sabato 24 aprile 2021

Lavoro da inventare e reinventare: l'incontro online proposto dalla Pastorale Sociale e del Lavoro per celebrare il 1° maggio

Da molti anni la ricorrenza del primo maggio è una buona occasione per mettere al centro il tema del lavoro a tutti i livelli, anche ecclesiale. Dopo un anno di emergenza sanitaria causata dal Covid, il lavoro è diventato uno dei temi centrali per tutta la nostra vita sociale: lavoro che manca, lavoro “chiuso” a causa della pandemia, lavoro da inventare e re-inventare.

Per non rinunciare all’appuntamento diocesano, che ci faceva trovare assieme per pregare e per guardare la vita alla luce della fede, quest’anno la Commissione diocesana di Pastorale Sociale e del Lavoro, Giustizia e Pace, Salvaguardia del Creato organizza un incontro di preghiera e riflessione sul lavoro online, trasmesso attraverso il canale YouTube della Diocesi di Vicenza

L'appuntamento è per

venerdì 30 aprile 2021 alle 20.30

All’incontro parteciperà il vescovo Beniamino Pizziol e si farà riferimento al messaggio dei Vescovi italiani per la festa del primo maggio 2021.

Interverranno alcuni amici che vivono le fatiche di questo tempo: un precario, un lavoratore del settore sanitario, uno studente, un volontario della Protezione Civile. Ci sarà poi un intervento da parte dei segretari provinciali di Cgil, Cisl e Uil sulla situazione  lavorativa nel nostro territorio e le  problematiche sociali collegate, con uno sguardo rivolto al lavoro del futuro.

Preghiera del 1° maggio: speranza nella precarietà



giovedì 22 aprile 2021

Nella «Giornata della Terra» la lezione della pandemia

dalla pagina https://ilmanifesto.it/nella-giornata-della-terra-la-lezione-della-pandemia/

Clima. Serve una «Costituzione che istituisca un demanio planetario con inventario non solo di diritti universali ma di beni comuni, inappropriabili da parte di nessuno


Non è una «giornata» che si può celebrare impunemente la «giornata della Terra» messa in calendario per oggi, 22 aprile. È infatti il secondo anno che cade in piena pandemia e non ci si può prendere cura della Terra senza far tesoro della lezione che ne è venuta: è sotto gli occhi di tutti come essa ci abbia preso di sorpresa e come sulla base delle risorse e delle culture disponibili non siamo minimamente in grado di reggere alla prova. Basta vedere le immagini della infinita distesa di morti malamente inumati nelle foreste a questo scopo disboscate del Brasile, per capire che senza una rivoluzione del sistema di governo e una conversione della maggioranza dei cuori la vita così com’è non può continuare sulla Terra.

La pandemia, concentrando su di sé tutta la cura del mondo, ha distolto l’attenzione da altre urgenze già presenti prima di essa e da questa aggravate. Basta pensare all’innalzamento delle acque a seguito della crisi climatica quando, come dice un documento “People and Oceans” delle Nazioni Unite, circa 145 milioni di persone vivono entro un metro sopra l’attuale livello del mare e quasi due terzi delle città del mondo, con una popolazione di oltre 5 milioni di abitanti, si trovano in aree soggette al rischio mentre quasi il 40% della popolazione mondiale vive entro 100 km da una costa. I movimenti migratori strutturali che ne deriveranno imporranno ben altre priorità alle politiche nazionali. E basta pensare al solo problema dello smaltimento delle acque contaminate dalle centrali nucleari sinistrate, come quella di Fukushima, che diventeranno inoffensive solo fra 24.000 anni, per comprendere la portata delle questioni da affrontare.

Si comprende allora lo sgomento del papa che nel messaggio di Pasqua ha definito come uno scandalo il rincrudirsi delle guerre e diffondersi delle armi nel confermato esercizio della lotta di tutti contro tutti. Ma non meno scandaloso è che mentre la ragione suggerirebbe l’immediata mondializzazione dei vaccini, enormi profitti derivanti dai loro brevetti e dall’esplodere delle tecnologie informatiche abbiano scavato nuovi abissi tra un pugno di ricchi e moltitudini di poveri, sottraendo immense risorse a bisogni vitali, nell’indiscussa obbedienza alla sovranità dei mercati.

Una risposta a queste sfide è la lotta per giungere all’adozione di una «Costituzione della Terra», come è concepita e promossa a partire dall’Italia da un movimento e una Scuola, di cui a suo tempo il manifesto ha dato notizia. Ora si è giunti al momento di cominciare a discuterne un progetto di base che sarà reso pubblico il prossimo 8 maggio in una apposita assemblea convocata per via telematica, a partire dalla Biblioteca Vallicelliana a Roma. A illustrarlo sarà Luigi Ferrajoli, che ne ha curato la stesura; si tratta di un testo aperto, in cui dovranno congiungersi il talento dei costituzionalisti, la logica dei filosofi del diritto e la poesia di uomini e donne concreti che vogliano farsi costituenti di un ordine di giustizia e pace sulla Terra.

Non si tratta solo di proclamare diritti e di porre vincoli e limiti ai poteri come fanno le Costituzioni degli Stati nazionali, si tratta anche di istituire nuovi ordinamenti che, nel pluralismo delle differenze, ne realizzino l’effettività e ne garantiscano il godimento. Si tratterà di una Costituzione ben altra rispetto a quelle vigenti, perché si tratta di dare risposte a «problemi sconosciuti ad altre età», per riprendere le parole con cui sognavano la nuova società gli spiriti grandi che già ne avevano concepito l’idea all’indomani della tragedia della seconda guerra mondiale, dopo i primi bagliori dell’arma nucleare e i sofferti genocidi, quando i popoli si riunirono a san Francisco e gettarono le basi del mondo nuovo di cui le Nazioni Unite furono l’embrione.

Ben al di là di quanto si fece allora si deve ora istituire un demanio planetario, fare un inventario non solo di diritti universali ma di beni comuni, inappropriabili da parte di nessuno, a cominciare dalle acque, dalle foreste, dalle rotte marine e spaziali, dalle medicine di base, stabilire un elenco di beni illeciti, fuori mercato, a cominciare dalle armi di offesa, abolire gli eserciti nazionali e stabilire la sola legittimità di una forza di polizia internazionale per la sicurezza e la pace, introdurre una fiscalità mondiale, debellare la fame omicida, tutelare lo storico patrimonio dei saperi e delle arti prodotto nei secoli.

Non si tratta solo di ecologia, si tratta di far continuare la storia. Occorre non violentare la Terra, spremendone e dilapidandone le ricchezze, ma riconoscendola come un pianeta vivente, una perla dell’universo, casa comune degli esseri umani, delle piante e di una grande quantità di animali, sede di storia e di lavoro, del diritto e della scienza, di amori e di illimitate speranze, come dice l’ «incipit» di questa nuova Costituzione. Si tratta di istituire una «Federazione della Terra». Naturalmente si tratta solo dell’inizio di un cammino. Ma il futuro passa anche da qui.

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dalla pagina http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2021/04/lettera-ai-governanti-del-mondo/

Lettera ai governanti del mondo

2
2 aprile 2021, Giornata della Terra.
In occasione del vertice sui cambiamenti climatici.

È noto che siamo in un momento decisivo per la sopravvivenza umana e la biodiversità del nostro pianeta. C’è una grave crisi ambientale e di salute pubblica, provocata da crimini commessi in modo continuo dall’avidità del Profitto. La ricerca e i dati scientifici sono sempre più evidenti, li conosciamo e non abbiamo bisogno di citarli. Nel frattempo, tutti i popoli del mondo, dalle campagne alle città, subiscono ogni giorno le conseguenze di questa crisi.

Secondo studi scientifici, mantenendo gli attuali modelli di uso del suolo, la deforestazione, l’estrazione predatoria, il modello agroalimentare dipendente dai pesticidi che uccidono la biodiversità, la monocultura transgenica, l’urbanizzazione accelerata, ci muoviamo verso una situazione in cui 4,5 miliardi di persone affronteranno problemi con la qualità e l’accesso all’acqua e nella produzione alimentare. Il cambiamento climatico influisce sulla vita delle persone e sulla produttività agricola.
La questione, quindi, non è più se esista una crisi ambientale, ma come affrontarla.

