sabato 27 dicembre 2014

La Marcia per esprimere che la Pace ci è cara

Tre domande a... Don Matteo Pasinato Direttore dell'Ufficio diocesano per la pastorale Sociale e del Lavoro






Don Matteo Pasinato, 48 anni, originario di Fontaniva, prete dal 1991, dal 2005 è direttore dell'Ufficio diocesano per la pastorale Sociale e del Lavoro. Proprio per questo compito è anche direttamente coinvolto nella proposta della Marcia nazionale per la Pace che si terrà quest'anno a Vicenza il prossimo 31 dicembre.
 
Qual è il compito e quali le possibilità di un ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro? 

Quando uso la parola “pastorale” mi viene sempre in mente un salmo della Bibbia. «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla». La pastorale si occupa di non fare mancare nulla alla comunità cristiana. Nemmeno il fatto che viviamo insieme (il sociale), che il lavoro oltre che una necessità è anche una “vocazione”, che produrre e distribuire non sono alternativi (l’economia), che la salvaguardia del mondo non viene dal cielo ma dal nostro stile, così come la conflittualità e la violenza spesso sono generate dall’ingiustizia … Che non manchi l’attenzione alla persona “intera”.
Ecco il senso di una pastorale sociale nella comunità cristiana. Che il vivere sociale entri dentro la vita del cristiano e che il mio essere cristiano entri dentro alle relazioni sociali. Infatti non vivo di sola Parola di Dio, non vivo solo di sacramenti e di riti. Come cristiano vivo da fratello e nella giustizia. E il Vangelo è piuttosto chiaro su questo.

E come si può fare pastorale sociale? Che cosa può fare una comunità cristiana? Già chiedersi che cosa possiamo fare è il primo passo per non lasciare che ciascuno vada per conto proprio. Pensare qualcosa insieme è il primo “sociale”, che è difficile pure nelle nostre comunità abituate a specializzarsi in settori distinti e a volte distanti. Una comunità cristiana può valorizzare il sociale informando, conoscendo e anche celebrando.
Informando sulle iniziative, offrendo qualche spazio di visibilità alle cose buone che si fanno e spendendo qualche parola sulle gravi disattenzioni, o sullo scandalo di vere e proprie ingiustizie. Verso i deboli che non hanno parola siamo in debito anche con il nostro silenzio.
Conoscendo, nel nostro territorio, i luoghi della cooperazione, organizzando magari insieme qualche momento di vicinanza. Potrà essere una “giornata della socialità”, o la valorizzazione della “giornata della prossimità”. Nella catechesi, nel cammino dei gruppi giovanili, ci sarà un piccolo spazio anche per la dimensione sociale della fede. Molte parrocchie hanno già iniziative che sono portate avanti dal cuore “sociale” dei preti, delle catechiste, degli animatori.
E anche celebrando si può aprire la propria preghiera al Dio che è padre degli orfani, familiare anche con lo straniero, che si commuove per lo sfiduciato, che chiama suoi figli gli operatori della pace. La liturgia e la parola di Dio ci fanno spesso “inciampare” su queste passioni “sociali” che non sono estranee alla fede. 

A volte si ha l’impressione che la chiesa sia più preoccupata della morale familiare e sessuale che di quella sociale …

Forse questa è l’impressione. Ma vorrei ricordare che la prima enciclica sociale fu scritta nel 1891, sulla questione operaia, mentre la prima enciclica sulla morale sessuale venne 40 anni dopo, nel 1930. È vero invece che la famiglia ha sempre interessato molto la chiesa, perché la famiglia è la sorgente della vita sociale. Nella famiglia si fa esperienza della differenza, dell’incontro di generazioni, della questione importante dell’autorità e dell’obbedienza ad un bene comune, della distribuzione giusta delle risorse … Se oggi siamo tutti preoccupati di depurare il fiume alla foce, non è strano che ci si occupi della sorgente. Non è indifferente ciò che si vive in famiglia, nella coppia, per quello che sarà il vivere sociale. Forse per questo dobbiamo essere attenti socialmente alle relazioni di coppia, anche solo quando chiedono un riconoscimento. È pericoloso affermare che nella vita di coppia ognuno fa quello che vuole, perché è “nel privato”. E comunque rimane una sfida trovare qualcosa di comune anche in un sociale plurale come il nostro. “Riconoscerci” è la premessa per non essere indifferenti, e non possiamo essere indifferenti perché questo è il mondo che tutti viviamo insieme … ma il discorso qui dovrebbe farsi molto lungo. 

Perché partecipare alla Marcia nazionale per la pace il 31 dicembre?

Io non ho ragioni per convincere nessuno. Offro le mie, di ragioni: è un’occasione unica la Marcia nazionale a Vicenza. E poi perché credo che non ci vogliono solo gesti che “producono” qualcosa (che può fare una Marcia?), ho bisogno anche di gesti per “esprimere” qualcosa (la Pace mi sta a cuore). E infine perché camminare muove il corpo, offre aria buona, dona speranza a chi cammina con te e mi fa sentire che non sono solo. Del resto Cristo ha fatto molto camminare i suoi discepoli … e li ha cambiati muovendoli. 

Alessio Graziani

domenica 19 ottobre 2014

Intervento del Segretario di Stato Cardinale Pietro Parolin, al Consiglio di sicurezza dell’Onu

"Minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici" (New York, 24 settembre 2014), 26.09.2014
 
Signor Presidente,

La mia Delegazione congratula gli Stati Uniti per l’assunzione della presidenza del Consiglio di sicurezza e plaude all’opportuna convocazione di questo dibattito aperto del Consiglio di Sicurezza circa le "Minacce alla pace e alla sicurezza internazionali causate da atti terroristici".

