lunedì 30 novembre 2020

Il vaccino ci aiuterà ma non ci libererà dalle pandemie

dalla pagina https://ilmanifesto.it/il-vaccino-ci-aiutera-ma-non-ci-liberera-dalle-pandemie/

Covid-19. L’argomento più dibattuto è quello dei rischi e al momento non possiamo avere dati certi: i numeri sono piccoli, e gli effetti più temuti arrivano a lungo termine. La pandemia non è un “incidente biologico” da curare con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia, cronica e rapidamente progressiva, dell’intera biosfera

Non sembrano essere in molti, in questi giorni, a rendersi conto che l’Italia è tornata, come nel marzo scorso, il paese in cui la pandemia miete più vittime. Eppure i dati epidemiologici sono eloquenti: per numero dei contagi abbiamo raggiunto l’ottavo posto, ma l’indice di letalità è secondo solo a Messico e Iran e in linea con Gran Bretagna e Perù. Persino Stati Uniti e Brasile sembrano star meglio di noi. Se poi guardiamo al numero dei decessi giornalieri, siamo tornati in cima alla lista e il presidente dei medici del Fnomceo ha denunciato la morte di altri 27 medici in 10 giorni, e parlato di «strage degli innocenti».

Eppure, nel nostro paese si fa a gara nell’interpretare ottimisticamente i primi rallentamenti della curva dei contagi; ci si schiera in modo sempre più critico nei confronti delle strategie di contenimento decise dal governo; si cerca di convincere tutti che la svolta è dietro l’angolo, grazie a vaccini dichiarati in tempi record efficaci e sicuri, mediante comunicati stampa, dalle stesse multinazionali che li producono; si attacca chi si permette di avanzare dubbi non sull’importanza dei vaccini, ma sulle modalità della comunicazione e sull’eccessiva fretta con cui si è proceduto, per la prima volta nella storia, nel percorso di sperimentazione. Eppure, sono le principali testate scientifiche del mondo e in particolare The Lancet a sottolineare come sia legittimo sperare nei risultati così trionfalmente annunciati, ma che alcuni nodi dovrebbero essere sciolti prima di gridar vittoria.

Non è ancora certo, infatti, se questi vaccini impediscano la trasmissione del virus o si limitino a proteggere da forme gravi i vaccinati: un risultato importante, che però non faciliterebbe il raggiungimento dell’«immunità di gregge». Non sappiamo quanto duri l’immunità conferita da questo virus: quello che sappiamo deriva dalle nostre conoscenze su Sars e Mers e da studi che dimostrano la presenza di anticorpi neutralizzanti nei guariti.

Ed è evidente che se l’immunità indotta dal «virus da strada» non è particolarmente robusta, né duratura, difficilmente un vaccino composto da frammenti del genoma o da proteine antigeniche virali farà meglio. Poi ci sono i casi di reinfezione che sembrerebbero attestare limiti nell’immunitaria adattativa e l’incerta efficacia negli anziani, i soggetti più a rischio.

Alcuni sottolineano che la pandemia è ancora in fase iniziale e che il virus continuerà a mutare per adattarsi alla nostra specie e difendersi dal nostro sistema immunocompetente, come accade a tutti i virus a Rna emersi da poco dal loro serbatoio animale: per cui è in teoria possibile che un vaccino oggi efficace, lo sia meno tra sei mesi o un anno.

Ci sono poi i problemi di disponibilità dei vaccini a livello planetario e di accesso equo e le enormi sfide logistiche di produzione e distribuzione. Movimenti internazionali come Gavi, legata a un personaggio discusso come Bill Gates, propongono strategie per una distribuzione equa, ma fin qui sono stati i paesi ad alto reddito ad accaparrarsi centinaia di milioni di dosi.

Anche gli sviluppi a lungo termine della pandemia sono imprevedibili. Non sappiamo se Sars-CoV-2 tenderà a diventare endemico, se avremo epidemie stagionali o ri-emergenze a lungo termine di sue varianti ed è impossibile prevedere quale vaccino garantisca i risultati migliori nelle diverse situazioni.

E se il vaccino prescelto non si rivelasse efficace, le conseguenze sarebbero gravissime: sia perché i vaccinati, credendosi protetti, abbasserebbero la guardia; sia perché la fiducia di molti nelle vaccinazioni potrebbe diminuire e si rafforzerebbe il circuito NoVax.
Ma l’argomento più dibattuto è quello dei rischi e al momento non possiamo avere dati certi: sia perché i numeri sono piccoli, sia perché gli effetti più temuti emergono nel lungo termine.

In particolare le apprensioni concernenti il possibile inserimento dell’Rna virale nel genoma umano non possono essere facilmente smentite. In ultima analisi accettare l’accelerazione delle procedure implica la fiducia negli enti di regolazione: per questo si sarebbe dovuto attendere le valutazioni, anziché assecondare i proclami delle multinazionali.

Comunque sia, una cosa è certa: puntare sul vaccino come unica arma risolutiva è pericoloso. Perché la pandemia non è un «incidente biologico», che senza preavviso ha colpito l’umanità e che può essere affrontato con farmaci e vaccini, ma il sintomo di una malattia cronica e rapidamente progressiva, che riguarda l’intera biosfera. Un dramma epocale inutilmente annunciato e che tenderà a prolungarsi e a ripetersi se non cambieranno le condizioni ambientali e sociali che lo hanno determinato.

È importante ricordare, infatti, che da almeno 18 anni a questa parte (Sars), ma potremmo anche dire dalla fine del secolo scorso, dalla morte di un bimbo a Hong-Kong (1997) per una polmonite da virus aviario (H5N1) le principali agenzie sanitarie internazionali emettono drammatici bollettini sull’imminenza di un evento pandemico potenzialmente catastrofico.

Il principale errore di chi punta esclusivamente su un’ancora aleatoria vaccinoprofilassi di massa consiste nel dimenticare che le pandemie sono drammi socio-sanitari ed economico-finanziari di enormi dimensioni che non potremo evitare senza ridurne le vere cause: deforestazioni, bio-invasioni, cambiamenti climatici e dissesti sociali (a partire dalle immense megalopoli del Sud del mondo).

E soprattutto se alle strategie di contenimento del virus e di riduzione delle catene dei contagi (lockdown) non seguirà una trasformazione radicale dei sistemi sanitari occidentali: perché è evidente che i paesi asiatici e socialisti (Cuba) nei quali la medicina territoriale è ben organizzata, hanno fermato in poche settimane la pandemia, al contrario dei paesi in cui il neoliberismo ha trasformato anche la medicina in un immenso Mercato.

* Membro del Comitato scientifico di ECERI (European Cancer and Environment Research Institute) – Bruxelles


domenica 29 novembre 2020

I Domenica di Avvento


Donatella Mottin: La Parola verso il Natale

Brevi riflessioni sui Vangeli dell'Avvento

Un Avvento e un Natale diversi da tutti quest’anno. Un tempo che rischia di venire travolto dagli umanissimi sentimenti di queste giornate: precarietà, paura, dolore; ma anche la possibilità di ascoltare, dare aiuto, conforto pur in una distanza fisica che deve rimanere tale solo per la responsabilità nei confronti della salute degli altri/e. In queste situazioni e in questi quotidiani siamo chiamate/i a riflettere sulla Parola di queste domeniche, custodendola nel cuore.

I domenica – Marco 13,33-37
Fa un certo effetto iniziare il tempo di Avvento con un brano di tipo apocalittico, che parla sì di attesa, ma di quelli che potrebbero essere definiti come i tempi ‘ultimi’. Ma forse proprio per questo, così pregnante di significato nel nostro tempo di pandemia. L’esortazione è a non farci trovare ‘addormentati’. Chiudere gli occhi, desiderare di non vedere è oggi una tentazione molto forte: dormire come ricerca di un rifugio, dove smettere di pensare, di soffrire. Staccarsi, prendere le distanze, dal condividere con gli altri la paura e l’impotenza. L’invito a stare svegli, a vigilare, è per la sera, la notte l’inizio del giorno e la durata del mattino: non si tratta di rinunciare al giusto riposo, ma di non lasciare fuori la vita, anzi, immergersi in essa, attenti a ciò che accade intorno a noi. Non possiamo rischiare di fare come i discepoli nell’orto degli ulivi che, addormentandosi, hanno lasciato Gesù a soffrire da solo.

II domenica – Marco 1,1-8
Giovanni battezzava nel deserto che per gli ebrei era spazio di tentazione, di fatica, di scelte, ma anche luogo privilegiato dell’incontro con Dio, come era stato durante l’esperienza fondante dell’Esodo. Non battezzava nelle città, né a Gerusalemme, la città santa, tanto meno nel tempio. Chi voleva convertirsi, cambiare la direzione della sua vita, doveva ‘uscire’ abbandonare le proprie sicurezze e mettersi in ascolto del grido che saliva da un luogo di così grande difficoltà e solitudine. Anche oggi, se davvero vogliamo convertire la nostra vita, dobbiamo metterci in ascolto di tutte quelle grida che salgono a noi da realtà di sofferenza, di dolore, di paura. Forse dobbiamo uscire e ‘fare’ deserto, perché non è facile sentire le grida di chi è nel bisogno. A volte i rumori delle città coprono chi non ha nemmeno più la forza o la volontà di gridare. Allora dobbiamo preparare vie, avere visioni, condividerle con altre/i, riscoprire il desiderio dell’attesa non di qualcosa, ma di Qualcuno.

