martedì 29 ottobre 2019

primolunedìdelmese: "La politica dei muri"

primolunedìdelmese
Anno XXII - Incontro n. 170

4 Novembre 2019 - ore 20:30
presso Cooperativa Insieme, via Dalla Scola 253, Vicenza


domenica 27 ottobre 2019

29 ottobre: "Donne, Diritti Umani e Processi di Pace"


Questo incontro di Vicenza è inserito nel progetto “Donne Diritti Umani e Processi di Pace” che sostiene l’attuazione del Terzo Piano d’Azione Nazionale dell’Italia su “Donne Pace Sicurezza” (2016-2019) nei suoi aspetti più innovativi e originali, che riguardano il ruolo delle donne e della società civile nella promozione della pace e dei diritti umani nelle aree di conflitto e post conflitto, per la piena espressione del potenziale trasformativo della Risoluzione 1325 “Donne Pace Sicurezza” del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
A tal fine, il progetto si articola in una pluralità di attività: formazione, informazione e comunicazione attraverso iniziative ed eventi che si svolgono in diverse aree del territorio nazionale, con il coinvolgimento di partner attivi a livello locale per la promozione dei diritti umani e della pace.
Il progetto è sostenuto dalle principali organizzazioni impegnate in attività di protezione e peacebuilding in aree di conflitto.
Il progetto è promosso dal Centro di Ateneo per i Diritti Umani “Antonio Papisca” dell’Università di Padova e dal Centro Studi Difesa Civile, con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.

Nota Bene: per motivi organizzativi si prega cortesemente di comunicare il proprio interesse e la partecipazione


Informazioni e Comunicazioni a: casaperlapace@gmail.com / tel. 0444 327395

venerdì 25 ottobre 2019

Dossier Statistico Immigrazione 2019: con i decreti sicurezza aumenta il numero di stranieri irregolari

dalle pagine 

Immigrazione. Richiedenti asilo e migranti tornati nella clandestinità. La denuncia del Rapporto Idos: «Con le norme salviniane più esclusione sociale»



In Italia tra il 2017 e il 2018 è crollato dell’80% il numero di migranti sbarcati, passato da circa 119 mila due anni fa a 23.370 lo scorso anno. Un trend al ribasso proseguito anche nei primi mesi del 2019, con 7.710 sbarchi registrati. Il dato italiano è 5 volte inferiore ai 39mila migranti arrivati in Grecia e di circa 2 volte e mezzo più basso rispetto ai 19mila approdati in Spagna. È quanto emerge dal Dossier statistico immigrazione 2019, a cura di Idos – Centro studi e ricerche sull’immigrazione. Nonostante i numeri in calo la propaganda politica ha continuato ad agitare il tema dell’invasione fino ad approvare i due decreti Sicurezza, poi convertiti in legge dall’allora maggioranza giallo verde. Quello tra il 2018 e il 2019, spiega il dossier, è stato un «annus horribilis per l’immigrazione».
Il primo decreto Sicurezza ha causato maggiore esclusione sociale, contribuendo a fare aumentare il numero di stranieri irregolari: nel 2018 erano 530mila, entro il 2020 potrebbero arrivare a oltre 670mila. A incidere è stata l’abolizione della protezione umanitaria. L’introduzione di permessi speciali, più labili e difficilmente rinnovabili, hanno reso più precaria la platea dei beneficiari.
Nel 2018 il numero degli ospiti nei centri di accoglienza è calato di circa 51mila unità rispetto al 2017, arrivando a 135.800. Nel primo semestre 2019 è diminuito di altre 27mila persone. In 82.600 si trovano nei Cas, solo 26.200 nei centri Siproimi (gli ex Sprar). Il taglio dei fondi ha cancellato migliaia di posti di lavoro nel settore. Ha anche indotto la diserzione dei bandi prefettizi da parte degli enti che non hanno ritenuto congruo il ridotto massimale economico, rispetto al livello minimo di accoglienza da garantire. I migranti adesso in gran parte restano confinati «in strutture prive di figure per il sostegno e l’integrazione, senza possibilità di fruire di tali percorsi. Destinati a rimanerci per mesi e anni, sono maggiormente esposti al reclutamento della criminalità».
Sul fronte sbarchi, dal 2017 il drastico calo degli arrivi in Italia è stato conseguito a danno dei migranti, afferma il Dossier, a cominciare dagli accordi con la Libia, per proseguire con la riduzione dei salvataggi in mare, sulla scia di una campagna ostile nei confronti delle ong. Nel 2018 un elevato numero di migranti è stato fermato dalla Guardia costiera libica (finanziata da Italia e Ue) oppure riportato nei campi di detenzione libici o ancora sono morti nel Mediterraneo centrale, la rotta più letale al mondo. Dal 2000 ad oggi, i morti e dispersi accertati sono stati più di 25mila, il 50% di tutti quelli calcolati nelle rotte marittime a livello mondiale.
Se nel 2017 il numero di annegati registrato dall’Oim è stato più del doppio (oltre 2.800) rispetto a quello del 2018, con più di 1.300 vittime lungo il tratto di mare italo libico, è invece aumentato il rapporto «morti-partenze», passato da 1 a 50 a 1 a 35. Una conseguenza diretta della riduzione dei salvataggi di ong: ai loro interventi erano ascrivibili, nel 2017, il 35% di tutti i salvataggi; oggi sono circa l’8% per effetto della politica dei «porti chiusi», formalizzata nel decreto Sicurezza bis.
Durante il governo giallo verde si sono registrati 20 casi di navi umanitarie alle quali è stato vietato l’attracco, con a bordo una quota di migranti minoritaria rispetto alle migliaia che, nel frattempo, sono approdate con i «barchini fantasma». Con la politica dei «porti chiusi» l’Italia ha evitato appena 2mila persone sbarcate a Malta e, due volte, in Spagna.
Nel 2018 quasi il 70% delle richieste di asilo sono state respinte: su 95mila domande, solo il 32,2% ha ottenuto protezione. I minori non accompagnati sbarcati in Italia nel 2018 sono stati 3.500, pari al 15,1% degli arrivi. In Italia l’anno scorso la popolazione straniera è cresciuta del 2,2%, con 5,2 milioni di residenti (l’8,7% della popolazione) e da almeno sei anni non è in espansione. Un flusso che solo parzialmente compensa la quantità di giovani italiani che vanno all’estero, al ritmo di 300mila all’anno. Nel 2018 sono stati 112.500 gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana, in netto calo rispetto ai due anni precedenti, mentre crescono politiche di esclusione e discriminazione.

