mercoledì 31 agosto 2016

Plastica nel pesce e nei molluschi che mangiamo: l’inquietante denuncia di Greenpeace

dalla pagina http://it.blastingnews.com/salute/2016/08/plastica-nel-pesce-e-nei-molluschi-che-mangiamo-l-inquietante-denuncia-di-greenpeace-001091415.html 

Inquinamento: il rapporto di Greenpeace in un documento sullo stato di salute dei nostri mari e gli effetti negativi del consumo di prodotti ittici contaminati dalla plastica. Lo studio condotto da Greenpeace, ha raccolto in modo molto dettagliato, i risultati di una ricerca sulla presenza di plastica e microplastica nel nostro ambiente marino. Il documento, in particolare, riguarderebbe la massiccia presenza di microplastiche riscontrate all’interno di pesci e molluschi e sugli effetti negativi, di queste sostanze, sull’organismo dell’uomo.

La plastica nei pesci che mangiamo: lo studio di Greenpeace

La diffusione della plastica nei nostri mari ha raggiunto livelli talmente alti che risulta difficile effettuare una stima reale di questa gravissima forma di inquinamento. La situazione ancora più preoccupante è la presenza, riscontrata dagli studiosi, delle cosiddette “microplastiche” ossia piccoli frammenti di plastica di dimensioni inferiori a 5 mm. Questa tipologia di particelle possono derivare da microsfere presenti in prodotti dell’industria cosmetica o dal risultato della naturale degradazione nel mare di plastica, originariamente più grande, ed erosa nel tempo dal moto ondoso e dal vento. Sarebbero risultati dallo studio circa 170 gli organismi marini che fatalmente ingeriscono questo tipo di  frammenti di plastica e tra questi sono presenti nell’elenco anche specie di pesci comunemente presenti nella nostra #alimentazione, come il tonno e il pesce spada

Plastica: a rischio anche i frutti di mare

Dallo studio condotto è emerso che le microplastiche possono essere non solo ingerite dai pesci ma anche filtrate dai frutti di mare commestibili come vongole, cozze e ostriche. Le cozze, molluschi filtratori per eccellenza, sono risultate nei recenti studi, capaci di accumulare nel loro intestino, particelle di microplastiche molto piccole che, una volta insinuatesi nel loro organismo, sarebbero capaci di permanere per circa 50 giorni. Gli effetti tossici sull’organismo dell’uomo, generati  dall’ingestione di cibo contaminato con le microplastiche, sono solo all’inizio, anche se sono state già identificate una serie di problematiche riconducibili alla possibile interazione tra le particelle di plastica e i tessuti e le cellule umane e la loro pericolosa esposizione nel tempo, a questo tipo di sostanze estremamente tossiche.

LA PLASTICA NEL PIATTO, 
DAL PESCE AI FRUTTI DI MARE

(Sintesi del rapporto: Plastics in seafood, Greenpeace Research Laboratories, 2016)

AGOSTO 2016 
PDF
 

martedì 30 agosto 2016

Il TTIP in difficoltà? Attenzione al CETA

dalla pagina https://stop-ttip-italia.net/2016/08/29/il-ttip-in-difficolta-attenzione-al-ceta/

Ago 29, Pubblicato da

Decine di organizzazioni tra movimenti sociali, associazioni ambientaliste e contadine tra cui la Campagna Stop TTIP Italia e l’Ong Fairwatch hanno inviato il 24 agosto scorso una lettera ai membri della Commissione Commercio del Parlamento Europeo (INTA Committee) chiedendo come primo passo uno scrutinio e una discussione democratica e trasparente sulle sorti del CETA, l’Accordo di libero scambio tra Canada e Unione Europea concluso nel settembre 2014 e ora in attesa di ratifica. Obiettivo: rendere pubblico il dibattito con l’obiettivo di bloccarne l’approvazione.
“Il  CETA” si legge nel comunicato, “è stato negoziato con un minimo coinvolgimento dei parlamentari europei e fuori dal controllo di molti parlamentari nazionali. L’accordo, composto da più di 1500 pagine” continua la lettera, “è stato reso dispoibile in tutte le lungue dell’Unione solamente dal luglio 2016”.
La lettera segue la scelta del profilo misto dell’accordo da parte del Consiglio Europeo del luglio scorso, cosa che permette la ratifica anche dei parlamenti nazionali e non solo del parlamento europeo, posizione sostenuta dal Governo italiano e resa pubblica da Stop TTIP Italia.
“La possibile sospensione del TTIP, ancora da verificare, è un primo passo” sottolinea Stop TTIP Italia, “ma il blocco del CETA è l’ulteriore obiettivo che dobbiamo porci”. I prossimi appuntamenti di mobilitazione, previsti per metà settembre, verranno comunicati quanto prima.

domenica 28 agosto 2016

«TTIP, negoziati falliti»: salta il trattato di libero scambio USA-UE

dalla pagina http://www.ilsole24ore.com/art/mondo/2016-08-28/ttip-negoziati-falliti-salta-trattato-libero-scambio--usa-ue--165927.shtml?uuid=AD5huLBB&refresh_ce=1