Signor Presidente,
Il dibattito odierno giunge in un momento in cui ogni regione del mondo si confronta con l’impatto disumanizzante del terrorismo. Non è un fenomeno che affligge solo alcuni popoli, religioni o regioni, bensì un crimine che colpisce l’intera comunità internazionale. L’uso costante, e in alcune regioni sempre più intenso, del terrorismo ci ricorda che una tale sfida comune esige l’impegno condiviso di tutte le nazioni e le persone di buona volontà. Di fatto, il terrorismo costituisce una minaccia fondamentale alla nostra umanità comune e condivisa, poiché disumanizza sia l’autore sia la vittima e cerca di distruggere la libertà e la dignità umana, radicate nell’ordine morale naturale, sostituendo ad esse la logica della paura, del potere e della distruzione (cfr. Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono. 1° gennaio 2002, n. 4).
Questa istituzione è stata fondata nella scia di un’era in cui un’analoga visione nichilistica della dignità umana cercò di distruggere e dividere il nostro mondo. Oggi, come allora, le nazioni devono unirsi per adempiere alla nostra responsabilità primaria di proteggere le persone minacciate dalla violenza e da attacchi diretti alla loro dignità umana (cfr. Papa Benedetto XVI, Incontro con i Membri dell’Assemblea Generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, 18 aprile 2008).
Come ci ha ricordato Papa san Giovanni Paolo II nella scia dei tragici eventi dell’11 settembre 2001, il diritto di difendere paesi e popoli contro atti di terrorismo non autorizza a rispondere semplicemente con violenza alla violenza, ma piuttosto "deve essere esercitato rispettando i limiti morali e legali nella scelta dei fini e dei mezzi. I colpevoli devono essere correttamente identificati, poiché la responsabilità penale è sempre personale e non può essere estesa alla nazione, al gruppo etnico o alla religione di appartenenza dei terroristi". Inoltre, stiamo discutendo della questione in seno a un organismo che è parte di una struttura legale internazionale vincolante per tutti i paesi. Pertanto, ogni azione nei confronti del terrorismo al di là dei confini del paese che è direttamente sotto attacco, così come definito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, deve essere sanzionata dal Consiglio di Sicurezza. Pacta sunt servanda è uno dei principi centrali del diritto internazionale.
La cooperazione internazionale deve anche affrontare le cause fondamentali di cui il terrorismo internazionale si alimenta per crescere. Inoltre, l’attuale sfida terroristica ha una forte componente culturale. I giovani che si recano all’estero per unirsi alle organizzazioni terroristiche spesso sono ragazzi provenienti da famiglie povere di immigranti, delusi da quella che percepiscono come una situazione di esclusione e dalla mancanza di valori di alcune società opulente. Insieme con gli strumenti legali e le risorse per evitare che i cittadini diventino combattenti terroristi stranieri, i Governi dovrebbero impegnarsi con la società civile per affrontare i problemi delle comunità più a rischio di reclutamento e di radicalizzazione e ottenere la loro integrazione sociale serena e soddisfacente.

Signor Presidente,
La Santa Sede – che è un soggetto internazionale rappresentante anche una comunità di fede mondiale – afferma che le persone di fede hanno la decisa responsabilità di condannare quanti cercano di scindere la fede dalla ragione e di strumentalizzarla per giustificare la violenza. Come ha ribadito Papa Francesco durante la sua visita in Albania, "Nessuno pensi di poter farsi scudo di Dio mentre progetta e compie atti di violenza e sopraffazione! Nessuno prenda a pretesto la religione per le proprie azioni contrarie alla dignità dell’uomo e ai suoi diritti fondamentali, in primo luogo quello alla vita ed alla libertà religiosa di tutti!" (Incontro con le autorità, Tirana, 21 settembre 2014). Allo stesso tempo, però, è bene sottolineare che per porre fine al nuovo fenomeno terroristico, l’obiettivo di raggiungere la comprensione culturale tra popoli e paesi e la giustizia sociale per tutti è essenziale.
Come ha affermato Papa Francesco, "Ogni volta che l’adesione alla propria tradizione religiosa fa germogliare un servizio più convinto, più generoso, più disinteressato all’intera società, vi è autentico esercizio e sviluppo della libertà religiosa" (Incontro con i leader di altre religioni e altre denominazioni cristiane, Tirana, 21 settembre 2014).

Grazie, Signor Presidente.

sabato 18 ottobre 2014

La corsa agli armamenti ... si costruisce così la Pace?


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fonte: SIPRI - Stockholm International Peace Research Institute

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dalla pagina http://www.news.va/it/news/papa-francesco-nel-centenario-inizio-prima-guerra-

Redipuglia, 13 settembre 2014

Dall'omelia di papa Francesco nel centenario della Prima Guerra Mondiale

"L'ombra di Caino si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni".

"[...] la guerra è una follia. Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione! [...]"

mercoledì 1 ottobre 2014

Marcia Perugia - Assisi 2014


VICENZA CITTA’ PER LA PACE
L’Assessorato alla Comunità e alle Famiglie (Comune di Vicenza), in collaborazione con gli Amici della Casa per la Pace, organizza un pullman per partecipare alla Marcia Perugia-Assisi.

VIENI ANCHE TU !
 La pace è un diritto umano fondamentale della persona”

Domenica 19 ottobre 2014
Marcia Perugia-Assisi
per la pace e la fraternità

La Marcia partirà alle ore 9.00 dai Giardini del Frontone di Perugia e si concluderà alle ore 16.00 circa alla Rocca Maggiore di Assisi. Il percorso intero della Marcia è di 24 km, mentre il percorso intermedio (per chi si ferma a S. Maria degli Angeli) è di 20 km.

NOTIZIE  ORGANIZZATIVE

GIORNO DI PARTENZA Da Vicenza         Domenica 19 ottobre  2014  ore 01,00
LUOGO DI PARTENZA DEL PULLMAN     Parcheggio  incrocio rotatoria di Viale C. Goldoni  con  G.  Carducci
 (a fianco del campo di atletica leggera G. Peraro di Vicenza)
RITORNO PREVISTO                                      Domenica 19 ottobre  ore 23.30
QUOTA DI PARTECIPAZIONE                     € 20.00
QUOTA RIDOTTA (per studenti, disoccupati e volontari del servizio civile)       € 13.00
ISCRIZIONI                                         Le iscrizioni si ricevono entro e non oltre il 13 ottobre inviando una mail a:  casaperlapace@gmail.com
REFERENTE ORGANIZZATIVO:   Associazione 5 ottobre.
Per ulteriori informazioni e per versare la quota di iscrizione contattare:
Casa per la Pace (c/o Assessorato Servizi Sociali)–Contrà Mure S.Rocco,34 – Vicenza tel. 0444.327395 (solo al mattino).
Contatti rapidi: Cell.: 340.8280519 (Giulia),- 335 6429807 (Francesco), 333 3410606 (Giancarlo).
___________________________________________________________
  
Modulo di ISCRIZIONE
Dati da comunicare (in caso di iscrizione)  a casaperlapace@gmail.com


Nome:……………..............…………………………….               Cognome …............................................