Il capitale finanziario, le sue banche e le società transnazionali controllano le economie, lo sfruttamento della natura e i governi. Loro sono i responsabili e non offriranno mai soluzioni reali. Vogliono solo il capitalismo verde! E le istituzioni internazionali del sistema delle Nazioni Unite hanno fallito.

Il modo per preservare la vita, delle persone e del pianeta, care signore e signori, va chiaramente in un’altra direzione. Sarà necessario mobilitare l’intera società, le sue organizzazioni, i movimenti popolari, gli scienziati, le organizzazioni ambientali e costruire un accordo sulle misure urgenti e necessarie:

  1. Mettere la vita umana e la natura al di sopra della proprietà privata. L’appropriazione privata dei beni comuni essenziali alla vita di tutti, come la terra, l’acqua, l’aria e la biodiversità, non è accettabile. La loro cura deve essere attribuita ai popoli, come diritto e responsabilità collettiva a beneficio di tutte le persone.
  2. Promuovere politiche pubbliche che affrontino la fame e promuovere la sovranità alimentare, sostenendo i contadini e le popolazioni tradizionali, sulla base dei principi dell’agroecologia. Realizzare uno sforzo globale sostenendo con tutte le risorse necessarie una campagna mondiale per piantare alberi autoctoni e da frutto.
  3. Assicurare il rispetto del sapere tradizionale delle persone, con le loro forme di trattare la natura, che durano da secoli, e del sapere scientifico, nella ricerca di poter garantire la produzione e la riproduzione umana, la diversità culturale e biologica in equilibrio con la natura.
  4. Creare meccanismi finanziari a sostegno delle iniziative e dei progetti delle popolazioni locali affinché possano realizzare azioni concrete a tutela della natura, delle foreste, dell’acqua e del cibo sano.
  5. Penalizzare aziende e progetti che danneggiano l’ambiente, popolazioni autoctone e autoctone, espellendole dal mercato.
  6. Modificare le fonti energetiche in tutti i paesi in forme sostenibili. Realizzare cambiamenti nelle grandi città, con misure per evitare l’inquinamento, migliorare la vita di tutti, compresi i trasporti pubblici.
  7. Adottare azioni definitive per proteggere l’inquinamento di oceani, laghi e fiumi, penalizzando severamente tutti gli aggressori come le industrie chimiche, plastiche e inquinanti industriali.
  8. Proibire l’uso di glifosato, 2,4-D e altri pesticidi, che uccidono la biodiversità, contaminano l’ambiente e la salute delle persone.
  9. Fornire sollievo finanziario, con le risorse dei capitali nascosti nei paradisi fiscali, per la protezione e il mantenimento delle famiglie contadine, dei popoli tradizionali e di coloro che vivono nelle zone a rischio delle città.
  10. Creare nuovi meccanismi internazionali di politiche, controllo e ispezione con la partecipazione di scienziati, governi, entità della società e movimenti popolari di tutto il mondo.
    Il capitalismo, signore e signori, si sta muovendo a grandi passi verso la barbarie sociale. Nella sua sola ricerca del profitto, sta portando l’umanità e la natura al collasso. Siamo in un momento unico nella storia del mondo, in cui la solidarietà e i valori ecologici devono superare quelli dell’individualismo e del consumismo, difesi solo dai grandi capitalisti folli e dai loro governi.

Difendiamo un nuovo percorso, con le nostre piantagioni e creazioni agroecologiche, nella tutela dell’acqua e dei beni della natura, nelle nostre resistenze territoriali, nelle nostre ricostruzioni solidali nelle città.
Contro il progetto di morte e distruzione attuato dal capitale neoliberista, delle grandi corporazioni, siamo impegnati per la vita. Questo è il percorso che continueremo a seguire, costruendo un mondo giusto, solidale, ecologico e internazionalista.

E voi governanti, assumetevi le vostre responsabilità pubbliche, anche se è tardi!

Asamblea internacional de los pueblos


mercoledì 21 aprile 2021

Una madre che tutti accoglie: Giornata Mondiale della Terra

dalla pagina https://www.pressenza.com/it/2021/04/una-madre-che-tutti-accoglie-giornata-mondiale-della-terra/

Maria Giovanna Farina

22 aprile, Giornata Mondiale della Terra. La mitologia greca ci racconta che fu Gea, l’immortale progenitrice, una donna quindi, a creare il tutto in cui siamo avvolti. Il resto giunse in un secondo tempo quando Gea mise al mondo Urano, il cielo stellante e i monti, il mare… la divina madre è una dea immortale. Questo mito mostra in sé una ottimistica simbolica preveggenza: la madre Gea/Terra è eterna, ci sopravviverà, eppure gli umani abusano della sua potenza intrinseca.

Ci sono parole come ecologia ed eco-sostenibile, per citare le più usate, che rimandano ad un impegno, quello di curare la nostra casa comune, di impegnarci di più per non deturparla, per non desertificarla: il 25% della superficie terrestre è stata danneggiata. Ogni anno si perdono 24 miliardi di tonnellate di terreno fertile, soprattutto a causa di pratiche agricole insostenibili, a ciò si aggiungono le emissioni di gas serra prodotte per il 18,4% direttamente da agricoltura e silvicoltura.

Cos’è davvero l’ecologia? Una domanda irrinunciabile a cui è importante rispondere. Per comprenderlo appieno dobbiamo fare qualche passo indietro e considerare la visione olistica dell’Ecologia della mente introdotta dall’antropologo inglese Gregory Bateson (1904-1980), un tentativo di integrare funzioni della mente diverse come apprendimento, memoria, linguaggio. L’ecologia della mente ha alla base una visione olistica dell’uomo, una visione d’insieme che a sua volta sta alla base dell’ecologia come rapporto dell’uomo con l’ambiente. In parole povere, siamo tutti collegati e chi ad esempio inquina in Oriente provoca ripercussioni in Occidente e viceversa: dobbiamo imparare a pensare e a vedere oltre il nostro steccato. Mancando questa visione o rifiutandola si è giunti vicini alla strada del non ritorno da cui dobbiamo allontanarci. Siamo tutti collegati, ripeto, questa è l’ecologia che ci ha mostrato Bateson, a partire dalla mente: per lo studioso anche le idee sottostanno alla legge dell’evoluzione, alcune sopravvivono altre no, e chissà che non rimanga in vita la migliore: la visione ecologica, quella che potrà salvarci.

In occasione della Giornata della Terra delle Nazioni Unite, Future Food Institute e Fao e-learning Academy organizzano ‘Food for earth’, la maratona digitale globale di 24 ore sulla Sostenibilità dove scienziati, politici, imprenditori, giornalisti…ma anche agricoltori di tutto il mondo si confronteranno su sistemi alimentari sostenibili. Ripensare l’agricoltura vuol dire ripensare il nostro modo di alimentare ed alimentarci, significa prendere in esame la nostra stessa esistenza: siamo tutti collegati de l’impegno deve partire da noi come individui se si vuole curare il tutto. Ad una visione plurale non legata al nostro individualismo, ad una visione sostenibile perché prima di tutto olistica. Il termine sostenibile, ripetuto ad libitum negli ultimi anni, deve essere implementato in tutti campi delle azioni umane, dall’arte, ai trasporti, al riscaldamento, alla mobilità… all’agricoltura.

A tutto ciò è collegata, non dimentichiamolo, la questione rifiuti, non solo quelli prodotti sulla Terra e negli oceani, ma anche i migliaia e migliaia di satelliti che orbitano attorno a noi a pochi chilometri dal suolo: molti non funzionanti mettono a rischio quelli attivi e utili alle attività umane. Ci sono ancora dubbi sul fatto che siamo tutti collegati? L’essere umano, il più abile ed intelligente animale terrestre, rischia, distruggendo, di scomparire dal Pianeta: forse per questo la mitologia ci tramandò una divina madre immortale come origine della vita stessa.