TTIP stopped!
Il vicecancelliere e ministro dell’Economia tedesco, Sigmar Gabriel, ammette il fallimento dei negoziati USA-UE sul trattato di libero scambio (TTIP). «I negoziati con gli Stati Uniti sono effettivamente falliti perché come europei non possiamo accettare supinamente le richieste americane [statunitensi]» ha detto il ministro socialdemocratico in un'intervista alla rete tedesca Zdf, sottolineando come ormai «non ci sarà più alcun passo avanti, anche se nessuno lo vuole ammettere veramente». Gabriel ha anche sottolineato che in 14 round di colloqui le parti non hanno trovato un'intesa su un solo capitolo dei 27 sul tavolo.
I negoziati, avviati nel 2013, non hanno mai avuto vita facile. Non solo la Germania ma anche la Francia non ha mai nascosto le perplessità per quello che sembrava uno strumento unilaterale americano [statunitense].

continua  

dalla pagina https://stop-ttip-italia.net/

Gabriel “TTIP fallito”. Stop TTIP Italia: “importante risultato, ma occhi aperti”



“Il TTIP è fallito”: così il Ministro dell’economia tedesco Sigmar Gabriel  
Stop TTIP Italia: “importante risultato, ma non abbassiamo la guardia. E prossimo Consiglio Europeo di Bratislava metta la parola fine su TTIP e CETA”

venerdì 26 agosto 2016

Armi leggere: in Italia acquisto e diffusione “in aumento”

dalla pagina http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/attualita/armi-leggere-in-italia-acquisto-e-diffusione-%E2%80%9Cin-aumento%E2%80%9D-38647 

L’Italia sarebbe il 15° Paese su 178 per detenzione e possesso di armi private
di Redazione online

In una Europa con il fiato sospeso per la paura degli attentati come controllare la sempre più rapida diffusione delle armi leggere, per vie legali e illegali? Qual è la situazione in Italia, dove non mancano atti di follia e violenza collettiva e domestica? 
Le cifre variano molto: secondo i dati del Viminale citati dalle cronache più di 1 milione e 300 milapersone hanno una licenza per porto d’armi (uso caccia e sportivo), 179mila in più rispetto al 2011. Ogni anno vengono richieste migliaia di nuove licenze. Nel giro di pochi anni la detenzione di armi sportive sarebbe addirittura triplicata, da 187.000 nel 2015 a 397.384 nel 2015. Ma bisogna calcolare anche il sommerso: oltre ai traffici illegali oggi è facile acquistare armi al mercato nero del “deep web” (o “dark net”), la consistente parte di internet non presente nei motori di ricerca. Recenti studi dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo affermano che almeno 12 italiani su 100, circa 7 milioni, possiedono armi proprie, legali o illegali.

L’Italia sarebbe quindi il 15° Paese su 178 per detenzione e possesso di armi private e il 34° nel Global peace index.

Altre stime arrivano fino a 10 milioni (Eurispes, 2008). L’Italia è inoltre uno dei primi Paesi al mondo per produzione e vendita di armi leggere: è al secondo posto, dopo gli Stati Uniti, per volume d’affari nell’esportazione di armi leggere (oltre i 500 milioni di dollari) e al 18° per importazioni (tra i 50 e 99 milioni di dollari nel 2012).

In Italia, diffusione armi in allarmante aumento. Negli Stati Uniti 89 cittadini su 100 detengono armi, con 30 vittime al giorno e un incremento proporzionale del tasso di omicidi. “L’Italia non è come gli Stati Uniti dove la diffusione delle armi ha radici nella storia e cultura, ma anche da noi le cifre sono in allarmante aumento”, avverte  Maurizio Simoncelli, vice presidente dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo. Se in Italia non si incappa nel paradosso di trovare armi in vendita ai supermercati come negli Stati Uniti, o vedere un video con un ragazzo di 13 a cui viene proibito l’acquisto di alcool, fumo o riviste sexy mentre può tranquillamente comprare un fucile in un negozio normale, anche nel Bel Paese i rischi sono in agguato ovunque.

I punti deboli della normativa italiana. “Da noi ci sono norme precise che ne regolano la diffusione, con alcuni punti deboli”, precisa Simoncelli. Un recente studio di Ernestina Scalfari per Archivio Disarmo denuncia l’aumento di crimini in Italia con armi detenute con licenza di porto e detenzione armi per caccia, difesa personale o uso sportivo, a causa di alcune “lacune” nel sistema dei controlli, “che rendono facile aggirare la normativa”.

Lo studio punta il dito, tra l’altro, sull’assenza di controlli psicologici nel certificato di idoneità psico-fisica (basta andare dal medico della Asl e spuntare qualche casella) e sulla durata di sei anni per il porto d’armi per difesa personale.

Un periodo così lungo impedisce un monitoraggio attento sui profili a rischio e può anche vanificare gli altri requisiti necessari alle licenze. Caso esemplare in Italia è stato l’anziano di Bologna, già noto alle forze dell’ordine, che aveva in casa un vero e proprio arsenale, nonostante la normativa escluda il rilascio delle licenze a chi ha precedenti penali.  “L’assurdità è che detenere un’arma a volte è considerato meno pericoloso di guidare: il rinnovo della patente si fa con più frequenza”, osserva Simoncelli: “Si può benissimo chiedere di detenere un’arma per uso sportivo e poi usarla in modo improprio. Tante persone con disturbi della personalità non sono controllate né controllabili”.