III domenica – Giovanni 1,6-8. 19-28
Il brano del vangelo della terza domenica è molto complesso, con vari temi cari all’evangelista Giovanni quali la testimonianza, la luce, l’identità di Gesù… che andrebbero approfonditi uno per uno. Mi soffermo solo su una delle risposte che il Battista rivolge ai farisei che erano andati a chiedergli chi fosse (intendendo quale fosse la sua autorità, il suo potere per fare ciò che faceva). Egli risponde: "Io sono voce…”. Per essere testimoni di Gesù è necessario diventare voce, prendere la parola, non esitare a parlare. Mi pare sia qualcosa che interpella in particolare le donne: a loro è stato spesso vietato di parlare, ma hanno usato la voce per difendere, sostenere, consolare. A loro è adesso richiesto di trovare voce per insegnare, per discutere e confrontare. Come il Battista non siamo Cristo, né Elia, né il profeta atteso… non possiamo nemmeno battezzare… ma nessuno può toglierci la possibilità e il potere di essere voce, voce che grida nei vari deserti, che Dio è già in mezzo a noi, nelle nostre vite.

IV domenica – Luca 1,26-38
L’angelo che annuncia il concepimento di Giovanni, si reca al tempio, da un sacerdote, Zaccaria, mentre stava svolgendo le sue funzioni rituali: il luogo adatto per un angelo potremmo pensare. L’angelo Gabriele invece inaugura un tempo nuovo: va in periferia, nell’impura Galilea delle genti, cerca una donna ed entra in casa sua. Non in un luogo sacro, ma nell’ordinaria sacralità di ogni vita umana. Si rivolge a Maria invitandola alla gioia, "il Signore è con te” le dice, ancor prima della scelta di Maria. Il Signore è con ciascuna e ciascuno di noi sempre e comunque, qualsiasi siano i nostri pensieri e le nostre azioni, qualsiasi sia la nostra vita.
Solo dopo questa affermazione l’angelo annuncia a Maria il progetto di Dio su di lei; al giusto, umano, bisogno di comprendere di Maria, l’angelo rafforza quanto detto all’inizio: tutto sarà possibile perché "il Signore ti coprirà con la sua ombra”. Non eliminerà gli ostacoli, le difficoltà, le sofferenze; non indicherà la strada, non eviterà di compiere errori, ma accompagnerà seguendo i passi: una nuvola per dare ristoro e protezione. È una promessa. Per questo le ultime parole non sono dell’angelo, ma di Maria: "Avvenga in me, questo progetto di Dio”.

NATALE – Vangelo della notte  Luca 2,1-14. 15-20
Ritroviamo gli angeli nel vangelo della notte di Natale. C’è un contrasto stridente nel racconto di Luca: da una parte il massimo del potere oppressivo, il censimento, il poter contare gli oppressi per averne il controllo totale; dall’altra il minimo del valore sociale: un gruppo di pastori che per il loro lavoro non potevano rispettare tutti i precetti della Legge. Sono fuori di notte, non dormono, vegliano con attenzione ciò che permette la loro esistenza: il gregge. A loro si rivolge l’angelo, sollecitandoli di non temere e a vivere la gioia: il Salvatore è nato per loro, per gli ultimi.
Dopo l’annuncio i pastori si confrontano tra loro e insieme vanno a vedere la Parola incarnata. Dopo aver udito gli angeli e aver visto Gesù, i pastori riferiscono ad altri l’annuncio: da ultimi ad angeli per chi li ascolterà. D’altra parte anche Gesù, una volta adulto, si presenterà come pastore disposto a lasciare il gregge anche per un’unica pecora che si è perduta.

Che sia un Natale buono,

Donatella Mottin
direttrice CDS Presenza Donna

sabato 28 novembre 2020

Moratoria su spese per nuove armi nel 2021: 6 miliardi da destinare a Sanità e Istruzione

dalla pagina Moratoria su spese per nuove armi nel 2021: 6 miliardi da destinare a Sanità e Istruzione - Rete Italiana Pace e Disarmo (retepacedisarmo.org)


Secondo i dettagli della Legge di Bilancio attualmente in discussione in Parlamento nel 2021 l’Italia spenderà oltre 6 miliardi di euro per acquisire nuovi sistemi d’armamento: cacciabombardieri, fregate e cacciatorpedinieri, carri armati e blindo, missili e sommergibili. Una cifra complessiva che è in forte aumento rispetto agli ultimi anni, e che deriva dalla somma di fondi diretti del Ministero della Difesa e di quelli messi a disposizione dal Ministero per lo Sviluppo Economico.

Per la Campagna Sbilanciamoci! e la Rete Italiana Pace e Disarmo si tratta di una scelta inaccettabile. “Mentre siamo impegnati a trovare risorse per la Sanità e l’Istruzione pubblica ci troviamo a sprecare 6 miliardi di euro per prepararci alla guerra – sottolinea Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! – ma la sfida realmente importante oggi è un’altra: quella alla pandemia, quella affrontata quotidianamente negli ospedali che non hanno abbastanza posti di terapia intensiva o medici ed infermieri a sufficienza. Quella per un’istruzione di qualità per tutti, mentre invece più di 10.000 scuole hanno strutture che cadono a pezzi e non rispettano le normative di sicurezza”.

Le due organizzazioni della società civile italiana sottolineano ancora una volta, come già fatto durante la prima fase della pandemia, che negli ultimi anni le spese militari sono andate aumentando mentre la Sanità pubblica è stata definanziata e le risorse per l’Istruzione pubblica sono ad un livello più basso della media europea.

Purtroppo questa tendenza sembra essere confermata anche per il 2021, se il Parlamento non deciderà di modificare la proposta di budget avanzata dal Governo.

Nel 2021 il solo bilancio del Ministero della Difesa prevederebbe infatti al momento un aumento di 1,6 miliardi (quasi tutti per spese investimento) arrivando ad un totale di 24,5 miliardi di euro. Se non è poi facile valutare con precisione la spesa complessiva di natura prettamente militare (ai fondi della Difesa vanno aggiunti quelli di altri dicasteri mentre vanno sottratte le funzioni non militari) è invece più semplice delineare il quadro delle risorse destinate all’acquisto di nuove armi: analizzando i capitoli specificamente legati all’investimento troviamo poco oltre i 4 miliardi di euro allocati sul Bilancio del Ministero della Difesa e circa 2,8 miliardi in quello del Ministero per lo Sviluppo Economico, a cui vanno aggiunti i 185 milioni per interessi sui mutui accesi dallo Stato per conferire in anticipo alle aziende le cifre stanziate per specifici progetti d’arma pluriennale. Ciò porterebbe dunque ad un totale di ben 6,9 miliardi che probabilmente è una sovrastima (nei Documenti Pluriennali di programmazione il Ministero della Difesa esplicita la cifra di 5,9 miliardi) ma che ci consente di confermare la nostra valutazione di 6 miliardi spesi nel 2021 per nuove armi. Risorse che peraltro vengono decise e destinate in un quadro di opacità e mancanza di trasparenza: nei documenti del DDL di Bilancio non vengono infatti fornite informazioni di dettaglio sui sistemi d’arma acquisiti, esplicitate dalla Difesa solo a mesi di distanza. Si chiede dunque ai Parlamentari di votare al buio.

Per questo Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo avanzano a tutte le forze politiche la proposta di una moratoria per il 2021 su tutte le spese di investimento in armamenti: 6 miliardi da destinare alla Sanità e all’Istruzione in un momento di emergenza ed estrema necessità come quello che stiamo vivendo. E’ questa la scelta di cura di cui oggi ha bisogno realmente l’Italia, e di cui hanno bisogno soprattutto i cittadini che stanno drammaticamente soffrendo questa crisi. Da oggi dunque parte una nuova mobilitazione, con iniziative online e materiali informativi, che punterà a far crescere la pressione dell’opinione pubblica sulle forze politiche.

“L’analisi che abbiamo potuto realizzare preoccupa e pone ancora una volta il quesito sulle priorità della spesa pubblica nel nostro Paese – evidenzia Sergio Bassoli a nome della Rete Italiana Pace e Disarmo – Mai come in questo momento tutti siamo chiamati a fare sacrifici ed agire in modo responsabile e solidale per contrastare il contagio ed uscire al più presto dalla pandemia con meno danni umani, sociali ed economici possibili e consapevoli che il debito pubblico peserà come un macigno negli anni a venire. La moratoria di un anno per sospendere l’acquisto di nuovi sistemi di arma è un atto dovuto all’Italia, a chi lotta quotidianamente per salvare le vite, a chi ha perso il reddito e forse domani il lavoro, a chi è costretto a chiudere la propria attività. Ogni euro speso deve rispondere alla coscienza del Paese. Chiediamo al Governo e al Parlamento di essere anche loro pienamente responsabili e sospendere queste spese oggi insostenibili”.

