Luigi Azzariti-Fumaroli, Luigi Borriello, Anna Carfora, Umberto Rosario Del Giudice, Giuseppina De Simone, Giovanni Di Napoli, Ettore Franco, Dario Garribba, Lorenzo Gasparro, Annalisa Guida, Antonio Ianniello, Giorgio Jossa, Nicola Lanza, Sabatino Majorano, Giorgio Marcello, Jluis Narvaja, Armando Nugnes, Cosimo Pagliara, Andrea Patauner, Valerio Petrarca, Agostino Porreca, Matteo Prodi, Bartolomeo Puca, Salvatore Purcaro, Nicola Salato, Emilio Salvatore, Lucio Sembrano, Sergio Tanzarella, Gianfranco Terziani.
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Caro direttore,
noi tutti, membri della presidenza dell’Atism (Associazione teologica italiana per lo studio della Morale), esprimiamo profonda preoccupazione per alcune dinamiche manifestatesi in relazione alla vicenda della nave “Sea Watch” e del suo comandante Carola Rackete. La complessità dei fatti – cui peraltro hanno messo un punto fermo la mancata convalida dell’arresto da parte della comandante da parte del Gip di Palermo, Alessandra Vella, e la liberazione della stessa comandante – non oscura, infatti, le molte drammatiche contraddizioni presenti nei comportamenti e nelle parole di alcuni soggetti, anche istituzionali. Preoccupa soprattutto il tentativo insistito di presentare come reato l’impegno per il soccorso nei confronti di chi si trova in situazioni di pericolo grave e potenzialmente letale. Tale tendenza, sostenuta in modo anche violento da parecchi soggetti è, infatti, profondamente distante dalla grande tradizione morale dell’Occidente, che ha un riferimento primario nella “Regola d’Oro”: ciò che vorresti fosse fatto a te, tu fallo ad altri. La stessa parabola evangelica del Samaritano illustra efficacemente una prospettiva in cui l’amore del prossimo e la pratica della cura per chi è nel bisogno sono doveri primari per ogni soggetto responsabile. Delegittimare la solidarietà e chi la pratica significherebbe invece abbandonare un riferimento fondante per un Paese che già nell’articolo 2 della sua Costituzione chiama all’«adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».
Desideriamo in tal senso esprimere profonda soddisfazione per le motivazioni della decisione del già citato Gip di Palermo, che sottolineano come persino la resistenza a pubblico ufficiale da parte della comandante Rackete debba essere valutata alla luce del suo sforzo di adempiere il dovere di salvare vite umane in mare. In tale nitida affermazione trova espressione giuridica un dato di profondo valore morale: la prevalenza degli obblighi di soccorso e di cura del debole rispetto ad altre esigenze, anche di grande rilievo. Vorremmo che tale principio fosse chiaramente assunto come riferimento chiave per questo dibattito, così come per l’intera vita civile e politica del Paese.
Pier Davide Guenzipresidente Atism
con i membri del Consiglio di presidenza

Paolo Benanti, Salvatore Cipressa, Pietro Cognato, Gaia De Vecchi, Salvino Leone, Michele Mazzeo, Simone Morandini