L’acquisto sul “deep web”. C’è poi l’ampio capitolo dell’acquisto di armi al mercato nero di internet. Chi ha ottime conoscenze di informatica riesce a installare Tor (The Onion router), il software che permette di navigare in anonimato. Non è illegale perché permette di aggirare censure e blocchi nei Paesi dove vengono violati i diritti umani o ci sono persecuzioni. Ma come per tutte le tecnologie, se ne fa un uso illecito. Anche l’Isis lo usa per caricare i propri materiali di propaganda, poi diffusi su chat e social. Qui si può comprare una Glock 17 calibro 9 (come quella dell’attentatore di Monaco di Baviera) con facilità, cliccando per inserire nel carrello degli acquisti come su E-bay o su Amazon e pagando 500 dollari in bitcoin. Il materiale viene consegnato in posti di consegna temporanei che poi vengono chiusi. Unici rischi: le truffe o essere scoperti da agenti infiltrati della Polizia postale. “In Italia chi vuole trovare armi riesce con facilità”, ammette Simoncelli, che mette in guardia sulla china pericolosa dovuta all’”effetto emulazione” coniugata al possesso di armi. “Anni fa tutti tiravano sassi dai cavalcavia – dice -. Oggi qualsiasi persona non equilibrata, con questa facile disponibilità di armi, può convertirsi in un mese all’Isis come avvenuto a Nizza o fare un atto di follia come ad Amburgo”. Simoncelli chiede quindi “controlli più rigidi e costanti da parte delle forze dell’ordine sulle vie legali e illegali, e un pool di magistrati specializzato su questi temi”. (Patrizia Caiffa, Agensir)

dalla pagina http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/attualita/armi-leggere-in-italia-acquisto-e-diffusione-%E2%80%9Cin-aumento%E2%80%9D-38647

Leggi anche: 

giovedì 25 agosto 2016

Stop alla vendita di armi all'Arabia Saudita ... e non solo

dalle pagine 
http://org.salsalabs.com/o/161/p/dia/action3/common/public/?action_KEY=20264
http://www.independent.co.uk/news/world/americas/rand-paul-block-us-sales-agreement-saudi-arabia-war-yemen-death-toll-chris-murphy-a7193026.html
http://winwithoutwar.org/take-action-stop-1-15-billion-more-for-war/
http://www.presstv.ir/Detail/2016/08/25/481617/UN-Yemen-Saudi-war

Nello Yemen una coalizione capeggiata dall'Arabia Saudita e sostenuta dagli USA è responsabile della morte di almeno 3500 civili dal marzo del 2015 e di un numero almeno doppio di feriti. 

L'ONU afferma che l'Arabia Saudita è anche responsabile del bombardamento di civili con bombe a grappolo (cluster bomb), in aperta violazione dei trattati internazionali.

Gli USA sono il principale "trafficante d'armi" per l'Arabia Saudita: negli ultimi 8 anni le hanno venduto armi per circa $110 miliardi. Il Dipartimento di Stato USA ha recentemente approvato una nuova vendita di armi per $1,15 miliardi al regime saudita... 



dalla pagina http://www.famigliacristiana.it/articolo/guerra-in-yemen-basta-essere-complici-inviando-armi.aspx

Guerra in Yemen: «Basta essere complici inviando armi»

23/08/2016, di Luciano Scalettari 
 
Dopo l’ennesimo bombardamento – ancora una volta – contro un ospedale, Medici senza Frontiere annuncia che lascerà lo Yemen del nord. Questi attacchi contro le strutture sanitarie, come pure i duplici o triplici bombardamenti sugli stessi luoghi (che vanno a colpire i soccorritori) sono crimini di guerra e contro l’umanità. Una petizione, lanciata su change.org dal nostro collaboratore Luigi Grimaldi, chiede che il nostro governo interrompa perlomeno le forniture di armi all’Arabia Saudita, responsabile delle violazioni del diritto internazionale.


dalla pagina http://espresso.repubblica.it/attualita/2016/08/22/news/ecco-dove-colpiscono-le-bombe-made-in-italy-1.280811

23 agosto 2016
Yemen, ecco dove colpiscono le bombe "made in Italy" 

Gli ordigni sganciati sullo Yemen imbarazzano Roma. E alzano il velo anche sul traffico d’armi con l’Egitto del dittatore Al Sisi



dalla pagina https://aoav.org.uk/2016/us-department-of-defence-spend-on-guns-and-ammunition-in-the-war-on-terror-revealed/

Quanto il Dipartimento della Difesa USA ha speso in armi leggere nella Guerra al Terrore

24 agosto 2016
di Iain Overton, Adam Jarvis-Norse, Jennifer Dathan, Mia Lombardi di AOAV (Azione sulla violenza armata)

Nei 14 anni che sono seguiti agli attacchi terroristici dell'11 settembre, il Dipartimento della Difesa USA ha rilasciato contratti per la vendita di armi leggere, accessori e munizioni per oltre $40 miliardi
Solo per l'invio in Iraq e Afghanistan il Dipartimento della Difesa USA ha speso in realtà circa $2 miliardi, mentre ufficialmente ha dichiarato e giustificato una spesa 8 volte inferiore (circa $280 milioni). 
Queste forniture comprendono oltre 1milione e 450mila armi leggere, mentre il Dipartimento della Difesa USA ha reso conto di meno di 20mila di quelle armi. L'inchiesta di AOAV ha messo in luce notevoli e preoccupanti differenze tra la rendicontazione del Dipartimento della Difesa USA e i dati del Federal Procurement Database System (sistema federale di archiviazione dei contratti per approvvigionamenti)... 