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Maria Giovanna Farina si è laureata in Filosofia con indirizzo psicologico all’Università Statale di Milano. È filosofa, consulente filosofico, analista della comunicazione e autrice di libri per aiutare le persone a risolvere le difficoltà relazionali. Nei suoi testi divulgativi ha affrontato temi quali l'amore, la musica, la violenza di genere, la filosofia insegnata ai bambini, l'ottimismo e la scelta. Studiosa di relazioni umane, a partire da quelle madre-bambino, è autrice di numerosi articoli e di interviste anche in video fatte ad alcuni tra i più noti personaggi della cultura e dello spettacolo. Impegnata contro la violenza, ha contribuito a far inserire la parola Nonviolenza, in un'unica forma verbale, nella Treccani.it. Il suo sito è www.mariagiovannafarina.it

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dalla pagina https://comune-info.net/earth-day-ogni-giorno/

Earth Day, ogni giorno

Paolo Cacciari


Il primo Earth Day fu una risposta dell’ambientalismo statunitense a un disastroso inquinamento da petrolio sulle spiagge della California, causato dalla rottura di un oleodotto. Centocinquant’anni dopo ci accorgiamo che la massa globale di plastica in circolazione nel mondo è doppia della massa complessiva di tutti gli animali viventi. Che è forte la correlazione tra distruzione della biodiversità e malattie di origine zoonotica. E, soprattutto, che tutte le strategie intentate fin’ora – costruite intorno a tecnologie e mercato – per creare un mondo socialmente giusto ed ecologicamente sicuro hanno dato esiti fallimentari. Abbiamo bisogno di riconoscere i diritti della natura

Foto di Ambra Pastore

Da cinquantun anni si celebra la giornata mondiale della Terra. Il primo Earth Day fu una risposta dell’ambientalismo nordamericano a un disastroso inquinamento da petrolio sulle spiagge di Santa Barbara in California causato dalla rottura di un oleodotto. Per iniziativa di un attivista pacifista, John McConnell, la proposta di celebrare “la bellezza e la vita della Terra” fu presentata all’Unesco e poi a Capitol Hill di Washington per merito del senatore Gaylord Nelson. Infine le Nazioni Unite, segretario U Thant, stabilì che fosse il 22 aprile, equinozio di primavera, la giornata ufficiale mondiale dedicata alla conservazione della Terra. Sono gli anni della “primavera ecologica” (Giorgio Nebbia), dell’inizio della presa di coscienza degli impatti ambientali provocati dalla industrializzazione a propulsione fossile e nucleare. Il primo summit sull’Ambiente umano organizzato dalle Nazioni Unite si tenne di lì a poco a Stoccolma nel 1972. Lo stesso anno verrà pubblicato il Rapporto sui limiti della crescita del Club di Roma. Da mezzo secolo, quindi, l’umanità “sviluppata” sa di aver imboccato una traiettoria suicida. Caos climatico e pandemie da zoonosi sono gli ultimi più evidenti sintomi di una rottura dei cicli vitali del pianeta, di quella “rete della vita” (Fritjof Capra) che lega tutti i fenomeni naturali secondo il principio della interconnessione e dell’interdipendenza.

Da tempo è in corso un biocidio: una distruzione deliberata, consapevole e pianificata delle specie viventi. L’ultimo rapporto Global Earth Outlook (GEO-6) pubblicato dall’Agenzia Ambientale dell’ONU, stima che il tasso di estinzione delle specie sta procedendo a un ritmo da 100 a 1000 volte più veloce dell’inerzia naturale e riguarda batteri, funghi, microrganismi eucarioti, piante e animali. Da quando esiste una classificazione delle specie animali ad oggi, le estinzioni documentate sono 765, di cui 79 mammiferi, 145 uccelli, 36 anfibi. Secondo la “lista rossa” dell’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) 1.199 mammiferi (il 26% delle specie descritte), 1.957 anfibi (41%), 1.373 uccelli (13%) e 993 insetti (0,5%) sono minacciati di estinzione. Così come il 42% degli invertebrati terrestri, il 34% degli invertebrati di acqua dolce e il 25% degli invertebrati marini sono considerati a rischio di estinzione. La causa principale è la distruzione degli habitat naturali che procede non solo nelle foreste primarie e in lontani luoghi esotici incontaminati. In Italia, ad esempio, l’Ispra documenta che le specie animali minacciate di estinzione sono 161 (138 terrestri e 23 marine), pari al 28% delle specie valutate.

La correlazione tra distruzione della biodiversità e malattie di origine zoonotica è conosciuta. Le creature multicellulari – e noi siamo tra queste – vivono in associazione con i loro microbi. Ci avvertono i virologi: “Perturbare gli ecosistemi è come spingere i virus più pericolosi a fare il salto di specie.” Scrivono Liotta e Clemeneti in La rivolta della natura (La nave di Teseo, 2020):

“Negli ecosistemi degradati gli agenti patogeni si adattano alle poche specie selvatiche rimaste e riescono a fare più facilmente il salto da un pipistrello o da un roditore a noi. Nelle aree inquinate i microrganismi trovano autostrade spianate per insediarsi e moltiplicarsi”.

Da queste evidenze scientifiche ci si aspetterebbe che i decisori politici prendessero delle iniziative di prevenzione primaria: fermare il consumo di suolo, l’estrazione di materie prime e la distruzione degli ecosistemi. Esattamente come indica quest’anno il sottotitolo della Giornata della Terra: Restore Our Earth. Ma per guarire occorre estirpare il male alla radice. Non basta mitigare gli impatti ambientali più dannosi, né è possibile pensare di adattare la vita a condizioni sempre peggiori. Anche la “resilienza” ha un limite. Questo dovrebbe averci insegnato la “sindemia”. Ovvero il concorso di cause patogene, ambientali e sociali che hanno portato le persone più fragili, più esposte ad inquinamenti e più povere a pagare le conseguenze peggiori della pandemia Covid-19. La Review dell’economista ambientale Partha Sarathi Dasgupta, commissionata dal Cancelliere dello Scacchiere del Regno unito, si chiude con un invito: “Lasciate in pace la natura in modo che possa prosperare” (The Economics of Biodidersity, 2021).

Tutte le strategie intentate fin’ora per creare un mondo socialmente giusto ed ecologicamente sicuro hanno dato esiti fallimentari. “Sviluppo sostenibile”, “economia verde”, “economia circolare” ed ora “transizione ecologica” hanno un difetto sostanziale: si affidano fideisticamente alle innovazioni tecnologiche e al mercato, mentre si disinteressano dell’essenziale: la percezione della relazione solidale che lega ogni essere umano agli altri esseri viventi e al mondo. Scriveva il filosofo Edgar Morin: “Abbiamo bisogno di una bio-antropologia, di una ecologia generalizzata” (L’anno dell’era ecologica, 2007). Un concetto molto simile alla “ecologia integrale” di papa Bergoglio (Laudato si’, 2015). Non è possibile mettere d’accordo il desiderio delle popolazioni umane di una incessante crescita dei beni disponibili con il mantenimento di un equilibrio ecologico. Il difetto delle soluzioni di mercato è pensare che si possano scambiare cose di natura diversa: le risorse naturali non sono merce, nemmeno se le ribattezziamo “capitale naturale” e se diamo un prezzo ai “servizi ecosistemici” che la natura gentilmente e gratuitamente ci offre: l’acqua potabile, l’aria pulita, il suolo fertile, la fotosintesi clorofilliana, l’impollinazione degli insetti, la luce del sole, ecc. Una tonnellata di CO2 viene scambiata attualmente a 40 euro tra imprese che a loro volta hanno comprato i permessi ad inquinare all’asta dagli stati. Il Gestore dei servizi energetici italiani, ad esempio, ha collocato sulla piattaforma European Energy Exchange autorizzazioni ad emettere due milioni di quote di CO2 ricavando 16 milioni di euro. Un meccanismo dove tutti ci guadagnano, imprese e stati, ad eccezione della qualità dell’aria! Con le riserve idriche si gioca in Borsa. Sulle sementi si impongono brevetti e diritti di proprietà. Le foreste vengono usate per compensare i “crediti di carbonio”. Ma i patrimoni naturali hanno un valore d’uso in sé, incommensurabile e non intercambiabile con il denaro, se non immaginando il loro uso esclusivo e la loro progressiva scomparsa; se non rendendoli scarsi e preziosi.

