http://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2020/01/24/0046/00107.html#italiano
Pubblichiamo di seguito il Messaggio del Santo Padre Francesco per la 54
ma
Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali che quest’anno si
celebra, in molti Paesi, domenica 24 maggio, Solennità dell’Ascensione
del Signore:
Messaggio del Santo Padre
«Perché tu possa raccontare e fissare nella memoria» (Es 10,2).
La vita si fa storia
Desidero dedicare il
Messaggio di quest’anno al tema della
narrazione, perché credo che per non smarrirci abbiamo bisogno di
respirare la verità delle storie buone: storie che edifichino, non che
distruggano; storie che aiutino a ritrovare le radici e la forza per
andare avanti insieme. Nella confusione delle voci e dei messaggi che ci
circondano, abbiamo bisogno di una narrazione umana, che ci parli di
noi e del bello che ci abita. Una narrazione che sappia guardare il
mondo e gli eventi con tenerezza; che racconti il nostro essere parte di
un tessuto vivo; che riveli l’intreccio dei fili coi quali siamo
collegati gli uni agli altri.
1. Tessere storie
L’uomo è un essere narrante. Fin da piccoli abbiamo fame di storie
come abbiamo fame di cibo. Che siano in forma di fiabe, di romanzi, di
film, di canzoni, di notizie…, le storie influenzano la nostra vita,
anche se non ne siamo consapevoli. Spesso decidiamo che cosa sia giusto o
sbagliato in base ai personaggi e alle storie che abbiamo assimilato. I
racconti ci segnano, plasmano le nostre convinzioni e i nostri
comportamenti, possono aiutarci a capire e a dire chi siamo.
L’uomo non è solo l’unico essere che ha bisogno di abiti per coprire la propria vulnerabilità (cfr
Gen
3,21), ma è anche l’unico che ha bisogno di raccontarsi, di
“rivestirsi” di storie per custodire la propria vita. Non tessiamo solo
abiti, ma anche racconti: infatti, la capacità umana di “tessere”
conduce sia ai
tessuti, sia ai
testi. Le storie di ogni
tempo hanno un “telaio” comune: la struttura prevede degli “eroi”, anche
quotidiani, che per inseguire un sogno affrontano situazioni difficili,
combattono il male sospinti da una forza che li rende coraggiosi,
quella dell’amore. Immergendoci nelle storie, possiamo ritrovare
motivazioni eroiche per affrontare le sfide della vita.
L’uomo è un essere narrante perché è un essere in divenire, che si
scopre e si arricchisce nelle trame dei suoi giorni. Ma, fin dagli
inizi, il nostro racconto è minacciato: nella storia serpeggia il male.
2. Non tutte le storie sono buone
«Se mangerai, diventerai come Dio» (cfr
Gen 3,4): la
tentazione del serpente inserisce nella trama della storia un nodo duro
da sciogliere. “Se possederai, diventerai, raggiungerai…”, sussurra
ancora oggi chi si serve del cosiddetto
storytelling per scopi
strumentali. Quante storie ci narcotizzano, convincendoci che per essere
felici abbiamo continuamente bisogno di avere, di possedere, di
consumare. Quasi non ci accorgiamo di quanto diventiamo avidi di
chiacchiere e di pettegolezzi, di quanta violenza e falsità consumiamo.
Spesso sui telai della comunicazione, anziché racconti costruttivi, che
sono un collante dei legami sociali e del tessuto culturale, si
producono storie distruttive e provocatorie, che logorano e spezzano i
fili fragili della convivenza. Mettendo insieme informazioni non
verificate, ripetendo discorsi banali e falsamente persuasivi, colpendo
con proclami di odio, non si tesse la storia umana, ma si spoglia l’uomo
di dignità.
Ma mentre le storie usate a fini strumentali e di potere hanno vita
breve, una buona storia è in grado di travalicare i confini dello spazio
e del tempo. A distanza di secoli rimane attuale, perché nutre la vita.
In un’epoca in cui la falsificazione si rivela sempre più sofisticata, raggiungendolivelli esponenziali (il
deepfake),
abbiamo bisogno di sapienza per accogliere e creare racconti belli,
veri e buoni. Abbiamo bisogno di coraggio per respingere quelli falsi e
malvagi. Abbiamo bisogno di pazienza e discernimento per riscoprire
storie che ci aiutino a non perdere il filo tra le tante lacerazioni
dell’oggi; storie che riportino alla luce la verità di quel che siamo,
anche nell’eroicità ignorata del quotidiano.