mercoledì 24 agosto 2016

Laicità non significa neutralità

dalla pagina http://riforma.it/it/articolo/2016/08/23/laicita-non-significa-neutralita 

di Luca Pasquet 
Non ci sono più i dibattiti da spiaggia di una volta. Oggi il sistema dei media ci obbliga a parlare di «burkini» in salsa «scontro di civiltà» perché bisogna per forza suscitare rabbia, scandalo e paura. Il pretesto ce lo danno alcuni comuni costieri d’Oltralpe, Cannes in testa, i quali, in pieno stato d’emergenza, hanno ben pensato di proibire un costume da bagno integrale femminile – il burkini, appunto.
Diversi commenti apparsi di recente criticano la misura in una prospettiva di genere: fino a ieri si considerava inopportuno l’abbigliamento troppo corto; oggi anche il troppo lungo può essere sanzionato dalla pubblica autorità. L’impressione è che diversi modelli culturali si confrontino utilizzando il corpo femminile come campo di battaglia. Tanto chi copre quanto chi scopre ritiene legittimo regolare l’abbigliamento della donna, con conseguente limitazione della libertà individuale.
C’è però un altro aspetto su cui vorrei soffermarmi: il divieto in questione viene giustificato dal Comune di Cannes in base al principio costituzionale della laicità. La base legale del provvedimento è un atto comunale che vieta l’accesso alle spiagge a chi non abbia un abbigliamento “corretto, rispettoso del buon costume e della laicità”. Si tratta d’un aspetto che merita una riflessione. Sono infatti convinto che l’interpretazione del principio di laicità alla base del provvedimento sia sbagliata e arbitraria.
Per iniziare, il principio di laicità non richiede all’individuo un atteggiamento imparziale rispetto alla religione. Se esso implica che lo Stato mantenga un atteggiamento di equidistanza ed imparzialità rispetto alle diverse confessioni e credenze religiose, gli individui hanno invece tutto il diritto di essere di parte, di abbracciare la fede che preferiscono, e di dimostrare la loro appartenenza indossando ciò che vogliono. La laicità non produce insomma alcun obbligo individuale alla neutralità. Anzi, storicamente, la separazione tra chiesa e Stato è stata concepita come garanzia di pluralismo religioso e libertà di culto. L’imparzialità dello Stato è dunque funzionale alla libera “parzialità” degli individui, alla libertà di avere convinzioni soggettive e di comunicarle agli altri, anche mediante l’esposizione di simboli.
Ora, se quest’idea ha potuto essere deformata fino al punto di fondare il divieto di indossare un abito avente una connotazione religiosa, ciò è probabilmente dovuto a quel processo di mistificazione denunciato a più riprese dal sociologo e storico Baubérot: oggi, nel discorso politico e dei media, quando si parla di laicità, il “pubblico” non è più identificato con lo Stato, ma con la “sfera pubblica”, ossia lo spazio in cui le persone interagiscono, definito in opposizione alla nozione di “sfera intima”. In tale prospettiva, la laicità non impone più l’equidistanza dello Stato, ma la neutralità degli individui rispetto alla religione, con conseguente obbligo di occultare ogni espressione visibile della propria religiosità. Si passa da un principio posto a garanzia del pluralismo all’imposizione di una “neutralità” di Stato coincidente con una sorta di secolarizzazione consumista di mercato. Invece di tutelare le minoranze, questa “laicità falsificata” impone per legge la concezione di normalità della maggioranza.
Questo processo si spiega in parte con la tendenza a leggere il rapporto tra religioni e Stato in chiave di “scontro di civiltà”, ossia seguendo la logica del “noi/loro” piuttosto che una prospettiva pluralista. Le società occidentali vengono quindi descritte come “società laiche”, in opposizione alle società dei “paesi islamici”. In quest’ottica, si fa coincidere la laicità con la secolarizzazione della società. Si tratta tuttavia di un equivoco: le nostre società non sono “laiche”, ma pluraliste grazie alla laicità dello Stato, il che è ben diverso!
L’opposizione noi/loro spiega anche l’applicazione selettiva del principio di laicità che soggiace al divieto del burkini. Un’applicazione non discriminatoria dell’ordinanza del Comune di Cannes obbligherebbe infatti a sanzionare chiunque in spiaggia ometta di neutralizzare la propria religiosità. Eppure da sempre suore, cori religiosi, e colportori vari scorrazzano per i lungomare europei, senza che ciò abbia mai costituito un problema particolare. È evidente che il divieto in questione è finalizzato a colpire il recente diffondersi del burkini, un simbolo collegato alla religione islamica, in una fase storica di forte ostilità di una parte della società verso le persone di fede musulmana. E mentre ci si affanna a trovare criteri per distinguere il burkini dall’abito monacale o dalla croce greca e giustificare così l’applicazione asimmetrica del principio di laicità, l’unico criterio convincente sembra essere la distinzione “noi/loro”: preti e suore sono accettabili perché sono i “nostri”, il burkini è degli altri, e va vietato.
Con ciò, non voglio ignorare gli argomenti di chi vede in certi tipi d’abbigliamento il simbolo dell’oppressione della donna in determinati contesti culturali. Eppure, penso che neppure questo argomento possa giustificare il divieto di cui parliamo (e del resto non chiederei allo Stato di proibire i testi cristiani che postulano la sottomissione della moglie al marito, o i monasteri di clausura). Per iniziare, non si può presumere che le donne che portano il burkini siano tutte prive della possibilità o della capacità di scegliere liberamente cosa indossare. Sarebbe paternalistico imporre una tenuta che riteniamo meno lesiva della dignità personale contro la volontà delle persone interessate. Ma anche a prescindere da questo, non si comprende l’impazienza di sanzionare e mettere alla gogna le presunte vittime del sistema che si intende combattere. Non si sconfigge il sistema delle caste multando i paria, o lo sfruttamento della prostituzione sanzionando chi è costretto prostituirsi: lo stesso vale per la violenza di genere ed il maschilismo di varia matrice. È evidente che la soluzione non passa per il divieto di un certo abbigliamento e la punizione di chi non lo rispetta, ma consiste nel rendere tutte le donne davvero libere di scegliere, garantendo sicurezza personale e sostegno (economico, psicologico, legale, ecc.) a chi rischia di pagare un caro prezzo per la propria autodeterminazione. Di questo, però, i fautori del divieto e dello scontro di civiltà non parlano.