Cosa ci difende meglio oggi dalla pandemia? Un nuovo cacciabombardiere o 500 posti di terapia intensiva in più e 5mila infermieri e dottori che potrebbero essere assunti per tre anni con gli stessi soldi? Per noi è chiaro: più Sanità ed Istruzione, meno armamenti!


giovedì 26 novembre 2020

Messaggio alle comunità cristiane in tempo di pandemia

dalla pagina https://www.chiesacattolica.it/alle-comunita-cristiane-in-tempo-di-pandemia/

«Siate lieti nella speranza,

costanti nella tribolazione,

perseveranti nella preghiera».

(Rm 12,12)

Fratelli e sorelle,

Vorremmo accostarci a ciascuno di voi e rivolgervi con grande affetto una parola di speranza e di consolazione in questo tempo che rattrista i cuori. Viviamo una fase complessa della storia mondiale, che può anche essere letta come una rottura rispetto al passato, per avere un disegno nuovo, più umano, sul futuro. «Perché peggio di questa crisi, c’è solo il dramma di sprecarla, chiudendoci in noi stessi» (Papa Francesco, Omelia nella Solennità di Pentecoste, 31 maggio 2020).

Ai componenti della Comunità cristiana cattolica, alle sorelle e ai fratelli credenti di altre Confessioni cristiane e di tutte le religioni, alle donne e agli uomini tutti di buona volontà, con Paolo ripetiamo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12).

Inviamo questo messaggio mentre ci troviamo nel pieno della nuova ondata planetaria di contagi da Covid-19, dopo quella della scorsa primavera. L’Italia, insieme a molti altri Paesi, sta affrontando grandi limitazioni nella vita ordinaria della popolazione e sperimentando effetti preoccupanti a livello personale, sociale, economico e finanziario. Le Chiese in Italia stanno dando il loro contributo per il bene dei territori, collaborando con tutte le Istituzioni, nella convinzione che l’emergenza richieda senso di responsabilità e di unità: confortati dal magistero di Papa Francesco, siamo certi che per il bene comune occorra continuare in questa linea di dialogo costante e serio.

  1. Non possiamo nascondere di trovarci in un tempo di tribolazione. Dietro i numeri apparentemente anonimi e freddi dei contagi e dei decessi vi sono persone, con i loro volti feriti e gli animi sfigurati, bisognose di un calore umano che non può venire meno. La situazione che si protrae da mesi crea smarrimento, ansia, dubbi e, in alcuni casi, disperazione. Un pensiero speciale, di vicinanza e sostegno, va in particolare a chi si occupa della salute pubblica, al mondo del lavoro e a quello della scuola che attraversano una fase delicata e complessa: da qui passa buona parte delle prospettive presenti e future del Paese. «Diventa attuale la necessità impellente dell’umanesimo, che fa appello ai diversi saperi, anche quello economico, per una visione più integrale e integrante» (Laudato si’, n. 141).

Anche in questo momento la Parola di Dio ci chiama a reagire rimanendo saldi nella fede, fissando lo sguardo su Cristo (cfr. Eb 12,2) per non lasciarci influenzare o, persino, deprimere dagli eventi. Se anche non è possibile muoversi spediti, perché la corrente contraria è troppo impetuosa, impariamo a reagire con la virtù della fortezza: fondati sulla Parola (cfr. Mt 13,21), abbracciati al Signore roccia, scudo e baluardo (cfr. Sal 18,2), testimoni di una fede operosa nella carità (cfr. Gal 5,6), con il pensiero rivolto alle cose del cielo (cfr. Gal 3,2), certi della risurrezione (cfr. 1Ts 4; 1Cor 15). Dinanzi al crollo psicologico ed emotivo di coloro che erano già più fragili, durante questa pandemia, si sono create delle “inequità”, per le quali chiedere perdono a Dio e agli esseri umani. Dobbiamo, singolarmente e insieme, farcene carico perché nessuno si senta isolato!

  1. Questo tempo difficile, che porta i segni profondi delle ferite ma anche delle guarigioni, vorremmo che fosse soprattutto un tempo di preghiera. A volte potrà avere i connotati dello sfogo: «Fino a quando, Signore…?» (Sal 13). Altre volte d’invocazione della misericordia: «Pietà di me, Signore, sono sfinito, guariscimi, Signore, tremano le mie ossa» (Sal, 6,3). A volte prenderà la via della richiesta per noi stessi, per i nostri cari, per le persone a noi affidate, per quanti sono più esposti e vulnerabili: «Proteggimi, o Dio: in te mi rifugio» (Sal 16,1). Altre volte, davanti al mistero della morte che tocca tanti fratelli e tante sorelle e i loro familiari, diventerà una professione di fede: «Tu sei la risurrezione e la vita. Chi crede in te, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in te, non morirà in eterno» (Gv 11,25-26). Altre, ancora, ritroverà la confidenza di sempre: «Signore, mia forza e mia difesa, mio rifugio nel giorno della tribolazione» (Ger 16,19).

Le diverse e, talvolta, sofferte condizioni di molte famiglie saranno al centro delle preghiere individuali e comunitarie: questo “tempo sospeso” rischia, infatti, di alimentare fatiche e angosce, specialmente quando si acuiscono le tensioni tra i coniugi, per i problemi relazionali con i figli, per la mancanza di lavoro, per il buio che si prospetta per il futuro. Sappiamo che il bene della società passa anzitutto attraverso la serenità delle famiglie: auspichiamo, perciò, che le autorità civili le sostengano, con grande senso di responsabilità ed efficaci misure di vicinanza, e che le comunità cristiane sappiano riconoscerle come vere Chiese domestiche, esprimendo attenzione, sostegno, rispetto e solidarietà.

Anche le liturgie e gli incontri comunitari sono soggetti a una cura particolare e alla prudenza. Questo, però, non deve scoraggiarci: in questi mesi è apparso chiaro come sia possibile celebrare nelle comunità in condizioni di sicurezza, nella piena osservanza delle norme. Le ristrettezze possono divenire un’opportunità per accrescere e qualificare i momenti di preghiera nella Chiesa domestica; per riscoprire la bellezza e la profondità dei legami di sangue trasfigurati in legami spirituali. Sarà opportuno favorire alcune forme di raccoglimento, preparando anche strumenti che aiutino a pregare in casa.

  1. La crisi sanitaria mondiale evidenzia nettamente che il nostro pianeta ospita un’unica grande famiglia, come ci ricorda Papa Francesco nella recente Enciclica Fratelli tutti: «Una tragedia globale come la pandemia del Covid-19 ha effettivamente suscitato per un certo tempo la consapevolezza di essere una comunità mondiale che naviga sulla stessa barca, dove il male di uno va a danno di tutti. Ci siamo ricordati che nessuno si salva da solo, che ci si può salvare unicamente insieme» (n. 32). Occorre, quindi, rifiutare la logica del “si salvi chi può”, perché, come afferma ancora Papa Francesco, «il “si salvi chi può” si tradurrà rapidamente nel “tutti contro tutti”, e questo sarà peggio di una pandemia» (n. 36). In tale contesto i cristiani portano anzitutto il contributo della fraternità e dell’amore appresi alla scuola del Maestro di Nazareth, morto e risorto.

Tutto questo sta avvenendo nelle nostre comunità. Se i segni di morte balzano agli occhi e s’impongono attraverso i mezzi d’informazione, i segni di risurrezione sono spesso nascosti, ma reali ancor più di prima. Chi ha occhi per vedere può raccontare, infatti, d’innumerevoli gesti di dedizione e generosità, di solidarietà e amore, da parte di credenti e non credenti: essi sono, comunque, “frutto dello Spirito” (cfr. Gal 5,22). Vi riconosciamo i segni della risurrezione di Cristo, sui quali si fonda la nostra fiducia nel futuro. Al centro della nostra fede c’è la Pasqua, cioè l’esperienza che la sofferenza e la morte non sono l’ultima parola, ma sono trasfigurate dalla risurrezione di Gesù. Ecco perché riteniamo che questo sia un tempo di speranza. Non possiamo ritirarci e aspettare tempi migliori, ma continuiamo a testimoniare la risurrezione, camminando con la vita nuova che ci viene proprio dalla speranza cristiana. Un invito, questo, che rivolgiamo in modo particolare agli operatori della comunicazione: tutti insieme impegniamoci a dare ragione della speranza che è in noi (cfr. 1Pt 3,15-16).