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dalla pagina https://www.onuitalia.it/dossier-statistico-immigrazione-2019-lannus-horribilis-per-i-migranti/

DOSSIER STATISTICO IMMIGRAZIONE 2019

COMUNICATO STAMPA
Roma, 24 ottobre 2019 – Le nuove generazioni protagoniste del nuovo Dossier Statistico Immigrazione 2019 “L’ANNUS HORRIBILIS PER I MIGRANTI” realizzato dal Centro Studi e Ricerche Idos in partenariato con il Centro Studi Confronti. Giovani protagonisti tanti sono stati gli studenti degli istituti scolastici, licei e istituti tecnici, presenti all’evento di lancio del Dossier, che si è svolto questa mattina, lunedì 24 ottobre, al Nuovo Teatro Orione a Roma. Ma attenzione sui giovani anche perchè il tema della cittadinanza per le “seconde generazioni” di immigrati, la discussione sullo ius soli e lo ius culturae, è uno dei punti al centro del dossier.
L’incontro odierno, moderato da Maria Paola Nanni di Idos e Stefania Sarallo di Confronti si è aperto con il video che riassume i contenuti del Dossier, realizzato da Vibes-Radio Beckwith.
Numeri che descrivono appunto un “annus horribilis” per l’immigrazione: 68.845 arrivi in Europa attraverso il Mediterraneo, dal 1° gennaio al 1° ottobre 2019, 1.314 morti e dispersi nella rotta centrale: una drastica riduzione degli arrivi via mare alla quale si aggiunge la sostanziale chiusura, come si legge nella scheda di sintesi del Dossier, dei canali regolari di ingresso. Intanto, i residenti stranieri in Europa sono 39,9 milioni, in Italia 5.255.503, l’8,7 per cento della popolazione residente (2018). 2.445.000 sono gli occupati stranieri in Italia, il 10,6 per cento del totale lavoratori e 602.180 le imprese condotte da stranieri in Italia, il 9,9 per cento delle aziende complessive.
“Nell’anno trascorso – ha dichiarato Luca Di Sciullo, presidente Idos – c’è stato il tentativo di portare la nostra società a fasi storiche passate, abbiamo visto realizzarsi un’eclissi del senso dell’umano, dinanzi a quella che è stata chiamata la crisi dei migranti, che a essere onesti, dovremmo chiamare crisi dell’Europa”. Serve allora “riabilitare il principio della fratellanza umana, di là della retorica, perchè abbiamo, immigrati e italiani, comuni bisogni e fragilità. Allo scontro tradizionale tra poveri e ricchi abbiamo sostituito una guerra tra poveri e impoveriti: non facciamo quest’errore, sarebbe il più grande favore a un potere inetto che vuole conservare il proprio status”.
Luciano Manicardi, priore della Comunità di Bose, ha focalizzato l’attenzione su “la parola, il volto dell’altro e la memoria” come “tre elementi per ricostruire un’umanità degna di questo nome”, di fronte a quella che Ernst Bloch negli anni Trenta, a proposito del consenso di massa al nazismo, chiamava “la metamorfosi in demoni di gente comune”. E contro questo odio “dobbiamo riconoscere in noi l’alterità, lo straniero ci aiuta a restituirci a noi stessi, è una rivelazione che dice qualcosa di “noi”.
Una metamorfosi che è basata spesso su luoghi comuni, quei “luoghi comuni spesso slegati dalla realtà dei fatti, contro i quali”, come ha dichiarato Elly Schlein, già parlamentare europea, “il Dossier è come una bibbia laica, una fonte essenziale per costruire politiche migliori, mentre spesso le politiche sono state frutto della propaganda”. Politiche come la legge Bossi-Fini, “una legge criminogena, che va cambiata” perchè ha costruito “irregolarità e caos” e i decreti sicurezza, che “vanno cancellati”, e infine occorre riformare la legge per ottenere la cittadinanza italiana.
Takoua Ben Mohamed, graphic journalist, “tunisina di Roma”, usa il fumetto per raccontare le sue “battaglie quotidiane e l’immaginario sulle donne musulmane, costruito dall’informazione mainstream, che non mi rappresenta per niente”. L’autrice ha raccontato anche la storia della sua famiglia, una storia che ha disegnato anche nei suoi libri “La rivoluzione dei gelsomini” e “Sotto il velo” (editi da Becco Giallo), della sua vita in Italia, della costruzione dell’identità, da “musulmana che porta il velo” e che ha incontrato anche un'”umanità che viene prima dell’ideologia”.
“Fugare le percezioni sbagliate – ha concluso Alessandra Trotta, moderatora della Tavola valdese – è un obiettivo che il Dossier persegue e realizza. Percezione errata di cui anche noi, evangelici, siamo stati vittima: ci “accusano” di occuparci solo di migranti. Una percezione alla quale noi resistiamo fortemente: non dobbiamo mai mettere in competizione i diritti, perchè devono essere tutti tutelati. E fra le pieghe di questo Dossier c’è un fenomeno che mi preoccupa molto, a fronte del taglio dei progetti di accoglienza ed integrazione, ovvero la mutata percezione da parte dei migranti della possibilità di vivere nel nostro Paese, una perdita di fiducia che comincia a realizzarsi. Ma c’è anche un’altra Italia, che crede nell’inclusione e nel pluralismo, che vorremmo diventasse più visibile, attraverso il dialogo paziente con chi la pensa diversamente”.
La scheda di sintesi e il video sono scaricabili dal sito www.dossierimmigrazione.it (video a fondo pagina)
Ufficio stampa: 380.9023947; comunicazione@dossierimmigrazione.it
Centro Studi e Ricerche IDOS
Via Arrigo Davila – 00179 Roma idos@dossierimmigrazione.it
Rivista e Centro Studi Confronti
Via Firenze, 38 – 00184 Romawww.confronti.net; info@confronti.net

