lunedì 29 giugno 2020

Per un’ecologia integrale

dalla pagina http://www.salviamoilpaesaggio.it/blog/2020/06/per-unecologia-integrale/

by  on  • 22:27

di Angela Dogliotti e Beppe Marasso

Prendendo le mosse dall'ecologia integrale proposta dall'enciclica Laudato si’ di papa Francesco, è nata nel 2015 l’associazione Laudato si’. Un’alleanza per il clima, la terra, la giustizia sociale, che ha avviato un tavolo di lavoro e confronto tra attivisti, studiosi, rappresentanti dell’associazionismo, per stendere un documento programmatico che provasse a tradurre politicamente i principi dell’ecologia integrale.
Da questo percorso è nato il testo, curato da Daniela Padoan, “Niente di questo mondo ci risulta indifferente” [1], una sintesi puntuale, ricca e documentata, esposta in modo piano, comprensibile e preciso, delle tematiche connesse con le emergenze del nostro tempo: climatica, sociale, sanitaria, educativa …
«Mentre la mancanza di apparati di terapia intensiva del costo sanitario medio di ottantamila euro condannava a morte migliaia di persone, Fincantieri annunciava la stipula di un contratto da 1.300 milioni di euro con la Marina militare italiana per due sommergibili U-212, e i lavoratori della Leonardo venivano chiamati a mantenere la produzione dei cacciabombardieri F35, del costo unitario di centocinquanta milioni di euro, in ubbidienza alla supremazia del complesso finanziario-militare-industriale che impone ai governi di anteporre la spesa militare a quella sociale» (pag. 21).
«La crudezza di una crisi che mette in forse i presupposti stessi della convivenza umana viene acuita dalle attuali politiche di respingimento di migranti e profughi… A essere colpiti dalle politiche di disumanizzazione della migrazione non sono solo i profughi… ma il principio di solidarietà che informa la nostra Costituzione, l’impianto universale dei diritti umani e lo stato di diritto sul quale basiamo la nostra stessa possibilità di convivenza» (pag. 35).
«Il lavoro più umile e invisibile, sottopagato, in nero o gratuito [spesso senza tutele e diritti, N.d.A]. nell’agricoltura, nella logistica, nelle strutture ospedaliere, nella pulizia dei palazzi e strade, nella cura familiare- si è trovato a reggere l’urto di interi Paesi, colpiti dalla necessità primaria di alimentarsi, ricevere merci essenziali, governare la produzione di rifiuti, assistere malati, badare ai bambini, agli anziani, agli invalidi» (pag. 13).
«ha costretto a definire le attività necessarie e quelle superflue, ha ridato centralità alla sanità pubblica devastata da anni di privatizzazioni e tagli di bilancio, ha mostrato come il pianeta, risparmiato da un formicaio umano vorace e in perenne movimento, possa cominciare a respirare e a rigenerarsi grazie alla contrazione delle attività dei Paesi cosiddetti sviluppati» (pag. 13).
Questa situazione ha reso ancora più pregnanti e attuali le riflessioni e le proposte scaturite dal tavolo di lavoro per un’alternativa equa, sostenibile e nonviolenta.
Il testo ne analizza in 18 densi ed efficaci capitoli i diversi aspetti, tra loro correlati, proponendo per ciascuno esperienze e percorsi praticabili per una concreta transizione verso un’ecologia integrale.
È perciò un libro straordinario fin dalla sua origine, frutto di un lavoro collettivo e della collaborazione di persone con competenze e sensibilità diverse, come aveva suggerito Naomi Klein quando, invitata nel 2015 in Vaticano per un convegno, indicò la necessità di «costruire alleanze ampie e inedite, che possano coinvolgere persone di culture differenti attorno alla più coraggiosa verità espresso dall'enciclica, ovvero che l’attuale sistema economico sta alimentando la crisi climatica e allo stesso tempo ci impedisce attivamente di prendere i provvedimenti necessari per evitarla» (pag. 33).
«Lo scenario che abbiamo di fronte – è scritto nell'introduzione – ci mostra un’umanità spezzata da diseguaglianze sempre più profonde e un mondo naturale non più in grado di rigenerarsi al ritmo forsennato di consumo e degrado che gli viene imposto. È una consapevolezza che scuote le nostre stesse radici, interrogando il senso profondo di ogni politica. Per questo è necessaria una profonda conversione ecologica, che abbandoni l’ideologia della crescita, introduca un’effettiva decarbonizzazione e porti all'adozione di un sistema economico circolare che investa tanto la produzione e il consumo quanto la cultura, l’educazione, la cura e le relazioni che ci determinano» (pag. 34-35).
Alla luce dell’emergenza sanitaria da Covid-19 risultano ancor più drammaticamente intollerabili le distorsioni e le conseguenze di questo modello di società:
Così il coronavirus, sommandosi agli effetti delle emergenze climatica e sociale e aggravandole, ha scosso le fondamenta del modello di sviluppo liberista, stabilendo nuove priorità:
Di seguito, a titolo di esempio, alcuni dei temi principali.
Per quanto riguarda le questioni ambientali si propone il passaggio alle fonti rinnovabili, un assetto del territorio in cui l’energia sia distribuita più vicino alla domanda (decentramento e autogestione energetica); l’introduzione della carbon tax, una riconversione della mobilità e la salvaguardia delle grandi foreste pluviali, difendendo i popoli della foresta dalla depredazione attuata da multinazionali e da governi; il boicottaggio dei minerali “insanguinati” dalla violazione dei diritti umani e dalla devastazione dell’ecosistema…