  1. Le comunità, le diocesi, le parrocchie, gli istituti di vita consacrata, le associazioni e i movimenti, i singoli fedeli stanno dando prova di un eccezionale risveglio di creatività. Insieme a molte fatiche pastorali, sono emerse nuove forme di annuncio anche attraverso il mondo digitale, prassi adatte al tempo della crisi e non solo, azioni caritative e assistenziali più rispondenti alle povertà di ogni tipo: materiali, affettive, psicologiche, morali e spirituali. I presbiteri, i diaconi, i catechisti, i religiosi e le religiose, gli operatori pastorali e della carità stanno impegnando le migliori energie nella cura delle persone più fragili ed esposte: gli anziani e gli ammalati, spesso prime vittime della pandemia; le famiglie provate dall’isolamento forzato, da disoccupazione e indigenza; i bambini e i ragazzi disabili e svantaggiati, impossibilitati a partecipare alla vita scolastica e sociale; gli adolescenti, frastornati e confusi da un clima che può rallentare la definizione di un equilibrio psico-affettivo mentre sono ancora alla ricerca della loro identità. Ci sembra di intravedere, nonostante le immani difficoltà che ci troviamo ad affrontare, la dimostrazione che stiamo vivendo un tempo di possibile rinascita sociale.

È questo il migliore cattolicesimo italiano, radicato nella fede biblica e proiettato verso le periferie esistenziali, che certo non mancherà di chinarsi verso chi è nel bisogno, in unione con uomini e donne che vivono la solidarietà e la dedizione agli altri qualunque sia la loro appartenenza religiosa. A ogni cristiano chiediamo un rinnovato impegno a favore della società lì dove è chiamato a operare, attraverso il proprio lavoro e le proprie responsabilità, e di non trascurare piccoli ma significativi gesti di amore, perché dalla carità passa la prima e vera testimonianza del Vangelo. È sulla concreta carità verso chi è affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato che tutti infatti verremo giudicati, come ci ricorda il Vangelo (cfr. Mt 25, 31-46).

Ecco il senso dell’invito di Paolo: «Siate lieti nella speranza, costanti nella tribolazione, perseveranti nella preghiera» (Rm 12,12). Questo è il contributo dei cattolici per la nostra società ferita ma desiderosa di rinascere. Per noi conta testimoniare che l’unico tesoro che non è destinato a perire e che va comunicato alle generazioni future è l’amore, che deriva dalla fede nel Risorto.

Noi crediamo che questo amore venga dall’alto e attiri in una fraternità universale ogni donna e ogni uomo di buona volontà.

Il Consiglio Permanente

della Conferenza Episcopale Italiana

Roma, 22 novembre 2020

Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’Universo

mercoledì 25 novembre 2020

La violenza di genere ti riguarda?

dalla pagina Samarcanda Cooperativa sociale onlus | Facebook

25 novembre
Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne


Una donna su tre, ha subìto violenza almeno una volta nella sua vita.

Il lockdown e la pandemia hanno peggiorato la situazione sia per l'isolamento sia per l'acuirsi di nuove forme di violenza come quella digitale.

La violenza contro le donne è un fenomeno strutturale che ci riguarda tutti e tutte, perché solo assieme è possibile costruire una società paritaria e rispettosa.

Lo Sportello Donna di Malo propone una riflessione con questo video e ricorda che è a disposizione delle donne che cercano aiuto, supporto, in un luogo dove essere accolte e ascoltate.

venerdì 20 novembre 2020

"Economy of Francesco": da Assisi in collegamento con i giovani del mondo

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/vaticano/news/2020-11/economy-of-francesco-giovani-economia-assisi-convegno-poveri.html 

Ha preso il via nel pomeriggio, dalla Basilica di San Francesco ad Assisi, l'evento che coinvolge oltre 2000 imprenditori e studenti di economia under 35 di tutti i continenti. Gli interventi del vescovo della città umbra, del cardinale Turkson e le proposte dei giovani: la rivoluzione di san Francesco, fonte di ispirazione per realizzare un nuovo sistema economico nel nostro tempo

Adriana Masotti - Città del Vaticano

Benvenuti ad Assisi! E’ il saluto che dà inizio a “Economy of Francesco” l’evento voluto dal Papa e a lungo atteso a causa del Covid-19. E’ una ragazza a rivolgerlo ai giovani presenti nella cappella della Basilica di San Francesco di Assisi e ai circa 2000 collegati da oltre 40 Paesi, tra cui Italia, Argentina, Brasile, Costa d'Avorio, Corea, Portogallo, Camerun, Polonia, Colombia, Nigeria, Brasile, Spagna, Svizzera, India, Cile, Belgio, Irlanda, Sud-Africa, Botswana, Cuba, Messico, Filippine, Uganda e Pakistan. Altri due giovani fanno da presentatori di un pomeriggio che si presenta ricco di spunti di riflessione, proposte, canzoni, video con testimonianze e descrizione di progetti che si susseguono a ritmo incalzante. Da subito si era detto che questo non sarebbe stato un convegno tradizionale, con i giovani seduti ad ascoltare esperti e professori di economia, ma che loro sarebbero stati gli assoluti protagonisti. 

Ascoltare il grido dei poveri

Ripercorrendo il percorso di Economy of Francesco, iniziato dalla lettera del Papa ai giovani del maggio 2019, si osserva come il mondo oggi più che mai attende una nuova economia. 12 i villaggi tematici che hanno lavorato nei mesi scorsi per la preparazione.
Un video che si intitola: “Ascoltate il grido dei più poveri per trasformare la terra”, realizzato dal movimento ATD Quarto Mondo, invia subito a tutti un messaggio da parte dei giovani che vivono nella povertà, che si accontentano di un'alimentazione inadeguata. Molti ragazzi non vanno a scuola per fare piccoli lavoretti per vivere o lavori pesanti e pericolosi. Tanti di noi siamo esclusi, non abbiamo gli strumenti che altri hanno, affermano, soffriamo spesso di discriminazioni nella vita sociale. I volontari di ATD rilanciano: bisogna mettere l'uomo al centro dell'economia. Dovunque, dicono, la pandemia rende più fragili le persone, ma i poveri sono le sue prime vittime, il Covid ha messo in luce le diseguaglianze, afferma una volontaria di ATD e conclude, le persone che vivono nella miseria ci aspettano per far parte di un mondo migliore.

Il denaro, solo uno strumento

Nella Basilica è presente il vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino. Dà il benvenuto ai giovani nella città di san Francesco e dice che 800 anni prima, l’allora vescovo Guido, aveva dato lo stesso benvenuto al Santo chiamato ‘a giudizio’ al cui centro c'era proprio il denaro. Francesco lo considerava strumento per il bene di tutti e soprattutto degli ultimi. Con la sua nudità, dice monsignor Sorrentino, egli scrive il manifesto di una nuova economia. Quell’episodio rappresenta l’incontro tra l'istituzione e il carisma, entrambi, in ascolto dello Spirito Santo, che introduceva una nuova storia.

Turkson: san Francesco economista ante litteram

“Avete deciso di dare il via ad una rete globale di giovani che dare il via al cambiamento – sottolinea il cardinale Peter Turkson, prefetto del Dicastero per la Promozione dello Sviluppo Umano Integrale, in collegamento da Roma - . Avete decido di aiutare il Papa, la Chiesa e il mondo per realizzare un'economia inclusiva ed equa, al servizio di tutti, un'economia sociale che investa nelle persone, garantendo formazione e lavoro dignitoso”. Non per caso siamo qui, prosegue Turkson, perché san Francesco è ispirazione di pace e di amore sociale. E ricorda che scopo delle aziende è creare una comunità di persone, che lavorano puntando ad un solo obiettivo, è importante allora che tutti possano far fruttare i propri talenti, tutti devono essere riconosciuti protagonisti. Non è il mercato che può guarire l'economia, fa notare il cardinale, per questo è importante che l'ispirazione venga dalla gente, che non è semplice forza lavoro. “Voi potete mettere in campo un nuovo amore sociale in questo tempo – conclude - promuovendo la fede in una nuova economia.

Il protagonismo dei giovani

Questi giorni saranno un viaggio da Assisi al mondo e dal mondo ad Assisi annunciano i tre giovani conduttori dalla Basilica introducendo i vari collegamenti con diverse nazioni del mondo, dove gruppi di giovani si sono dati appuntamento per seguire l’evento. L'abbraccio di Assisi a tutti i partecipanti arriva invece attraverso il sindaco della città, Stefania Proietti. Il Papa vi ha chiesto di mettere al centro dell’economia la vita e il creato, e non il profitto, dice Proietti, e quale città poteva essere più adatta. Voi potete essere il motore del nuovo sviluppo. Troppo spesso i giovani sono relegati in un angolo, fa notare, quanto dovete lottare, ad esempio, per richiamare l’attenzione degli adulti sulla questione del clima. Potete rompere l'equilibrio delle diseguaglianze globali, afferma ancora e osserva come la pandemia abbia mostrato come tutto sia collegato, la diffusione del virus e la situazione ambientale, ad esempio. Una reazione a catena è ciò che auspica il sindaco a partire da questi giorni. 