mercoledì 23 ottobre 2019

Pat Patfoort a Vicenza



dalla pagina https://it.wikipedia.org/wiki/Pat_Patfoort

Pat Patfoort (Belgio1949) è un'antropologa e biologa belga. È nota come formatrice alla nonviolenza.


Nella sua formazione, è stata segnata dai numerosi contatti con le associazioni gandhiane fondate da Giuseppe Giovanni Lanza del Vasto, nonché dalla formazione religiosa e la lunga permanenza (otto anni) in Africa Occidentale.
Ha lavorato, a livello nazionale e internazionale, come trainer e mediatrice sulle tematiche della trasformazione e della gestione nonviolenta dei conflitti, ideando un originale approccio teorico (denominato "Mme-model"), che ha applicato nell'educazione dei suoi due figli e verificato in questi trent'anni di formazione.
Dirige il Centro per la gestione nonviolenta del conflitto "De Vuurbloem" ("Il fiore di fuoco") a Bruges, in Belgio, di cui è anche cofondatrice.
La sua attività l'ha vista impegnata sia nelle principali Università del mondo (in Belgio, ItaliaPaesi BassiSveziaSpagnaStati UnitiRussia, ecc.), così come in associazione con varie realtà pacifiste e nonviolente, religiose (QuaccheriPax Christi) o istituzionali (OSCEConsiglio d'EuropaNazioni Unite). Il suo approccio le permette di lavorare con una grande varietà di gruppi (bambini, adolescenti, genitori, insegnanti, educatori), nelle più diverse situazioni di conflitto (relazioni familiari, professionali, culturali).
Importante è stata la sua attività di facilitazione nell'intervento di dialogo e riconciliazione tra gruppi etnici in conflitto, come in CaucasoKossovoRuandaCongo e Senegal.

domenica 20 ottobre 2019

Francesco ai cristiani: i fratelli non vanno selezionati ma abbracciati

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2019-10/papa-francesco-messa-93-giornata-missionaria-mondiale.html

Santa Messa nella Basilica di San Pietro per la 93.ma Giornata mondiale missionaria. Il cristiano, afferma Francesco nell'omelia, va con amore verso tutti, perché la missione “non è un peso da subire, ma un dono da offrire”

Michele Raviart – Città del Vaticano

“Monte”, “salire”, “tutti”. Sono queste le tre parole che Papa Francesco ha scelto di dedicare ai missionari di tutto il mondo nella Santa Messa in San Pietro per la loro 93.ma Giornata mondiale (Ascolta il servizio con la voce del Papa). Dalle parole del profeta Isaia al luogo dove Gesù chiede agli apostoli di incontrarsi dopo la resurrezione, il monte è sempre stato il “luogo dei grandi incontri tra Dio e l’uomo”, spiega nell'omelia.

Il monte ci riporta all'essenziale
Sul monte siamo chiamati ad avvicinarci a Dio “nel silenzio, nella preghiera, prendendo le distanze dalle chiacchiere e dai pettegolezzi che inquinano”, ma anche ad avvicinarci agli altri, essendo il monte il luogo dove inizia la missione e dove si possono vedere le persone da un’altra prospettiva:

Dall'alto gli altri si vedono nell'insieme e si scopre che l’armonia della bellezza è data solo dall'insieme. Il monte ci ricorda che i fratelli e le sorelle non vanno selezionati, ma abbracciati, con lo sguardo e soprattutto con la vita. Il monte lega Dio e i fratelli in un unico abbraccio, quello della preghiera. Il monte ci porta in alto, lontano da tante cose materiali che passano; ci invita a riscoprire l’essenziale, ciò che rimane: Dio e i fratelli.

Salire vuol dire rinunciare
“Non siamo infatti nati per stare a terra, per accontentarci di cose piatte, siamo nati per raggiungere le altezze”, aggiunge il Papa, e per incontrare Dio e i fratelli sul monte è sempre necessario “salire”. Un’azione che “costa fatica, ma è l’unico modo per vedere tutto meglio” e, come in una dura scalata, si è ricompensati dalla vista del panorama migliore. In montagna, poi, non si può salire bene se si è appesantiti, spiega Francesco, e allo stesso modo bisogna alleggerirsi, “bisogna lasciare una vita orizzontale, lottare contro la forza di gravità”. In questo sta il “segreto della missione”:

Per partire bisogna lasciare, per annunciare bisogna rinunciare. L’annuncio credibile non è fatto di belle parole, ma di vita buona: una vita di servizio, che sa rinunciare a tante cose materiali che rimpiccioliscono il cuore, rendono indifferenti e chiudono in sé stessi; una vita che si stacca dalle inutilità che ingolfano il cuore e trova tempo per Dio e per gli altri.

Il cuore va oltre le “dogane umane”
Il senso della missione è quindi “salire sul monte a pregare per tutti e scendere dal monte per farsi dono a tutti”. Una parola, “tutti”, che il Signore non si stanca mai di ripetere:

Tutti, perché nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua salvezza; tutti, perché il nostro cuore vada oltre le dogane umane, oltre i particolarismi fondati sugli egoismi che non piacciono a Dio. Tutti, perché ciascuno è un tesoro prezioso e il senso della vita è donare agli altri questo tesoro.

