in “La Stampa” del 13 maggio 2018
Zero povertà, zero
disoccupazione, zero inquinamento. È questo il «Mondo a tre zeri» che l’economista
bengalese Muhammad Yunus vorrebbe contribuire a edificare e che per adesso è il
titolo del suo ultimo libro, realizzato insieme allo scrittore Karl Weber e
pubblicato in Italia da Feltrinelli. Il premio Nobel per la Pace inizierà il
suo tour italiano a Torino, giovedì prossimo, al Grattacielo Intesa San Paolo,
per poi continuare a raccontare il mondo che vorrebbe a Milano, alla Fondazione
Feltrinelli e poi a Roma, sabato, al Maxxi.
Lo abbiamo raggiunto tra una
conferenza e l’altra in giro per l’Europa.
Yunus, qual è la sua
impressione quando viene in Europa?
«Mi piace la consapevolezza che c’è qui per la sicurezza dei
cittadini, e mi piace il fatto che la società si senta responsabile per quelli
che sono tagliati fuori, anche se poi non sempre riesce a includerli. Mi piace
la preoccupazione per i diritti umani, per il ruolo della legge e soprattutto
per la costruzione di leggi, per il percorso che porta a formarle. Sì, mi piace
molto, sono cose che a noi dell’Est mancano».
Qual è secondo lei la
lezione che in questo momento può venire dall’Asia all’Europa?
«L’Asia avrebbe bisogno di molte cose che in Europa ci sono
e ci sono da tanto tempo, ma trovo che da voi ci sia un pensiero unico che
limita gli slanci. Mi spiego meglio: le società europee sono ossessionate dal
lavoro, tutti devono trovare un lavoro, nessuno deve rimanere senza lavoro, le istituzioni
si devono preoccupare che i cittadini lavorino... Invece in Asia la famiglia è
il luogo più importante e non c’è questo pensiero fisso del lavoro: esiste una
sorta di mercato informale, in cui gli uomini esercitano loro stessi come
persone. Penso che la lezione positiva che viene dall’Asia sia quella di
ridisegnare il sistema finanziario attuale, privilegiando la dignità delle
persone e il valore del loro tempo».
Cosa pensa dell’idea
di un reddito di cittadinanza? Può essere una soluzione al problema della povertà?
«No, per niente, non è utile a chi è povero e a nessun
altro, è una tipica idea di assistenzialismo occidentale, che considera l’uomo
una creatura artificiale da nutrire in laboratorio, con lo Stato e le istituzioni
incaricate di procurare il nutrimento. Ma questa è la negazione dell’essere
umano, della sua funzionalità, della vitalità, del potere creativo. L’uomo è
chiamato a esplorare, a cercare opportunità, sono queste che vanno create, non
i salari sganciati dalla produzione, che per definizione fanno dell’uomo un
essere improduttivo, un povero vero».
Che società sarà
quella in cui i robot sostituiranno gli uomini nei lavori meccanici?
«La tecnologia può ferire, ma una cosa sono le macchine,
un’altra è l’intelligenza artificiale. E quando i robot diventeranno più
efficienti e intelligenti degli uomini? Stiamo prendendo una direzione
sbagliata, rischiamo di diventare le vittime di questo movimento. Dovremo
alzarci in piedi e dire ad alta voce che rifiutiamo qualsiasi forma di
rimpiazzo dell’essere umano, che possiamo risolvere i nostri problemi senza
l’aiuto dell’intelligenza artificiale. Credo che sia l’altra faccia del reddito
di cittadinanza: un modo per impedire all’uomo di essere uomo».
Come descriverebbe la
scuola ideale?
«La scuola oggi si propone come un luogo dove si insegna ai
giovani a trovare un lavoro, e questo è il suo principale errore. Dovrebbe
invece rendere i giovani pronti alla vita, non al lavoro. Dovrebbe insegnare
loro a scoprire attitudini, a farsi imprenditori, a cogliere opportunità, a
strutturarsi come cittadini e membri di una società, a coltivare conoscenze in
cui il lavoro può essere uno degli esiti, non l’unico obiettivo. È limitante, i
sistemi educativi attuali sono tutti da ridisegnare».
Come vede il ruolo
della religione nelle società contemporanee?
«Tutte le religioni cercano di creare solidarietà ed empatia
tra i loro membri, ma in un sistema impostato sull’egoismo e sulla
realizzazione personale, come quello capitalista, valori come collaborazione e
solidarietà valgono poco. Se la religione va da una parte e l’economia da
un’altra vince l’economia, non la religione».
Qual è secondo lei il
leader politico che sta rispondendo in modo più efficace alle sfide globali?
«Non ho molta fiducia nelle leadership globali in questo
momento e penso in particolare a Donald Trump, che vuole un’America più chiusa
e concentrata in sé stessa, dove le armi e le bombe sono uno strumento politico
considerato efficace. Quello che in questo momento mi dà maggiore speranza è
Emmanuel Macron, il presidente francese, mi piace come si pone e come parla.
Forse è il primo di una nuova generazione di leader, me lo auguro».