A proposito delle migrazioni, partendo dal principio che “migrare è un diritto” e che negare il soccorso in mare e chiudere i porti è una violazione, oltre che dei più elementari principi di umanità, del diritto internazionale, si propone tra l’altro di istituire canali sicuri e legali di ingresso e una missione SAR europea, promuovendo, nel contempo, un'equa ripartizione dei profughi (attualmente 3 milioni circa nell'UE, a fronte dei 6,3 milioni che hanno trovato rifugio nell'Africa subsahariana, i 4,2 milioni dell’Asia, i 2,7 del Medio Oriente – Nord Africa); di revocare gli accordi per l'esternalizzazione delle frontiere ed evacuare i profughi dai lager libici; tutelare i cittadini solidali e abolire il reato di favoreggiamento, salvaguardando il principio dell’asilo, “cuore del progetto europeo”, promuovendo una efficace politica di integrazione e diritti, nella consapevolezza che la «guerra ai migranti degrada lo spazio democratico» (pag. 73).
È necessario poi riconoscere che c’è «una sola e complessa crisi socio-ambientale interamente legata al modello di sviluppo connesso a un’economia lineare che sfrutta le risorse in una visione a brevissimo termine, finalizzata alla massimizzazione del profitto; una visione produttivistica e consumistica, che accetta come conseguenza inevitabile la produzione di scarti» (pag. 91). E che, invece, «la sobrietà, vissuta con libertà e consapevolezza, è giustizia sociale, ambientale, liberazione» (pag. 94).
A proposito di finanza si propone l’istituzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (Tobin tax), in modo che le operazioni di speculazione siano analizzabili e rallentate. Considerato, poi, che nell'economia europea «intere filiere finiscono, di fatto, in appalto al crimine, tra cui il commercio delle armi, la tratta, il lavoro schiavo dei migranti»,l’Unione deve intervenire contro le mafie, anche per evitare la perdita di credibilità delle istituzioni e il danno economico che il crimine organizzato causa all’Europa.
Per questo occorre sostenere una “finanza etica” che disinvesta «da imprese che operano nei combustibili fossili, nelle armi e in altri settori che recano danno agli esseri umani, al vivente e all'ambiente. Un azionariato critico, organizzato e attivo può imporre scelte consapevoli nell'uso dei propri risparmi, sapendo che una vera distribuzione della ricchezza è il solo orizzonte per un’equilibrata convivenza tra esseri umani ed ecosistemi e per la salvezza del pianeta» (pag. 112).
Ma la risposta più profonda e duratura a tutti questi problemi è una “conversione ecologica” capace di tenere conto dei limiti dell’ambiente in cui viviamo e dunque di ridurre all'essenziale il consumo di risorse; passare dal modello estrattivista e predatorio, dominato dalla finanza, a una nuova economia solidale e decentrata, che difenda e tuteli i  beni comuni e la partecipazione  popolare; dalla agricoltura industriale a una agricoltura di comunità, in cui ci sia spazio per un nuovo rapporto tra produttori e consumatori (GAS, gruppi di acquisto solidale; DES, distretti di economia solidale)
In tale prospettiva, la Terra è il bene comune e i “beni che rendono possibile la vita” (acqua, aria, suolo, sementi, biodiversità…)«devono essere garantiti a chiunque in quanto oggetto del diritto alla vita, e per questo la garanzia della conservazione e dell’accesso di tutti ai beni vitali deve essere costituzionalizzata» (pag. 125).
Ispirandosi alle parole di papa Francesco in un passaggio cruciale dell’enciclica («l’antropocentrismo moderno paradossalmente ha finito per collocare la ragione tecnica al di sopra della realtà, perché questo essere umano non sente più la natura né come norma valida, né come vivente rifugio», par. 115 citato a pag. 136) nel testo si sostiene che occorre promuovere la tutela giuridica del vivente, per contrastare tutte le forme di sfruttamento antropocentrico e predatorio, dagli allevamenti intensive allo sfruttamento delle creature del mare, alla caccia e a tutto ciò che vede nella natura solo un oggetto di consumo provocando così estinzione  di specie ed ecocidio.
«Proprio perché sta agli esseri umani l’assunzione di responsabilità verso la terra – che un’espansione e uno sfruttamento capitalista incessanti minacciano di devastare senza possibilità di ritorno – è necessario costruire una sfera pubblica sovrastatale intesa come sistema di limiti e vincoli ai poteri altrimenti incontrollati della finanza e dei mercati: un demanio planetario di garanzie sovranazionali in materia di ambiente, salute, lavoro, per la tutela dell’abitabilità del pianeta» (pag. 147).
Inoltre, poiché «i ventidue uomini più ricchi del pianeta dispongono di una ricchezza equivalente a quella di tutte le donne africane» (pag. 155) è necessario incentivare le attività di empowerment delle donne, valorizzando la loro capacità di resilienza poiché, scrive Vandana Shiva, «le donne sono esperte in scienza ecologica tramite la loro partecipazione quotidiana ai processi che forniscono sussistenza. La loro competenza si radica in esperienza vissuta e non in conoscenza astratta e frammentata che non riesce a vedere attraverso le connessioni della rete della vita» (pag. 157).
Per una liberazione delle donne, della natura e del vivente è perciò necessario valorizzare la diversità femminile come «corporeità, emozioni, sapienza intuitive, cooperazione, cura, nonviolenza, potere di generare e creare, contro potere di possedere, pensiero circolare come registro differente da quello del pensiero lineare» (pag. 150).
Tutto ciò mette in discussione il sogno prometeico dell’homo faber di dominare il mondo, per promuovere, invece, un nuovo stile di vita centrato sul paradigma della cura, della sobrietà, della cultura del limite, della capacità dell’ascolto e del silenzio.
Nei due capitoli dedicati alla guerra e alla minaccia nucleare, vengono denunciate le emissioni militari di gas climalteranti come una delle principali fonti di produzione della CO2 (15% delle emissioni globali). Tuttavia, per una clausola imposta dagli USA per la ratifica del Protocollo di Kyoto, il complesso militare-industriale è esentato dagli obblighi di rendicontazione e riduzione delle emissioni. Dunque, disarticolare il complesso militare industriale e ripudiare la guerra è condizione essenziale per contenere i cambiamenti climatici.