giovedì 4 luglio 2019

L’Europa dei popoli

dalla pagina https://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/46601.html
Riflessioni post elettorali: quale Europa stiamo costruendo?
Che strada hanno intrapreso i paesi e i popoli?
Eugenio Melandri
Eugenio Melandri è un compagno di strada sin dai tempi della Campagna “contro i mercanti di morte”, delle manifestazioni per lo smantellamento della base militare di Comiso e per la smilitarizzazione della Puglia e dell’Italia intera, accanto a don Tonino Bello. Missionario saveriano e direttore della rivista Missione oggi, eletto nel 1989 a parlamentare europeo nelle liste di Democrazia Proletaria, oggi è direttore della rivista Solidarietà internazionale. Gli abbiamo chiesto alcuni commenti a caldo sul voto per il Parlamento europeo. 
Una prima valutazione, sul voto alle europee…
In Europa, se pure con un parlamento composito e con la presenza di alcuni partiti di destra – quello di Orban, di Le Pen, della Lega che hanno avuto un discreto successo – i partiti tradizionali europei hanno fondamentalmente tenuto, con un fattore nuovo che ritengo sia interessante: l’esplosione dei Verdi. Le giovani generazioni europee, soprattutto in Francia e in Germania, guardano più ai problemi ambientali che non ad altre questioni che preoccupano oggi i cosiddetti sovranisti. La domanda rivolta all’Europa – e non solo agli stati nazionali – è decisiva per il futuro ed è un modello di sviluppo, un sistema economico diverso da quello portato avanti sinora.
Sono convinto che da questo voto, tenendo conto sia della crescita di alcuni partiti sovranisti sia dell’emergere dei verdi, l’Europa si sentirà costretta a cambiare le sue politiche. Sinora è stata un continente dove la politica ha seguito quasi pedissequamente le leggi del pensiero unico e neoliberale, il liberismo economico ha regnato sovrano. Oggi è chiamata a ripensare se stessa sia per la spinta sovranista sia per l’impulso ambientalista che chiede che le politiche europee cambino. Io penso, anzi spero, che i partiti tradizionali scelgano l’alternativa verde a quella sovranista. 
La nuova Europa sarà in grado di rispondere con apertura e lungimiranza a queste domande di fondo e alle sfide dei diritti umani, a partire da quella dei migranti? 
Ho l’impressione che il tema delle migrazioni sia stato ingigantito notevolmente negli ultimi anni; per quanto ci riguarda è stato visto soprattutto guardandolo dall’Italia e utilizzato per far campagna elettorale. L’Europa sarà chiamata ad affrontare in modo più ragionevole, più responsabile, la sfida dei diritti, delle povertà e delle migrazioni e anche qui i Verdi potranno avere un ruolo importante. L’Europa ha bisogno dei migranti per poter portare avanti il suo stesso sviluppo. Senza, l’Italia ma anche tanti altri stati europei non avranno futuro perché siamo tutti paesi di vecchi. Inoltre urge una riforma politica seria perché l’Europa ritrovi strutture nuove che garantiscano la democrazia e non una sorta di tecnocrazia come è oggi. 
Quale contributo saprà o potrà dare la Lega a queste sfide politiche cui hai accennato?
La mia impressione è che la Lega vada al governo europeo a condurre alcune battaglie che potremmo definire “sindacali”. In altri termini, va a reclamare un po’ di soldi, per ridurre l’austerità e avere una maggior flessibilità sui propri debiti. Se è cosi come penso, sarà un fallimento perché, se pur potrà ottenere qualcosa, non avrà alcuna voce in capitolo. Potrà aver voce soltanto se, ad esempio, porterà avanti l’idea federalista, costruendo così gli Stati uniti d’Europa in cui gli stati sovrani siano disposti a cedere un po’ della loro sovranità in favore di un’Europa più forte. E in questo contesto, gioca un ruolo fondamentale il rappresentante della politica estera. 
Europa e pace: continueremo a essere avamposto di guerra sul Mediterraneo o il diritto alla pace e alla prevenzione dei conflitti – anche con i corpi civili di pace – può diventare un progetto politico?