Nemmeno l’affidamento alle nuove tecnologie ci salverà dal collasso ecologico. La fame di acciaio, cemento, alluminio, carta, vetro, materiali sintetici… non si ferma. La “dematerializzazione” dei cicli produttivi è una chimera: marciamo a 100 miliardi di tonnellate all’anno di materiali vergini estratti dalla Terra. La guerra per l’accaparramento delle “terre rare” (metalli indispensabili per fabbricare i dispositivi elettronici) ci dice quanto sia pesante la pressione sulle matrici naturali esercitata dalle nuove tecnologie. Auto elettriche comprese. Non ci viene in aiuto nemmeno l’“economia circolare”. L’ultimo rapporto (The Circlularity Gap 2021 Report) ci dice che l’economia mondiale recupera e ricicla solo l’8,6% di materiali, addirittura in peggioramento sull’anno precedente (9,1% nel 2019). Nessun decoupling è in atto.

Una ulteriore conferma del sovrautilizzo delle risorse naturali emerge dalla crescita inaudita dei flussi di materiali impiegati dal sistema economico, come documentato da una singolare ricerca che Nature ha pubblicato lo scorso dicembre (Emily ElhachamLiad Ben-UriJonathan GrozovskiYinon M. Bar-On & Ron MiloGlobal human-made mass exceeds all living biomass, Nature, volume 588, pages 442–444, 2020). Si stima che dall’anno scorso la “massa antropogenica” costituita dagli stock di materiali solidi incorporati e accumulati negli oggetti prodotti dagli esseri umani (edifici, strade, macchinari, oggetti di consumo e così via) ancora in uso abbia oramai superato in “peso secco” (esclusa l’acqua) il volume della biomassa vivente animale e vegetale globale complessiva. La produzione della “massa antropogenica” ha ormai raggiunto le 30 Gigatonnellate all’anno che è come se ogni persona impegnasse ogni settimana una quantità di materiali (calcestruzzo, inerti, mattoni, asfalto, metalli, legno, ecc.) pari al proprio peso corporeo. Ad esempio, per avere un’idea, la massa globale di plastica in circolazione (8Gt) è doppia della massa complessiva di tutti gli animali marini e terrestri viventi (4Gt). Oppure, che edifici e infrastrutture (1.100 Gt) superano la massa di tutti gli alberi e gli arbusti esistenti sulla faccia della Terra (900 Gt). Inutile dire che l’accelerazione si è verificata a partire dagli anni Sessanta, con un raddoppio di velocità nell’ultimo ventennio.

La verità è che la crescita del Pil si “tira dietro” l’aumento dello sfruttamento delle risorse naturali. La logica economica del profitto non ammette limiti: investire denaro per creare più denaro per investire più denaro.

È indispensabile invertire questa tendenza autodistruttiva. Ha scritto Vandana Shiva: “La pandemia non è una guerra, è la conseguenza della guerra contro la vita”. Non è nemmeno un incidente biologico. È il boomerang che ci torna indietro. Il grande organismo vivente, Gaia, Madre Terra reagisce al male subito cercando di immunizzarsi.

Che fare? Prendere coscienza dei limiti planetari che determinano le condizioni della vita sulla Terra e riconoscere i diritti della natura, consustanziali a quelli di ogni essere vivente, umani compresi. Il nuovo presidente degli Stati Uniti riunirà vari capi di stato in occasione della Giornata della Terra. Suggeriamo una buona azione per iniziare: l’istituzione di una Corte di giustizia per i diritti della natura.


domenica 18 aprile 2021

Zamagni: “Ascoltiamo il Papa: la politica riprenda il sopravvento sull’economia”

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2021-04/papa-zamagni-pontificia-accademia-scienze-sociali-politica.html

Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali e noto economista, spiega l’urgente necessità che le società tornino a rivalutare il lavoro umano secondo il magistero della Chiesa e si sottraggano alla morsa dei potentati economici: “E’ una cosa grave che cinque imprese farmaceutiche impediscano di produrre vaccini su licenza tenendo in scacco il mondo. Non si dovrebbe applicare una norma di diritto privato, ma di diritto pubblico. In ballo c’è la vita di miliardi di persone”

Il prof. Stefano Zamagni

Federico Piana - Città del Vaticano

“Il Pontefice capisce, meglio di ogni altro, che la situazione che oggi caratterizza le nostre società è una radicale sottovalutazione del lavoro umano”. Il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali, Stefano Zamagni, commentando il videomessaggio di Papa Francesco alla Conferenza internazionale dal titolo “A politics rooted in the people” - Una politica radicata nel popolo -, organizzata dal Centro della teologia e della comunità e svoltasi a Londra nei giorni scorsi, lancia l’allarme: “Questa sottovalutazione è un rischio che andrebbe fin d’ora scongiurato perché la fase attuale dell’economia di mercato capitalistico è passata dalla centralità della produzione alla centralità del consumo”. E per spiegare meglio il pericolo che soprattutto le società occidentali stanno correndo, l’economista cita un esempio: “Oggi chi è considerato l’eroe di turno? Colui il quale riesce a convincere masse di popolazione a consumare. Ciò vuol dire che il lavoro viene considerato solamente in chiave strumentale, mentre, come ricordava anche san Giovanni Paolo II, il lavoro non ha solo una dimensione strumentale rispetto all’obiettivo del consumo, ma anche una dimensione espressiva della dignità umana”.


Ascolta l'intervista a Stefano Zamagni

Nel suo videomessaggio, il Papa esorta la politica a “lavorare per e con il popolo riconoscendone i valori spirituali” e a non disinteressarsi dei poveri…

R.- Il monito di Papa Francesco va letto sullo sfondo che prima ho accennato. La più recente Dottrina sociale della Chiesa ha suonato il campanello d’allarme: sembra quasi che l’elemento centrale delle nostre società sia l’accesso ai consumi. Invece, rimettere al centro del discorso economico, politico e culturale il tema del lavoro, vuol dire recuperare l’antica linea di pensiero che risale addirittura a Benedetto da Norcia. Quando il santo lanciò il suo famoso slogan Ora et Labora, rappresentò un punto di svolta epocale, perché voleva dire mettere il lavoro sullo stesso piano della preghiera: prima non era così. Ecco perché questo Papa sente l’esigenza di richiamare l’attenzione di tutti a rivedere il modo con cui noi concettualizziamo il lavoro.

Un’altra sollecitazione che il Papa fa nel suo videomessaggio è legata al fatto che la Chiesa non può “separare la promozione della giustizia sociale dal riconoscimento dei valori e della cultura del popolo, includendo i valori spirituali”. Secondo lei, come si può raggiungere questo obiettivo?

R.- Nel dire questo, Papa Francesco si riallaccia al pensiero di Paolo VI, quando nell’enciclica PopulorumProgressio, enunciò quella frase che da allora divenne famosa: lo sviluppo è il nuovo nome della pace. In quella occasione chiarì che il concetto di sviluppo non è la stessa cosa del concetto di crescita: lo sviluppo è tipico della persona umana; gli animali e le piante non si sviluppano, ma crescono. Ecco perché parlare di sviluppo umano integrale, oggi, è molto importante. Lo sviluppo coinvolge tre dimensioni: quella della crescita, quella socio-relazionale e quella spirituale. In quest’epoca, purtroppo, sull’altare della crescita si sacrificano sia la dimensione spirituale, sia la dimensione socio-relazionale.

E questa bramosia della crescita fa innalzare muri contro i poveri, che nel mondo aumentano sempre di più, facendo allargare la forbice con i pochi ricchi del pianeta?

R.- Certamente. Ecco perché non è casuale che il Papa abbia intitolato Per la migliore politica il capitolo quinto della sua enciclica ‘FratelliTutti. E’ la prima volta che in un documento ufficiale del magistero appare il riferimento esplicito all’agire della politica. Qui si dice che la politica deve tornare ad essere la governante dell’economia e non il contrario. Il Papa sa bene, però, che in questi ultimi trent’anni è avvenuto un cambiamento di portata storica: è la sfera dell’economia che domina la sfera politica, col risultato che molti politici non sono più liberi di agire e di prendere decisioni per il bene comune, perché sono letteralmente sotto ricatto dei potentati economici e finanziari.