Inoltre, secondo la FAO, con un settimo della spesa militare globale annua si potrebbe raggiungere l’obiettivo di porre fine alla fame entro il 2030 (Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, 2015).
Lo spostamento di investimenti dalla macchina militare alla prevenzione della catastrofe climatica è un’urgenza assoluta, come chiesto dalla campagna sulle spese militari lanciata nel 2014 dall'International Peace Bureau (pag.196).
È perciò necessario: riconvertire l’industria bellica, bandire droni e robot killer, rendere effettivo il bando delle armi batteriologiche e chimiche e promuovere campagne a sostegno del bando delle armi nucleari promosso dall'ONU nel 2017, sempre più urgente dal momento che il Bollettino degli scienziati atomici a gennaio 2020 ha spostato le lancette dell’orologio dell’apocalisse a un minuto e quaranta secondi alla mezzanotte.
Per realizzare questi obiettivi, il segretario generale dell’ONU Guterres, nel 2018 ha proposto un’agenda per il disarmo.
«Nonviolenza, disarmo ed educazione alla pace continuano a essere gli strumenti che i cittadini del mondo possono con determinazione opporre agli interessi che fanno della violenza e della morte un lucroso mercato globale» (pag. 206).
Come da anni propongono i movimenti nonviolenti, è necessario dunque tradurre politicamente il principio della difesa civile, non armata e nonviolenta con l’istituzione di un Ministero della Pace, di un dipartimento ad hoc in collegamento con la Protezione civile «dotato di un centro di ricerca sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti e in rete con centri analoghi all'estero; costituzione di corpi civili di pace addestrati ad intervenire prima, durante e dopo l’esplosione di un conflitto, con compiti di monitoraggio, comunicazione, interposizione, costruzione della fiducia e ricostruzione di rapporto tra le parti in guerra, secondo l’insegnamento di persone come Alexander Langer, Tonino Bello, Alberto L’Abate, Albino Bizzotto» (pag. 207).
A questo fine, oltre a campagne specifiche, può essere necessario ricorrere alla disobbedienza civile, come hanno fatto i lavoratori portuali di Genova che «nel giugno 2019, col sostegno della CGIL, avevano impedito a una nave saudita di caricare materiale militare destinato ad alimentare la guerra in Yemen» (pag. 221).
Alle minacce e ai pericoli della guerra nucleare e del cambiamento climatico si aggiungono, infine, i rischi legati alla guerra cibernetica nell'informazione:
«Nel corso dell’ultimo anno, molti governi hanno utilizzato campagne di disinformazione informatica per seminare sfiducia nelle istituzioni e tra le nazioni, minando gli sforzi nazionali e internazionali per promuovere la pace e proteggere il pianeta (pag. 232), con la diffusione di deepfake» (falsificazioni profonde) e messaggi manipolatori che esasperano pregiudizi e differenze ideologiche.
Noel Sharkey, professore di robotica e intelligenza artificiale, che si batte contro l’uso militare della robotica, ha sostenuto che «l’uso di armi che non prevedono decisione umana deve essere proibito. Si sta già sviluppando una “giustizia” algoritmica che crea discriminazioni razziali, di genere, sui poveri e sulle minoranze. Figuriamoci che cosa può accadere in guerra» (pag. 236).
A questo proposito, è in atto la campagna Stop killer robots, per vietare l’utilizzo di macchine assassine.
«Se la tecnologia digitale informa i ritmi e la cadenza delle esistenze umane in base a velocità artificialmente determinate, diventa necessario prendere coscienza della frattura sempre più larga tra tempo biologico e tempo artificiale e coltivare un’ecologia interiore, che sia fonte di resistenza all'avanzare del paradigma tecnocratico e al tempo stesso capacità di utilizzare le straordinarie possibilità delle nuove tecnologie - integrandole col patrimonio che letteratura, storia, arte e scienze umane ci mettono a disposizione - per la pacifica convivenza degli esseri umani, la liberazione del tempo di vita e la tutela del vivente e dell’ecosistema» (pag. 245).
Infine, per contrastare xenofobia, razzismi, nuovi  fascismi e  diffusione di linguaggi d’odio, bullismo e cyber bullismo «torna a essere centrale l’educazione degli oppressi praticata da Paulo Freire: per noi, nuovi analfabeti, nuovi soggetti di oppressione, esposti a rischio climatico, minaccia nucleare, sottomissione alla tecnologia digitale e di guerra, addestrati a profondissime disuguaglianze economiche e sociali, spesso impotenti davanti all'assottigliamento degli spazi di democrazia, allo svuotamento delle conquiste sancite dalla legislazione universale dei diritti umani».
«Le macchine che costruiamo, essendo organi artificiali che vanno ad aggiungersi ai nostri organi naturali, ampliandone la portata, accrescono il corpo dell’umanità. Se si vuole che l’integrità di quel corpo sia preservata e che i suoi movimenti siano regolati, anche l’anima deve espandersi; in caso contrario il suo equilibrio sarà minacciato e insorgeranno gravi difficoltà, sia sociali che politiche, che rifletteranno ad un altro livello, la sproporzione tra l’anima del genere umano, a stento mutata dal suo stato originario, e il suo corpo, enormemente accresciuto». (dal discorso di papa Francesco ai partecipanti al convegno Education: the Global Compact, 7 febbraio 2020, citato a pag. 265).
Un libro prezioso, un lavoro accurato di ricerca, analisi e documentazione, un programma ambizioso, ma indispensabile. Uno stimolo e un’occasione per fare rete e mobilitarsi, affinché la transizione verso un’ecologia integrale diventi possibile.
[1] Niente di questo mondo ci risulta indifferente. Associazione Laudato si’. Un’alleanza per il clima, la Terra e la giustizia sociale. A cura di Daniela Padoan, Edizioni Interno4, 2020.