Ci credo poco. Secondo me, l’Europa in questo momento non ha queste priorità e non si accorge che la difesa comune è necessaria. Si sta insieme se si hanno in comune politica estera, politica fiscale e difesa. Io, però, ho l’impressione che se si dovesse andare verso una difesa comune lo si farebbe in direzione di un esercito comune e non di corpi civili di pace né tantomeno verso la nonviolenza. Siamo ancora tutti – dico tutto il mondo non solo l’Italia o l’Europa – lontani dal capire che la nonviolenza può essere una scelta politica oltre che un importante orizzonte valoriale. 
Guardiamo al voto degli italiani alle europee e tracciamo una piccola parentesi di analisi interna. Cosa pensa dei nostri risultati elettorali? 
Mettono in evidenza che il nostro è un popolo rancoroso, spaventato, che ha paura di sé stesso e del proprio futuro. È un popolo che non vede un futuro, che non si accorge che il problema migratorio non è quello dei migranti che arrivano ma dei nostri giovani che emigrano. È un popolo spaventato che ha premiato chi ha posto la sicurezza come tema centrale sfruttandolo per avere voti. Fermo restando che il voto di ciascuno merita rispetto e non si deve mai criminalizzare chi vota, credo che quello che viene recepito come problema non è tale ma costruito ad arte. La paura della gente è indotta. I problemi reali esistono ma sono la povertà, la disoccupazione, le carenze di case popolari, l’immigrazione, non perché sia tanta quanto perché non sappiamo gestirla. Il problema fondamentale è che ai poveri non ci pensa nessuno. 
Perché il ministro Salvini continua a ostentare simboli religiosi? 
È evidente che lui crede – e del resto glielo dicono gli esperti di cui si avvale – che l’utilizzo strumentale del crocifisso o del rosario, la preghiera ai vari santi gli procurino audience e quindi più voti. Del resto la sua gestualità si inserisce in quelle che, secondo alcuni, sono le radici su cui si è fondata l’Europa. Ricordiamo il lungo e deviante dibattito di anni addietro sulle radici cristiane dell’Europa? E poi approfitta della guerra, fittizia anche questa, che qualcuno definisce “di sostituzione” perché, a parer loro, staremmo sostituendo i cristiani con i musulmani. La verità è che Salvini non ha assolutamente alcuno scrupolo, sfrutta le paure della gente per avere voti, sfrutta gli immigrati per avere voti, sfrutta persino il crocifisso per avere voti. E questo è grave, patetico. È triste però che i nostri vescovi stiano così in silenzio. Ci vorrebbe una presa di posizione chiara e ferma della Chiesa italiana contro tutto questo. 
Nel frattempo però il governo ci sta “regalando” tutto un impianto legislativo come il decreto sicurezza e la legge sulla legittima difesa. Da dove ripartire?
Spero che, finita la campagna elettorale, si smetta di utilizzare le paure della gente. Ci attende una lunghissima attraversata nel deserto. Dovremmo ripartire dalla formazione e principi fondativi della convivenza: siamo tutti uguali, la razza umana è una sola con culture, storie e religioni diverse. In Europa dovremmo riprendere in mano il bellissimo discorso di papa Francesco pronunciato il occasione del premio Carlo Magno del 2016 in cui supera il vecchio problema delle radici cristiane e ci ricorda che l’Europa nasce e passa dall’integrazione delle diversità: “Le radici dei nostri popoli, le radici dell’Europa si andarono consolidando nel corso della sua storia imparando a integrare in sintesi sempre nuove le culture più diverse e senza apparente legame tra loro. L’identità europea è, ed è sempre stata, un’identità dinamica e multiculturale”. Di qui “un’Europa capace di dare alla luce un nuovo umanesimo basato su tre capacità: la capacità di integrare, la capacità di dialogare e la capacità di generare”. A noi tocca, con umiltà e con determinazione, riprendere la formazione delle giovani generazioni. Qui la Chiesa e le associazioni giocano un ruolo importante. 
Se dovessimo concludere con uno slogan?
L’Europa dei popoli che si conoscono e sanno dialogare. Anche i sovranisti parlano di Europa di popoli e di nazioni, ma che tendono a dividersi. Noi crediamo in un’Europa dove i popoli tendono a unirsi integrandosi, accettandosi e dialogando tra loro. 