Indirizzo:…………………………………………………...               MAIL: …..................................................

Tel.…………………………………………………...                        Cell: ........................................................

Altre persone al seguito:       …………………………………………..……………........................................

domenica 14 settembre 2014

Omelia di papa Francesco a Redipuglia

SANTA MESSA
OMELIA DEL SANTO PADRE FRANCESCO
Sacrario Militare di Redipuglia
Sabato, 13 settembre 2014

Dopo aver contemplato la bellezza del paesaggio di tutta questa zona, dove uomini e donne lavorano portando avanti la loro famiglia, dove i bambini giocano e gli anziani sognano… trovandomi qui, in questo luogo, vicino a questo cimitero, trovo da dire soltanto: la guerra è una follia.
Mentre Dio porta avanti la sua creazione, e noi uomini siamo chiamati a collaborare alla sua opera, la guerra distrugge. Distrugge anche ciò che Dio ha creato di più bello: l’essere umano. La guerra stravolge tutto, anche il legame tra i fratelli. La guerra è folle, il suo piano di sviluppo è la distruzione: volersi sviluppare mediante la distruzione!
La cupidigia, l’intolleranza, l’ambizione al potere… sono motivi che spingono avanti la decisione bellica, e questi motivi sono spesso giustificati da un’ideologia; ma prima c’è la passione, c’è l’impulso distorto. L’ideologia è una giustificazione, e quando non c’è un’ideologia, c’è la risposta di Caino: “A me che importa?”. «Sono forse io il custode di mio fratello?» (Gen 4,9). La guerra non guarda in faccia a nessuno: vecchi, bambini, mamme, papà… “A me che importa?”.
Sopra l’ingresso di questo cimitero, aleggia il motto beffardo della guerra: “A me che importa?”. Tutte queste persone, che riposano qui, avevano i loro progetti, avevano i loro sogni…, ma le loro vite sono state spezzate. Perché? Perché l’umanità ha detto: “A me che importa?”.
Anche oggi, dopo il secondo fallimento di un’altra guerra mondiale, forse si può parlare di una terza guerra combattuta “a pezzi”, con crimini, massacri, distruzioni…
Ad essere onesti, la prima pagina dei giornali dovrebbe avere come titolo: “A me che importa?”. Caino direbbe: «Sono forse io il custode di mio fratello?».
Questo atteggiamento è esattamente l’opposto di quello che ci chiede Gesù nel Vangelo. Abbiamo ascoltato: Lui è nel più piccolo dei fratelli: Lui, il Re, il Giudice del mondo, Lui è l’affamato, l’assetato, il forestiero, l’ammalato, il carcerato… Chi si prende cura del fratello, entra nella gioia del Signore; chi invece non lo fa, chi con le sue omissioni dice: “A me che importa?”, rimane fuori.
Qui e nell’altro cimitero ci sono tante vittime. Oggi noi le ricordiamo. C’è il pianto, c’è il lutto, c’è il dolore. E da qui ricordiamo le vittime di tutte le guerre.
Anche oggi le vittime sono tante… Come è possibile questo? E’ possibile perché anche oggi dietro le quinte ci sono interessi, piani geopolitici, avidità di denaro e di potere, c’è l’industria delle armi, che sembra essere tanto importante!
E questi pianificatori del terrore, questi organizzatori dello scontro, come pure gli imprenditori delle armi, hanno scritto nel cuore: “A me che importa?”.
E’ proprio dei saggi riconoscere gli errori, provarne dolore, pentirsi, chiedere perdono e piangere.
Con quel “A me che importa?” che hanno nel cuore gli affaristi della guerra, forse guadagnano tanto, ma il loro cuore corrotto ha perso la capacità di piangere. Caino non ha pianto. Non ha potuto piangere. L’ombra di Caino ci ricopre oggi qui, in questo cimitero. Si vede qui. Si vede nella storia che va dal 1914 fino ai nostri giorni. E si vede anche nei nostri giorni.
Con cuore di figlio, di fratello, di padre, chiedo a tutti voi e per tutti noi la conversione del cuore: passare da “A me che importa?”, al pianto. Per tutti i caduti della “inutile strage”, per tutte le vittime della follia della guerra, in ogni tempo. Il pianto. Fratelli, l’umanità ha bisogno di piangere, e questa è l’ora del pianto.


giovedì 11 settembre 2014

11 Settembre 2001

dalla pagina http://presenzalongare.blogspot.it/2014/09/11-settembre-2001.html

Ad ogni anniversario dell'11 settembre 2001 tutti ricordiamo le oltre 3000 vittime dei tragici eventi di quel giorno, i loro familiari e amici, i sopravvissuti.
Forse non tutti sappiamo dei malati cronici e dei successivi morti (fra cui molti vigili del fuoco e poliziotti di New York) a seguito della inalazione di polveri sottili, amianto e altre sostanze, sviluppatesi durante il crollo delle Torri Gemelle, la mattina, e dell'Edificio 7 il pomeriggio; pochi sanno o ricordano quest'ultimo edificio, il WTC-7, non colpito da alcun aereo.

Perlopiù si tace invece sul fatto che un gruppo di familiari delle vittime, assieme e qualche decina di migliaia di persone negli Stati Uniti e sparse per il mondo, continuano a chiedere una commissione di inchiesta che faccia luce su molti aspetti ancora oscuri dei molteplici e collegati eventi di quella giornata.

La guerra al terrorismo che è seguita a quei fatti conta migliaia di militari morti (oltre 6mila dell'esercito USA), un totale di oltre 34mila combattenti sui vari fronti, oltre un milione di civili uccisi; a queste orribili cifre si aggiungono le ferite fisiche e psicologiche di milioni di persone in diversi Paesi del mondo, e lo stillicidio di morte e devastazione che ancora pervade il Vicino Oriente e minaccia di dilagare. Solo dopo molti anni dal 2001 abbiamo iniziato a sentire che la guerra in Iraq fu una guerra sbagliata (come se qualche guerra potesse essere giusta: dalla Pacem in terris in poi sappiamo che non è mai così).