giovedì 25 giugno 2020

"Il dovere della memoria"


Scopo della manifestazione (che si svolgerà in forma statica in ottemperanza alle prescrizioni correlate all'emergenza sanitaria in corso) è di dare voce ai figli e alle figlie e nipoti di esponenti della Resistenza vicentina per attestare la netta contrarietà all'abolizione della c.d. “clausola antifascista” che rappresenta un vero e proprio sfregio della medaglia d’oro ottenuta da Vicenza per il ruolo avuto nella Resistenza al nazifascismo.

Oltre agli interventi vi saranno alcune canzoni.

Danilo Andriollo e Gigi Poletto

    (ANPI Vicenza)

mercoledì 24 giugno 2020

Pax Christi International si oppone ai piani israeliani per l’annessione

dalle pagine
http://www.paxchristi.it/?p=17293
https://ilmanifesto.it/pax-christi-international-si-oppone-ai-piani-israeliani-per-lannessione/


Pax Christi International si oppone con veemenza al piano israeliano di annettere qualsiasi area della Cisgiordania, compresa la Valle del Giordano. Riconosciamo Gerusalemme est e le alture del Golan siriane come illegalmente annesse ai sensi del diritto internazionale. Continuiamo a condannare l’occupazione israeliana della Cisgiordania da 53 anni ed il blocco di Gaza da 13 anni. Manteniamo una forte e costante solidarietà con le nostre sorelle e fratelli palestinesi la cui libertà, dignità e diritti umani sono minacciati da questa attuale proposta e dalle precedenti azioni di Israele.
Approviamo la dichiarazione del Consiglio dei Patriarchi e dei Capi delle Chiese di Terra Santa[1] che esprime grave preoccupazione per qualsiasi azione unilaterale di annessione della terra. Aggiungiamo la nostra voce alla crescente denuncia della flagrante violazione del diritto internazionale[2], della Convenzione di Ginevra[3] e delle risoluzioni concordate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite[4] e dal Consiglio di sicurezza[5]. Stiamo con quei paesi, la società civile e le organizzazioni per i diritti umani, i movimenti, le comunità religiose e le persone di coscienza che chiedono a Israele di porre immediatamente fine ai suoi piani di annessione[6].
Come movimento cattolico globale per la pace e la nonviolenza, Pax Christi International è profondamente preoccupato che le azioni per annettere qualsiasi parte della Cisgiordania spegneranno gli ultimi barlumi di speranza per una pace giusta e duratura nella terra che chiamiamo santa e che ha il potenziale per scatenare la giusta rabbia e conseguenti disordini in tutta la regione.
Per 75 anni, Pax Christi International ha promosso la nonviolenza come strumento per rispondere alle ingiustizie, ha incoraggiato il dialogo per favorire la riconciliazione e ha negoziato accordi di pace. Riteniamo che tutte le parti coinvolte in una controversia debbano garantire il rispetto e il riconoscimento reciproco. L’annessione mina questi principi ponendo i diritti e la stessa umanità di un gruppo come irrilevanti per le aspettative di un altro.
Crediamo che ci sia un altro modo per garantire i diritti e la sicurezza di israeliani e palestinesi. Questa azione unilaterale è controproducente per creare realmente sicurezza, giustizia e pace.
La fine della Seconda guerra mondiale vide la nascita di un nuovo ordine mondiale internazionale che sanciva i diritti umani e stabiliva degli standard per il comportamento delle nazioni. Pax Christi International, fondata in quel momento di grande importanza, è profondamente preoccupata per il fatto che la decisione di Israele di perseguire l’annessione della terra con la forza militare non solo violi ma mette a repentaglio le norme e i dettami di quell’ordine mondiale, che è già gravemente minacciato.
L’annessione, cioè l’attuazione del “Deal of the Century” dell’amministrazione Trump, formalizzerà gli sforzi strategici e persistenti di Israele per creare “dati di fatto” e sarà la campana a morte per la possibilità di creare uno stato palestinese. Per decenni, una soluzione a due stati che riconosce i diritti e la sicurezza di palestinesi e israeliani come vicini uguali è stata sostenuta dal Vaticano[7], dalle Nazioni Unite e dalla comunità internazionale. Se Israele continua con i suoi piani, come dichiarato, la realizzazione di una soluzione a due stati sarà impossibile. Ciò causerà un danno irreversibile al compimento del diritto inalienabile dei palestinesi all’autodeterminazione, come garantito dall’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite[8], e ostacolerà i loro sforzi per creare un fiorente stato palestinese.
Poiché i palestinesi hanno progressivamente perso la proprietà e l’accesso alla loro terra e alle risorse naturali attraverso la confisca dei terreni, le demolizioni delle case, le leggi sulla pianificazione discriminatoria e l’espansione sfrenata degli insediamenti, tutti strumenti per l’annessione de facto strisciante, la comunità internazionale è rimasta ad osservare e non è intervenuta per fermare queste azioni illegali.
Il 1° luglio 2020 è la data in cui il Primo Ministro Netanyahu potrà testare la determinazione della comunità internazionale a proteggere e difendere i principi sanciti a fondamento di un mondo civile. È in quella data che il governo di coalizione dovrebbe presentare i suoi piani per l’annessione unilaterale dei territori palestinesi occupati, una proposta che avrà un impatto devastante sulla vita di centinaia di migliaia di bambini, donne e uomini palestinesi. Questo è il momento Kairos del mondo di agire immediatamente e con forza o di essere complice di questo piano.
Pax Christi International invita la comunità internazionale e gli stati membri delle Nazioni Unite non solo a denunciare queste azioni illegali, ma anche ad avere il coraggio di dichiarare Israele responsabile imponendo conseguenti azioni specifiche ed efficaci.
Chiediamo a tutte le sezioni e ai gruppi membri di Pax Christi di
unirsi ai leader della Chiesa e ai membri delle comunità di fede per
• esprimere la loro solidarietà ai palestinesi e agli israeliani che si oppongono all’annessione, all’occupazione e al blocco di Gaza;
• esortare le diocesi a esercitare il loro diritto di effettuare investimenti finanziari e scelte di consumo sulla base di standard di responsabilità etica e sociale;
• esprimere la propria opposizione ai piani illegali e unilaterali di annessione di Israele in questo momento cruciale;
e chiedere ai loro rappresentanti eletti di sollecitare il proprio governo a:
• opporsi al piano di annessione di Israele;
• delineare quali azioni specifiche intraprendere in risposta a qualsiasi tentativo di annessione, ad esempio:
1. porre fine al commercio di armi ed alla cooperazione in materia di sicurezza militare con Israele
2. sospendere gli aiuti militari ed altri aiuti finanziari ad Israele fintanto che continua a violare  la legge internazionale ed  umanitaria
3.attuazione di sanzioni sul commercio con insediamenti illegali, incluso il boicottaggio di prodotti provenienti da tali insediamenti e da società che beneficiano dell’attività degli insediamenti;
• dichiarare che non riconosceranno alcuna modifica unilaterale ai confini stabiliti nel 1967;
• ritenere Israele responsabile delle violazioni del diritto internazionale e umanitario;
• riconoscere lo stato della Palestina.[9]
Bruxelles, 19 giugno 2020
__________________________________