martedì 2 luglio 2019

LA SACRALITÀ DELL’ACCOGLIENZA NELLA BIBBIA


Pontifical Council for the Pastoral Care of Migrants and Itinerant People

People on the Move

N° 99 (Suppl.), December 2005 


LA SACRALITÀ DELL’ACCOGLIENZA

NELLA BIBBIA


Rev. Mons. Bruno Maggioni
Docente della Facoltà Teologica
dell’Italia Settentrionale

Nel deserto l’ospitalità è una necessità per sopravvivere, e tutti ne hanno diritto da parte di tutti. Se colui che ospita e colui che è ospitato sono nemici, l’accettazione dell’ospitalità implica una riconciliazione. L’ospite è sacro e deve essere protetto da ogni pericolo. Il viaggiatore, che giungeva in un paese non conosciuto, sedeva sulla piazza del mercato finché uno dei cittadini non lo invitava a casa sua. Sin qui, si può dire, forse un po’ generalizzando, era il costume del tempo. Ma nella concezione biblica c’è molto di più.

Racconti di ospitalità
La Bibbia parla raccontando. E a proposito dell’ospitalità ci sono racconti particolarmente illuminanti. Ne scegliamo tre.

1 – Abramo e i tre visitatori (Gn 18,1-10).
“Il Signore apparve ad Abramo alle querce di Mamre, mentre egli sedeva all’ingresso della tenda nell’ora più calda del giorno. Egli alzò gli occhi e vide che tre uomini stavano in piedi presso di lui. Appena li vide, corse loro incontro dall’ingresso della tenda e si prostrò fino a terra, dicendo: «Mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passare oltre senza fermarti dal tuo servo. Si vada a prendere un po’ di acqua, lavatevi i piedi e accomodatevi sotto l’albero. Permettete che vada a prendere un boccone di pane e rinfrancatevi il cuore; dopo, potrete proseguire, perché è ben per questo che voi siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa’ pure come hai detto». Allora Abramo andò in fretta nella tenda, da Sara, e disse: «Presto, tre staia di fior di farina, impastala e fanne focacce». All’armento corse lui stesso, Abramo, prese un vitello tenero e buono e lo diede al servo, che si affrettò a prepararlo. Prese latte acido e latte fresco insieme con il vitello, che aveva preparato, e li porse a loro. Così, mentr’egli stava in piedi presso di loro sotto l’albero, quelli mangiarono. Poi gli dissero: «Dov’è Sara, tua moglie?». Rispose: «È là nella tenda». Il Signore riprese: «Tornerò da te fra un anno a questa data e allora Sara, tua moglie, avrà un figlio». (Gn 18,1-10).
Vorrei che anzitutto il lettore si soffermasse un istante sulla bellezza e la freschezza del racconto. La Bibbia non è soltanto un libro da cui trarre insegnamenti. Ha anche una sua innegabile bellezza letteraria, che non va trascurata. Con poche battute l’autore ci informa sulle circostanze di tempo e di luogo, ponendoci davanti agli occhi un quadro ricco di particolari e vivace: Abramo siede all’entrata della tenda, che – come si usava – era collocata un poco discosta dalla strada; è l’ora calda del mezzogiorno, quando si suole riposare. Ecco lì, ad un tratto, i tre uomini. Abramo non li ha visti venire, quasi a significare che Dio arriva sempre di sorpresa. È già un particolare che suggerisce che nell’episodio si nasconde un di più. L’invito di Abramo è tipicamente orientale: cortese e insieme pressante, e alle sue molte parole fa contrasto la risposta breve dei tre visitatori. Qui – come già all’inizio e poi anche alla fine – c’è uno strano passaggio dal plurale al singolare: i visitatori sono tre, ma Abramo si rivolge ad essi come se fosse uno solo. Tre e uno: gli ospiti sono il Signore.
Ora tutto è in movimento. Le donne si affaccendano per impastare e cuocere il pane, e Abramo corre all’armento per procurarsi la carne. Durante il pasto Abramo attende in piedi, rispettosamente, e sulla scena torna la calma. Poi, improvvisamente, i tre visitatori pongono ad Abramo una domanda e gli fanno una promessa, mostrando in tal modo di conoscere tutta la sua situazione: “Il Signore rispose: tornerò da te fra un anno e tua moglie avrà un figlio”. Non si tratta di tre semplici viandanti, sono il Signore.
Questo racconto può essere considerato esemplare per il tema dell’ospitalità. Un’ospitalità che rivela qui tutto il suo spessore teologico: accogliere dei pellegrini sconosciuti è accogliere il Signore!.
All’epoca dei patriarchi, e in tutto il mondo antico, l’ospitalità era la virtù per eccellenza. Amare il prossimo significava, in concreto, offrirgli ospitalità. Si legge nel libro del Deuteronomio: “Il Signore vostro Dio… non usa parzialità, rende giustizia all’orfano e alla vedova, ama il forestiero e gli dà pane e vestito” (10,18).