3. La Storia delle storie
La Sacra Scrittura è una
Storia di storie. Quante vicende,
popoli, persone ci presenta! Essa ci mostra fin dall’inizio un Dio che è
creatore e nello stesso tempo narratore. Egli infatti pronuncia la sua
Parola e le cose esistono (cfr
Gen 1). Attraverso il suo narrare
Dio chiama alla vita le cose e, al culmine, crea l’uomo e la donna come
suoi liberi interlocutori, generatori di storia insieme a Lui. In un
Salmo, la creatura racconta al Creatore: «Sei tu che hai formato i miei
reni e mi hai
tessuto nel seno di mia madre. Io ti rendo grazie: hai fatto di me una
meraviglia stupenda […]. Non ti erano nascoste le mie ossa, quando venivo formato nel segreto,
ricamato
nelle profondità della terra» (139,13-15). Non siamo nati compiuti, ma
abbiamo bisogno di essere costantemente “tessuti” e “ricamati”. La vita
ci è stata donata come invito a continuare a tessere quella “meraviglia
stupenda” che siamo.
In questo senso la Bibbia è la grande storia d’amore tra Dio e
l’umanità. Al centro c’è Gesù: la sua storia porta a compimento l’amore
di Dio per l’uomo e al tempo stesso la storia d’amore dell’uomo per Dio.
L’uomo sarà così chiamato, di generazione in generazione, a
raccontare e fissare nella memoria gli episodi più significativi di questa
Storia di storie, quelli capaci di comunicare il senso di ciò che è accaduto.
Il titolo di questo
Messaggio è tratto dal libro dell’Esodo,
racconto biblico fondamentale che vede Dio intervenire nella storia del
suo popolo. Infatti, quando i figli d’Israele schiavizzati gridano a
Lui, Dio ascolta e si ricorda: «Dio
si ricordò della sua alleanza con Abramo, Isacco e Giacobbe. Dio guardò la condizione degli Israeliti, Dio se ne diede pensiero» (
Es
2,24-25). Dalla memoria di Dio scaturisce la liberazione
dall’oppressione, che avviene attraverso segni e prodigi. È a questo
punto che il Signore consegna a Mosè il senso di tutti questi segni: «
perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e del figlio di tuo figlio i segni che ho compiuti: così saprete che io sono il Signore!» (
Es
10,2). L’esperienza dell’Esodo ci insegna che la conoscenza di Dio si
trasmette soprattutto raccontando, di generazione in generazione, come
Egli continua a farsi presente. Il Dio della vita si comunica
raccontando la vita.
Gesù stesso parlava di Dio non con discorsi astratti, ma con le
parabole, brevi narrazioni, tratte dalla vita di tutti i giorni. Qui la
vita si fa storia e poi, per l’ascoltatore, la storia si fa vita: quella
narrazione entra nella vita di chi l’ascolta e la trasforma.
Anche i Vangeli, non a caso, sono dei racconti. Mentre ci informano su Gesù, ci “performano”
[1]
a Gesù, ci conformano a Lui: il Vangelo chiede al lettore di
partecipare alla stessa fede per condividere la stessa vita. Il Vangelo
di Giovanni ci dice che il Narratore per eccellenza – il Verbo, la
Parola – si è fatto narrazione: «Il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel
seno del Padre, è lui che lo ha
raccontato» (
Gv 1,18). Ho usato il termine “raccontato” perché l’originale
exeghésato
può essere tradotto sia “rivelato” sia “raccontato”. Dio si è
personalmente intessuto nella nostra umanità, dandoci così un nuovo modo
di tessere le nostre storie.
4. Una storia che si rinnova
La storia di Cristo non è un patrimonio del passato, è la nostra
storia, sempre attuale. Essa ci mostra che Dio ha preso a cuore l’uomo,
la nostra carne, la nostra storia, fino a farsi uomo, carne e storia. Ci
dice pure che non esistono storie umane insignificanti o piccole. Dopo
che Dio si è fatto storia, ogni storia umana è, in un certo senso,
storia divina. Nella storia di ogni uomo il Padre rivede la storia del
suo Figlio sceso in terra. Ogni storia umana ha una dignità
insopprimibile. Perciò l’umanità merita racconti che siano alla sua
altezza, a quell’altezza vertiginosa e affascinante alla quale Gesù l’ha
elevata.