Pensare al bene di tutti

Francesca Di Maolo, presidente dell’Istituto Serafico di Assisi che si occupa di ragazzi con disabilità, porta ai giovani la realtà degli ultimi. “Noi dobbiamo gestire tante diseguaglianze e vorremmo entrare nel vostro cuore: non può esserci un nuovo sistema economico se non ci occupiamo dei più deboli, se non mettiamo in atto gesti di cura e di solidarietà”. In collegamento, l’economista Stefano Zamagni afferma che il Papa ha sottolineato l'urgenza per i giovani di essere l'anima dell'economia di domani, fondata sulla cura e sulla fratellanza universale. Non basta il profitto, visto oggi come valore centrale, occorre considerare, dice Zamagni, il benessere di tutti gli attori in gioco e l'impatto ambientale, e bisogna reimpostare la contabilità della finanza. Bisogna scrivere nuove regole nell'area del commercio internazionale e incentivare una pluralità di approcci nella ricerca. Non ci sono risposte facili, ma ci vuole anche la speranza. “Noi – conclude -abbiamo un compito che sembra impossibile, ma dobbiamo andare avanti, dobbiamo provarci".

“Un sogno che tu fai da solo è solo un sogno, un sogno fatto insieme agli altri diventa realtà (proverbio africano)”

Faccia a faccia con san Francesco: l'alba di una vocazione

Economy of Francesco vuol visitare con i giovani i cinque luoghi più significativi della vita di san Francesco per riflettere e ripercorrere i suoi passi: Santuario di Rivotorto, Chiesa di San Damiano, Basilica di Santa Chiara, Santuario della Spogliazione e Palazzo Monte Frumentario. Si parte dal Santuario della Spogliazione da cui tutto ha avuto inizio. All'alba di ogni autentica vocazione c'è sempre una spoliazione, cioè un reset, un ripartire da zero, viene detto, ma non si fa nessun reset se non c'è desiderio di una vita nuova. In Francesco c’era passione, non altruismo. C’era il desiderio di una sposa, di Madonna Povertà, questo è Francesco. Nel gesto di spogliazione del Santo, c'è anche l'inizio di una rivoluzione economica.

Rispondere a una chiamata: succede anche agli imprenditori

Un professore di economia di Città del Messico, racconta in collegamento, la sua esperienza di lavoro con famiglie indigene che coltivano il caffè e il progetto che insieme stanno realizzando, che dà dignità alle persone, puntando anche a recuperare il rapporto con la terra. Un esempio per dire che anche oggi ci sono persone, imprenditori, che hanno sentito una chiamata a dar vita a qualcosa di diverso. Così facendo, spesso ci si trova cacciati di casa, falliti, soli, si commenta, ma se siamo finiti male perché abbiamo seguito una voce, arriva il momento della salvezza ed è diversa, ma molto più bella di quella che aspettavamo. I beni, più preziosi non devono essere cercati, ma attesi diceva Simone Weil.

I giovani a confronto con illustri economisti

Arriva il momento dei giovani e dello scambio di proposte per un sistema economico equo e inclusivo. Con loro economisti di fama mondiale come Jeffrey Sachs, Ilaria Schnyder von Wartensee e Stefano Bartolini; Raul Caruso, Juan Camilo Cárdenas e Susy Snyder e Sr. Cécile Renouard. Si discute di economia di pace e riconversione industriale, di Intelligenza Artificiale, di un nuovo paradigma globale e un nuovo modello di sviluppo, di modelli di business per un'economia umana, di esperienze realizzate in comunità di transizione ecologica e sociale, di insicurezza alimentare.

I poveri spesso non vengono raccontati 

Si torna poi ad Assisi per riflettere su un altro luogo importante legato a Francesco, passando attraverso la Basilica superiore con il ciclo di affreschi di Giotto: 28 le scene che ripercorrono la sua vita, ma colpisce l’assenza di un’immagine, il bacio di Francesco al lebbroso, eppure per Franceso quel bacio è stato fondamentale. Il luogo è il Santuario di Rivotorto. Per i poveri, si commenta, la povertà è anche quella narrativa, è l’essere dimenticati, è non venir raccontati. Francesco vive con i lebbrosi, cura i loro corpi, lava le loro piaghe, prima la loro vista gli era insopportabile. Non tutti scelgono Madonna Povertà, quella libertà assoluta, essere poveri per scelta accanto ai poveri e basta, tutti fratelli, tutti prossimi. Dal Bangladesh arriva l'esperienza del microcredito per i poveri ideato dall'economista Muhammad Yunus: vale il principio di sussidiarietà, si sottolinea. Bisogna chiedere ai poveri, sono loro che hanno le prime idee per uscire dalle trappole della povertà.

La nostra terra così maltrattata

Infine il tema dell’ambiente: la terra, si sottolinea, è tra i nostri poveri più maltrattati. Il suo marchio è il degrado. “La terra è come un barbone disprezzato, su cui tutti sputano senza timore di essere ricambiati (…) amico, non passare oltre, fermati e fascia le ferite di questa vecchia madre terra”. La prima giornata di Economy of Francesco si chiude con l'interpretazione realizzata nel Regno Unito, di un brano tratto da “Il piccolo principe” di Antoine de Saint-Exupéry, rivisitato nell'epoca del Covid. Un’epoca in cui, mediante il nostro cellulare, crediamo di avere il mondo sotto la punta delle dita e non sappiamo che significa la preoccupazione per la sopravvivenza di una rosa. Un tempo dove a una guerra ne segue un’altra e non capiamo che la pace può regnare soltanto dove c'è uguaglianza e giustizia e che la condivisione è l’unica strada da percorrere.


giovedì 19 novembre 2020

Ora si dice pure che il debito si può cancellare ... oppure no

dalla pagina https://ilmanifesto.it/ora-si-dice-pure-che-il-debito-si-puo-cancellare/

Europa e Covid. "Non esiste una «metafisica del denaro», per quanto affascinante sia il concetto" 

Francoforte, una mascherina vicino alla Euro scultura © Ap

Dopo l’intervista a La Repubblica del presidente del Parlamento europeo Sassoli, un altro tema scabroso, tra quelli afferenti all’universo della finanza pubblica e alla natura della moneta moderna, è stato sdoganato nel dibattito politico nazionale: il debito degli Stati, o parte di esso, può essere cancellato.

Ma come, sarebbe come se una famiglia decidesse a piacimento come e quando liberarsi dai debiti contratti per comprare la casa o l’automobile, per far studiare i figli, direbbe l’avveduto amico incontrato al bar. Osservazione saggia, o no? No, perché lo Stato non è come una famiglia. Per esempio, a una famiglia non è concesso di stamparsi i soldi a casa per fare la spesa. Lo Stato invece può finanziare la sua spesa stampandosi i soldi che vuole. Ma no, dirà il noto economista del talk show della sera, sono leggende, niente di più falso, «i soldi non nascono sotto i cavoli». Sì, ma nemmeno da misteriosi meccanismi che sfuggono alla comprensione degli umani.

Non esiste una «metafisica del denaro», per quanto affascinante sia il concetto. Al noto economista, infatti, bisognerebbe ricordare che durante la «rivoluzione americana» furono i biglietti verdi stampati perfino nei retrobottega dei negozi a finanziare la spesa bellica dei coloni, lo stesso lavoro che in Francia fecero gli «assignats» dopo il 1789. Ma anche che per i primi vent’anni del Secondo dopoguerra la politica monetaria è stata sostanzialmente assoggettata a quella fiscale, con le banche centrali in posizione passiva nei confronti dei governi. Fino a quando il monetarismo non ha conquistato di nuovo le menti dei governanti, diventando una vera e propria religione da una sponda all’altra dell’Atlantico.

In Europa ne sappiamo qualcosa, abbiamo subìto l’austerità, affidando le nostre vite alle virtù taumaturgiche della politica monetaria anche in presenza di recessione, stagnazione e deflazione. Tassi bassi e un mare di soldi incanalati nel settore bancario che non hanno fatto bene né all’economia né alla società (l’economia può andare bene senza che la società stia meglio). Finché non è arrivato il virus. E con esso la vecchia fissa keynesiana che quando l’economia va male non basta aumentare l’offerta di moneta, ma c’è bisogno innanzitutto che la moneta venga spesa. Via il patto di stabilità, più spesa in deficit, la stessa Europa che raccoglie i soldi sul mercato per finanziare gli investimenti nei Paesi membri.

Fantastico, ma nessuno finora ha spiegato perché nella crisi precedente il pareggio di bilancio è stato imposto anche ai Paesi in recessione e, soprattutto, perché alcuni Paesi del sud, con il caso estremo della Grecia, sono stati costretti a sacrifici inenarrabili per il loro salvataggio finanziario. Nessuno ha chiesto scusa finora. Ma tant’è. La storia dell’economia, almeno di quella contemporanea, è piena di queste contraddizioni.

Dobbiamo accontentarci, perciò, di un presidente del Parlamento europeo che ritiene quella della cancellazione di una parte del debito degli Stati, in particolare di quello contratto per la pandemia, «un’ipotesi interessante», una strada percorribile. E come?