2 – Elia e la vedova
“Il profeta Elia si alzò e andò a Zarepta. Entrato nella porta della città, ecco una vedova raccoglieva la legna. La chiamò e le disse: «Prendimi un po’ d’acqua in un vaso perché io possa bere». Mentre quella andava a prenderla le gridò: «Prendimi anche un pezzo di pane». Quella rispose: «Per la vita del Signore, tuo Dio, non ho nulla di cotto, ma solo un pugno di farina nella giara e un po’ di olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio: la mangeremo e poi moriremo».
Elia le disse: «Non temere; su, fa’ come hai detto, ma prepara prima una piccola focaccia per me e portamela; quindi ne preparerai per te e per tuo figlio, poiché dice il Signore: La farina della giarra non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà, finché il Signore non farà piovere sulla terra».
Quella andò e fece come aveva detto Elia: «mangiarono il profeta, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni. La farina della giarra non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì, secondo la parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia» (1 Re 17,10-16).
“Il profeta Elia si alzò e andò a Zarepta”, queste le prime parole. Ma occorre sapere che se Elia si alzò, è unicamente perché il Signore glielo aveva ordinato: “Su, alzati, và in Zarepta di Sidòne e ivi stabilisciti” (1 Re 17,9). Se poi il profeta, vedendo una povera donna che raccoglie legna, osa dirle “Prendimi un po’ d’acqua e anche un po’ di pane”, è ancora perché il Signore glielo aveva detto: “Ecco, io ho dato ordine a una vedova di là, per il tuo cibo” (17,9). Con questa premessa comprendiamo l’annotazione che conclude il racconto: tutto è accaduto, “secondo la parola che il Signore aveva pronunziato”. L’autore sacro vuol farci capire – e questa è la sua prima lezione – che protagonista dell’episodio non è Elia, né la vedova, ma la Parola del Signore. Tutto avviene in obbedienza a questa Parola, una Parola che realizza ciò che promette, una Parola che salva: “La farina della giara non venne meno e l’orcio dell’olio non diminuì”. Elia e la donna sono presentati come due esempi di obbedienza. Ed è perché obbediente per primo alla Parola, che il profeta diventa, a sua volta, portatore di questa Parola, il suo tramite: tutto avvenne “secondo la Parola che il Signore aveva pronunziata per mezzo di Elia”.
C’è una seconda premessa da ricuperare: se Elia si reca a Zarepta di Sidòne, una città straniera, è perché è in fuga, minacciato dal re: “Nasconditi presso il torrente Cherit”, si legge in 14,3. La minaccia è la sorte di tutti i profeti che hanno l’ardire di opporsi alle menzogne dei potenti. Fuggiasco e minacciato dagli uomini, ma protetto dal Signore, questa è la seconda lezione: “I corvi gli portavano pane al mattino e carne alla sera, e beveva al torrente” (17,6). Aiutato da Dio, dunque, ma il nostro racconto aggiunge qualcosa di più: mostra che l’aiuto del Signore passa attraverso gli uomini. L’ospitalità di Dio si serve della generosa ospitalità di una vedova. L’accoglienza del fratello è la trasparenza visibile dell’accoglienza di Dio, che ne detta le qualità, la misura e l’universalità. Una generosità, quella della vedova, che Dio ricompensa: “Quella andò e fece come aveva detto Elia: mangiarono Elia, la vedova e il figlio di lei per diversi giorni”. La vedova aiuta il profeta e il profeta aiuta la vedova. Chi dona al Signore, riceve. L’ospitalità aiuta gli uomini a vivere meglio nel mondo.
La vedova di Zarepta ha avuto l’onore di essere ricordata dallo stesso Gesù, nella sinagoga di Nazareth: “C’erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una carestia in tutto il paese, ma a nessuna di esse fu mandato Elia se non a una vedova in Zarepta di Sidòne” (Lc 4,25-26). Si arguisce facilmente da queste parole che Gesù ha colto nell’episodio un terzo aspetto: un’altra lezione: Dio non aiuta soltanto il suo popolo, ma anche gli stranieri, perché il suo amore è universale e non fa differenze, e la fede, l’obbedienza e la generosità le puoi trovare anche là dove non pensi, anche fuori del tuo popolo, della tua chiesa e del tuo gruppo.