[...]

giovedì 4 settembre 2014

gusti Berici 2014

gustiBerici 2014

6-7-8 settembre a Lumignano, Vicenza

Terre Vicine:

Coltiviamo la Prossimità

8ª edizione - 2014

 
meglio biologico, locale e solidale

domenica 31 agosto 2014

IX Giornata per la custodia del creato

primo settembre 2014 
 
“Educare alla custodia
del creato, per la salute
dei nostri paesi
e delle nostre città”



«Si spergiura, si dice il falso, si uccide, si ruba, si commette
adulterio, tutto questo dilaga e si versa sangue su sangue.
Per questo è in lutto il paese e chiunque vi abita langue, insieme con gli animali
selvatici e con gli uccelli del cielo; persino i pesci del mare periscono” (Os 4,2-3).
Sembra scritta per i nostri tempi questa tremenda pagina di
Osea. Raccoglie tante nostre dolorose analisi e ben descrive lo smarrimento
che vivono molti territori inquinati in Italia e nel mondo. Se infatti viene spezzata
l’armonia creata dall’alleanza con Dio, si spezza anche l’armonia con la
terra che langue, si diventa nemici versando sangue su sangue e il nostro cuore
si chiude in paura reciproca, con falsità e violenza...


il messaggio completo

giovedì 28 agosto 2014

Campagna per il disarmo e la difesa civile

Obiettivo della Campagna è dare piena attuazione all'articolo 52 della Costituzione (“la difesa della patria è sacro dovere del cittadino”) che non è mai stato applicato veramente, perché per difesa si è sempre intesa solo quella armata, affidata ai militari, mentre la Corte Costituzionale ha riconosciuto pari dignità e valore alla difesa nonviolenta, come avviene con l'istituto del Servizio Civile nazionale.
La difesa civile, non armata e nonviolenta è difesa della Costituzione e dei diritti civili e sociali che in essa sono affermati; preparazione di mezzi e strumenti non armati di intervento nelle controversie internazionali; difesa dell’integrità della vita, dei beni e dell’ambiente dai danni che derivano dalle calamità naturali, dal consumo di territorio e dalla cattiva gestione dei beni comuni.

Il disegno di Legge istituisce un Dipartimento che comprenderà il Servizio civile, la Protezione Civile, i Corpi civili di pace e l'Istituto di ricerche sulla Pace e il Disarmo.

Il finanziamento della nuova difesa civile dovrà avvenire grazie all'introduzione dell'”opzione fiscale”, cioè la possibilità per i cittadini, in sede di dichiarazione dei redditi, di destinare il 6 per mille alla difesa non armata. Inoltre si propone che  le spese sostenute dal Ministero della Difesa relative all’acquisto di nuovi sistemi d’arma siano ridotte in misura tale da assicurare i risparmi necessari per non dover aumentare i costi per i cittadini.
Lo strumento politico della legge di iniziativa popolare vuole aprire un confronto pubblico per ridefinire i concetti di difesa, sicurezza, minaccia, dando centralità alla Costituzione che “ripudia la guerra” (art. 11).

La Campagna è stata presentata il 25 aprile 2014 in Arena di pace e disarmo; viene lanciata in occasione del 2 giugno 2014, Festa della Repubblica; la raccolta delle 50.000 firme necessarie inizierà il 2 ottobre 2014, Giornata internazionale della Nonviolenza, e si concluderà dopo 6 mesi.

***

Rete Italiana per il Disarmo – Controllarmi
www.disarmo.org

Conferenza Nazionale Enti di Servizio Civile – CNESC
www.cnesc.it

Forum Nazionale per il Servizio Civile – FNSC
www.forumserviziocivile.it

Tavolo Interventi Civili di Pace – ICP
www.interventicivilidipace.org

Campagna Sbilanciamoci!
www.sbilanciamoci.org

Rete della Pace
www.retedellapace.it

mercoledì 27 agosto 2014

I poveri? S’arrangino...

"Nella guerra che imprese dell'agrobusiness, Stati e Wto [Organizzazione Mondiale per il Commercio] hanno dichiarato ai popoli, Usa e Ue impediscono all'India di produrre e stoccare cibo per i più poveri, quando scarseggia. Solo in questi casi l’India è nazionalista e antidemocratica", Alberto Zoratti [biologo e giornalista freelance, si occupa di cambiamento climatico e di economia solidale e internazionale per l'organizzazione equosolidale]

Un articolo di Monica Di Sisto
tratto da http://comune-info.net/2014/08/poveri-wto/