Inoltre diamo la nostra adesione, e chi può essere presente nelle varie città lo faccia, alle varie manifestazioni in programma sabato 27 giugno promosse dalla comunità Palestinese in Italia che vedete qui di seguito, a cui si è invitati a partecipare in piccole delegazioni, con i propri simboli e con la bandiera della pace, nel massimo rispetto delle norme di sicurezza sanitaria richieste.
  • Roma Piazza del Campidoglio ore 16:00
  • Milano Piazza Oberdan (Porta Venezia) ore 16:00
  • Venezia Campo San Geremia (davanti sede RAI) ore 16:00
  • Vicenza Piazza Matteotti ore 16:00
  • Genova Piazza De Ferrari ore 16:00
  • Torino Piazza Castello ore 16:00
  • Bologna Piazza re Enzo ore 16:00 e h. 17 con Coordinamento Campagna BDS Bologna, piazza del Nettuno
  • Napoli Piazza della Repubblica ore 16:00
  • Bari Piazza della Libertà (Prefettura) ore 16:00
  • Palermo Piazza Giuseppe Verdi ore 16:00
  • Messina Passeggiata a mare (Viale della Libertà) ore 16:00

Infine vi segnaliamo https://www.youtube.com/watch?v=QjPcl-K4lxs video dell’interessante intervista (7 minuti) a p. Raed Abushalia "ANNESSIONE = APARTHEID. Non legalizzate l’oppressione", 20 giugno 2020.
Un saluto di Pace
don Renato Sacco – Coordinatore Nazionale Pax Christi Italia
__________________________________
[alcuni "link" danno errore anche nel testo originale]


domenica 21 giugno 2020

Sorrentino e Zuppi: la prospettiva cristiana per superare lo smarrimento

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/chiesa/news/2020-06/libro-crisi-come-grazia-per-una-nuova-primavera-chiesa.html

Organizzare la speranza per fronteggiare la crisi del nostro tempo che investe anche la Chiesa e che risente inevitabilmente della pandemia. A tracciare il percorso è monsignor Domenico Sorrentino assieme al cardinale Matteo Zuppi


Assisi
Eugenio Bonanata – Città del Vaticano

“Nel buio della prova che stiamo vivendo appaiono dei fili di luce che possono darci il segno di una speranza da intercettare e costruire”. Il vescovo di Assisi, monsignor Domenico Sorrentino, pensa soprattutto all’impegno messo in campo nel nostro Paese nella fase acuta dell’emergenza. Il suo ultimo libro intitolato ‘Crisi come grazia. Per una nuova primavera della Chiesa’ è stato presentato oggi presso il Sacro Convento di Assisi. Hanno illustrato questo volume il cardinale Matteo Zuppi, arcivescovo di Bologna, il professore di sociologia all’Università di Roma Tre, Luca Diotallevi e il caporedattore centrale del Tg1, Piero Felice Damosso.

Scegliere e cambiare
Il libro è stato scritto prima della pandemia, sebbene ‘in corsa’ sia stato aggiunto un capitolo dedicato a questo periodo. Senza sottovalutare le vittime che il virus continua a provocare, nelle pagine si staglia un percorso concreto per affrontare la fase attuale segnata da un generale smarrimento a diversi livelli. “Questo è un tempo opportuno per capire, per cambiare e per scegliere”, afferma il cardinale Zuppi parlando della possibilità di costruire un modo migliore e di aiutarlo a guarire dai tanti virus che creano sofferenza alla vita degli uomini.



Alimentare la speranza

Zuppi ricorda le parole di Francesco. “Anche il Papa - afferma - ha detto che non c’è nulla di peggio che non fare tesoro dell’esperienza della pandemia”. Quale è dunque la vera sfida per il futuro immediato? Senza dubbio la speranza, nonostante l’angoscia, la paura e la tristezza. “Tutte le fragilità e le ingiustizie che il virus ha messo in evidenza si possono risolvere”, prosegue il cardinale esortando a guardare alla speranza come qualcosa che sia capace di difendere il futuro dallo scetticismo e dalla rinuncia.

La prospettiva cristiana
“La speranza, però, deve essere organizzata”, sottolinea monsignor Sorrentino che avverte: “non basta dire che andrà tutto bene. A questa affermazione augurale deve corrispondere un fondamento, che per noi cristiani è l’amore di Dio, la nostra fede, ma anche l’impegno al quale ci sottoponiamo”. Andare avanti significa dunque rimboccarsi le maniche. “Soprattutto - aggiunge -vuol dire guardare in faccia le varie criticità e poi trovare la coralità necessaria per poterle affrontare”.



La responsabilità e la relazione

L’invito è di non trascurare il vantaggio derivante dalla prospettiva cristiana fondata sull’amore universale. “Questo - per il cardinale Zuppi - consente di avere interesse e desiderio nei confronti di un bene che raggiunga tutti”. Un atteggiamento fondamentale per capitalizzare gli insegnamenti della quarantena. “Abbiamo imparato che ognuno è responsabile dell’altro. Inoltre, abbiamo capito quanto è decisiva la comunicazione proprio per non essere soli. E soprattutto per la Chiesa questo significa scegliere di essere vicini e di costruire legami di comunità che vincano la tentazione dell’isolamento e dell’individualismo”.