Il cristiano va incontro a tutti
Salire e scendere, infatti, sono gli attributi del cristiano, che è “sempre in movimento” e “va verso gli altri”. “Il testimone di Gesù”, spiega ancora il Papa, non è mai, perciò, “in credito di riconoscimento dagli altri, ma in debito di amore verso chi non conosce il Signore” e “va incontro a tutti, non solo ai suoi, nel suo gruppetto”.

Missione è donare aria pura a un mondo inquinato
Una testimonianza che va vissuta in prima persona, comportandosi da discepoli. Questa è infatti l’istruzione che ci dà il Signore per andare verso tutti. La stessa Chiesa “annuncia bene solo se vive da discepola” e il discepolo “segue ogni giorno il Maestro” e condivide con gli altri la gioia di questa condizione:

Non conquistando, obbligando, facendo proseliti, ma testimoniando, mettendosi allo stesso livello, discepoli coi discepoli, offrendo con amore quell'amore che abbiamo ricevuto. Questa è la missione: donare aria pura, di alta quota, a chi vive immerso nell'inquinamento del mondo; portare in terra quella pace che ci riempie di gioia ogni volta che incontriamo Gesù sul monte, nella preghiera; mostrare con la vita e persino a parole che Dio ama tutti e non si stanca mai di nessuno.

Non un peso, ma un dono
Il Signore, conclude poi il Papa, ha infatti una “sorta di ansia per quelli che non sanno ancora di essere figli amati dal Padre, fratelli per i quali ha dato la vita e lo Spirito Santo”. Un’ansia da placare andando con amore verso tutti, perché la missione “non è un peso da subire, ma un dono da offrire”. 

venerdì 18 ottobre 2019

La Fao: «Il sistema alimentare mondiale è al collasso»

dalla pagina https://ilmanifesto.it/la-fao-il-sistema-alimentare-mondiale-e-al-collasso/

L’allarme dell’organizzazione internazionale lanciato durante il congresso convocato in questi giorni a Roma. 2 mld di persone al mondo non hanno accesso al cibo, 820 milioni non sanno se oggi mangeranno, 700 milioni sanno che di certo non avranno cibo per la propria famiglia. Il modo di nutrirci, produrre cibo e distribuirlo causa anche il 40% dei mutamenti climatici





«Oggi, 16 ottobre, non dovremmo celebrare la Giornata mondiale dell’alimentazione ma la Giornata mondiale della Fame: il rapporto Fao 2019, infatti, spiega che il numero delle persone che soffrono la fame è tornato a crescere dopo anni di calo. 2 miliardi di persone nel mondo hanno difficoltà nell’alimentarsi, 820 milioni non sanno se oggi mangeranno, 700 milioni sanno che di certo non avranno cibo per sé e la propria famiglia. Un sistema alimentare al collasso anche in termini di impatto ambientale, visto che provoca circa il 40% dei cambiamenti climatici in atto spingendoci ben oltre i limiti del pianeta».
COSÌ PAOLA DE MEO, dell’ong Terra Nuova, introducendo l’incontro tra i delegati della società civile protagonisti del Comitato per la sicurezza alimentare Fao convocato in questi giorni a Roma, i giovani dei Fridays for Future e i parlamentari italiani. Un saluto istituzionale è stato inviato dal presidente della commissione Agricoltura della Camera Filippo Gallinella e dalla vicepresidente della commissione Agricoltura del Senato Elena Fattori. Sono intervenuti alla presentazione il capogruppo di LeU Federico Fornaro, i deputati LeU Rossella Muroni e Stefano Fassina e le deputate del Gruppo Misto Sara Cunial e Silvia Benedetti.
Nel progetto «Nuove Narrazioni per la Cooperazione» l’osservatorio Fairwatch ha prodotto un report sulla coerenza delle politiche italiane su sviluppo rurale e migrazioni, e il quadro emerso è desolante. Riduzione dei fondi di cooperazione, iniziative scoordinate tra governo e del Parlamento, mancanza di valutazione e di visione complessiva che si riflette nell’ultimo Def. A parte alcune iniziative di semplificazione burocratica, per l’agricoltura non ci sono fondi né previsioni di investimento in quella transizione ecologica non rinviabile, se siamo seri nel voler avviare un Green new deal. Anche il Dipartimento sviluppo dell’Ocse il 14 ottobre scorso ha richiamato l’Italia ai suoi impegni internazionali rispetto molte di queste stesse criticità.
«IL MIO PAESE, il Mozambico, lo scorso anno è stato devastato da due cicloni: i giovani e le donne nei campi hanno lavorato per riportare il cibo in tutte le case – ha spiegato Silvia Diwily della World March of Women del Mozambico che rappresenta i giovani nella delegazione non governativa alla Fao -. Noi donne e giovani siamo protagonisti della produzione familiare di cibo a livello globale, portiamo sulle spalle la maggior parte delle aziende, lottiamo per far capire che bisogna affrontare la lotta alla fame in una chiave più ampia di agroecologia e lotta ai cambiamenti climatici. Eppure non ci ascoltano. Esigiamo un cambiamento perché non c’è più tempo da perdere».
«Noi ragazze e ragazze siamo molto preoccupati per il nostro futuro perché fino ad adesso la società umana globale ha avuto una sempre maggiore disconnessione dalla terra – ha rivendicato Riccardo Nanni, portavoce dei Fridays for Future di Roma, che torneranno in piazza per il quarto Sciopero globale per il clima il 29 novembre -. Chiediamo che vengano potenziati i canali di distribuzione alternativi al supermercato, migliorato l’accesso al mercato dei piccoli produttori locali e incentivato il consumo di prodotti stagionali anche grazie alle mense di scuole e ospedali. Vogliamo anche che vengano bocciati in Parlamento tutti gli accordi commerciali come Ceta, nuovo Ttip e Mercosur e protesteremo fino a quando non verranno vincolati alle convenzioni internazionali su ambiente, lavoro e clima».
«Contrariamente a quanto si crede, solo tra il 12%-13% della produzione agricola si muove sul mercato globale (essenzialmente mais e soia) e oltre il 63% del cibo prodotto nel mondo viene consumato entro i 100 km da dove viene prodotto – ha ricordato Mamadou Goita, della rete contadina africana Roppa -. Quindi i mercati locali sono la chiave non solo per combattere la povertà migliorando il reddito dei produttori, ma anche per rendere le filiere agroalimentari più ecologiche e ridurre gli impatti ambientali».
Una prima risposta è arrivata da Fornaro: «Nel mese di novembre la Commissione Agricoltura dovrebbe cominciare l’esame di alcuni progetti di legge sull’Agricoltura contadina, tra cui uno a mia prima firma, per coglierne le peculiarità attraverso il suo riconoscimento. Un segnale che va nella direzione giusta». «Un’ottima notizia – ha commentato la deputata Cunial, firmataria di un Pdl sul tema che raccoglie gli esiti di un’iniziativa popolare partita nel 2009 – spero che possa essere lo spazio in cui fare almeno un primo passo verso la transizione non solo delle aziende, ma anche dei territori italiani tutti verso l’agroecologia».