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Sovranità alimentare e commercio internazionale non parlano la stessa lingua, e quando tenti di difendere la prima, devi per forza rinunciare a sparare cassette e derrate a casaccio per il mondo e ricominciare a parlare di regole vincolanti per tutti. E’ questa la conclusione prevedibile – almeno per chi scrive – che si deve trarre dall’ennesimo collasso annunciato dell’Organizzazione mondiale del commercio. Il 31 luglio era la data fissata con gran frastuono nella Conferenza ministeriale di Bali del dicembre scorso, come momento in cui i 160 Paesi membri avrebbero dovuto fissare nuove regole per rendere il passaggio delle merci più fluido alle frontiere (chiudendo con un accordo finale il cosiddetto negoziato sulla Trade facilitation).
Se il commercio accelera per i grandi esportatori, però, è logico che si debbano prevedere misure più efficaci per salvaguardare i mercati interni, soprattutto quando è a rischio la sicurezza alimentare, nel caso qualcosa vada storto. Era per questo – oltre che per difendere i propri interessi di grande produttore ed esportatore agricolo, che l’India aveva puntato i piedi chiedendo di approvare in quella stessa data, e non il 31 dicembre come previsto a Bali, un pacchetto di misure che le permettessero in via permanente altrettanto facilmente di pagare sussidi per produrre e stoccare cibo per i più poveri, quando in patria cominciasse a scarseggiare.
Finita l’euforia della vacanza esotica, quando i negoziatori sono tornati al quartier generale della Wto, sulle ordinarie sponde del lago di Ginevra, gli Stati Uniti insieme ai grandi esportatori – Europa compresa – hanno fatto la voce grossa, cercando di chiudere le facilitazioni al commercio senza nulla concedere nel negoziato agricolo. L’India e i Paesi più poveri schierati insieme a lei sono stati minacciati di venire indicati come i responsabili unici del mancato rilancio della Wto sbandierato a Bali e dello sprofondare dell’organizzazione nella vecchia crisi di credibilità in cui versa dai tempi del fallimento della ministeriale di Seattle, cioè da ben quindici anni.
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Un esecutivo da poco del tutto rinnovato a furor di popolo non può presentarsi, però, a quella maggioranza di cittadini indigenti che l’ha appena votato ammettendo che la Wto potrebbe costringerlo a bloccare le misure che consentono loro, il più delle volte, di mettere insieme almeno un pasto al giorno. “Non siamo stati capaci di trovare una soluzione – ha ammesso sconsolato il direttore generale della Wto Roberto Azevedo, costatando l’impossibilità di piegare la resistenza indiana – abbiamo provato di tutto ma è risultato impossibile. La mia sensazione è che questo non sia l’ennesimo ritardo che possa essere ignorato o aggiustato in nuove scadenze – ha detto agli ambasciatori riuniti a Ginevra il 31 luglio – E mi sembra che le conseguenze potrebbero essere significative ”.
In effetti il ministro al commercio degli Stati Uniti Mike Froman, lo stesso portabandiera dell’Accordo di liberalizzazione transatlantico Usa-Ue (T-tip/Tafta), ha minacciato il “piccolo gruppo di Paesi” (cioè India, più Bolivia, Cuba, Zimbabwe , ma anche altri grandi esportatori come Sudafrica e Venezuela) promotore del blocco che non sarebbe sopravvissuto alla fine dell’accordo di Bali da esso provocato. Gli Stati Uniti infatti, ha continuato Froman, sarebbero andati avanti per la strada tracciata consultando bilateralmente i propri partners commerciali. Insomma: cari tutti, o accettate i nostri diktat, o ce la vedremo faccia a faccia, nella migliore tradizione negoziale degli Usa, con buona pace di quel sistema multilaterale amato a parole da tutti, ma che nei fatti bypassiamo da ogni dove.
Pieno sostegno a questa posizione è arrivato dal mondo del business: John Danilovich, segretario della Camera di commercio internazionale, ha spiegato che come imprese “non possiamo affrontare un periodo di riflessione esistenziale su quello che questo stallo comporta per il futuro della Wto”. Quindi bisogna che la politica si rimbocchi le maniche e superi la crisi. A sostegno della posizione indiana solo associazioni, sindacati e organizzazioni umanitarie. Ma è possibile? E’ pensabile che un’organizzazione che ha fallito ben 27 deadlines in più di dieci anni non tragga le conclusioni dovute da queste empasse? Possibile che gli Usa possano ancora minacciare apertamente di spostare le proprie decisioni su altri tavoli, forzando regole che essi stessi hanno contribuito a imporre, e non si prenda atto del fatto che per un Governo rispettare i diritti fondamentali dei propri cittadini non è compatibile con l’essere membro della Wto, e che è quindi la struttura stessa dello strumento “commercio internazionale” a dover essere piegata se vogliamo riuscire a garantire un futuro a tutti?
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Il neoeletto governo indiano lo aveva affermato a chiare lettere: finché il suo programma di sostegno e stoccaggio pubblico per la produzione e distribuzione di cibo ai più poveri non fosse stato messo stabilmente al riparo da possibili ritorsioni commerciali, non avrebbe fatto alcuna concessione al tavolo sulle facilitazioni al commercio. D’altronde le regole attuali della Wto prevedono un limite al valore dei sussidi agricoli consentiti agli Stati membri fissato al 10 per cento del valore totale della produzione alimentare. Ed è anche vero che quella percentuale è calcolata in base al valore rilevato vent’anni fa, alla fine dell’Uruguay Round, ed è quindi decisamente inferiore al valore dei sussidi che sarebbero ammissibili per l’India rifacendo i conti oggi, visto che la produzione indiana è esplosa negli ultimi dieci anni.
La base di trattativa dell’India era questa: aggiorniamo le cifre e possiamo discutere. Ma gli Stati Uniti e l’Europa, che in questi anni hanno pagato fior fiore di consulenze legali per lasciare i propri sussidi agricoli praticamente invariati riclassificandoli con nuove formulazioni come perfettamente legali agli occhi della Wto, non hanno alcuna intenzione di perdere il vantaggio commerciale che questo sottodimensionamento indiano gli ha attribuito. Gli altri Paesi emergenti, poi, non hanno alcuna intenzione di concedere terreno a un concorrente tanto agguerrito come l’India. A livello di procedure, per di più, per il principio della reciprocità assoluta che vige tra i membri della Wto, se si apre per l’India una finestra di autodeterminazione del mercato interno agricolo, questa potrebbe rimanere aperta per tutti i Paesi, in particolare quelli in crisi in cui l’agricoltura rappresenta il motore dell’economia e della sopravvivenza. In Asia, in Africa, come anche a casa nostra, con ulteriore smacco per gli esportatori che stanno lucrando da anni sulla fame dei Paesi dipendenti dalle importazioni e dagli aiuti alimentari.
Più facile e utile, in fin dei conti, accusare l’India nazionalista e antidemocratica di aver fatto collassare il sistema multilaterale. Un sistema di facciata e profondamente ingiusto, che o ripensa se stesso o morirà di morte naturale. Ucciso dal cinismo dei grandi esportatori, del loro cupio dissolvi rispetto ad un mostro da loro creato, e da loro stessi lasciato agonizzare proprio una delle poche volte in cui poteva servire a introdurre qualche elemento di equità in un mercato completamente piegato ai loro capricci e bisogni.

venerdì 8 agosto 2014

Una settimana di preghiera per la pace

dalla pagina:
http://www.vicenza.chiesacattolica.it/pls/vicenza/V3_S2EW_CONSULTAZIONE.mostra_pagina?id_pagina=2026&rifi=guest&rifp=guest

Il Vescovo Beniamino invita tutti i cristiani della diocesi a non dimenticare le vittime delle guerre 

Una settimana di preghiera per la pace: è questa l’impegno della Diocesi di Vicenza per non dimenticare i troppi conflitti armati che coinvolgono tante parti del mondo, dalla Terra Santa alla Nigeria, dalla Siria all’Ucraina. Ad oggi sono oltre 60 i Paesi in cui si soffre e si muore a causa di guerre, discriminazioni e attentati terroristici.
“Come Vescovo – ha scritto mons. Pizziol in un messaggio che domenica prossima 10 agosto verrà letto in tutte le chiese della Diocesi – vi invito a condividere la mia angoscia per queste situazioni e a pregare con fiducia per la conversione dei cuori, perché solo Cristo può impedire all’umanità di sprofondare in questo abisso di violenza”.