Il ritorno alle origini
Parlando del principio di fraternità basato sulla paternità di Dio tipico della cristianità, monsignor Sorrentino evoca la vita delle prime comunità cristiane come uno spirito da recuperare per superare ciò che il libro definisce ‘il triangolo della crisi’ che riguarda il pensiero, le relazioni e la solidarietà. “La forza della comunione interiore era l’internet del tempo”, afferma il presule ricordando il successo della Chiesa primitiva malgrado le difficoltà di comunicazione che ha dovuto affrontare.  

Le piccole comunità
Per il vescovo di Assisi c’è una via d’uscita concreta e praticabile ed è rappresentata dalle piccole comunità che si riuniscono attorno al Vangelo testimoniando un nuovo slancio evangelizzatore. Lo dimostra ciò che sta succedendo nella diocesi di Assisi attraverso le ‘famiglie del Vangelo’. “Stiamo vedendo - conclude - come questa forma di ricomposizione e ritessitura della vita ecclesiale abbia un grande risvolto non soltanto all’interno della Chiesa, ma ha anche intorno alla Chiesa”.

sabato 20 giugno 2020

A Roma la veglia per i migranti morti, la Cei: dare voce agli invisibili


A Santa Maria in Trastevere la preghiera organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio. Ricordate le 40.900 persone morte, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte, via terra, dell’immigrazione verso l’Europa

Alessandro Guarasci - Città del Vaticano

Tante storie di dolore, dietro alle quali ci sono storie di persone. Sabato sera a Santa Maria in Trastevere a Roma, 'Morire di speranza'', la preghiera, presieduta da monsignor Stefano Russo segretario generale della Cei, in memoria di tutti i migranti che perdono la vita in mare durante i viaggi verso l'Europa. La celebrazione, in vista della Giornata Mondiale del rifugiato, è stata organizzata dalla Comunità di Sant'Egidio.

Le organizzazioni cattoliche e non unite nella preghiera
Tante le organizzazioni che hanno dato la loro adesione: Acli, Associazione Centro Astalli, Caritas Italiana, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Fondazione Migrantes, Agenzia Scalabriniana per la Cooperazione, Comunità Papa Giovanni XXIII. In chiesa tanti immigrati di diversa origine, presenti anche familiari e amici di chi ha perso la vita per lasciare il proprio Paese. Ma anche tanti italiani, nel massimo rispetto delle misure di sicurezza per il coronavirus.




Un esercito di persone morte in mare
Sono state ricordate le 40.900 persone morte, dal 1990 a oggi, nel mare Mediterraneo o nelle altre rotte, via terra, dell’immigrazione verso l’Europa. Un conteggio drammatico, che si è ulteriormente aggravato nei primi mesi del 2020. Infatti, nonostante la situazione di emergenza causata dal Covid-19 sono state 528 - per metà donne e bambini - le persone che hanno perso la vita nel tentativo di raggiungere il nostro continente, soprattutto dalla Libia attraverso la rotta del Mediterraneo centrale. E’ una tragedia dell’umanità di cui occorre fare memoria pensando soprattutto alle migliaia di persone che si trovano in questo momento nei centri di detenzione in Libia - per i quali è più che mai urgente aprire i canali dei corridoi e dell'evacuazione umanitaria - o nei campi profughi di Lesbo, dove alle condizioni disumane si è aggiunto il pericolo della pandemia.

Monsignor Russo: chi non c'è l'ha fatta è prezioso agli occhi di Dio
"Vorrei spendere anche una parola sull'occasione propizia che ci e' data di fare emergere tanti stranieri, 'nuovi europei' condizione di invisibili, valorizzando il loro lavoro e la loro presenza, preziosa per l'Italia e per loro stessi", ha detto il segretario generale della Cei, monsignor Stefano Russo. "Nella preghiera alcuni fra i nomi di coloro che sono morti nel tentativo di raggiungere l'Europa. Ciascuno di loro e' prezioso agli occhi di Dio, e lui, che non dimentica nessuno, aiuti noi, le nostre comunità di fede, il nostro Paese, la speranza di chi cerca un approdo di bene, di vita, di pace. Quante preghiere - ha continuato - salgono dai 50 milioni di sfollati interni che popolano i diversi continenti? Quante dai profughi detenuti in Libia, sottoposti a ogni genere di abusi, e da quelli che fuggendo vengono nuovamente respinti”.

Nel Green New Deal c’è la chiave per porre definitivamente fine alle guerre

dalla pagina https://www.peacelink.it/disarmo/a/47648.html

Oggi gli USA spendono settanta miliardi di dollari l’anno per guerre senza fine

Convertire l’intera rete energetica in energia rinnovabile costerebbe quasi duemila miliardi di dollari in meno delle guerre contro l’Iraq e l’Afganistan.

13 maggio 2020
Lindsay Koshgarian (direttore del National Priorities Project, lavora per un bilancio federale che privilegia pace, prosperità condivisa e opportunità economiche per tutti)
Tradotto da Laura Matilde Mannino per PeaceLink
Fonte: TruthOut - 08 maggio 2020

L’industria del combustibile fossile, con il prezzo del petrolio sceso sotto lo zero alla fine di aprile, è oggi fra le vittime della pandemia di Corona-virus. I progressisti, con l’industria del petrolio alle strette, vedono un possibile percorso verso un rinnovamento ecologico dell’economia . Ma questo non potrebbe anche implicare un nuovo approccio nei confronti del conflitto internazionale e delle imprese militari degli Stati Uniti?
Il petrolio è la causa principale delle guerre tra stati, ma le connessioni tra petrolio e guerra non si fermano a questo. Come abbiamo spiegato Lorah Steichen e io in un nuovo report, dalle emissioni di combustibile fossile del Pentagono, alla risposta militarizzata verso i rifugiati climatici, gli sforzi militari degli Stati Uniti e la nostra dipendenza dai combustibili fossili hanno dei legami intricati. Riconoscere questi legami potrebbe essere la chiave per un mondo completamente nuovo