Salento senza caporali: i volti dell'agricoltura solidale

dalla pagina http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/07/30/foto/caporalato_migranti_nardo_diritti_al_sud_raccolta_pomodori-145082106/1/?ref=search#2



C'è la Puglia agricola dello sfruttamento dei migranti nei campi, del calore atroce che brucia le vite e le speranze, dell’orgoglio calpestato dal caporalato. E ce n’è un’altra fatta di passione, dignità e resistenza. Dove il pomodoro raccolto nei terreni di Nardò ha il sapore straordinario della giustizia. È qui che opera la comunità di Diritti a sud, un’associazione nata in Salento per l’aiuto e l’integrazione degli stranieri e composta da precari, studenti e lavoratori italiani e immigrati. Tutti insieme, senza caporali, per alimentare una filiera corta ed etica per un raccolto iniziato in questi giorni e che dal 2014 viene utilizzato per la salsa di pomodoro SfruttaZero. Si tratta di una conserva lontana dalla grande distribuzione, ma forte della garanzia di un percorso pulito, in cui i migranti vengono pagati il giusto, assunti e tutelati. Nel progetto è coinvolta anche l'associazione Netzanet-Solidaria di Bari (testo di Gianvito Rutigliano, foto di Alessandro Bollino)

articoli sul CAPORALATO alla pagina http://www.repubblica.it/argomenti/caporalato


martedì 23 agosto 2016

Contro la tratta di esseri umani

da https://www.change.org/p/il-governo-italiano-taglia-l-assistenza-alle-donne-vittime-di-tratta-meb



In cinque regioni italiane dal 1 settembre non saranno più disponibili i servizi contro la tratta di esseri umani: le ragazze che vorranno sottrarsi alla rete criminale che le obbliga a prostituirsi in alcune aree dell’Italia come la Sardegna, la Basilicata, il Piemonte, la Valle d’Aosta, la Liguria e in alcune zone della Sicilia, non potranno più rivolgersi ai servizi di assistenza, presenti da anni sul territorio. 
Alla base della decisione del dipartimento per le pari opportunità di escludere alcune associazioni e regioni dai finanziamenti ci sono motivi diversi. Nel caso della Sicilia alcune associazioni sono state escluse perché i fondi sono stati assegnati fino al loro esaurimento in ordine di posizionamento nella graduatoria. Mentre nel caso del Piemonte c’è stato un errore tecnico nella compilazione del bando da parte della regione; in altri casi, come per la regione Liguria, si è trattato di un ritardo nella presentazione della domanda di finanziamento. Tutto questo è ridicolo e non si deve permettere che dei ritardi burocratici abbiano l'effetto di negare alle vittime di tratta l'assistenza che deve essere loro garantita!
Le organizzazioni che si occupano dei diritti di migranti e rifugiati in Italia come l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) hanno espresso preoccupazione per l’esito del bando. “In alcune regioni non sarà possibile garantire la continuità di un servizio che in alcuni casi è in piedi da anni”, commenta Salvatore Fachile dell’Asgi. “Nel momento in cui è stato approvato un Piano nazionale antitratta è stata riconosciuta la necessità di affrontare la questione da un punto di vista nazionale e non locale”.
In Italia, paese di approdo per molte ragazze, è attivo dal 2000 un programma di assistenza e protezione delle vittime di tratta, che dalla fine degli anni novanta sono state più di 60mila, secondo alcune stime del governo. Il programma prevede che le ragazze costrette a prostituirsi siano aiutate a sottrarsi alle minacce dei loro sfruttatori, che siano accolte in case rifugio e che siano assistite da professionisti nel processo legale e psicologico che devono intraprendere per sottrarsi al regime di semischiavitù in cui si trovano.
Come studentessa di Diritti Umani e come essere umano, rivolgo il mio appello a chiunque si sentisse coinvolto, e a quanti non lo sentano affinché si coinvolgano anch'essi. È una tematica troppo delicata per essere lasciata al caso.
Mi rivolgo al Dipartimento per le pari opportunità e precisamente all'ufficio per gli interventi in materia di parità e pari opportunità, AFFINCHÉ:
- non vengano escluse dal bando per l'assegnazione dei fondi da destinare ai servizi antitratta le regioni che invece sono state escluse, in virtù della natura nazionale del cd Piano nazionale antitratta.
- si dia priorità alla tutela della vita e dei diritti delle donne coinvolte nel brutale crimine della tratta degli esseri umani e sia affrontato questo tema nelle scuole, nelle università e nei centri di cultura e informazione.
- non si tratti con superficialità questa tematica soprattutto in ragione delle condizioni precarie in cui versano le vittime, senza che suddetta tematica sia affrontata nei termini dell'emergenzialità bensì come fenomeno ormai strutturale della società odierna.