giovedì 17 ottobre 2019

(Economia non osservata) = (economia sommersa) + (attività illegali)

dalla pagina https://www.istat.it/it/archivio/234323

Nel 2017 il valore aggiunto generato dall’economia non osservata, ovvero dalla somma di economia sommersa e attività illegali, si è attestato a poco meno di 211 miliardi di euro (erano 207,7 nel 2016), con un aumento dell’1,5% rispetto all’anno precedente, segnando una dinamica più lenta rispetto al complesso del valore aggiunto, cresciuto del 2,3%.
L’incidenza dell’economia non osservata sul Pil si è perciò lievemente ridotta portandosi al 12,1% dal 12,2% nel 2016, e confermando la tendenza in atto dal 2014, anno in cui si era raggiunto un picco del 13%. La diminuzione rispetto al 2016 è interamente dovuta alla riduzione del peso della componente riferibile al sommerso economico (dal 11,2% al 11,1%), mentre l’incidenza dell’economia illegale resta stabile (1,1%).
La composizione dell’economia non osservata, ovvero il peso percentuale che ciascuna componente ha sul totale dell’economia non osservata, registra modeste variazioni nell’arco dei quattro anni analizzati. La correzione della sotto-dichiarazione del valore aggiunto risulta essere la componente più rilevante in termini percentuali: nel 2017 pesa il 46,1% (+0,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente).
L’insieme delle componenti dell’economia sommersa vale nel 2017 circa 192 miliardi di euro, il 12,3% del valore aggiunto prodotto dal sistema economico: la sotto-dichiarazione vale 97 miliardi, l’impiego di lavoro irregolare 79 miliardi e le componenti residuali 16 miliardi.
Il 41,7% del sommerso economico si concentra nel settore del Commercio all’ingrosso e al dettaglio, trasporti e magazzinaggio, attività di alloggio e ristorazione, dove si genera il 21,4% del valore aggiunto totale.
Nel 2017 sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno (ULA) in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015).

mercoledì 16 ottobre 2019

In Italia celle tra le più affollate d’Europa

dalla pagina https://ilmanifesto.it/in-italia-celle-tra-le-piu-affollate-deuropa/

Carcere. Presentato ieri a Roma il rapporto di Antigone e dell’European Prison Observatory sul sistema penitenziario europeo. Nel nostro Paese, nonostante il calo dei reati, il numero dei detenuti è andato crescendo. Il 70% delle figure professionali che lavorano nelle prigioni è agente penitenziario