La principale causa di guerra

Il petrolio, a cui a partire dal 1973 sono riconducibili da un quarto a metà delle guerre internazionali, è una delle principali cause di guerra. Le guerre degli Stati Uniti per il petrolio sono ormai un segreto talmente di pubblico dominio che nel 2008 il Generale in pensione John Abizaid ha detto a proposito della guerra in Iraq: «Certo che riguardava il petrolio, non lo possiamo proprio negare... abbiamo trattato il mondo arabo come una grande riserva di distributori di benzina.»
L’America è in guerra con l’Iraq da 17 anni. Nell’attuale corsa per il dominio sui rifornimenti mondiali di petrolio, l’amministrazione Trump ha delle mire anche sull’Iran. Sembrano passati anni da gennaio, quando gli Stati Uniti hanno deliberatamente ucciso il Maggiore Generale iraniano Quassim Suilemani, cosa che nel giro di giorni ha portato a una rapida escalation che si temeva potesse trasformarsi in una vera e propria guerra. Più di recente, gli Stati Uniti hanno continuato a provocare l’Iran, non soltanto con sanzioni economiche durissime, ma anche con incursioni navali nel Golfo Persico e minacce verbali.
Anche le azioni ordinarie del Pentagono sono guidate dall’interesse per il petrolio. Uno studio stima che il Pentagono spenda almeno 81 miliardi di dollari l’anno – quasi dieci volte il budget della Environmental Protection Agency (Agenzia per la protezione dell’Ambiente) – per difendere i rifornimenti mondiali di petrolio, senza contare i miliardi spesi ogni anno per la guerra in Iraq.

Il cambiamento è un’emergenza planetaria

Proprio come la pandemia, il cambiamento climatico non è un problema nazionale, bensì un problema globale. Un giusto governo degli Stati Uniti non si limiterebbe a ripulire le emissioni del suo Stato, ma si impegnerebbe in nuovi sforzi diplomatici per ridurre le emissioni a livello mondiale, sforzi che con la guerra sarebbero incompatibili.
Comunque sia, l’amministrazione Trump ha un pessimo curriculum in termini di diplomazia. La lista di accordi internazionali e gruppi che la corrente amministrazione ha abbandonato –Gli accordi di Parigi sul cambiamento climatico, l’accordo sul nucleare iraniano, il trattato INF, il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, e altro ancora – preannuncia una pericolosa incapacità di negoziare i tipi di accordi che una reazione significativa al cambiamento climatico richiederebbe. Da ultimo, nel mezzo del rarissimo evento di una pandemia, il presidente ha dichiarato che ritirerà i fondi all’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Ancora, mettendo potenzialmente a repentaglio la situazione del cambiamento climatico, il presidente e il Pentagono battono i tamburi di guerra con la Cina almeno dal dicembre del 2017, quando il Pentagono ha annunciato l’intenzione di fare della competizione militare con la Cina e la Russia la sua priorità principale. In quanto leader mondiale di emissioni nocive, è cruciale che la Cina partecipi a qualsiasi tentativo internazionale di arrestare il cambiamento climatico. Gli Stati Uniti, se vogliono fare sul serio per quanto riguarda la questione climatica, non possono proprio permettersi un taglio della comunicazione con la Cina in stile guerra fredda.

Il Pentagono, trangugiatore di petrolio

Secondo un recente studio della Brown University’s Costs of War Project, tra tutte le istituzioni il Pentagono è il più grande consumatore di petrolio. Se il Pentagono fosse un Paese, le sue emissioni sarebbero superiori a quelle di Paesi industrializzati come la Danimarca, la Svezia e il Portogallo.
Senza petrolio la milizia degli Stati Uniti non potrebbe esistere la conosciamo adesso. Il Pentagono ha un piano di addestramento, il Petroleum Laboratory Training Division, esclusivamente dedicato a garantire la qualità del combustibile militare. Come afferma il suo sito, il combustibile è “il sangue” dell’esercito. Il Generale David Petraeus, comandante nelle guerre di Iraq e Afganistan, fa eco alla metafora oscura che lega petrolio e sangue, osservando come il combustibile sia come «il sangue necessario per la nostra capacità di combattere una guerra.»
La più grande forza militare sulla terra funziona a petrolio. Secondo l’antropologo dell’American University David Vine, il Pentagono ha ottocento basi miliari sparse in novanta stati e territori in tutto il globo. Mandare avanti le basi militari domestiche e estere, e rifornirle con una rotazione costante di truppe, rappresenta circa il quaranta percento di tutte le emissioni di gas nocivi del Dipartimento della Difesa.
Un’altra delle principali fonti di emissioni è quella delle incursioni aeree, il marchio distintivo dell’impegno militare degli Stati Uniti. Solo uno dei jet militari, il B-52 Stratofortress, in un’ora consuma circa la stessa quantità di carburante che un autista medio userebbe in sette anni. La campagna militare contro l’ISIS (nota anche come Daesh), incominciata nel 2014, ha coinvolto decine di migliaia di missioni aeree, da attacchi armati, a ponti aerei e ricognizioni. Il carburante usato per queste missioni fa restare a bocca aperta: nel 2014 due bombardieri B-2 sono partiti dal Missouri per andare a bombardare degli obiettivi dell’ISIS in Libia: un viaggio andata e ritorno di trenta ore per cui sono serviti due tipi diversi di rifornimento aereo e più di quattrocento tonnellate di carburante.
Il Pentegono ha dichiarato l’obiettivo di ridurre l’uso di carburante... solo nella misura in cui, riducendo la dipendenza da catene di rifornimenti vulnerabili, servirà a rendere ancora più infallibili le loro missioni. Alcune proposte avanzate da contestatori dell’esercito richiedono di intervenire in diversi modi per creare “un esercito più ecologico.” Alla fine un tentativo del genere non potrebbe dare nessun contributo significativo per un futuro ecologico: sia perché le attività del Pentagono sono intrinsecamente ad alta emissione, sia perché il Green New Deal è incompatibile con il militarismo degli Stati Uniti.