Torniamo all’obiezione dell’amico incontrato al bar. Dove li prende i soldi Bankitalia per acquistare, nell’ambito del quantitative easing e del «programma di acquisto per l’emergenza pandemica» (PEPP), i nostri titoli del Tesoro che prima erano stati acquistati dalla banche commerciali? Dalla Bce, dirà il nostro amico. Bravo. Ma la Bce, a sua volta, da dove li prende questi soldi? No no, non li stampa in qualche tipografia di Francoforte. Non c’è bisogno nemmeno della carta. Scrive direttamente la cifra, crea il denaro dal nulla. Siamo al dunque. Con denaro creato dal nulla vengono liquidate le banche che hanno acquistato i titoli in asta o sul mercato obbligazionario e questi titoli finiscono in pancia alle banche centrali.

A questo punto lo Stato non paga più gli interessi alla banca commerciale ma alla «sua» banca centrale, che poi li gira di nuovo allo Stato sotto forma di diritto di signoraggio. Una partita di giro. Ma cosa succederebbe se la banca centrale trasformasse questi titoli in «titoli perpetui», senza scadenza? Di fatto sarebbe una cancellazione del debito. E, per tranquillizzare il nostro amico al bar, Bankitalia e la Bce non rischierebbero certamente di fallire.

------------------------

dalla pagina https://ilmanifesto.it/lagarde-bce-cancellare-i-debiti-e-contro-il-trattato-ue/

Lagarde (Bce): «Cancellare i debiti è contro il trattato Ue»

La presidente della Bce: «La seconda ondata del Covid toccherà severamente l'economia». L’ipotesi di un «Recovery Fund» strutturale: «Serve subito, non tardare»

L’economia della zona euro sarà azzoppata dalla seconda ondata del Covid. E non è possibile cancellare il debito contratto dai Paesi con la Banca centrale Europea (Bce) perché viola l’articolo 123 del Trattato sul funzionamento dell’Ue. Si può invece pensare a uno strumento di bilancio europeo permanente sull’esempio del Recovery Fund/Next Generation EU limitato a una ripresa incerta e resta tutta ancora da dimostrare. Il fondo potrebbe anche essere limitato a circostanze analoghe alla crisi pandemica.Nel primo caso, come nell’altro, la Bce tornerà tra pochi giorni a dicembre ad adeguare le sue strategie monetarie a uno scenario economico in via di peggioramento rispetto alle già pessime previsioni dei mesi scorsi.

LA PRESIDENTE DELLA BCE Christine Lagarde ha sostenuto queste tesi ieri nel corso di una video-audizione realizzata davanti alla commissione Econ del Palramento Europeo. La sua analisi della crisi è un completamento di quella già fatta nel bollettino mensile dell’Eurotower della settimana scorsa. Lagarde è stata netta sull’ipotesi del presidente del parlamento europeo David Sassoli sulla cancellazione del debito: bocciata. E non poteva essere diversamente. Lo avrebbe fatto anche se Sassoli avesse citato anche la necessità di cambiare il mandato della Bce trasformandola in una vera banca centrale. Ma per fare questo, oltre a imporre una diversa politica monetaria è necessaria una forza politica europea che, al momento, manca. E, quella che c’è, è fatta dagli stati centrali, Germania e poi Francia, gli altri a seguire in un equilibrio intergovernativo instabile. Lagarde ha delineato un’ipotesi minima dove al bilancio Ue è associata la capacità della Commissione Ue di emettere bond e finanziare un fondo comune per investire nell’economia e nella società. Il tutto sostenuto dalla Bce che crea denaro dal nulla. Questa struttura è prigioniera di un dogma: la stabilità dei prezzi e non, ad esempio, l’aumento dell’occupazione o l’affermazione di un diritto all’esistenza con un reddito di base. «La Bce per definizione non può fallire né finire i soldi – ha detto Lagarde – in quanto sola istituzione che emette euro, sarà sempre in grado di generare liquidità aggiuntiva in base alle necessità». E, qualora vi fossero perdite, «non impedirebbero la nostra abilità di perseguire e mantenere la stabilità dei prezzi».

LA SPERANZA balenata tra i governanti in una ripresa repentina dopo il crollo disastroso di marzo-giugno è tramontata. Lo slancio è finito nel quarto trimestre 2020. E avrà conseguenze sulla ripresa nel 2021. Lagarde ha descritto la crisi senza enfasi. Colpisce maggiormente il settore dei servizi: «È ancora in contrazione rispetto alla manifattura» ha detto. La crisi colpisce di più le donne sulle quali pesa «la maggior cura dei familiari a causa della chiusura delle scuole». Per evitare il paventato ritorno di una stretta creditizia («Credit crunch»), già delineato nell’ultimo bollettino economico e prova di una recessione economica in atto, Lagarde ha detto che le banche devono «accantonare potenziali perdite future su crediti». «Sebbene le banche nell’Ue abbiano aumentato la loro resilienza dopo la crisi finanziaria globale, il potenziale deterioramento della qualità degli asset coincide con pressioni sulla redditività e persistenti problemi strutturali».

PER LAGARDE le misure di sostegno dei governi, come i programmi di lavoro a tempo ridotto, hanno protetto dalla perdita di posti di lavoro dipendente e dal calo dei redditi. Ma ciò non ha impedito l’aumento della disoccupazione in alcuni paesi. In Italia è ancora «nascosto» dal blocco dei licenziamenti fino al 31 marzo 2021. Questa situazione ha azionato una spirale: le famiglie non spendono perché si preparano al peggio. Useranno i risparmi allora. Questo indebolisce la domanda e poi aumenta l’indebitamento delle imprese costrette ad anticipare ma non a vendere. Le banche, a loro volta, non prestano a famiglie e a aziende. Ciò si riflette anche nell’andamento dell’inflazione. I bassi prezzi dell’energia che la tengono ancora bassa. Questa spirale potrebbe arrestarsi con il vaccino ha ribadito Lagarde nell’audizione. Dopo potrebbe iniziare il secondo tempo della crisi socio-economica.



mercoledì 18 novembre 2020

Sabato 21 novembre, mobilitazione nazionale per la «società della cura»

dalla pagina https://ilmanifesto.it/sabato-21-novembre-mobilitazione-nazionale-per-la-societa-della-cura/

Mobilitazione. Quattro richieste immediate e quattro proposte su dove trovare le risorse, perché la conversione verso la società della cura deve cominciare ora

Un'opera di Banksy

La società della cura” è una campagna nata durante il lockdown, coinvolgendo gruppi, associazioni, reti sociali e del mutualismo, movimenti. Attualmente riunisce circa 1000 aderenti collettivi e individuali in tutta Italia. Un lunghissimo elenco che trovate a questo link.

L’obiettivo è quello di non vanificare le lezioni che la pandemia ha dato al mondo: la necessità di avviare subito, con il coinvolgimento attivo di tutt* un piano radicale di conversione ecologica, sociale, economica e culturale della società, abbandonando l’economia del profitto, la gerarchia di valori e poteri di questo sistema, per costruire la società della cura di sé, degli altri, del pianeta.

Per realizzare questo obiettivo è necessario rendere visibile un progetto di società alternativa, offrendo un punto di riferimento ai molteplici bisogni che la pandemia ha accentuato, evitando che i diversi diritti e bisogni vengano messi uno contro l’altro o vengano espressi in solitudine e in modo frammentato. A questo scopo, è stato realizzato un Manifesto valoriale che si può leggere a questo link; si stanno inoltre raccogliendo le priorità concrete per un “Recovery plan” alternativo, mettendo in campo un processo permanente di scambio, raccolta di idee e di proposte, di azioni di mobilitazione in tutta Italia.

Sabato 21 novembre ci sarà la prima giornata di mobilitazione nazionale, concentrata su 4 richieste immediate e 4 proposte su dove trovare le risorse, perché la conversione verso la società della cura deve cominciare ora. L’appello con le proposte a questo link.

In almeno 30 città italiane si manifesterà in modo coordinato, fisicamente dove possibile e virtualmente nelle zone rosse, nel pieno rispetto delle norme anti-contagio.

L’elenco delle mobilitazioni a questo link.

A Roma l’appuntamento è a Piazza del Popolo dalle 10 alle 14: i partecipanti porteranno una tovaglia, il pranzo per sé e un aiuto alimentare da consegnare ai gruppi del mutualismo romano. Nella prima parte la piazza ospiterà lezioni didattiche per gli studenti, lezioni di sport non di contatto, diversi flash mob. Nella seconda parte, la piazza diventerà una grande assemblea con interventi e musica. In allegato il volantino.

Dalle 12 alle 14 le richieste verranno inviate da migliaia di persone al Governo con un’azione coordinata di mailbombing e twitter storm.

Di tutte le iniziative è prevista una diretta nazionale online dalle 11:00 alle 14:00 e dalle 16:00 alle 18:00. Per seguirla.