Se è vero che dalle prigioni si evince il livello di civiltà di un Paese, anche l’Europa nel suo insieme ha ancora molto da progredire, soprattutto a causa di alcune nazioni dove il tasso di carcerazione è molto elevato (ma ancora proporzionale al volume di edilizia carceraria sviluppata), o di altre dove le celle sono decisamente sovraffollate. In molti – troppi – di questi casi i diritti dei detenuti sono considerati vicino allo zero. E l’Italia è tra i Paesi meno virtuosi, in questo campo.
antigone.it
Antigone e dall’European Prison Observatory, presentato ieri a Roma alla presenza, tra gli altri, del Garante nazionale delle persone private di libertà, Mauro Palma – che si trova un numero di detenuti tra i più alti dell’Unione europea. Al primo gennaio 2018 nell’intero continente erano recluse 584.485 persone e nella classifica della detenzione, in numeri assoluti, ai primi posti si trovano il Regno Unito (oltre 93.000 carcerati a fronte di una popolazione di circa 66 milioni di persone) e la Polonia (73.000, con 38 milioni di abitanti), seguite da Francia, Germania, Italia e Spagna, con oltre 60.000 detenuti ciascuno. Il tasso medio di carcerazione nell’Ue ogni 100.000 abitanti è del 118,5. L’Italia si è fermata, per ora, intorno a 100, mentre a far lievitare il dato contribuiscono soprattutto i Paesi dell’est Europa: Lituania, Estonia, Lettonia e Slovacchia, con tassi che vanno fra il 173 e il 234,9%. In queste aree però il numero di istituti penitenziari è talmente alto da non far registrare alcun tipo di sovraffollamento. In effetti, nell’insieme, i penitenziari europei non raggiungono il 100% di affollamento ma la situazione peggiora decisamente in Francia, Italia, Ungheria e Romania, dove si registrano tassi di sovraffollamento che vanno dal 115% al 120%. È però importante sottolineare – fa notare il rapporto di Antigone – «che le capacità dei sistemi penitenziari non sono calcolate tenendo conto degli stessi parametri e in alcuni paesi i metri quadrati considerati sono di più che in altri. Pertanto una perfetta comparazione non è possibile».
Le donne detenute negli istituti dell’Unione sono 30 mila, circa il 5% della popolazione carceraria, con punte che vanno dal 3,1% della Bulgaria al 10,4% di Malta. Se però si analizzano i dati dei detenuti stranieri (che sono un quinto della popolazione reclusa, con percentuali più alte in Lussemburgo, Austria e Grecia) la porzione femminile arriva al 30%.
Fa notare Antigone che «i reati, secondo i dati di Eurostat, sono diminuiti negli ultimi dieci anni così come è avvenuta una leggera diminuzione della popolazione detenuta». Eppure in Italia, «nonostante un calo dei reati, il numero dei detenuti è andato crescendo».
Ciò è dovuto soprattutto all’uso della custodia cautelare: da noi circa un terzo dei reclusi è in attesa di sentenza definitiva, come in Belgio e Grecia, mentre Lussemburgo, Paesi Bassi e Danimarca presentano percentuali superiori al 40% (23% è la media Ue). «I reati commessi dai detenuti con sentenza definitiva sono furto (16,3%), violazione della legislazione sugli stupefacenti (15,3%), rapine (13,6%) e i reati contro la persona rappresentano un altro 27%. I Paesi con il maggior numero di detenuti con sentenza definitiva per violazione della legislazione sugli stupefacenti sono Lettonia (40,7%), Grecia (32,8%) e Italia (31,1%)». E – forse anche in correlazione – il numero dei suicidi in carcere è quattro volte maggiore che fuori (nel 2017 furono mediamente 6,32 ogni 10.000 detenuti, mentre in libertà il tasso era di 1,41).
Tra i dati che potrebbero risultare più interessanti a quanti oggi prenderanno parte al dibattito nella casa circondariale milanese di San Vittore dove tornerà in visita, dopo il «Viaggio in Italia» dell’anno scorso, la Corte costituzionale, con una lezione su «Pena e Costituzione» tenuta dal giudice Francesco Viganò, c’è sicuramente quello della lunghezza delle pene: «In tutto il sistema Europa il 19,4% dei detenuti definitivi sta scontando una pena di meno di un anno e un altro 25% sconta una pena fra 1 e 3 anni. Questi casi – sottolinea il rapporto – potrebbero certamente essere meglio contrastati con misure alternative alla detenzione. Nell’Ue circa 800.000 persone sono in misura alternativa. Il 10% di queste è in attesa del primo grado di giudizio».
Infine un dato che dovrebbe interessare l’ex ministro Matteo Salvini che ieri ha scelto il carcere di massima sicurezza di Spoleto come location per lo slogan «Più diritti agli agenti di polizia penitenziaria che ai detenuti»: il 70% delle figure professionali che lavorano in carcere è agente penitenziario. «Segno di sistemi penitenziari che investono maggiori risorse sulla custodia anziché sulla risocializzazione del condannato».
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quindicesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione

lunedì 14 ottobre 2019

L’Amazzonia brucia anche per produrre la carne che mangiamo

dalla pagina https://www.internazionale.it/opinione/stefano-liberti/2019/08/29/amazzonia-incendi-soia-carne

sabato 12 ottobre 2019

Amazzonia: “Basta violenze contro gli indigeni” [e contro il Pianeta]

dalla pagina http://www.nigrizia.it/notizia/amazzonia-basta-violenze-contro-gli-indigeni

A colloquio con la relatrice speciale dell’Onu sui diritti delle popolazioni indigene.

di Anna Moccia
Foto credits: The Hoard Planet
«Guardo con fiducia a quello che avverrà durante questo Sinodo e alla capacità della Chiesa di compiere dei passi concreti per incarnare la realtà degli indigeni e arrivare ad azioni concrete per proteggere le popolazioni e, in generale, l’Amazzonia. Mi piacerebbe che si arrivi a una dichiarazione forte contro le diverse violazioni dei diritti umani, gli omicidi che avvengono in queste terre e la criminalizzazione degli indigeni».
Con queste parole inizia la sua intervista con Nigrizia la relatrice speciale dell’Onu sui diritti dei popoli indigeni Victoria Tauli-Corpuz a margine della presentazione del volume “Frontiera Amazzonia. Viaggio nel cuore della terra ferita”, edito dalla Emi, che si è tenuta nella sede di Vatican News - Radio Vaticana Italia.
«In qualità di rappresentante per le Nazioni Unite per i diritti degli indigeni - dichiara Victoria Tauli-Corpuz - ho avuto modo di andare in Brasile e anche in Ecuador, e di vedere quello che sta accadendo. Ma è bene che queste cose siano sotto gli occhi di tutti, per cui questo Sinodo è fondamentale perché rende visibili i problemi delle popolazioni e rappresenta un modo concreto per far vedere quello che la Chiesa può fare e le alternative che si possono costruire in questi territori. Le proposte in termini di ecologia integrale e interculturalità sono molto importanti per queste popolazioni che non solo resistono ma stanno costruendo attivamente reciprocità, solidarietà e comunità».
Victoria Tauli-Corpuz è costantemente in contatto con le comunità indigene presenti nel mondo. Lei stessa è una leader indigena del popolo Kankanaey Igorot, originario delle Filippine. Racconta che una parte fondamentale del suo impegno all’Onu consiste nell’assicurarsi che i diversi stati rispettino i diritti degli indigeni ma anche nel denunciare le diverse violazioni e cercare soluzioni ai problemi che questi popoli devono affrontare.
«Per aver denunciato le violazioni dei diritti della popolazione autoctona del mio paese natale sono anche finita nella lista dei terroristi - racconta l’inviata Onu - e per mesi ho vissuto sotto minaccia. In realtà ricevo continuamente minacce anche da alcune corporazioni, quando parlo apertamente di quello che fanno, ma tutto questo fa parte del mio lavoro».
«Non che il compito dei leader indigeni sia più facile - aggiunge - perché ci sono molte responsabilità, devi avviare un dialogo diretto con i decisori e poi bisogna riportare alle comunità quanto è stato deciso o detto. Ma devi soprattutto dare al tuo popolo la forza e il coraggio per resistere alle continue violazioni dei suoi diritti».
La speranza di Tauli-Corpuz è riposta nei giovani: «per me ‘essere indigeno’ vuol dire soprattutto saper trasmettere i valori di reciprocità e armonia con la natura alle nuove generazioni, perché sono questi valori che li aiuteranno a fronteggiare sfide importanti come quella del cambiamento climatico o la crescente erosione delle diversità culturali.
Si tratta anche di orientare i giovani verso quelle aziende che rispettano i diritti umani, che trattano i lavoratori con dignità. Quando compriamo un prodotto assicuriamoci che non stia violando l’ambiente o i diritti delle persone e denunciamo i comportamenti illegali. Questo ci dà forza e può incoraggiare una conversione ecologica e un’educazione integrale».