Dal 10 al 15 di agosto i cristiani della diocesi di Vicenza sono dunque invitati a pregare intensamente per la pace, sia singolarmente che a livello comunitario, partecipando alla Messa e alla recita del Rosario o ad altri momenti che verranno proposti nelle parrocchie. Alla preghiera il Vescovo chiede di unire anche qualche piccolo gesto di rinuncia, offerto al Signore per la pace del mondo. E tali rinunce (come ad esempio un giorno di digiuno) risulteranno tanto più significative perché collocate nel tempo tradizionalmente dedicato alle vacanze estive.
“Non possiamo restare indifferenti davanti a tutta questa violenza – ha dichiarato mons. Pizziol – e anche se umanamente possiamo sentirci impotenti davanti a tali conflitti, cristianamente sappiamo di poter sempre pregare e adoperarci a porre gesti di bene, anche piccoli, ma ne siamo convinti, efficaci, perché il male arretri. Solo la pace è la strada che porta alla soluzione di ogni conflitto”.

La settimana di preghiera per la pace si concluderà venerdì 15 agosto con la celebrazione della Solennità dell’Assunta in cui, su indicazione della Conferenza Episcopale Italiana, si ricorderanno in tutte le Messe i cristiani che in tante parti del mondo sono perseguitati e dunque soffrono e muoiono a causa della loro fede.

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sabato 2 agosto 2014

6 e 9 agosto 1945

riproponiamo un articolo di Heinz Loquai apparso su Missione Oggi, n.7, agosto-settembre 2006, pp. 5-9

LA LEZIONE DI HIROSHIMA E NAGASAKI
 
Heinz Loquai, generale di brigata ora in pensione, dal 1995 al 1999 ha lavorato nella rappresentanza tedesca presso l'Osce a Vienna. Lo scorso anno ha pubblicato il libro Il conflitto in Kosovo. Percorsi verso una guerra evitabile (Nomos, Baden Baden 2000), in cui denuncia i crimini di Milosevic, dell'Uck, della Nato. L'articolo è tratto da Horizons et débats , n. 33, 2005.

“Il 6 ed il 9 agosto 1945, due bombe atomiche venivano sganciate su Hiroshima e Nagasaki provocando centinaia di migliaia di morti. Le ragioni di questo attacco sollevano a tutt'oggi una serie di problemi ai quali è difficile dare una risposta univoca. L'ampiezza inimmaginabile di tale annientamento di massa, fatto inedito all'epoca e mai più ripetutosi, richiede una serie di spiegazioni. Nel corso di questi sei decenni che sono trascorsi dalla distruzione di Hiroshima e Nagasaki, i punti di vista non si sono per nulla riavvicinati; al contrario, si continua a raccontare tale evento in diversi modi”. È quanto ha affermato il direttore dell'Istituto tedesco di studi giapponesi di Tokyo e insegnante di giapponese a Duisburg. Egli ha considerato l'avvenimento sotto diverse angolazioni, studiando il problema e mettendo in particolare risalto l'aspetto umano di tale catastrofe.
Il programma atomico americano fu avviato nel 1939. Con l'intenzione di prevenire la presunta forza militare della Germania, Albert Einstein aveva messo in guardia il presidente Roosvelt contro il programma atomico di Berlino. Altri scienziati, fuggiti anch'essi dall'Europa, parteciparono alla messa a punto dell'arma atomica americana. Il primo esperimento riuscito fu quello del 16 luglio 1945 nel deserto del New Mexico, mentre la prima bomba fu lanciata il 6 agosto dello stesso anno sull'ospedale Shima, nel centro di Hiroshima. Si produsse una temperatura pari a 6000° Celsius. Circa 35% dell'energia liberata era formata da calore, il 50% di pressione e il 15% di raggi radioattivi. Il calore provocò le bruciature più gravi in un raggio di 3,5 chilometri a partire dall'epicentro dell'esplosione.
Un fuoco gigantesco incenerì tutto nel raggio di 2 chilometri : in tutto furono distrutte 70mila abitazioni e l'80% degli ospedali della città. Le radiazioni coinvolsero tutte le persone che si trovavano in un raggio di 900 metri , o carbonizzandole o facendole morire nel giro di qualche giorno. Tutte la gente che si trovava più lontano morì in seguito dopo atroci sofferenze. Il numero totale delle vittime raggiungerà le 250mila unità.
Queste cifre permettono forse di renderci conto dell'orrore, delle sofferenze, del terrore da loro provato? Il fatto è che il lavoro dei migliori fisici, tecnici e addetti alla logistica militare, così come un colossale investimento di due miliardi di dollari (valore anteguerra), avevano reso possibile la cosa.
Il “Progetto Manhattan” - questo è il nome che fu dato al progetto atomico statunitense - doveva mettere a punto una nuova arma. Ma non si sapeva esattamente se il suo uso fosse militarmente necessario. Basandosi su numerose ricerche, lo studioso Florian Coulmas (Hiroshima - Geschichte und Nachgeschichte , Munchen 2005) ha scritto che “la maggioranza degli scienziati impiegati nel progetto contestavano tale implicazione”. Nell'estate del 1945 il Giappone era militarmente all'estremo. Inoltre Stalin, durante la Conferenza di Yalta, aveva confermato a Roosvelt che sarebbe entrato in guerra contro il Giappone solo tre mesi dopo la sua vittoria sulla Germania. Truman, che era diventato presidente degli Stati Uniti dopo la morte di Roosvelt nell'aprile dello stesso anno, alla fine della guerra, si sarebbe giustificato affermando che le bombe atomiche avevano evitato un'invasione militare del Giappone salvando così la vita a centinaia di migliaia di soldati americani; si parlò addirittura di due milioni. Naturalmente, tale discorso ha costituito sino ad oggi la migliore giustificazione dell'uso della bomba, anche se sappiamo come alcuni ufficiali superiori non avevano valutato per nulla necessario l'uso di tale ordigno. Coulmas cita lo stesso Eisenhower, comandante supremo delle truppe alleate in Europa, divenuto più tardi presidente degli Stati Uniti. “Credo - ebbe a dire - che il nostro Paese doveva evitare di urtare l'opinione pubblica mondiale con l'uso dell'arma nucleare che, a mio parere, non era più necessaria per salvare vite americane”. Lo stesso ammiraglio William Leahy avrebbe più tardi espresso la sua opinione in merito: “Il Giappone era già sconfitto e si apprestava a capitolare. L'uso di queste armi barbare non servirono per niente ad aumentare la nostra forza militare contro il Giappone. E averle usate per la prima volta ha voluto dire che ci eravamo appropriati di modi barbari …”. A questo punto è evidente che c'erano delle alternative e che Truman ne era a conoscenza.
 