lunedì 22 agosto 2016

Il "Manifesto" di Ventotene per un'Europa libera e unita

dalla pagina http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Manifesto-Ventotene-Spinelli-Colorni-13d860f1-d739-40a6-a919-ff62de5097cf.html

21 agosto 2016

Abolizione degli Stati nazionali, nascita di una Federazione, con esercito e moneta unitari 

C'era innanzitutto l'idea di abbattere gli Stati nazionali, alla base del 'Manifesto per l'Europa' scritto a Ventotene da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni e Ernesto Rossi tra il 1941 e il 1944. Culture diverse - un ex comunista, un socialista e un liberale - ma un destino comune da confinati, tutti e tre vittime del regime fascista e spettatori forzatamente passivi di una guerra mondiale. Durante gli anni di soggiorno forzato sull'isola pontina - dove lunedì il premier Matteo Renzi incontrerà Angela Merkel e François Hollande - cercarono di studiare le cause del conflitto in corso arrivando alla convinzione, come scrive Colorni nella prefazione, che "la contraddizione essenziale, responsabile delle crisi, delle guerre, delle miserie e degli sfruttamenti che travagliano la nostra società, è l'esistenza di Stati sovrani" che inevitabilmente considerano "gli altri Stati come concorrenti e potenziali nemici".

Questi i "princìpi fondamentali" attorno ai quali è costruito il Manifesto: "Esercito unico federale; unità monetaria; abolizione delle barriere doganali e delle limitazioni all'emigrazione tra gli Stati appartenenti alla federazione; rappresentanza diretta dei cittadini ai consessi federali; politica estera unica".

Ma, appunto, il passo fondamentale è il superamento degli Stati nazionali: "Il problema che in primo luogo va risolto e fallendo il quale qualsiasi altro progresso non è che apparenza, è la definitiva abolizione della divisione dell'Europa in Stati nazionali sovrani".

Per gli estensori del manifesto occorre "costruire un saldo Stato federale, il quale disponga di
una forza armata europea al posto degli eserciti nazionali" e che "spezzi decisamente le autarchie economiche, spina dorsale dei regimi totalitari"; che "abbia gli organi e i mezzi sufficienti per fare eseguire nei singoli Stati federali le sue deliberazioni diretta a mantenere un ordine comune, pur lasciando gli Stati stessi l'autonomia che consenta una plastica articolazione e lo sviluppo di una vita politica secondo le peculiari caratteristiche dei vari popoli".

Al contrario, il risorgere degli Stati nazionali vorrebbe dire che "la reazione avrebbe vinto. Potrebbero pure questi Stati essere in apparenza largamente democratici e socialisti; il ritorno del potere nelle mani dei reazionari sarebbe solo questione di tempo. Risorgerebbero le gelosie nazionali".

In materia economica si prefigura un impianto socialista, ma ben diverso da quello sovietico. "La rivoluzione europea, per rispondere alle nostre esigenze, dovrà essere socialista, cioè dovrà proporsi l'emancipazione delle classi lavoratrici e la realizzazione per esse di condizioni più umane di vita". Questo non vuol dire abolizione della proprietà privata perché "la statizzazione generale dell'economiaà una volta realizzata in pieno non porta allo scopo sognato, bensì alla costituzione di un regime in cui tutta la popolazione è asservita alla ristretta classe dei burocrati gestori dell'economia".

E lo Stato europeo, ovviamente, dovrà garantire "una vita libera, in cui tutti i cittadini possano partecipare veramente alla vita dello Stato"

mercoledì 17 agosto 2016

La schiavitù oggi: i numeri

dalla pagina http://www.aljazeera.com/indepth/interactive/2016/08/modern-day-slavery-numbers-160816132255063.html

45,8 milioni di persone in 167 Paesi del mondo sono vittime di qualche forma di schiavitù


La maggior parte di queste persone sono donne e ragazze e 5,5 milioni sono bambini (secondo altri studi, 1 vittima della schiavitù su 3 è un bambino...)