----------------------

----------------------

dalla pagina https://societadellacura.blogspot.com/2020/10/manifesto-uscire-dalla-economia-del.html

IL MANIFESTO PER LA SOCIETA' DELLA CURA


USCIRE DALL'ECONOMIA DEL PROFITTO, COSTRUIRE

LA SOCIETA' DELLA CURA


Premessa


Un virus ha messo in crisi il mondo intero: il Covid 19 si è diffuso in brevissimo tempo in tutto il pianeta, ha indotto all'auto-reclusione metà della popolazione mondiale, ha interrotto attività produttive, commerciali, sociali e culturali, e continua a mietere vittime.


Dentro l'emergenza sanitaria e sociale tutt* abbiamo sperimentato la precarietà dell'esistenza, la fragilità e l’interdipendenza della vita umana e sociale. Abbiamo avuto prova di quali siano le attività e i lavori essenziali alla vita e alla comunità. Abbiamo avuto dimostrazione di quanto sia delicata la relazione con la natura e i differenti sistemi ecologici: non siamo i padroni del pianeta e della vita che contiene, siamo parte della vita sulla Terra e da lei dipendiamo.


Decenni di politiche di tagli, privatizzazione e aziendalizzazione della sanità, di globalizzazione guidata dal profitto, hanno trasformato un serio problema epidemiologico in una tragedia di massa, dimostrando quanto essenziale ed ampia sia invece la dimensione sociale del diritto alla salute.


La pandemia ha messo in evidenza come un sistema basato sul pensiero unico del mercato e sul profitto, su un antropocentrismo predatorio, sulla riduzione di tutto il vivente a merce non sia in grado di garantire protezione ad alcun*.


La pandemia è una prova della crisi sistemica in atto, le cui principali evidenze sono determinate dalla drammatica crisi climatica, provocata dal riscaldamento globale, e dalla gigantesca diseguaglianza sociale, che ha raggiunto livelli senza precedenti.


L’emergenza climatica è vicina al punto di rottura irreversibile degli equilibri geologici, chimici, fisici e biologici che fanno della Terra un luogo abitabile; la diseguaglianza sociale si è resa ancor più evidente durante la pandemia, mostrando la propensione del sistema economico, sanitario e culturale vigente a selezionare tra vite degne e vite di scarto.


Giustizia climatica e giustizia sociale sono due facce della stessa medaglia e richiedono in tempi estremamente brevi una radicale inversione di rotta rispetto all'attuale modello economico e ai suoi impatti sociali, ecologici e climatici. 


Niente può essere più come prima, per il semplice motivo che è stato proprio il prima a causare il disastro. 


Oggi più che mai, ad un sistema che tutto subordina all'economia del profitto, dobbiamo contrapporre la costruzione di una società della cura, che sia cura di sé, dell'altr*, dell'ambiente, del vivente, della casa comune e delle generazioni che verranno.


1. Conversione ecologica della società 


L'emergenza climatica è drammaticamente vicina al punto di non ritorno. Il tempo a nostra disposizione si sta esaurendo: il riscaldamento climatico si aggrava, aumentano gli incendi, accelera la scomparsa dei ghiacciai, la morte delle barriere coralline, la sparizione di interi ecosistemi e di specie animali e vegetali, aumentano le inondazioni e i fenomeni meteorologici estremi. 


Anche la nostra crescente vulnerabilità alle pandemie ha la sua causa profonda nella distruzione degli ecosistemi naturali, nella progressiva industrializzazione della produzione, in primo luogo di quella agroalimentare, e nella velocità degli spostamenti di capitali, merci e persone. Un modello produttivo basato sulla chimica tossica e sugli allevamenti intensivi ha provocato un verticale aumento della deforestazione e una drastica diminuzione della biodiversità. Tutto questo, sommato a una crescente urbanizzazione, all'estensione delle megalopoli e all’intensificazione dell’inquinamento, ha portato a un cambiamento repentino degli habitat di molte specie animali e vegetali, sovvertendo ecosistemi consolidati, modificandone il funzionamento e permettendo una maggiore contiguità tra le specie selvatiche e domestiche.


Una radicale inversione di rotta in tempi estremamente rapidi è assolutamente necessaria e inderogabile.


Occorre promuovere la riappropriazione sociale delle riserve ecologiche e della filiera del cibo, sottraendola all'agro-business e alla grande distribuzione, per garantire la sovranità alimentare, ovvero il diritto di tutt* ad alimenti nutritivi e culturalmente adeguati, accessibili, prodotti in forma sostenibile ed ecologica.


Occorre avviare una profonda conversione ecologica del sistema tecnologico e industriale, a partire dalla decisione collettiva su “che cosa, come, dove, quanto e per chi” produrre e da un approccio eco-sistemico e circolare ai cicli di lavorazione e alle filiere, dall'estrazione dei materiali alla produzione, dalla valorizzazione ai mercati, al consumo finale.


Occorre invertire la rotta nel sistema del commercio internazionale e degli investimenti finanziari, sostituendo l'inviolabilità dei diritti umani, ambientali, economici e sociali all'attuale intoccabilità dei profitti, e rendendo vincolanti tutte le norme di tutela sociale e ambientale per tutte le imprese, a partire da quelle multinazionali, anziché concedere loro di agirle solo volontariamente o come forme di filantropia.


Un nuovo paradigma energetico, con l’immediato abbandono dei combustibili fossili, deve fondarsi su energia “pulita, territoriale e democratica” invece che “termica, centralizzata e militarizzata”. Un approccio sano al territorio e alla mobilità deve porre fine al consumo di suolo e alle Grandi e meno grandi Opere inutili e dannose, per permetterci di vivere in comunità, città e sistemi insediativi che siano luoghi di vita degna, socialità e cultura, collegati tra essi in modo sostenibile.


Va profondamente ripensata la relazione di potere fra esseri umani e tutte le altre forme di vita sul pianeta: non possiamo assistere allo sterminio di molte specie animali e al brutale sfruttamento di diverse altre, pensando di restare indenni alle conseguenza epidemiologiche, climatiche, ecologiche ed etiche.


Occorre una conversione ecologica, una rivoluzione culturale, che ispiri e promuova un cambiamento economico e degli stili di vita.


2. Lavoro, reddito e welfare nella società della cura


La pandemia ha reso più evidente che nessuna produzione economica è possibile senza garantire la riproduzione biologica e sociale, come il pensiero eco-femminista e la visione cosmogonica dei popoli nativi sostengono da sempre.


La riproduzione sociale - intesa come tutte le attività e le istituzioni necessarie per garantire la vita, nella sua piena dignità - significa cura di sé, dell'altr* e dell'ambiente: ed è è attorno a questi nodi che va ripensato l'intero modello economico-sociale.


La pandemia ha fatto ancor di più sprofondare nella disperazione le fasce deboli della popolazione, dai migranti ai senza casa, dai disoccupati ai disabili, dalle persone fragili ai non autosufficienti, e ha allargato la condizione di precarietà, con altri milioni di persone che si sono trovate senza alcun reddito.


Non può esserci società della cura senza il superamento di tutte le condizioni di precarietà e una ridefinizione dei concetti di benessere sociale, lavoro, reddito e welfare.


La conversione ecologica è una lotta per abbandonare al più presto tutte le attività che fanno male alla convivenza degli umani, tra di loro e con la Terra, per promuovere altre attività che prevedono la cura di sé, dell'altr* e di tutto il vivente: la riproduzione della vita nelle condizioni migliori che si possono conseguire. 


L'attività lavorativa deve basarsi su un'ampia socializzazione del lavoro necessario, accompagnata da una netta riduzione del tempo individuale a questo dedicato, affinché l'accesso al lavoro sia l'esito di una redistribuzione solidale e non di una feroce competizione fra le persone e i Paesi, dentro un orizzonte che subordini il valore di scambio al valore d'uso e organizzi la produzione in funzione dei bisogni sociali, ambientali e di genere.


Se la cura di sé, dell'altr* e dell'ambiente sono gli obiettivi del nuovo patto sociale, il reddito è il dividendo sociale della cooperazione tra le attività di ciascun*, e il diritto al reddito è il riconoscimento della centralità dell'attività di ogni individuo nella costruzione di una società che si occupa di tutt* e non esclude nessun*, eliminando la precarietà, l'esclusione e l'emarginazione dalla vita delle persone.


Va pienamente riconosciuto il diritto alla conoscenza, all'istruzione, alla cultura, all'informazione corretta, al sapere, come fattore potente di riduzione della diseguaglianza, di cui la povertà culturale è una causa chiave.


Va realizzato un nuovo sistema di welfare universale, decentrato e depatriarcalizzato, basato sul riconoscimento della comunità degli affetti e del mutualismo solidale, sull'autogoverno collettivo dei servizi e sulla cura della casa comune.


3. Riappropriazione sociale dei beni comuni e dei servizi pubblici


Nessuna protezione è possibile se non sono garantiti i diritti fondamentali alla vita e alla qualità della stessa. Riconoscere i beni comuni naturali -a partire dall'acqua, bene essenziale alla vita sul pianeta- e i beni comuni sociali, emergenti e ad uso civico come elementi fondanti della vita e della dignità della stessa, della coesione territoriale e di una società ecologicamente e socialmente orientata, richiede la sostituzione del paradigma del pareggio di bilancio finanziario con il pareggio di bilancio sociale, ecologico e di genere.