3 - Marta e Maria: Lc 10,38-42
Mentre era in viaggio verso Gerusalemme, “Gesù entrò in un villaggio e una donna di nome Marta lo accolse nella sua casa” (Lc 10,38). All’inizio del medesimo viaggio Gesù aveva chiesto ospitalità in un villaggio di samaritani, ma fu respinto (9,52-53). Ora invece una donna lo ospita in casa, come più avanti – alla fine del medesimo viaggio – lo ospiterà il pubblicano Zaccheo (19,1-10). In questo c’è già un primo insegnamento: l’ospitalità, appunto. Luca, però, non si riferisce al dovere generico dell’ospitalità (per altro considerato nel Nuovo Testamento come uno dei doveri più espressivi della fraternità cristiana), bensì a una forma più precisa di ospitalità, quella nei confronti di Gesù e dei suoi discepoli. Si tratta di un’ospitalità che richiede una disponibilità particolare. Perché Gesù e i suoi discepoli portano in casa una “parola” che capovolge le abitudini e il modo di vivere.
Marta assume nei confronti dell’ospite un ruolo tipicamente femminile: tutta affaccendata prepara la tavola. Maria, al contrario, si intrattiene con l’ospite, assumendo un ruolo che la mentalità del tempo riservava agli uomini: un fatto insolito che neppure Marta condivide, prigioniera della mentalità corrente.
Le parole con le quali Gesù risponde a Marta ricordano che il servizio non deve assillare al punto da far dimenticare l’ascolto: “Marta, Marta, ti preoccupi e ti agiti per troppe cose… “. L’accoglienza non è solo servizio.
Marta non è la figura dell’amore per il prossimo, e Maria non è la figura dell’amore per il Signore. Nel nostro passo non c’è alcuna traccia di divaricazione fra il Signore e il prossimo. Entrambe le sorelle sono di fronte al medesimo ospite, che è al tempo stesso – come l’immagine dell’ospite dice con chiarezza – il Signore e il prossimo. È questo il punto forza dell’episodio. Non ci sono due modi di ospitare e amare, ma uno solo, che si tratti del Signore o del prossimo. Perciò l’episodio deve essere letto simultaneamente in due modi: come accogliere e servire il Signore, come accogliere e servire il prossimo.
La tensione – che dunque non è fra il Signore e il prossimo – non è però neppure semplicemente fra l’ascolto e il servizio, la contemplazione e l’azione. È piuttosto fra l’ascolto e il servizio che distrae, lo stare con l’ospite e il troppo affaccendarsi che impedisce di fargli compagnia, fra il secondario e l’essenziale. Sono appunto questi i rimproveri di Gesù a Marta.
Marta è tanto occupata che non è più attenta: così indica il verbo greco perispao, “essere distratto, rivolto altrove”. È tanto l’affaccendarsi per l’ospite che non c’è più spazio per intrattenerlo. Marta è “affannata” (10,41) e “agitata”. Luca utilizza qui il medesimo verbo (merimnan) adoperato altrove per dire che non bisogna agitarsi per il cibo, il vestito e il domani (12,22-32). Affannarsi è l’atteggiamento dei pagani. Anche l’agitarsi per Dio o per il prossimo può diventare “pagano”.
La ragione di tanta agitazione – che distrae dall’ospite che pure si vorrebbe accogliere – sono le “troppe cose” (10,41). A questo punto la tensione che percorre l’episodio assume un’ulteriore sfumatura, che forse è quella che sta alla radice di tutte le altre: la tensione fra il troppo e l’essenziale, il secondario e il necessario. Il troppo è sempre a scapito dell’essenziale. Le troppe cose impediscono non soltanto l’ascolto, ma anche il vero servizio. Fare molto è segno di amore, ma può anche far morire l’amore. L’ospitalità ha bisogno di compagnia, non soltanto di cose.