L'ASPETTO POLITICO
“Gli storici sono inclini a pensare, oggi, che le ragioni politiche siano state prevalenti nel fare quella scelta”. Una serie di episodi ricordati da Coulmas viene a confermare tale tesi.
Roosvelt diede l'ordine di costruire una bomba atomica il 6 dicembre del 1941, il giorno prima dell'attacco giapponese contro Pearl Harbor. Il presidente Truman apprese del “Progetto Manhattan” il 25 aprile del 1945, quindi poco prima della capitolazione della Germania. In quel periodo, la politica americana dominava di già il nuovo ordine europeo e l'Unione Sovietica era ancora un suo alleato. La Conferenza di Potsdam (17 luglio-2 agosto 1945), durante la quale le potenze vincitrici dovevano discutere sul futuro ordine europeo, era stata prevista per giugno. Su iniziativa di Truman essa fu rinviata a fine luglio. Un tempo utile per portare a termine la costruzione della bomba.
Tale arma aveva un chiaro significato per la politica statunitense: prioritariamente, essa prometteva una vittoria degli Stati Uniti sul Giappone senza il concorso dell'Unione Sovietica, e ciò avrebbe rafforzato la posizione dell'America in Europa nei confronti di Mosca. Le manovre politiche americane lasciano supporre che Washington differì volutamente l'armistizio col Giappone al fine di poter usare la bomba. All'epoca, i rapporti con l'Unione Sovietica, che successivamente sarebbe stata identificata come il suo maggiore avversario, rivestivano una grande importanza. “In quanto unica potenza atomica, gli Usa potevano opporsi a ogni velleità espansionistica dell'Unione Sovietica. Ma bisognava mostrare che la bomba funzionasse e che Washington era pronta ad utilizzarla . Questa è la principale ragione per la quale Truman abbandonò l'idea di parlare di pace con Tokio. Alla Conferenza di Potsdam, Stalin aveva dichiarato che l'Urss sarebbe entrata in guerra contro il Giappone l'8 di agosto; ma gli Usa non volevano ciò. Dopo che i governanti giapponesi, che non potevano sapere cosa significasse realmente l'uso della forza nucleare, ebbero ignorato l' ultimatum americano (26 luglio), Hiroshima fu bombardata il 6 di agosto, immediatamente dopo la scadenza del termine fissato da Washington. L'8 agosto l'Urss dichiarava guerra al Giappone. L'indomani una seconda bomba atomica distruggeva Nagasaki. Questo atto doveva dimostrare a Stalin e al mondo che la prima bomba non era l'unica in possesso degli Usa”.
 
L'ASPETTO UMANO
Non si saprà mai esattamente il numero delle vittime dei due ordigni. Sono state pubblicate molte cifre. Secondo un rapporto destinato alle Nazioni unite, la città di Hiroshima, a tutto dicembre del 1945, ebbe 140mila morti. Quelli di Nagasaki pare siano stati tra i 70 e 80mila. Il numero delle vittime decedute successivamente raggiunse le 350mila unità per Hiroshima e 270mila per Nagasaki.
Come ricorda ancora Coulmas: “le sofferenze umane inflitte furono intenzionali. L'idea di sganciare la bomba su delle istallazioni militari o su una regione inabitata per mostrare i suoi effetti, fu rigettata. Dopo la guerra, le forze d'occupazione impedirono ogni notizia sui sopravissuti delle città bombardate, soprattutto per quanto riguarda lo scambio di informazioni su ciò che si faceva nei rari ospedali scampati alla distruzione atomica. I dossier stesi dai medici, i campioni di sangue e di tessuti da loro prelevati dalle vittime, furono confiscati e l'amministrazione giapponese fu costretta a rinunciare all'aiuto medico offerto dalla Croce Rossa internazionale …Truman riconobbe pubblicamente che detestava i “japs” (termine dispregiativo con cui si indicava i giapponesi) mentre uno stimato storico americano, John Dower, li aveva presentati come dei sotto uomini. Questo serviva a preparare il terreno a un atteggiamento favorevole al bombardamento condiviso dalla totalità dei media , quale che fosse la loro tendenza politica”. La sofferenza delle vittime del bombardamento fu ulteriormente aggravata a causa delle discriminazioni che dovettero subire in Giappone. “Furono stigmatizzate ed emarginate. La paura e l'ignoranza ne furono la causa. Le conoscenze degli effetti delle bombe si fondavano essenzialmente sulle voci che giravano. Dopo l'occupazione, i governanti giapponesi fecero ben poco per informare. Le malattie contratte vennero per lungo tempo considerate contagiose. I sopravvissuti vennero chiamati hibakusha e il loro aspetto fisico divenne uno stigma sociale”. Per dare il senso della sofferenza umana bisogna anche ricordare ciò che generalmente non è associato a Hiroshima: le vittime coreane . A causa dei due bombardamenti, si stimano dai 20 ai 30mila morti. Si trattava di lavoratori spostati a forza dai giapponesi dopo l'annessione del loro Paese . Per lungo tempo tali vittime non sono state menzionate in occasione della commemorazione annuale del bombardamento, a dimostrazione della persistente discriminazione che avevano dovuto subire già dai tempi della colonizzazione.
 