«Voi – scriveva San Paolo – siete una lettera di Cristo scritta non
con inchiostro, ma con lo Spirito del Dio vivente, non su tavole di
pietra, ma su tavole di cuori umani» (
2 Cor 3,3). Lo Spirito Santo, l’amore di Dio, scrive in noi. E scrivendoci dentro fissa in noi il bene, ce lo ricorda.
Ri-cordare significa infatti
portare al cuore,
“scrivere” sul cuore. Per opera dello Spirito Santo ogni storia, anche
quella più dimenticata, anche quella che sembra scritta sulle righe più
storte, può diventare ispirata, può rinascere come capolavoro,
diventando un’appendice di Vangelo. Come le
Confessioni di Agostino. Come il
Racconto del Pellegrino di Ignazio. Come la
Storia di un’anima di Teresina di Gesù Bambino. Come
i Promessi Sposi, come
I fratelli Karamazov.
Come innumerevoli altre storie, che hanno mirabilmente sceneggiato
l’incontro tra la libertà di Dio e quella dell’uomo. Ciascuno di noi
conosce diverse storie che profumano di Vangelo, che hanno testimoniato
l’Amore che trasforma la vita. Queste storie reclamano di essere
condivise, raccontate, fatte vivere in ogni tempo, con ogni linguaggio,
con ogni mezzo.
5. Una storia che ci rinnova
In ogni grande racconto entra in gioco il nostro racconto. Mentre
leggiamo la Scrittura, le storie dei santi, e anche quei testi che hanno
saputo leggere l’anima dell’uomo e portarne alla luce la bellezza, lo
Spirito Santo è libero di scrivere nel nostro cuore, rinnovando in noi
la memoria di quello che siamo agli occhi di Dio. Quando facciamo
memoria dell’amore che ci ha creati e salvati, quando immettiamo amore
nelle nostre storie quotidiane, quando tessiamo di misericordia le trame
dei nostri giorni, allora voltiamo pagina. Non rimaniamo più annodati
ai rimpianti e alle tristezze, legati a una memoria malata che ci
imprigiona il cuore ma, aprendoci agli altri, ci apriamo alla visione
stessa del Narratore. Raccontare a Dio la nostra storia non è mai
inutile: anche se la cronaca degli eventi rimane invariata, cambiano il
senso e la prospettiva. Raccontarsi al Signore è entrare nel suo sguardo
di amore compassionevole verso di noi e verso gli altri. A Lui possiamo
narrare le storie che viviamo, portare le persone, affidare le
situazioni. Con Lui possiamo riannodare il tessuto della vita, ricucendo
le rotture e gli strappi. Quanto ne abbiamo bisogno, tutti!
Con lo sguardo del Narratore – l’unico che ha il punto di vista
finale – ci avviciniamo poi ai protagonisti, ai nostri fratelli e
sorelle, attori accanto a noi della storia di oggi. Sì, perché nessuno è
una comparsa nella scena del mondo e la storia di ognuno è aperta a un
possibile cambiamento. Anche quando raccontiamo il male, possiamo
imparare a lasciare lo spazio alla redenzione, possiamo riconoscere in
mezzo al male anche il dinamismo del bene e dargli spazio.
Non si tratta perciò di inseguire le logiche dello
storytelling,
né
di fare o farsi pubblicità, ma di fare memoria di ciò che siamo agli
occhi di Dio, di testimoniare ciò che lo Spirito scrive nei cuori, di
rivelare a ciascuno che la sua storia contiene meraviglie stupende. Per
poterlo fare, affidiamoci a una donna che ha tessuto l’umanità di Dio
nel grembo e, dice il Vangelo, ha tessuto insieme tutto quanto le
avveniva. La Vergine Maria tutto infatti ha custodito, meditandolo nel
cuore (cfr
Lc 2,19). Chiediamo aiuto a lei, che ha saputo sciogliere i nodi della vita con la forza mite dell’amore:
O Maria, donna e madre, tu hai tessuto nel grembo la Parola
divina, tu hai narrato con la tua vita le opere magnifiche di Dio.
Ascolta le nostre storie, custodiscile nel tuo cuore e fai tue anche
quelle storie che nessuno vuole ascoltare. Insegnaci a riconoscere il
filo buono che guida la storia. Guarda il cumulo di nodi in cui si è
aggrovigliata la nostra vita, paralizzando la nostra memoria. Dalle tue
mani delicate ogni nodo può essere sciolto. Donna dello Spirito, madre
della fiducia, ispira anche noi. Aiutaci a costruire storie di pace,
storie di futuro. E indicaci la via per percorrerle insieme.
Roma, presso San Giovanni in Laterano, 24 gennaio 2020,
Memoria di San Francesco di Sales
FRANCISCUS
_______________________________
[1] Cfr Benedetto XVI, Enc.
Spe salvi,
2: «Il messaggio cristiano non era solo “informativo”, ma
“performativo”. Ciò significa: il Vangelo non è soltanto una
comunicazione di cose che si possono sapere, ma è una comunicazione che
produce fatti e cambia la vita».