Persone in schiavitù in diverse aree del mondo:
  • 30,4 milioni, pari al 66,4% del totale, nell'area Asia-Pacifico
  • 6,2, pari a 13,6% del totale, nell'Africa sub-sahariana
  • 2,9 milioni, pari a 6,4% del totale, nel Vicino Oriente e Nord Africa
  • 2,8 milioni, pari a 6,1% del totale, in Eurasia 
  • 2,2 milioni, pari a 4,7% del totale, nelle Americhe 
  • 1,2 milioni in Europa: di queste 84% sono vittime di sfruttamento sessuale 

150 miliardi di $ l'anno è la stima del giro di affari prodotto dal lavoro in schiavitù 

altri dati sulla schiavitù oggi:
https://www.walkfree.org/modern-slavery-facts/?gclid=CNf6vtv3yM4CFYEW0wodLK4EJw
http://www.mosaicodipace.it/mosaico/a/19344.html

giovedì 11 agosto 2016

Aleppo è come Stalingrado...

dalla pagina http://www.fulvioscaglione.com/2016/08/10/aleppo-e-come-stalingrado/

I quartieri di Aleppo distrutti negli scontri
di Fulvio Scaglione

C’è una cosa che non mi torna. Per almeno un decennio ho sentito i neocon nostrani, e anche esteri, paragonare l’islam e molte sue manifestazioni al nazismo. Gli ayatollah dell’Iran? Nazisti. I terroristi islamici? Nazisti. Pure l’islam in generale, con il Corano, il jihad, il velo delle donne e così via, veniva spesso paragonato al nazismo. La definizione “islamo-fascista” veniva distribuita con grande facilità. Ovviamente paragonare un “prodotto” così completamente, tipicamente e irrimediabilmente europeo come il nazismo a un fenomeno così estraneo all’Europa come l’islam era ed è una sciocchezza politica e culturale, ma non importa. Se il paragone con il nazismo avesse avuto un qualche senso, oggi dovremmo trovare tutti compattamente schierati a favore di Bashar al-Assad e del suo regime relativamente laico, e impegnati a fare il tifo affinché Aleppo venga al più presto liberata dagli islamisti. Se il paragone tra nazismo e islamismo avesse avuto un senso, oggi la battaglia di Aleppo sarebbe considerata coma una nuova battaglia di Stalingrado.

Le analogie, per quanto possa sembrare strano, sono molte. A Stalingrado le truppe russe si opposero, tra l’estate del 1942 e il febbraio del 1943, alle truppe tedesche, italiane, rumene e ungheresi. Fino ad allora i nazisti erano sempre stati all’attacco e solo poche settimane prima dell’inizio dell’assedio avevano subito una battuta d’arresto a Mosca, che non era stata conquistata e da dove le truppe russe erano partite per la controffensiva. Un po’ quanto sta succedendo nelle ultime settimane all’Isis, che prima è sempre stato all’attacco e da anni mette sotto assedio la grande città del Nord della Siria.
Stalingrado, inoltre, era una città decisiva per l’Urss: era il fulcro del suo sistema industriale sovietico e uno snodo decisivo per i collegamenti con i bacini petroliferi del Caucaso. Aleppo è la stessa cosa per la Siria.
Altre analogie. Bashar al-Assad è un dittatore, un autocrate, un tiranno, quel che volete. Stalin, qualunque sia la definizione che avete scelto per Assad, non era da meno. E alle nazioni democratiche di allora non spiaceva affatto che la non democratica Russia di Stalin fosse al loro fianco. Né erano in alcun modo turbate dai metodi usati dai generali dell’Armata Rossa, dalla qualità e precisione dei loro bombardamenti, dal fatto che a Stalingrado i commissari politici sparassero alla schiena ai soldati che scappavano o si ritiravano. In altre parole, Gran Bretagna, Francia, USA ecc. il ragionamento del “meno peggio” lo facevano eccome, in quei primi anni Quaranta: la Russia di Stalin che fermava i nazisti era assai meno peggio, per loro, di una vittoria di Hitler.
Infine: molti storici considerano Stalingrado la più importante battaglia della seconda guerra mondiale, il primo vero rovescio politico-militare imposto alla Germania e l’inizio della marcia delle truppe sovietiche verso Berlino, dove sarebbero arrivate due anni dopo. In un modo o nell’altro, dunque, Stalingrado fu un capitolo fondamentale della battaglia per sconfiggere il nazismo.
Aleppo è la stessa cosa. Se l’Isis conquistasse Aleppo diventerebbe uno Stato (nazista o islamo-fascista) abbastanza vero, perché avere la capitale a Raqqa non è come averla ad Aleppo. Stroncherebbe la sussistenza economica della Siria e la priverebbe dell’accesso ai campi petroliferi. Metterebbe un’ipoteca su tutta l’area che va dall’Iraq al Libano passando appunto per la Siria. Realizzerebbe uno dei sogni degli altri Stati islamo-fascisti, quelli del Golfo Persico in primo luogo. Offrirebbe a tutti gli islamisti radicali del mondo (nazisti, fascisti) un’ispirazione strategica e un modello cui guardare. Per non parlare di quello che potrebbe succedere ai cristiani e a molti altri abitanti di Aleppo, che farebbero la fine degli zingari o degli ebrei durante la Soluzione Finale.
E allora, cari neocon, perché siete così timidi? Perché, proprio ora che il nazismo islamista cerca di prendere la “sua” Stalingrado, non vi schierate come faceste ai tempi delle armi di distruzione di massa (inesistenti) di Saddam Hussein? Dove sono finite le certezze di allora? Aspettate indicazioni dagli USA? E che qualche stratega israeliano vi dica “contrordine compagni, l’Isis adesso è un nemico”? È certo chiaro anche a voi che non passò mai per la testa di Winston Churchill né di Delano Roosevelt di permettere a Hitler di conservare il controllo di una parte di Russia per indebolire Stalin. Non fecero, insomma, ciò che americani ed europei fanno da anni per contenere l’Isis lasciandogli nel frattempo modo di smembrare Siria e Iraq.
Ma è un imbarazzo che si può capire. Per almeno due ragioni. Le teorie neocon, costruite sull’assioma che nulla può e deve essere fatto senza l’Arabia Saudita, di fatto hanno sempre incentivato l’islamismo. Il decennio neocon e la presidenza Bush non hanno fatto altro che aumentare le distruzioni, gli attentati e le morti. La “guerra contro il terrore” è stata in realtà una “guerra per il terrore”: dal 2000 al 2015 i morti per atti di terrorismo sono aumentati di nove, volte, ci sarà pure una ragione. E la ragione sta in quelle teorie sballate, che hanno demonizzato l’Islam senza muovere un dito per bloccare i meccanismi del terrorismo, a partire da coloro che pagano perché altri sparino.
La seconda ragione è la probabile elezione di Hillary Clinton alla presidenza degli USA. Tutti sanno che la Clinton avrebbe voluto e tuttora vorrebbe imporre una no fly zone sulla Siria. Impedire ai caccia siriani e russi di volare vuol dire, in concreto, cercare di far vincere Al Nusra, Jaesh al-Fatah e anche l’Isis. In altre parole, far vincere quelli che un tempo i neocon avrebbero definito islamo-fascisti e/o nazisti. Quindi li capisco, i neocon: con le elezioni USA alle porte, e con l’ipotesi che diventi presidente la regina dei neocon democratici, meglio non scoprirsi.
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mercoledì 3 agosto 2016