venerdì 11 ottobre 2019

“Primavera di pace” Sconcerto e dolore

dalla pagina http://www.paxchristi.it/?p=15921


Comunicato stampa Pax Christi Italia
Ancora guerra. E la guerra porta sempre con sé morte, distruzione, paura, fuga, terrore.
Ci sono ancora tante, troppe guerre in corso. E mentre il conflitto in Siria è lontano dal terminare, adesso la Turchia ha iniziato i bombardamenti contro i Curdi. Ancora vittime, soprattutto civili. E, come ci raccontano alcuni testimoni locali, si rischia un altro massacro.
Un’azione di guerra che si chiama, in modo beffardo e ‘diabolico’: “Primavera di pace”.
Chiediamo – noi di Pax Christi insieme a tante altre persone che vogliono la pace – al governo italiano, alla UE ed all’ONU di fare tutto il possibile per fermare subito questa nuova tragedia, nuova sconfitta dell’umanità, adoperandosi con urgenza in tutti i modi possibili.
Insieme al dolore per le vittime, non possiamo tacere poi sulle nostre responsabilità: l’Italia ha venduto in questi ultimi 4 anni 890 milioni di € in armamenti alla Turchia. Questa è complicità! Si blocchino subito le forniture di armi alla Turchia, anche nel rispetto della legge 185/90.
Inoltre la Turchia, come l’Italia, fa parte della Nato, sotto guida USA, che tante responsabilità ha nel caos attuale in Medioriente.
Noi continueremo pervicacemente a chiedere il disarmo, ad invocare la cessazione del conflitto con la preghiera, e a lavorare per scelte concrete di pace.
E, come spesso abbiamo detto in momenti tragici come questo, di bombardamenti, di morti e distruzione: rifiutiamo la guerra, gridiamo la speranza.
Firenze, 10 ottobre 2019
Pax  Christi  Italia
Contatti:
Segreteria Nazionale di Pax Christi: 055/2020375 –  info@paxchristi.it – www.paxchristi.it
Coordinatore Nazionale di Pax Christi: d. Renato Sacco 348/3035658 renatosacco1@gmail.com

giovedì 10 ottobre 2019

Truppe turche entrano in Siria. Padre Lufti: si riapre ferita che credevamo guarita

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/mondo/news/2019-10/truppe-turche-entrano-siria-padre-lufti-si-riapre-ferita.html

Il Presidente turco Erdogan minaccia di mandare milioni di rifugiati in Europa se l’Ue interferirà con l’azione. Una riunione d'emergenza a porte chiuse del Consiglio di sicurezza dell'Onu è stata richiesta per oggi dai membri europei dell'organismo. “Le bombe colpiscono tutti, anche bambini, donne, anziani” avverte il ministro dei frati minori Padre Lufti


Curdi che protestano contro l'operazione turca
Marco Guerra – Città del Vaticano

Nel secondo giorno dell'operazione militare della Turchia nel nord-est della Siria continuano i bombardamenti contro obiettivi curdi. Fonti militari di Ankara riferiscono che sono stati conquistati due villaggi a ovest di Tal Abyad. Il bilancio a meno di 24 ore dall’inizio delle operazioni è di almeno 109 morti, che il Presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha definito “terroristi”. Allo stesso tempo Mezzaluna rossa curdo-siriana parla di 10 civili uccisi.

Erdogan: l’Ue non interferisca
Media turchi hanno precisato che le truppe sono entrate da quattro punti diversi, Intanto oggi ci sarà la riunione del Consiglio di sicurezza Onu ma Erdogan ha messo in guardia la comunità internazionale sulle conseguenze di ogni possibile ingerenza. Se l'Ue ci accuserà di "occupazione" della Siria e ostacolerà la nostra "operazione" militare, "apriremo le porte a 3,6 milioni di rifugiati e li manderemo da voi", ha detto il Presidente turco, parlando ai leader provinciali del suo partito, l’Akp.

Russia chiede dialogo
Dal canto suo il ministro degli Esteri russo Serghei Lavrov ha detto che l'operazione militare della Turchia nel nord-est della Siria è il risultato delle azioni degli Stati Uniti in quell'area. Lavrov citato dall’Interfax ha aggiunto che la Russia promuoverà il dialogo "tra Damasco e Ankara" e che “promuoverà i contatti tra Damasco e i gruppi curdi che rinunciano all'estremismo e alle tattiche terroristiche”.

Nessun via libera dagli Usa
Anche il Segretario di Stato americano Mike Pompeo si è fatto sentire, ribadendo che gli Stati Uniti “non hanno dato il via libera” all’invasione della Siria. L’esponente dell’amministrazione Usa ha tuttavia affermato anche che ''i turchi hanno preoccupazioni legittime legate alla sicurezza”.