Sta pensando a qualche episodio attuale?

R.- Basta vedere ciò che sta accadendo in questa pandemia. Ma è possibile che cinque imprese farmaceutiche tengano in scacco il mondo intero, non consentendo che altri soggetti possano produrre i vaccini su licenza? E’ una cosa grave. Nessuno sostiene che le imprese che hanno inventato il vaccino non debbano essere ricompensate ed ottenere un profitto equo, ma non si può tollerare che, davanti a situazioni di morte come quelle alle quali stiamo assistendo, ci sia un diniego in nome di un principio di diritto privato che in questo caso non si deve applicare: si dovrebbe applicare invece una norma di diritto pubblico. Ecco perché il Papa sostiene che la politica deve assolutamente riprendere il sopravvento sull’economia.


La transizione non ha alternative

dalla pagina https://comune-info.net/la-transizione-non-ha-alternative/


È in corso un attacco sistematico per farsi dare i soldi del PNRR senza cambiare la sostanza di quanto fatto sin qui e mantenendo pressoché invariate le scelte. Non solo, ci sono resistenze a togliere benefici incompatibili con l’ambiente, contraddittori con il finanziamento di un cambio di paradigma, e si tenta di mantenere in vita fino al limite di rottura le scelte previste. In Europa il nucleare gode di un forte rilancio da parte di un gruppo di paesi, Francia in testa, per ottenere l’equiparazione del nucleare da fissione con le rinnovabili (per avere i quattrini) e candidarlo ad essere la fonte energetica per produrre idrogeno. Una piattaforma netta potrebbe invece consentire di realizzare una nuova alleanza tra lavoro ed ambiente, in cui le condizioni di vita, la salute siano coerenti con una nuova prospettiva occupazionale. Un altro futuro non è solo necessario ma possibile, anzi indispensabile

Foto tratta dal Fb di Fridaysforfuture-Roma

La prima presentazione del PNRR italiano fatta dal governo Conte 2 si era sostanzialmente arenata su tre aspetti.

Primo, l’uso di parte consistente dei fondi (oltre un terzo) per interventi che avrebbero sostituito finanziamenti già previsti in precedenza dal bilancio dello Stato, diminuendo così l’impatto per il rilancio occupazionale, sociale ed economico degli interventi straordinari previsti dal Next Generation EU della Commissione Europea.

Secondo, una gestione farraginosa, con la previsione del coinvolgimento di centinaia di tecnici, con decisioni sull’uso delle risorse in gran parte esterna alle sedi politiche naturali e cioè Governo, Regioni, Comuni. Una sorta di circolazione istituzionale extracorporea e questo ovviamente non garantiva la necessaria trasparenza delle decisioni di spesa.

Terzo, la raccolta di progetti già pronti di grandi aziende che pensavano di avere trovato finalmente la fonte per finanziare progetti di vario tipo, alcuni probabilmente utili, altri discutibili e forse negativi soprattutto per le conseguenze ambientali.

E’ evidente che se raccogli i progetti esistenti, anche selezionandoli, è difficile dare una forza politica ed economica alle scelte pubbliche. Mentre occorreva partire dai 6 capitoli e in particolare dalla transizione ambientale che è certamente il capitolo che più di ogni altro può aiutare a rendere compatibile lo sviluppo con l’ambiente, a innovare tecnologie e settori produttivi, a qualificare ed estendere una nuova occupazione di qualità.

Draghi, nel discorso alle Camere, è sembrato consapevole dell’esigenza di mettere l’accento sulle novità, a partire dal 37% delle risorse destinato all’Italia per la transizione ecologica. Nessuna delega in bianco. Il Governo va sfidato ad essere coerente e in particolare ad esserlo i Ministri che sono preposti ad organizzare le scelte. Per ora non siamo al caro amico ma nemmeno al merito delle scelte, eppure i Ministeri stanno lavorando e a fine aprile Draghi riferirà in parlamento sulle scelte definitive che il governo proporrà alla Commissione Europea.

Per questo il Coordinamento per la Democrazia Costituzionale, Laudato Sii, Nostra hanno elaborato un documento che verrà presentato il 17 aprile in videoconferenza, già disponibile sui siti delle associazioni, che vuole contribuire a scegliere con nettezza. A proporre un’idea di futuro

Se le aspettative sui risultati del piano straordinario debbono rimettere in moto l’occupazione e l’economia dell’Italia – e debbono farlo con una forte impronta innovativa sull’ambiente, sulla ricerca, sull’innovazione – le scelte non possono che essere coraggiose e nette. E’ un’occasione unica.

Cambiare e dare ragione a tutti è impossibile, occorrono dei Si e dei No chiari e netti.


Ad esempio raggiungere gli obiettivi di cessazione dell’uso del carbone e dei combustibili fossili ha bisogno di tempo ma proprio per questo richiede di partire subito, di scegliere con coraggio ed impegno le fonti energetiche alternative. I tempi sono definiti, ad esempio entro il 2025 il carbone deve cessare di essere utilizzato, ma non è saggio proporre di continuare sotto altre forme l’uso dei combustibili fossili, come il gas per produrre energia elettrica, finiremmo con l’entrare in contraddizione con gli obiettivi europei.

Sono già disponibili modalità di produzione energetica rinnovabile, combinata dall’estensione dell’uso delle rinnovabili disponibili, compreso l’eolico offshore, con sistemi di accumulazione e produzione di idrogeno da fonti rinnovabili. Certo anche la rete fondata su grandi impianti va ripensata per consentire di usufruire di una produzione diffusa nel territorio, anche incentivando l’autoconsumo.

Le dichiarazioni che stanno facendo esponenti importanti di aziende, anche a partecipazione pubblica, puntano a rinviare le scelte nel tempo, sembrano non rendersi conto che questo non solo avrebbe conseguenze sul clima, che continuerebbe nel frattempo a peggiorare, ma creerebbe un nodo irrisolvibile rinviando le scadenze previste per evitare il superamento dei limiti che possono contenere il cambiamento del clima. Colpisce una dichiarazione di Giunti di Enipower che ha dichiarato che per decarbonizzare (come se avessimo la possibilità di non farlo) occorrono idrogeno, cattura del CO2 e fusione nucleare, con questo schema non rispetteremo i vincoli, neppure al 2050.

Infatti prendendo la palla al balzo l’Associazione italiana per il nucleare propone il nucleare da fissione come premessa da usare per arrivare (un giorno, forse) a quello da fusione.

In altre parole è in corso un attacco sistematico per farsi dare i soldi del PNRR senza cambiare la sostanza di quanto fatto sin qui e mantenendo pressoché invariate le scelte. Quindi non solo ci sono resistenze a togliere benefici incompatibili con l’ambiente, contraddittori con il finanziamento di un cambio di paradigma, e si tenta di mantenere in vita fino al limite di rottura  le scelte previste.

Anche in Europa in verità qualcosa non va. Il nucleare gode di un forte rilancio da parte di un gruppo di paesi, Francia in testa, per ottenere l’equiparazione del nucleare da fissione con le rinnovabili (per avere i quattrini) e candidarlo ad essere la fonte energetica per produrre idrogeno.

E’ quanto di più vecchio si possa immaginare, ma è grave che il centro studi che lavora per la Commissione Europea abbia proposto di considerare il nucleare alla stregua del fotovoltaico e la stessa descrizione dei depositi di scorie come sicuri serve solo – mentendo – a giustificare la scelta del nucleare da fissione.

L’Italia deve farsi sentire e bloccare questa deriva europea, non basta che ci sia il diritto per i singoli paesi a non investire nel nucleare da fissione, ci mancherebbe altro. Occorre impedire alla Commissione di scivolare sul nucleare e a quanto pare anche sugli Ogm.

Occorre che entrino in campo con forza le rappresentanze dei lavoratori. Questo scontro, per ora attutito da tecnicismi velato ha bisogno dei sindacati e dei lavoratori che rappresentano.