Da Hiroshima e Nagasaki all'Italia e al mondo: basta armi nucleari

dalla pagina http://www.beati.eu/index.php?option=com_content&view=article&id=295:comunicato-rid-da-hiroshima-e-nagasaki-all-italia-e-al-mondo-basta-armi-nucleari&catid=43&Itemid=224

Comunicato Rete italiana per il Disarmo
 

Le date del 6 e 9 agosto, in ricordo dei bombardamenti atomici di Hiroshima e Nagasaki, possono essere considerate l'inizio dell'anno di attività per la richiesta di messa al bando delle armi nucleari. Anche in Italia con “Pace in Bici” (l'annuale biciclettata organizzata dai “Beati i Costruttori di Pace”) ricorderemo i 71 anni dell'uso delle atomiche in Giappone.

Fai click qui per leggere l'intero comunicato

“Pace in Bici” Percorso 2016

Ritrovo a Longare, sera del 5 agosto 

6 agosto: Memoria di Hiroshima, ore 8.15, davanti al Site Pluto di Longare – Montecchio M. – Trissino – Priabona – Malo – Isola V. – Oasi naturalistica di Villaverla – Novoledo. Temi della giornata: inquinamento dell’acqua, devastazione del territorio con la Pedemontana, responsabilità e cura dell’acqua bene comune 
7 agosto: Novoledo – Cittadella – Morgano (TV). Temi della giornata: accoglienza e rifiuto dei più poveri, testimonianze 
8 agosto: Morgano – Vallenoncello (PN). Temi della giornata: atomiche, territorio, rifugiati 
9 agosto: Vallenoncello – Aviano. Ore 11, Memoria di Nagasaki, davanti alla Base USAF di Aviano.

Leggi anche l'approfondimento Per un mondo libero da armi nucleari di Lisa Clark



lunedì 1 agosto 2016

6,7,9 agosto 2016 a Site Pluto per far memoria di Hiroshima e Nagasaki ...

dalla pagina http://presenzalongare.blogspot.it/2016/07/679-agosto-2016-site-pluto-per-far.html
presenza a Longare 

davanti alla base USA Site Pluto
Longàre, Vicenza, Italia, Europa, Terra

per un mondo libero da armi nucleari
e dalla minaccia di auto-distruzione


Il 6 Agosto 1945 fu sganciata la prima bomba atomica della storia, che rase al suolo la città giapponese di Hiroshima. Tre giorni dopo, il 9 agosto 1945, la stessa sorte toccò a Nagasaki. Un orrore che ha causato subito circa 200mila morti, più decine di migliaia di morti e malformazioni nei mesi e anni successivi alla deflagrazione nucleare. Ad oggi le vittime, secondo alcune stime, sono oltre 350 mila e oltre 150 mila fra i sopravvissuti conducono ancora una esistenza dolorosa a causa delle conseguenze delle radiazioni... 
 
- sabato 6 agosto dalle 7.30 alle 11
ore 8.15 la prima bomba atomica colpisce Hiroshima 
don Albino e i ciclisti di Pace in Bici, iniziativa di Beati i costruttori di Pace, faranno Presenza a Longare 

- Domenica 7 agosto dalle 10 alle 11

- martedì 9 agosto dalle 7.30 alle 11
ore 11.02 la bomba colpisce Nagasaki

... per fare memoria e dire: 

NO alle bombe nucleari in Italia