Msf preparati ad aumento pazienti
Lo scoppio dei combattimenti fa temere una nuova emergenza umanitaria. In un comunicato Medici Senza Frontiere (Msf) fa sapere che è pronta a fornire cure mediche a seguito dell’azione militare. “Le nostre équipe a Tal Abyad – si legge - si stanno preparando per un potenziale aumento dei pazienti a causa del conflitto, mentre le nostre équipe a Ain Al Arab (Kobane), Ain Issa, Al Mallikeyeh (Derek), Raqqa e Tal Tamer sono in stand-by, pronte a fornire assistenza in caso di necessità”.

Croce Rossa: preservare lo spazio umanitario
In allerta anche il Comitato Internazionale della Croce Rossa che si dice “profondamente preoccupato che qualsiasi escalation nel nord-est del Paese possa danneggiare una popolazione già in difficoltà”. "Oggi, centinaia di migliaia di persone nella zona - che si trovino nei campi, nelle detenzioni o nei loro stessi villaggi e città - stanno di nuovo affrontando la prospettiva di ulteriori conflitti", ha dichiarato Fabrizio Carboni, direttore del Cicr di Ginevra per il Vicino e Medio Oriente. "I bisogni umanitari in Siria sono immensi e il Cicr sta cercando di soddisfarli in quello che è già un ambiente incredibilmente complesso. Lo spazio umanitario deve essere preservato".

Nel nord-est della Siria (governatorati di Hassakeh, Raqqa e Deir Ezzor), oltre 100.000 persone sono attualmente ospitate in campi, la maggior parte dei quali siriani e iracheni. Ci sono oltre 68.000 persone che vivono nel solo campo di Al Hol - due terzi dei quali bambini - dove il Cicr gestisce congiuntamente un ospedale da campo con la Mezzaluna rossa araba siriana e la Croce rossa norvegese.

Padre Lufti: nell’area presenti anche comunità cristiane
Sull’evolversi dei drammatici eventi e il rischio di una nuova emergenza umanitaria VaticanNews ha intervistato padre Firas Lufti, ministro dei frati minori della Regione di San Paolo, che comprende Siria, Libano e Giordania: 

R. – Questo attacco, appena è giunta la notizia, ha subito evocato alla nostra memoria i fatti tragici che sono successi in Siria durante questi nove anni. Non ci voleva un altro massacro, un’altra infrazione delle leggi internazionali. La Turchia non è autorizzata in nessun modo a invadere un altro paese che gode di una sovranità garantita delle Nazioni Unite. Quindi questo fatto è inammissibile, da un lato. Dall’altro lato sappiamo che la violenza causa sempre danni alle persone, alle infrastrutture e al Paese, crea sempre una tensione e ci vanno di mezzo soprattutto bambini, donne, anziani e malati. Questo è l’ennesimo fatto che dobbiamo subire. Mentre speravamo nella pace, in una conclusione di questo dramma, il più eclatante di questo secolo, si apre un altro orizzonte drammatico che crea difficoltà.

Quella zona è a maggioranza curda ma ci sono anche cristiani, arabi e assiri… Di quale parte della Siria stiamo parlando?

R. - Della parte del nord, tutta la striscia al confine con la Turchia. Lì i cristiani erano la maggioranza nel XIX secolo. Poi pian piano i curdi aumentavano di numero e rimpiazzavano quella comunità cristiana che andava diminuendo. A causa della guerra in Siria, quest’ultima, tanti cristiani sono andati via ma è rimasta una comunità composta da un mosaico: assiri, siri-ortodossi, siri-cattolici e anche una comunità di armeno-ortodossi e cattolici. Quindi una bella comunità. Purtroppo, adesso questa comunità rischia di essere estirpata dalla sua terra e non avremo questo pezzo fondante del tessuto siriano.

C’è il rischio che le bombe, i proiettili possano creare una nuova emergenza umanitaria che colpirà curdi, cristiani, arabi, tutta la popolazione siriana di quelle terre?

R. – Già ieri, dalle prime notizie giunte, ci sono bambini morti, cristiani… Le bombe non fanno distinzione tra civili cristiani, curdi, musulmani…colpiscono tutti e fanno un danno a tutti. Si riapre quella ferita che speravamo fosse guarita, quella della guerra. Sicuramente ci saranno conseguenze drammatiche. Perché né i curdi né la comunità cristiana ammette in alcun modo un’invasione del governo turco nel territorio abitato dai siriani.

A fine mese è prevista una prima riunione per ridiscutere la costituzione siriana, è possibile una riconciliazione, quali passi vanno fatti?

R. – E’ stato annunciato che la commissione per discutere la costituzione siriana è stata composta, certo si trova sotto l’ombrello internazionale, le Nazioni Unite, e inizia anche i suoi lavori di commissione per discutere il ruolo del presidente ed altre questioni importanti... Mentre va avanti questo primo passo verso una vera riconciliazione rimane poi il tessuto sociale che ha bisogno di tempo per guarire queste ferite nate durante la guerra: divisioni a causa della confessione, della razza... Ogni ferita ha bisogno di tempo per rimarginarsi ma anche della collaborazione di tutti quanti. L’emigrazione, l’emergenza umanitaria ha toccato un po’ tutto il mondo. Io accenno soltanto a un progetto che noi, come francescani, portiamo avanti nella città di Aleppo, “Un nome, un futuro”. E’ un progetto per mettere fine a questa divisione all’interno della società. Sono i bambini nati nella guerra ma non registrati nella società, “Un nome un futuro”: dare un’identità a questi bambini, frutto di matrimoni con i combattenti... Questi bambini, se non vengono accolti, se non diamo loro un nome, un’identità, non avranno mai un futuro. Anzi la loro presenza rimarrà una bomba che attende il momento dell’esplosione e che farà tanto danno. E’ possibile la pace, la riconciliazione, ma bisognerebbe ridare un volto a questa pace.