sabato 27 dicembre 2014

La Marcia per esprimere che la Pace ci è cara

Tre domande a... Don Matteo Pasinato Direttore dell'Ufficio diocesano per la pastorale Sociale e del Lavoro






Don Matteo Pasinato, 48 anni, originario di Fontaniva, prete dal 1991, dal 2005 è direttore dell'Ufficio diocesano per la pastorale Sociale e del Lavoro. Proprio per questo compito è anche direttamente coinvolto nella proposta della Marcia nazionale per la Pace che si terrà quest'anno a Vicenza il prossimo 31 dicembre.
 
Qual è il compito e quali le possibilità di un ufficio diocesano per la pastorale sociale e del lavoro? 

Quando uso la parola “pastorale” mi viene sempre in mente un salmo della Bibbia. «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla». La pastorale si occupa di non fare mancare nulla alla comunità cristiana. Nemmeno il fatto che viviamo insieme (il sociale), che il lavoro oltre che una necessità è anche una “vocazione”, che produrre e distribuire non sono alternativi (l’economia), che la salvaguardia del mondo non viene dal cielo ma dal nostro stile, così come la conflittualità e la violenza spesso sono generate dall’ingiustizia … Che non manchi l’attenzione alla persona “intera”.
Ecco il senso di una pastorale sociale nella comunità cristiana. Che il vivere sociale entri dentro la vita del cristiano e che il mio essere cristiano entri dentro alle relazioni sociali. Infatti non vivo di sola Parola di Dio, non vivo solo di sacramenti e di riti. Come cristiano vivo da fratello e nella giustizia. E il Vangelo è piuttosto chiaro su questo.

E come si può fare pastorale sociale? Che cosa può fare una comunità cristiana? Già chiedersi che cosa possiamo fare è il primo passo per non lasciare che ciascuno vada per conto proprio. Pensare qualcosa insieme è il primo “sociale”, che è difficile pure nelle nostre comunità abituate a specializzarsi in settori distinti e a volte distanti. Una comunità cristiana può valorizzare il sociale informando, conoscendo e anche celebrando.
Informando sulle iniziative, offrendo qualche spazio di visibilità alle cose buone che si fanno e spendendo qualche parola sulle gravi disattenzioni, o sullo scandalo di vere e proprie ingiustizie. Verso i deboli che non hanno parola siamo in debito anche con il nostro silenzio.
Conoscendo, nel nostro territorio, i luoghi della cooperazione, organizzando magari insieme qualche momento di vicinanza. Potrà essere una “giornata della socialità”, o la valorizzazione della “giornata della prossimità”. Nella catechesi, nel cammino dei gruppi giovanili, ci sarà un piccolo spazio anche per la dimensione sociale della fede. Molte parrocchie hanno già iniziative che sono portate avanti dal cuore “sociale” dei preti, delle catechiste, degli animatori.
E anche celebrando si può aprire la propria preghiera al Dio che è padre degli orfani, familiare anche con lo straniero, che si commuove per lo sfiduciato, che chiama suoi figli gli operatori della pace. La liturgia e la parola di Dio ci fanno spesso “inciampare” su queste passioni “sociali” che non sono estranee alla fede. 

A volte si ha l’impressione che la chiesa sia più preoccupata della morale familiare e sessuale che di quella sociale …

Forse questa è l’impressione. Ma vorrei ricordare che la prima enciclica sociale fu scritta nel 1891, sulla questione operaia, mentre la prima enciclica sulla morale sessuale venne 40 anni dopo, nel 1930. È vero invece che la famiglia ha sempre interessato molto la chiesa, perché la famiglia è la sorgente della vita sociale. Nella famiglia si fa esperienza della differenza, dell’incontro di generazioni, della questione importante dell’autorità e dell’obbedienza ad un bene comune, della distribuzione giusta delle risorse … Se oggi siamo tutti preoccupati di depurare il fiume alla foce, non è strano che ci si occupi della sorgente. Non è indifferente ciò che si vive in famiglia, nella coppia, per quello che sarà il vivere sociale. Forse per questo dobbiamo essere attenti socialmente alle relazioni di coppia, anche solo quando chiedono un riconoscimento. È pericoloso affermare che nella vita di coppia ognuno fa quello che vuole, perché è “nel privato”. E comunque rimane una sfida trovare qualcosa di comune anche in un sociale plurale come il nostro. “Riconoscerci” è la premessa per non essere indifferenti, e non possiamo essere indifferenti perché questo è il mondo che tutti viviamo insieme … ma il discorso qui dovrebbe farsi molto lungo. 

Perché partecipare alla Marcia nazionale per la pace il 31 dicembre?

Io non ho ragioni per convincere nessuno. Offro le mie, di ragioni: è un’occasione unica la Marcia nazionale a Vicenza. E poi perché credo che non ci vogliono solo gesti che “producono” qualcosa (che può fare una Marcia?), ho bisogno anche di gesti per “esprimere” qualcosa (la Pace mi sta a cuore). E infine perché camminare muove il corpo, offre aria buona, dona speranza a chi cammina con te e mi fa sentire che non sono solo. Del resto Cristo ha fatto molto camminare i suoi discepoli … e li ha cambiati muovendoli. 

Alessio Graziani