In un futuro di scelte ambientali radicali ci sono spazi enormi per la ricerca, per investimenti innovativi, per la crescita di occupazione di qualità, in grado di compensare la caduta in altri settori.

In passato troppe volte gli interessi dei lavoratori sono sembrati in contrasto con l’ambiente e le conseguenze sono state drammatiche per la vita delle popolazioni e per i lavoratori interessati costretti in una ridotta difensiva, a volte perfino corporativa. La ferita dell’Ilva, che non ha salvato né il lavoro né l’ambiente, è ancora aperta, non è risolta e deve essere un impegno prioritario.


Oggi una piattaforma netta può consentire di realizzare una nuova alleanza tra lavoro ed ambiente, in cui le condizioni di vita, la salute siano coerenti con una nuova prospettiva occupazionale. Studi hanno dimostrato che un altro futuro non è solo necessario ma possibile, anzi indispensabile.

Già in passato il mondo del lavoro ha portato avanti obiettivi generali, basta pensare al sistema sanitario nazionale e di welfare. Oggi c’è una nuova fase e una nuova possibilità, per certi versi un obbligo, che è sperabile sia compresa e raccolta per evitare che il nodo degli interessi e delle rendite di posizione che vogliono conservare la situazione esistente prevalga.

Per questo il modo migliore di mettere alla prova le vere intenzioni del nuovo governo è entrare in campo, avanzare proposte, sviluppare iniziative,

Per questo le associazioni (Cdc, Laudato Sii, Nostra) hanno scritto un documento con proposte nette, forse radicali, con l’obiettivo di discuterle, di aiutare la creazione di movimenti e risposte all’altezza della sfida.

Parafrasando, si potrebbe dire che la transizione ecologica è un compito troppo importante per lasciarlo al solo governo, meglio “accompagnarlo” e per maggiore sicurezza meglio prendere le iniziative necessarie.


venerdì 16 aprile 2021

Le tasse e il ritardo della classe politica

dalla pagina https://ilmanifesto.it/le-tasse-e-il-ritardo-della-classe-politica/ 

Mario Draghi © LaPresse


Tra le conseguenze a lungo termine della pandemia, l’aumento del debito pubblico è sicuramente una delle più rilevanti. Come ricordato su questo giornale, ai 132 miliardi di debiti sinora contratti con diversi interventi di «scostamento» se ne dovranno a breve aggiungere altri, e altri ancora saranno necessari nei mesi a venire. Se, come pare, è realistico ipotizzare un fabbisogno di 20 miliardi al mese (ma già in aprile saranno il doppio), a fine 2021 il totale dell’indebitamento causato dal Covid-19 avrà superato i 300 miliardi di euro. Cifre astronomiche, che porteranno l’esposizione finanziaria complessiva del nostro Paese a un passo dalla soglia dei 3.000 miliardi.

Come ripagheremo questo debito – in realtà, i suoi interessi – non è il solo, e forse nemmeno il più rilevante, problema che ci si parerà innanzi quando (quando?) l’emergenza sanitaria in atto sarà finalmente superata. Altrettanto, se non più preoccupante, è l’effetto che ne deriverà per la capacità dello Stato di far fronte alle spese destinate all’attuazione dei diritti costituzionali, a partire, ovviamente, dai diritti sociali. Già oggi, dopo trent’anni di tagli e austerità, scontiamo – nella sanità, nella scuola, nell’assistenza, nella casa, nel lavoro, nei trasporti, nella cultura, ecc. – gli effetti devastanti prodotti dal sottofinanziamento dei diritti. Spaventa immaginare cosa potrà accadere con il condizionamento di un vincolo debitorio ancora superiore.

Nel dramma, una cosa positiva la pandemia sembra, tuttavia, averla prodotta: il recupero – invero, più presso l’opinione pubblica che presso la classe politica – della consapevolezza dell’importanza dei pubblici servizi e del loro adeguato finanziamento. Difficile immaginare, oggi, qualcuno in grado di raccogliere consenso intorno a frasette (non solo) etimologicamente idiote come «la società non esiste», «lo Stato è il problema», «affamiamo la bestia». Ricostruire lo Stato, dotandolo delle risorse umane, strumentali e finanziarie necessarie, sembra oggi politicamente possibile. E anche la domanda solitamente opposta ai fautori di questa prospettiva – «sì ma dove li prendiamo i soldi?» – sembra oggi trovare facile (e ovvia) risposta: presso i più ricchi, là dove le risorse sono state scandalosamente concentrate in questi decenni, come oramai denuncia persino il Fondo monetario internazionale.

Per quanto più timida di quel che sarebbe necessario, la politica fiscale del duo Biden-Yellen, incentrata sulla proposta di aumentare le tasse sulle imprese e sui redditi privati più elevati, potrebbe segnare un cambio di rotta epocale. Soprattutto, l’idea di negoziare a livello internazionale un’imposta minima sui profitti delle multinazionali dimostra – come sostenuto da Emmanuel Saez e Gabriel Zucman (Il trionfo dell’ingiustizia, Einaudi 2020, cap. VI) – che la questione è essenzialmente politica, non economica: chi, in tutti questi anni, ha ripetuto alla nausea «non lo possiamo fare», stava in realtà dicendo «non lo vogliamo fare».

L’opinione pubblica sembra pronta, se è vero che sondaggi recenti – si veda quello promosso da Tax justice Italia e Millionaires for humanity – registrano un amplissimo favore, persino tra gli elettori di destra, per interventi fiscali ispirati a progressività e volti a finanziare politiche di solidarietà. E, in effetti, la stragrande maggioranza dei contribuenti non avrebbe che da guadagnare da una redistribuzione del carico fiscale volto a diminuire le imposte per le classi basse e medie e ad aumentarle per la classe alta. Non c’è menzogna più grande che quella per cui le tasse sono troppo elevate: lo sono per molti, non certo per tutti.

A non essere pronta è la politica italiana, com’è dimostrato dal peso che, su questi temi, continua ad avere l’Istituto Bruno Leoni, pasdaran della flat tax sotto la presidenza di un ex parlamentare del Pds e ancora capace, nonostante i tempi, di trovare ascolto tra i consulenti economici di Mario Draghi (oltre che nel comitato scientifico della scuola di politica di Enrico Letta: come se Forza Italia avesse annoverato tra i docenti della propria scuola di formazione un fautore della collettivizzazione dei mezzi di produzione). C’è dunque davvero da stupirsi se, tra una destra rimasta ancorata alla servile convinzione che ciò che va bene ai ricchi va bene a tutti e un Pd che non ha esitato un istante a soffocare sul nascere gli aneliti di giustizia fiscale sorti al proprio interno, il primo intervento di Draghi in materia tributaria sia andato a favore degli evasori fiscali?


giovedì 15 aprile 2021

Estinzione, è per sempre

dalla pagina https://comune-info.net/estinzione-e-per-sempre/


Il ritmo di distruzione del pianeta con cui viviamo non conosce rallentamento. La distruzione avviene passo dopo passo, ora dopo ora, metro quadro per metro quadro, e anche quando sarebbe possibile contrastarla questa, si devono fare i conti con alterazioni climatiche che riducono ulteriormente le possibilità di invertire la rotta in tempo utile. La filosofa francese Corine Pelluchon dice che i limiti tra Natura e Cultura sono stati superati, e che abbiamo invaso gli spazi della vita selvatica oltre l’immaginabile. Questa interpenetrazione non porterà che nuove malattie o epidemie come quella che stiamo vivendo ora. Pelluchon chiama a un nuovo illuminismo, che definisce ‘nuovo convivialismo’. Dovrebbe permetterci una nuova era di co-abitazione tra pari in modo democratico, basata sulla tutela del pianeta quale pre-condizione della vita insieme. Quanto tempo abbiamo però per questo ‘renouveau culturel’, per invertire la rotta? Altro che ‘Ripartenza’… Può forse il capitano di una nave che ha ormeggiato in una baia di rifugio, dopo una tempesta improvvisa, riaccendere i motori e riprendere il largo se non sa verso dove dirigersi? Quello che dovremmo fare è molto semplice: ritirarci fisicamente, indietreggiare la linea dei nostri eserciti avidi di risorse e lasciare che la Natura riprenda terreno

Photo by Ehimetalor Akhere Unuabona on Unsplash

Questo fine-settimana, mi sono lasciato distrarre dai titoli dei faits divers [fatti vari], sovente inutili ma curiosi, per tirarmi su di morale dopo giorni di letture delle sezioni “ambiente” delle testate del mondo intero.