HIROSHIMA, I MEDIA E L'IMMAGINARIO
“La censura americana fu sistematica. Nessuno doveva scrivere di Hiroshima e Nagasaki”. Fino al termine dell'occupazione, nel 1952, fu proibito mostrare le foto delle due città distrutte. Una stringente censura americana sui media locali, si esercitò per ben sette anni ma ha avuto un peso anche nel periodo successivo alla fine dell'occupazione. I giornali statunitensi, dal canto loro, furono tutti disposti a legittimare l'uso della bombardamenti. Essi propagandavano la leggenda secondo la quale le due bombe avevano posto fine alla guerra salvando milioni di soldati americani . Non erano interessati invece a raccontare le sofferenze inflitte alla popolazione locale. Per la stampa, Hiroshima era una ”base militare” e le bombe avevano distrutto fabbriche d'armamenti e installazioni portuali militari. “La rivendicazione degli americani di aver condotto una guerra morale combattuta contro il Male, contrariamente ai suoi nemici”, è passata come una ricostruzione obiettiva dei fatti. I media si sono mostrati docili strumenti nelle mani della propaganda governativa.
Coulmas ha analizzato i libri scolastici americani e giapponesi . Dopo sessant'anni gli avvenimenti di Hiroshima e Nagasaki sono presentati in modo molto differente soprattutto per quanto concerne gli insegnamenti che invitano a tirare. I testi giapponesi, esclusa qualche eccezione, insistono sulle conseguenze catastrofiche del militarismo imperiale e di una politica che considerava la guerra come un'azione legittima. L'insegnamento di Hiroshima è per loro il rifiuto della guerra in quanto tale. Invece la lezione che traggono i manuali di storia americani è che l'uso del mezzo militare non è solo legittimo ma sovente necessario. Le bombe lanciate sulle due città giapponesi non sono considerate come un'eccezione: fanno parte di una guerra giusta e necessaria per conseguire un successo. Lo Stato americano ha attivamente dissimulato le informazioni sulle vittime del bombardamento atomico, mentre quello giapponese ha sino a oggi assunto un atteggiamento opportunistico, non volendo arrivare a una contrapposizione con Washington sulla questione di Hiroshima.
Dopo Hiroshima, gli Stati Uniti sono stati il Paese più coinvolto nei vari conflitti che hanno interessato il mondo. L'ideologia della guerra giusta fa parte dell'identità collettiva americana. Essa è servita a giustificare i bombardamenti su Hiroshima e Nagasaki. Ieri come oggi la comunità americana si regge sulla rivendicazione di una propria superiorità morale. Per lei una guerra non è un conflitto tra due avversari a cui si riconoscono gli stessi diritti, ma tra il Bene e il Male, come in una crociata. Il Bene si deve allora esportare se no l'ordine mondiale ne soffrirà. E il Bene è incarnato proprio negli Stati Uniti. La giustificazione - ad esempio l'attacco giapponese di Pearl Harbor - può allora dissimulare nella memoria collettiva i crimini commessi come è il caso del bombardamento atomico sulle due città giapponesi. Così, a differenza della guerra materiale, quella spirituale non è ancora terminata. Hiroshima resta, a sei decenni di distanza, una vicenda controversa.
HEINZ LOQUAI 
 
LE ATOMICHE DEGLI ALTRI
L'Urss ha sperimentato la sua prima bomba A nel 1949 e la prima bomba H nel 1953; la Gran Bretagna ha fatto esplodere il suo primo ordigno a fissione nel 1952 e la prima bomba a fusione nel 1957; per la Francia , le date sono 1960 e 1968; per la Cina , 1964 e 1967: Inoltre, la Francia ha fornito a Israele, nel 1956, il reattore e l'impianto di ritrattamento di Dimona, da dove è uscito il plutonio delle sue prime armi, e il Canada ha consegnato all'India, nel 1955, il reattore ad acqua pesante che ha prodotto il plutonio delle prime bombe indiane.
Il Pentagono e la forza nucleare preventiva
Il Ministero della difesa americano sta esaminando un progetto di una nuova dottrina militare che raccomanda gli attacchi nucleari preventivi. Come ha dichiarato un alto funzionario del Pentagono, il documento, reso pubblico nel marzo dello scorso anno, è stato elaborato in relazioni ai cambiamenti intervenuti nel mondo dopo l'11 settembre del 2001. Il progetto prevede una forza nucleare preventiva contro quegli Stati o quei gruppi estremisti che preparano un attacco contro gli Stati Uniti o i suoi alleati per mezzo di armi di distruzioni di massa. Tali “armi nucleari preventive” potranno inoltre essere usate per mettere fine anche alle guerre tradizionali per garantire così il successo delle operazioni militari delle truppe americane o internazionali. Infine, gli Usa potranno eventualmente farne ricorso contro quegli Stati che forniranno armi nucleari, biologiche o chimiche a gruppi estremisti. In questo modo la nuova dottrina permetterà al Pentagono di usare le sue armi nucleari in tutte quelle regioni del mondo che egli valuterà essere in pericolo.

© MISSIONE OGGI

mercoledì 23 luglio 2014

Serata culturale con la presenza di p. Adriano Sella

Serata culturale con il laboratorio Gratta e VIVI. Per non giocarti la vita e per una vita libera dal gioco d'azzardo”
con la presenza di p. Adriano Sella

Giovedì 24 luglio 2014 ore 20.30
presso l'Equobar a Vicenza

via G. Medici 91 - Vicenza (zona S. Bortolo)

tematiche:
  • Presentazione del laboratorio “Gratta e VIVI. Per non giocarti la vita” sul problema del gioco d'azzardo, promosso dalla Commissione diocesana Nuovi Stili di Vita di Padova
  • Realizzazione del laboratorio: ricevendo un "Gratta e VIVI" per scoprire quello che davvero aiuta a vivere meglio, in modo da liberarci dalla piaga del gioco d'azzardo.
  • vi aspettiamo alle ore 20.30 per poter vivere anche un momento conviviale, assaporando il menù dell'equobar (bruschette, panini e panieri...)
  • alle 21.00 inizierà il momento culturale.


promotori: amici dell'Equobar

e-mail: adrianosella80@gmail.com 
cell. 346 2198404 (Adriano)
sito: www.goccedigiustizia.it

giovedì 10 luglio 2014

Serata culturale con la presenza di p. Adriano Sella


Giovedì 10 luglio
ore 20.30
presso l'Equobar a Vicenza
Via G. Medici 91 - Vicenza (zona S. Bortolo)

tematiche: 

Presentazione e confronto su un'indagine mondiale appena pubblicata Nielsen 2014 Global Survey on Corporate Social Responsibility: facendo emergere che i consumatori responsabili sono in aumento e stanno generando l'economia di giustizia.

Presentazione e confronto sul laboratorio “Gratta e VIVI. Per non giocarti la vita” sul problema del gioco d'azzardo, promosso dalla Commissione diocesana Nuovi Stili di Vita di Padova.

  • ore 20.30: momento conviviale assaporando il menù dell'equobar: bruschette, panini e panieri...
  • ore 21.15: momento culturale

promotori: gli amici dell'Equobar

e-mail: adrianosella80@gmail.com
cell. 346 2198404 (Adriano)