da La Voce dei Berici, Domenica 27 novembre 2016, p. 3
Suor Federica Cacciavillani, del Centro Presenza Donna, racconta la sua esperienza
L’associazione, guidata dalle Orsoline, promuove percorsi formativi per favorire il pensiero di genere
Della violenza di genere c’è chi se ne occupa ogni giorno, come il
Centro Presenza Donna di Vicenza, con la propria attività culturale. Ce
ne parla la presidentessa Federica Cacciavillani, suora Orsolina e
insegnante: «Il nostro Centro mette in atto percorsi formativi per donne
di diverse appartenenze di fede, di origine, di idee e sulla violenza
di genere riflettiamo insieme - spiega -. Ci impegniamo a cambiare la
cultura che porta alla violenza sulle donne, anche con altre
associazioni di diversa matrice culturale».
Ci sono presupposti sociali, economici, culturali che possono favorire la violenza sulle donne?
«Noi abbiamo la percezione che sia un fenomeno trasversale alle culture
e alle estrazioni sociali. Non è infrequente che la violenza si
manifesti in classi sociali italiane di cultura più elevata tanto quanto
in situazioni di emarginazione sociale. Anche i centri antiviolenza
confermano questi dati. È un elemento preoccupante perché significa che
non è soltanto la deprivazione socio
culturale ed economica a promuovere la violenza, ma che essa è legata a
un problema di identificazione del proprio ruolo nel rapporto con
l’altro sesso e nel difficile rapporto di reciprocità tra uomo e donna».
La trasversalità è anche generazionale? Oppure nei giovani qualcosa sta cambiando?
«Negli adolescenti sembra non esserci, perché spesso essi non si
accorgono di mettere in atto stereotipi di genere, ma ci sono. È molto
importante che nella giornata contro la violenza sulle donne ci siano
anche gli uomini! Purtroppo, bisogna dirlo, questa riflessione viene
fatta soltanto da uomini laici non credenti: dico purtroppo, perché
come credente ci terrei che uomini credenti
facessero qualche passo in più. Invece la riflessione profonda
sull’identità maschile, sulla gestione dell’aggressività viene fatta
dai laici, da studiosi come Stefano Ciccone, Alessandro Bellassai, cioè
dal Gruppo Maschile Plurale. Da anni questi uomini vanno nelle scuole
perché non ci sia una sottolineatura del problema solo da parte delle
donne, ma un’iconizzazione della presenza maschile, di un altro
prototipo di maschilità».
Questo deficit degli uomini credenti da cosa origina?
«In effetti avrebbero dovuto arrivarci per primi, viste le premesse
evangeliche. Ma c’è un tradizionalismo nelle relazioni uomo donna nel
mondo credente per cui il vecchio detto: “Che la piasa, che la tasa, che
la staga in casa” è un modello che fa ancora molta breccia. Cè pudore
nel parlare di questi ruoli di genere che non permette di mettere in
campo nuove forme di relazionalità, di parità e reciprocità».
Insomma è un metodico lavoro sulla cultura quello che serve.
«Sì, intesa come riflessione sulle azioni e sulla vita, quella che
permette di cogliere e coltivare delle relazioni diverse. Per noi
credenti ciò passa attraverso una cultura evangelica, di parità, nella
figura di Cristo. Ribadisco: una cultura fatta non soltanto da donne e
non solo da donne laiche».
Maria Grazia Dal Prà