Le notizie che giungono sono a dir poco allarmanti, o meglio deprimenti, perché non si nota inversione di tendenza. Il ritmo di distruzione del mondo in cui viviamo non conosce rallentamento.

L’unico momento in cui abbiamo sperato in una inversione di tendenza è stato con l’arrivo del  Coronavirus. Ci ha costretti a stare fermi, a non esagerare, a risparmiare, a osservare, e per la prima volta dall’inizio della rivoluzione industriale, le emissioni annuali di CO2 sono diminuite, invece di aumentare, si è visto il cielo sopra Pechino e New Delhi, e ricci e volpi hanno attraversato strade e ferrovie senza essere schiacciati da un’auto in corsa.

Una gravidanza dura dieci mesi lunari prima che un essere umano possa vedere la luce, ma bastano pochi secondi per soffocare la vita dello stesso. La cattedrale gotica di Reims venne costruita in sessantaquattro anni (1211-75), ma bastarono pochi bombardamenti durante il primo conflitto mondiale per sventrarla. Un albero come la quercia, per raggiungere la propria maestosità, ha bisogno di crescere almeno un secolo; bastano però poche ore di lavoro per segarlo alla base.

La natura vivente costruisce sistemi complessi e dinamici, sistemi che trasformano il tempo in organizzazione, che scambiano energia, materia ed informazione, e generano ordine e armonia.

Vi è un principio in natura che è l’entropia, che si rifà al ciclo dell’energia, e che misura il passaggio dallo stato di ordine a quello di disordine, ovvero di trasformazione irreversibile, di dissipazione irreversibile dell’energia in calore. Secondo alcuni fisici, come l’universo ha avuto inizio con un big bang, così è destinato a “morire” dissipando la propria energia in calore. Ebbene, che cosa fa la Natura?

La vita sul pianeta si basa su un continuo processo di rigenerazione dove l’energia viene assorbita e rivalorizzata, pensiamo alla fotosintesi, per renderla sorgente di vita.

Il tempo, in fondo, è una misura del passaggio tra ordine e disordine, dell’avanzamento del processo di dissipazione e di degrado, e la Natura vivente contrasta questo processo, ne rallenta i ritmi, producendo ecosistemi complessi, auto-organizzati, generando un effetto neg-entropico.

Lo stesso sequestro e immagazzinamento dei combustibili fossili quale prodotto della decomposizione di materia organica nel sottosuolo o sul fondo del mare da parte del pianeta ha rappresentato la soluzione che ha permesso di ridurre la CO2 atmosferica, e mantenere la composizione dell’atmosfera compatibile con la vita organica[1]. Il padre di questa lettura ecologica dei principi della termodinamica è stato Ilya Prigogine, seguito da Francisco Varela[2].

Che cosa fa invece l’Uomo? Distruggendo gli ecosistemi e rilasciando sostanze inquinanti nell’ambiente è diventato un produttore netto di entropia a scala planetaria al pari di un cataclisma.


Quando una catastrofe naturale o quando la pressione antropica accelerano i tempi del degrado, la Natura fatica a ritrovare la sua funzione di riorganizzazione e di assorbimento dell’entropia, e il tempo scorre dunque implacabile.

È incredibile come questo principio della distruzione abbia un corrispettivo anche nella storia della civiltà. In fondo, la quercia e la cattedrale di Reims o la vita di una persona sono l’espressione della stessa cosa: di quanto tempo sia richiesto per raggiungere la maturità, la bellezza, la complessità, che stanno insieme. E di come basti poco per distruggere tutto questo.

Questo senso della distruzione è qualcosa difficile da misurare, da catalogare e ancor di più da spiegare. Un pilota che sgancia bombe su un quartiere sa che sta distruggendo la vita e quel complesso reticolato di relazioni umane e spazi sociali che producono bellezza, eppure lo fa.

Un taglialegna che abbatte una foresta secolare ai Tropici sa che sta distruggendo un tesoro di diversità biologica e deturpando i caratteri distintivi della meraviglia che genera, eppure lo fa. Perché? È questo un mistero forse irrisolvibile.

Con l’arrivo dell’emergenza climatica, tutto sembra assumere una finalità ineluttabile, un corso definitivo, superiore alle nostre volontà, legato a un destino trascendente, dove la vita perde pezzi giorno dopo giorno.

Quanto sta avvenendo non è comparabile agli effetti della collisione con un meteorite o di uno sconvolgimento tellurico di grandi proporzioni. La distruzione avviene infatti passo dopo passo, ora dopo ora, metro quadro per metro quadro, e anche quando sarebbe possibile contrastare questa distruzione, si devono fare i conti con alterazioni climatiche che riducono ulteriormente le possibilità di invertire la rotta in tempo utile.

Ecco che la distruzione si manifesta nella scomparsa di specie animali e vegetali, ma anche di culture legate ad esse, e con esse dei saperi e delle arti che tali culture hanno elaborato.

Pensiamo ai nostri fiumi e laghi, alle civiltà legate ad essi, in quanto tutte le grandi antiche culture sono nate lungo dei fiumi, e le città sono state costruite attorno a corsi o sorgenti di acqua dolce.

Anche questo fa parte dei misteri della vita, perché gli ecosistemi di acqua dolce non rappresentano che lo 0,01% della superficie acquea della Terra. Pensiamo a quanto la vita sia legata a qualcosa di infinitamente raro e prezioso! E per avere un’idea della ricchezza biologica di quegli spazi così ridotti, pensiamo che il 51% di tutte le specie di pesci vive in acque dolci.

Tutto questo potrebbe far parte di una bella favola, ma la realtà si sta dimostrando più crudele di qualsiasi racconto, e il segnale di tale crudeltà sta nella scomparsa fisica di questo capitale di ricchezza.


Oggi, ben ottanta specie di pesci di acqua dolce sono già state dichiarate estinte dall’IUCN (International Union for Conservation of Nature) e altre dieci sopravvivono solo in cattività.

Nel 2020, solamente nelle Filippine sono state dichiarate estinte quindici specie di pesci di acqua dolce. Anche paesi avanzati come gli Stati uniti, la Svizzera o Israele registrano estinzioni. In Israele, uno di questi, la Tristamella sacra, era un piccolo pesce della famiglia dei Ciclidi legato ad un luogo che mi è particolarmente caro, il lago di Tiberiade, il luogo della moltiplicazione dei pani e dei pesci da parte di Cristo, ma anche del suo discorso delle Beatitudini[3], una dei massimi momenti di poesia della storia dell’Umanità.

Questo pesce è scomparso con la scomparsa dei margini acquitrinosi dove si riproduceva, dovuta ai massicci prelievi idrici. Ricordo di aver assistito al più rosso dei tramonti che i miei occhi abbiano mai visto, seduto proprio su una rocca della costa nord-orientale di quel lago, quella stessa rocca da dove secondo i Vangeli si buttarono nel lago i porci in cui si erano rifugiati gli spiriti immondi cacciati dal corpo di un indemoniato da Cristo[4].

Dunque, anche i luoghi più sacri non vengono risparmiati dallo spettro dell’estinzione. Forse, quei pesci moltiplicati dal Figlio di Dio erano proprio delle Tristamella Sacra, e la loro scomparsa un ‘segno dei tempi nuovi’. Nuovi e spaventosi.

Per restare nel mondo dei pesci di acqua dolce, un terzo di loro sono a rischio di estinzione. Anche la banale anguilla, che risale i fiumi per raggiungere la maturità e poi cerca il mar dei Sargassi per deporre le uova, è sulla via del declino irreversibile.