Un po’ di vocabolario e qualche conclusione
Il vangelo presenta Gesù come predicatore itinerante (“Non ha dove posare il capo”) e più volte si parla di lui come ospite: non solo nella casa di Marta e Maria, ma anche di Zaccheo e di Levi.
Sono note poi alcune sue parole. Per esempio: “Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato… Chi avrà dato anche solo un bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli, perché è mio discepolo… non perderà la sua ricompensa” (Mt 10,40-42). E ancora: “Chi accoglie uno di questi bambini accoglie me” (Mc 9,37). Qui c’è già tutta la teologia dell’accoglienza.
Il verbo privilegiato per esprimere questa accoglienza è dechomai (e i suoi numerosi composti) che significa accogliere, ma anche sentire e capire, per esempio le parole dell’ospite, i suoi desideri e i suoi bisogni. Sempre dice la compiacenza e la gentilezza. I composti sottolineano poi l’amicizia, la stima verso l’ospite, anche se sconosciuto. E suggeriscono anche di accogliere qualcuno facendolo entrare nella comunità e nel proprio paese.
Nell’epistolario neotestamentario numerosi sono gli inviti a essere ospitali. Il dovere di essere ospitali rientra nei doveri cristiani comuni, dal vescovo (1 Tm 3,2; Tito 1,8) alla vedova (1 Tm 5,10). Nella lettera ai Romani la virtù dell’ospitalità si trova accanto alla perseveranza nella preghiera e alla sollecitudine per i fratelli. E la lettera agli Ebrei pone l’uno accanto all’altro l’amore fraterno e l’ospitalità, “praticando la quale alcuni hanno accolto degli angeli senza saperlo” (13,2). E infine l’anziano, che scrive la terza lettera di Giovanni, insiste perché il presbitero Gaio si comporti fedelmente nei suoi doveri verso i fratelli, anche stranieri (3 Gv 5).
Ma voglio concludere questa conversazione con l’affermazione di Gesù più ricca e paradossale: “Ero forestiero e mi avete accolto” (25,35).
Al tempo di Gesù, forestiero poteva essere lo sconosciuto di passaggio, che chiede l’ospitalità per una notte, e che è spontaneo giudicare con diffidenza perché non sai chi egli sia e ne ignori le abitudini e le intenzioni. Più frequentemente era l’immigrato, che cerca lavoro e migliori condizioni di vita. Per dire l’ospitalità Gesù ricorre qui a un verbo (sunago) il cui significato base è raccogliere, riunire cose sparse. Di qui il senso di raccogliere chi è sperduto, ospitarlo nella stessa casa, unirlo ai gruppi dei fratelli. Questo verbo così ricco di significato è ricordato in Matteo 25 tre volte. Non dice solo l’aiuto, ma proprio l’accoglienza. E difatti Gesù fa rientrare il forestiero nel numero dei suoi “piccoli fratelli”. Forestiero per gli altri ma non per lui. E si comprende che l’ospitalità è più ampia del semplice aiuto, perché significa aprirsi alla persona e non soltanto ai suoi bisogni. Significa aprire la casa e non soltanto dare un aiuto. E c’è di più: il forestiero da ospitare è nel contempo il prossimo da trattare come se stesso e il Signore da servire con tutto il cuore. Perciò deve essere accolto come si riceve il Signore, cioè con riguardo, con delicatezza, e persino umilmente.

Una semplice annotazione
Una delle caratteristiche della nostra civiltà è l’anonimato e, forse, anche la diffidenza e la paura di chi è forestiero. Abitiamo nello stesso palazzo e non ci conosciamo. E c’è molta solitudine. In questo contesto l’ospitalità acquista ancora tutto il suo valore e la sua urgenza, anche se è vero che deve esprimersi in forme nuove, diverse da quella del tempo di Abramo o di Gesù. Deve dare, per esempio, un’anima e un po’ di cuore alle strutture sociali; deve creare famiglie aperte all’accoglienza dell’anziano e del malato; deve creare luoghi di accoglienza per l’immigrato e il forestiero; deve creare esempi di comunità cristiane, pluraliste e accoglienti.
Si legge nel Concilio Vaticano Secondo (Gaudium et Spes 27): “Oggi urge l’obbligo che diventiamo generosamente prossimi di ogni uomo, e rendiamo servizio coi fatti a colui che ci passa accanto: vecchio abbandonato da tutti o lavoratore straniero ingiustamente disprezzato, o esiliato, o fanciullo nato da un’unione illegittima, che patisce immeritatamente per un peccato da lui non commesso, o affamato che richiama la nostra coscienza…”.