La tutela dei beni comuni, e dei servizi pubblici che ne garantiscono l'accesso e la fruibilità, deve prevedere un'immediata sottrazione degli stessi al mercato, una loro gestione decentrata, comunitaria e partecipativa, nonché risorse adeguate e incomprimibili.  


Occorre socializzare la produzione dei beni fondamentali, strategici ai fini dell'interesse generale: dai beni e servizi primari (i prodotti alimentari, l'acqua, l'energia, l'istruzione e la ricerca, la sanità, i servizi sociali, l'edilizia abitativa); a quelli senza l'uso dei quali una parte considerevole delle altre attività economiche non sarebbe possibile (i trasporti, l'energia, le telecomunicazioni, la fibra ottica); alle scelte d'investimento di lungo periodo di carattere scientifico, tecnologico e culturale, in grado di modificare, nel tempo e in maniera significativa, la vita materiale e spirituale della popolazione.


4. Centralità dei territori e della democrazia di prossimità 


La crescita interamente basata sulla quantità e velocità dei flussi di merci, persone e capitali, sulla centralità dei mercati globali e delle produzioni intensive e sulla conseguente iperconnessione sregolata dei sistemi finanziari, produttivi e sociali, è stata il principale vettore che ha permesso al virus di diffondersi in tutto il pianeta a velocità mai viste prima, viaggiando nei corpi di manager e tecnici specializzati, così come in quelli di lavoratori dei trasporti e della logistica, e di turisti.


Ripensare l'organizzazione della società comporta la ri-localizzazione di molte attività produttive a partire dalle comunità territoriali e dalla loro cooperazione associata, che dovranno diventare il fulcro di una nuova economia trasformativa, ecologicamente, socialmente ed eticamente fondata. 


Le comunità sono i luoghi dove convivono umani, altri animali, territorio e paesaggio, ciascuna con la propria storia, cultura e identità insopprimibile. La pialla della globalizzazione ha provato a omologare differenze e peculiarità, producendo resistenze  che sono state troppo spesso governate verso una versione chiusa ed escludente del comunitarismo. La sfida, anche culturale, è progettare il futuro come un sistema di comunità aperte, cooperanti, includenti e interdipendenti.


Questo comporta anche la ri-territorializzazione delle scelte politiche, con un ruolo essenziale affidato ai Comuni, alle città e alle comunità territoriali, quali luoghi di reale democrazia di prossimità i cui abitanti partecipano fattivamente alle decisioni collettive.


Attraverso forme di riappropriazione popolare delle istituzioni di livello nazionale ed internazionale si potrà garantire, tutelare ed affermare l’uguaglianza nei diritti e nelle relazioni fra le diverse aree dei sistemi paese, dei sistemi regionali e continentali e del sistema mondo.


5. Pace, cooperazione, accoglienza e solidarietà 


La pandemia non ha rispettato nessuna delle molteplici separazioni geografiche e sociali e nessuna delle gerarchie costruite dagli esseri umani: dalle frontiere alle classi sociali, passando dal falso concetto di razza. Ha dimostrato che la vera sicurezza non si costruisce contro, e a scapito degli altri: per sentirsi al sicuro bisogna che tutt* lo siano.


Perché questo succeda, occorre che ad ogni popolazione venga riconosciuto il diritto ad un ambiente salubre, all'uguaglianza sociale, all'accesso preservativo alle risorse naturali. 


Occorre porre termine ad ogni politica di dominio nelle relazioni fra i popoli, facendo cessare ogni politica coloniale, che si eserciti attraverso il dominio militare e la guerra, i trattati commerciali o di investimento, lo sfruttamento delle persone, del vivente e della casa comune. Non possiamo più accettare che i nostri livelli di consumi si reggano sullo sfruttamento delle risorse di altri Paesi e su rapporti di scambio scandalosamente ineguali, né l'esistenza di alleanze militari che hanno l'obiettivo del controllo e sfruttamento di aree strategiche e delle loro risorse.


La società della cura rifiuta l'estrattivismo perché aggredisce i popoli originari, espropria le risorse naturali comuni e moltiplica la devastazione ambientale. Per questo sostiene l'autodeterminazione dei popoli e delle comunità, un commercio equo e solidale, la cooperazione orizzontale e la custodia condivisa e corresponsabile dei beni comuni globali.


La guerra contro i migranti è ormai uno degli elementi fondanti del sistema globale attuale. Intere aree del pianeta – mari, deserti, aree di confine – sono diventati giganteschi cimiteri a cielo aperto, luoghi dove si compiono violenze e vessazioni atroci, e dove a milioni di esseri umani viene negato ogni diritto e ogni dignità. 


La società della cura smantella fossati e muri e non costruisce fortezze. Rifiuta il dominio e riconosce la cooperazione fra i popoli. Affronta e supera il razzismo istituzionale e il colonialismo economico e culturale, attraverso i quali ancora oggi i poteri dominanti si relazionano alle persone fisiche, ai saperi culturali e alle risorse del pianeta.


La società della cura rifiuta ogni forma di fascismo, razzismo, sessismo, discriminazione e costruisce ponti fra le persone e le culture praticando accoglienza, diritti e solidarietà.


6. Scienza e tecnologia al servizio della vita e non della guerra


La ricerca scientifica e l'innovazione tecnologica sono fondamentali per la costruzione di una società della cura che permetta una vita degna a tutte le persone, ma possono divenire elementi di distruzione se non sono messe al servizio della vita ma del dominio e della guerra. Indirizzi e risultati vanno ricondotti all’emancipazione delle persone e non al controllo sociale autoritario, in direzione della redistribuzione della ricchezza e non dell’accumulazione, verso la pace e la solidarietà e non in direzione della distruzione di vite, società e natura.


E’ di particolare gravità che continui la corsa al riarmo atomico e al perfezionamento dei sistemi di puntamento delle armi nucleari, mentre si allentano gli impegni internazionali per il bando al ricorso all’arma più micidiale. I saperi e le risorse di una società non possono essere indirizzati alla costruzione di armi, al mantenimento di eserciti, all'appartenenza ad alleanze basate sul dominio militare, alla partecipazione a missioni militari e a guerre, al respingimento dei migranti, alla costruzione di una realtà manipolabile e falsificabile digitalmente.


Il controllo sui Big Data, l’Intelligenza Artificiale e le infrastrutture digitali determineranno la natura delle istituzioni del futuro e le persone devono essere in grado di esercitare una sovranità digitale su tutti gli aspetti sensibili della propria esistenza. Occorre immaginare un futuro digitale democratico in cui i dati siano un’infrastruttura pubblica e un bene comune controllato dalle persone.


7. Finanza al servizio della vita e dei diritti


La pandemia ha dimostrato che per curare le persone l’Unione europea ha dovuto sospendere patto di stabilità, fiscal compact e parametri di Maastricht. Significa che questi vincoli non solo non sono necessari, ma sono contro la vita, la dignità e la cura delle persone. 


La finanziarizzazione dell'economia e la mercificazione della società e della natura sono le cause della profonda diseguaglianza sociale e della drammatica devastazione ambientale.


Mettere la finanza al servizio della vita e dei diritti significa riappropriarsi della ricchezza sociale prodotta, cancellando il debito illegittimo e odioso e applicando una fiscalità fortemente progressiva, che vada a prendere le risorse laddove si trovano, nei ceti ricchi della società, nei grandi patrimoni, nei profitti delle grandi imprese.


Nessuna trasformazione ecologica e sociale sarà possibile senza fermare l'unica globalizzazione che il modello capitalistico è riuscito a realizzare compiutamente: quella dei movimenti incontrollati di merci e capitali. Un capitale privo di confini che può indirizzarsi senza vincoli dove gli conviene, determinando le scelte di politica economica e sociale degli Stati, costretti a competere tra loro, offrendo agli investitori nazionali e esteri benefici sempre più lesivi dei diritti dei propri cittadini e dell’ambiente.


Per questo bisogna socializzare il sistema bancario, trasformandolo in un servizio pubblico per risparmi, credito e investimenti, gestito territorialmente con il coinvolgimento diretto degli utenti organizzati, dei lavoratori delle banche, degli enti locali e dei settori produttivi territoriali.


Senza una nuova finanza pubblica e partecipativa, nessuna trasformazione ecologica e sociale del modello economico e produttivo sarà possibile, e le decisioni di lungo termine sulla società rimarranno appannaggio delle lobby finanziarie e delle grandi multinazionali.



Vogliamo una società che metta al centro la vita e la sua dignità, che  sappia di essere interdipendente con la natura, che costruisca sul 

valore d'uso le sue produzioni, sul mutualismo i suoi scambi, 

sull'uguaglianza le sue relazioni, sulla partecipazione le sue decisioni.



Lotteremo tutte e tutti assieme per renderla realtà