Tra il 1980 ed il 2000, vi è stato un calo del reclutamento delle ceche[5] nei fiumi compreso tra il 95 ed il 99% rispetto alla situazione precedente al 1980. L’inquinamento dei fiumi, le barriere (dighe, centrali idroelettriche, ecc.) che impediscono la risalita, e la pesca per l’esportazione o l’allevamento intensivo hanno segnato il loro destino. Ricordo quelle notti passate sul molo del porto sul lago di Garda, con la canna immobile protesa verso l’acqua ed un campanello sulla sua punta, sperando che abboccasse.

E quella volta che abboccò, la mia prima anguilla, ma inesperto me la feci sfuggire tra le mani perché non sapevo quanto fosse straordinariamente scivolosa. Se Anguilla anguilla si riprenderà, non lo sa nessuno, neppure i vecchi pescatori del lago.

È il suo destino di pesce migratore, incapace di restare nello stesso luogo, in un’epoca di nuove frontiere e fili spinati, ad averla condannata a morire. Raggiungerà le acque dolci o salmastre europee solo dopo tre anni di peripezie, alla pari di molti profughi afghani o subsahariani. E come per loro, stiamo forse assistendo anche alle ultime stagioni migratorie per questo animale.

La filosofa francese Corine Pelluchon dice che i limiti tra Natura e Cultura sono stati superati, e che abbiamo invaso gli spazi della vita selvatica oltre l’immaginabile, e questa interpenetrazione non porterà che nuove malattie o epidemie come quella che stiamo vivendo ora.

Il tessuto della vita è fatto di lotte, pericoli, ristrettezze e strategie di sopravvivenza, e il superamento dei limiti espone a tali rischi non solo gli animali, ma anche l’Homo sapiens sapiens.

La filosofa chiama a un nuovo illuminismo, che definisce il ‘nuovo convivialismo’ , che ci permetta di superare questa crisi per una nuova era di co-abitazione tra pari in modo democratico, che si basi sulla tutela del pianeta quale pre-condizione della vita insieme.

Quanto tempo abbiamo però per questo ‘renouveau culturel’? Abbiamo aspettato un secolo e mezzo perché i principi della ‘Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino’ del 1789 fossero riconosciuti dalla comunità delle nazioni nella sua carta fondamentale. Ora, non abbiamo tutti questi decenni per invertire la rotta.

Altro che ‘Ripartenza’… Può forse il capitano di una nave che ha ormeggiato in una baia di rifugio, dopo una tempesta improvvisa, riaccendere i motori e riprendere il largo se non sa verso dove dirigersi?

Avremmo bisogno di un brutale arresto di tutte le azioni distruttive, entropiche, dalle grandi dighe ai pozzi di estrazione petrolifera, dalla moltiplicazione del traffico motorizzato alle nuove città, dalla zootecnia industriale al taglio delle foreste.

Area in Amazon Forest deforested for cattle and remaining forest.

Chi ha il coraggio di dire: “Stop!”? Chi? Nemmeno il neo-ministro italiano della Transizione ecologica è stato capace di questo, e uno dei suoi primi atti è stato di dare il via libera a undici autorizzazioni all’apertura di nuovi pozzi per idrocarburi per terra e per mare.

A chi interessa se abbiamo perso per sempre un centinaio di specie di pesce, e con essi bellezza, diversità genetica e risorse ittiche? Se non mangeremo più il Capitone che ha sempre dato sapore alle nostre Vigilie natalizie? Se non potremo più bagnarci nei nostri fiumi, laddove le nostre nonne avevano strofinato i panni?

Estinzione, è per sempre, e con essa scompaiono i nostri ricordi, le nostre storie, le radici della nostra cultura, dai cibi che consumiamo, al modo in cui abitiamo, alle poesie che recitiamo. Quello che dovremmo fare è molto semplice: ritirarci fisicamente, indietreggiare la linea dei nostri eserciti avidi di risorse e lasciare che la Natura riprenda terreno.

Come ha proposto il biologo E.O. Wilson, secondo il quale l’Umanità dovrebbe cedere il 50% degli spazi alla Natura, in un accordo di pace di portata storica, un vero e proprio trattato che comporti il ritorno di praterie, lagune, coste e foreste alla Natura in cambio della sopravvivenza delle civiltà per come le abbiamo conosciute finora.

Forse, ci dovremo affidare a degli sconosciuti eroi, persone di frontiera, entità visionarie, personaggi originali, che non riescono ad accettare di sottostare a questa accelerazione irreversibile verso l’entropia.

Questi personaggi esistono, ma quanti siano non lo sappiamo con esattezza. Di quanti Noé abbiamo bisogno per evitare l’estinzione di massa delle specie viventi sul pianeta? Di quante arche? Vorrei qui raccontarvi di almeno due di loro.


Uno di loro si chiama laboratorio Avantea, e sta a Cremona. È lì che nel dicembre dell’anno scorso vennero trasferiti 14 ovociti appena prelevati dall’ultimo esemplare femmina vivente di rinoceronte bianco settentrionale.

In quel laboratorio, sono stati portati a maturità e fecondati con lo sperma congelato dell’ultimo maschio, deceduto nel 1980. Questi embrioni, ora conservati a basse temperature, verranno presto impiantati nell’utero di una femmina di rinoceronte bianco meridionale, un’altra sottospecie, sperando che possa partorire dei cuccioli.

Se l’impresa riuscirà, il rinoceronte bianco settentrionale sarà geneticamente salvo, anche se i cuccioli non avranno genitori da cui imparare come si vive nella savana e come si bruca bene l’erba. La ‘conoscenza sociale’ della specie è già andata perduta, ma la specie forse no.

Un altro è un cuoco di Cadice, Ángel Léon, che sta sperimentando la commestibilità dei semi di una pianta marina, la Zostera marina.  Questa pianta, che nel Mediterraneo è presente solo in alcune zone circoscritte, produce dei semi alla sua base che hanno un potere nutritivo altamente superiore a quello del riso, e che, se coltivata, permetterebbe di offrire un prodotto proteico straordinario per l’alimentazione umana senza dover ricorrere al disboscamento, né ai pesticidi, né all’irrigazione, e che ricostituirebbe praterie sommerse che rappresentano l’habitat di molte specie dei bassi fondali. Inoltre, tali praterie marine hanno una capacità di cattura del CO2 trentacinque volte più veloce di quella delle foreste tropicali. L’idea venne al cuoco leggendo di una popolazione indigena del Messico, i Seri, che utilizzavano grani di una pianta marina nella loro alimentazione. È un cerchio magico che potrebbe chiudersi, nel quale gli indigeni e la loro sapienza antica salvano la civiltà moderna dall’autodistruzione.

Cuoco di Cadice, Ángel Léon

Non so se queste buone notizie basteranno a risollevarci il morale, e anche i faits divers, a un certo punto, perdono il loro potere su di noi. La capacità di rettificazione nell’Umanità esiste, e si manifesta in mille buoni esempi, ma non è sufficientemente veloce, non quanto il corrente ritmo di estinzione e distruzione degli ecosistemi.

Potremmo dire: è colpa del Capitalismo, questa selvaggia ideologia del profitto ad ogni costo, del primato dei beni materiali e dei capitali in valuta sulle condizioni di sopravvivenza di uomini ed esseri viventi, e di giustizia sociale.

Questo, però, non è sufficiente. Ogni nostra scelta incide sugli equilibri del sistema, e la somma delle nostre scelte incide sulle politiche dei nostri governi.

Saranno i nostri debiti o crediti verso il pianeta – come consumatori, imprenditori, educatori o politici – a fare la differenza, e per questi si misurerà la nostra responsabilità. Se ce ne sarà il tempo.

Tunisi, 13 aprile 2021.


[1] Il ciclo del carbonio è stato studiato e spiegato in termini moderni da Laura Conti fin dagli anni ’70.

[2] Vi consiglio di leggere La fine delle certezze, di Prigogine, e Autopoiesi e cognizione, di Varela.

[3] Vangelo secondo Matteo, 5, 1-12.

[4] Episodio raccontato nei vangeli di Marco, Luca e Matteo.

[5] Le ceche sono le anguille di piccole dimensioni (60–90 mm), che risalgono, colonizzano le acque interne, dove raggiungeranno lo stadio maturo.