Una transizione giusta (e pacifica)

L’idea di una “transizione giusta”, che costruisca un’economia basata sulla salute e sul rigoglio delle comunità piuttosto che sullo sfruttamento e sul danneggiamento, è un caposaldo morale chiave del movimento climatico.
Quest’idea è incompatibile con la distruzione dell’ambiente. Esige una riparazione per le numerose popolazioni indigene le cui esistenze e le cui terre sono state distrutte. Una transizione giusta dovrebbe mettere fine all’incenerimento dei rifiuti militari in Iraq, che ha contribuito a creare un ambiente tossico con un alto tasso di cancro e di bambini nati con tumori e senza arti, una situazione che è stata descritta come «il più alto tasso di danneggiamento genetico che sia mai studiato su una popolazione»
È necessario garantire un porto sicuro gli sfollati climatici e di guerra. Una stima mostra che prima della metà del secolo il cambiamento climatico potrebbe forzare lo spostamento di duecento milioni di persone. Il cambiamento climatico è già stato una delle cause della migrazione forzata in tutto il mondo, insieme alla devastante guerra siriana e alla crescita della migrazione Negli Stati Uniti da Guatemala, Honduras e Salvador.
A questi flussi migratori si sta rispondendo in modo militarizzato. Negli Stati Uniti la lotta al confine meridionale è solo un’anticipazione del peggio che deve ancora venire. Un sinistro report del Pentagono sul cambiamento climatico nel 2003 pronosticava: «è possibile che gli Stati Uniti costruiscano delle fortezze difensive tutto intorno a sé perché hanno le risorse e le riserve per raggiungere l’autosufficienza... Intorno al Paese confini verranno rinforzati per tenere fuori gli immigranti affamati e indesiderati che vengono da isole caraibiche (un problema particolarmente e severo), Messico e Sud America.»
La risposta militarizzata al cambiamento climatico si estende dai confini verso l’interno. Potrebbe sembrare che non ci siano relazioni tra le aggressive campagne di deportazione, l’internamento di persone prive di documenti da parte dell’Immigration and Custom Enforcement e la risposta violenta alle proteste per l’ambiente e per il clima, ma una delle forza motrici che sta dietro ognuno di essi è il fatto che per soggiogare gli effetti e la risposta al cambiamento climatico c’è bisogno di forze potenti. Mentre gli attivisti e gli esperti progettano linee programmatiche per porre fine alla nostra dipendenza dal petrolio, il principio di una transizione giusta indica che la soluzione debba anche occuparsi di smantellare la rete di ingiustizie concatenate.

Come paghiamo?

Il Green New Deal di certo richiederà delle risorse considerevoli, ma queste stesse risorse sono quelle che sostengono le guerre degli Stati Uniti da quasi due decenni. Mentre gli Stati Uniti sono responsabili per 6,4 mila miliardi di dollari per le guerre con l’Iraq e l’Afganistan, il costo per la conversione dell’intera sua rete energetica in risorse rinnovabili sarebbe solo di 4,5 mila miliardi di dollari. Il costo di non aver incominciato a convertire la rete energetica nel 2001 piuttosto che imbarcarsi in due decenni di guerra è invece incalcolabile.
Oggi gli Stati Uniti spendono ancora settanta miliardi di dollari l’anno per queste guerre senza fine. Questi soldi – insieme ad altri tagli alle spese del Pentagono che ammonterebbero a 350 miliardi di dollari l’anno – potrebbero essere reinvestiti nel Green New Deal. Sono tagli che non permetterebbero soltanto di deviare le risorse economiche, ma che ridurrebbero anche le emissioni e il conflitto, rendendo il mondo un luogo più sicuro. Altri 649 miliardi di dollari all’anno potrebbero essere ricavati dall’eliminazione degli aiuti finanziari degli Stati Uniti alle industrie petrolifere. In tutto ci sarebbero mille miliardi di dollari l’anno che potrebbero essere destinati al Green New Deal.
Una delle opposizioni più ferme (e che tende ad attirare simpatie) al Green New Deal e ai tagli alle spese del Pentagono, viene da chi dipende per il proprio sostentamento dal petrolio e dalle industrie militari. Una parte fondamentale in una transizione giusta include il fatto che queste persone possano passare da lavori pericolosi che alimentano sofferenza e conflitti, a lavori più sicuri e appaganti. La transizione è decisamente possibile. Dollaro per dollaro, l’energia pulita crea il quaranta percento di lavoro in più di quanto non facciano le spese militari. Un investimento relativamente modesto di duecento miliardi di dollari annui in energia pulita – molto meno di quanto è proposto nel Green New Deal – creerebbe una rete di 2,7 milioni di nuovi lavori.
Smantellare il controllo del petrolio e l’industria militare (e la mentalità colonialista del XX secolo), non sarà facile, ma è una parte necessaria della soluzione alle sfide che il mondo sta affrontando. Quando il mondo emergerà da questa ibernazione forzata, tra le cose che non dovrebbero tornare com’erano dovrebbe esserci il prezzo del petrolio.
Note: National Priorities Project (https://www.nationalpriorities.org/) è un progetto dell'Institute for Policy Studies (1301 Connecticut Avenue NW, Washington, DC 20036).
Tradotto da Laura Matilde Mannino, revisione di Giacomo Alessandroni per PeaceLink. Il testo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali citando la fonte (PeaceLink) e l'autore della traduzione.
N.d.T.: Titolo originale: The Green New Deal Is the Key to Ending Forever Wars

________________________________
nello stesso articolo: 

  • Il Pentagono spende almeno 81 miliardi di dollari l’anno per difendere i rifornimenti mondiali di petrolio, senza contare i miliardi spesi ogni anno per la guerra in Iraq.
  • Se il Pentagono fosse uno Stato, le sue emissioni sarebbero superiori a quelle di nazioni come la Danimarca, la Svezia e il Portogallo.
  • Un solo jet militare, il B-52 Stratofortres, in un’ora consuma circa la stessa quantità di carburante che un autista medio userebbe in sette anni.

  • Dollaro per dollaro, l’energia rinnovabile crea il quaranta percento di lavoro in più delle spese militari.