martedì 29 novembre 2022

Ora di silenzio per la Pace

Vicenza, Martedì 29 novembre e prossimi martedì fino al 13 dicembre
 
 
Mir, Pax Christi, Anpi, Casa per la Pace,
Gruppo Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza
 
 
dal discorso di papa Francesco per il "Bahrain Forum for Dialogue East and West for Human Coexistance", Awali, 4 novembre 2022
"[...] Dopo due tremende guerre mondiali, dopo una guerra fredda che per decenni ha tenuto il mondo con il fiato sospeso, tra tanti disastrosi conflitti in ogni parte del globo, tra toni di accusa, minacce e condanne, ci troviamo ancora in bilico sull’orlo di un fragile equilibrio e non vogliamo sprofondare. Un paradosso colpisce: mentre la maggior parte della popolazione mondiale si trova unita dalle stesse difficoltà, afflitta da gravi crisi alimentari, ecologiche e pandemiche, nonché da un’ingiustizia planetaria sempre più scandalosa, pochi potenti si concentrano in una lotta risoluta per interessi di parte, riesumando linguaggi obsoleti, ridisegnando zone d’influenza e blocchi contrapposti. Sembra così di assistere a uno scenario drammaticamente infantile: nel giardino dell’umanità, anziché curare l’insieme, si gioca con il fuoco, con missili e bombe, con armi che provocano pianto e morte, ricoprendo la casa comune di cenere e odio.
Queste sono le amare conseguenze, se si continuano ad accentuare le opposizioni senza riscoprire la comprensione, se si persiste nell’imposizione risoluta dei propri modelli e delle proprie visioni dispotiche, imperialiste, nazionaliste e populiste, se non ci si interessa alla cultura dell’altro, se non si presta ascolto al grido della gente comune e alla voce dei poveri, se non si smette di distinguere in modo manicheo chi è buono e chi cattivo, se non ci si sforza di capirsi e di collaborare per il bene di tutti. Queste scelte stanno davanti a noi. Perché in un mondo globalizzato si va avanti solo remando insieme, mentre, navigando da soli, si va alla deriva. [...]"
 

domenica 13 novembre 2022

"ERASMUS IN GAZA"

COMUNICATO STAMPA 

 
“ERASMUS IN GAZA”: IL FILM E’ UNA TESTIMONIANZA SU UN’ESPERIENZA DI VITA E SUL DIALOGO TRA LE CULTURE. 
I DIRITTI DEL POPOLO PALESTINESE SONO RICONOSCIUTI DALL’ONU. 
LA LIBERTA’ DI INSEGNAMENTO E’ PRINCIPIO COSTITUZIONALMENTE TUTELATO.


Dal 2014 varie realtà dell’associazionismo vicentino collaborano per proporre alla cittadinanza momenti di informazione e iniziative di solidarietà con il popolo palestinese. Non è quindi l’Anpi, ma il Comitato Vicentino per la liberazione dei prigionieri politici - della quale fa parte pure l’Anpi - a proporre anche l’iniziativa del 14 -15 novembre prossimi. Tre osservazioni:

1 - Ci troviamo fondamentalmente di fronte ad un film di testimonianza su una esperienza di vita particolarmente utile per i ragazzi. Il film racconta la storia di Riccardo studente di medicina dell’Università di Siena che decide di effettuare il suo Erasmus a Gaza, la striscia di terra zona di guerra e prigione a cielo aperto. Riccardo impara la resilienza, coglie l’entusiasmo e la voglia di vivere dei suoi amici arabi. Il lungometraggio celebra la disponibilità a conoscersi, l’importanza dello scambio delle esperienze e dei saperi e la voglia di restare umani in una situazione disumanizzante. A metà tra il giornalismo di inchiesta e film di formazione, è stato definito dalla critica “intenso, enorme passo in avanti per il dialogo tra le culture”.
Il film ha vinto il festival Internazionale della Televisione di Monaco e il premio della giuria Giovani al festival di Barcellona. Sarà al festival dei diritti umani di Tel Aviv a dicembre. E’ stato selezionato dai più importanti festival internazionali compreso Prix Europa. Il film è già stato trasmesso da RAI 3 nell’ottobre 2019 in seconda serata.
Far conoscere a studenti degli ultimi anni della scuola superiore esperienze in luoghi dove la popolazione patisce privazioni inenarrabili a causa della guerra, è onorare il compito della scuola, nel suo ruolo fondamentale di educazione e formazione della persona

2 - Le iniziative proposte non sono di parte ma sono perfettamente allineate con gli orientamenti ufficiali dell’ONU perché si situano all’interno della “Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese” istituita nel 1977 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 32/40B al fine di ricordare la Risoluzione n° 181 del 29 novembre 1947 sulla partizione della Palestina e la creazione di due Stati indipendenti, uno arabo e uno ebraico con Gerusalemme sottoposta a un regime internazionale speciale.
La Giornata per la Solidarietà con il Popolo Palestinese ha come obiettivo di sensibilizzare la comunità internazionale su questa questione ancora aperta, ricordando il rispetto dei diritti che l’Assemblea Generale ha definito per il popolo palestinese: il diritto all’autodeterminazione senza interferenze esterne e il diritto all’indipendenza e alla sovranità nazionale. Oggi Israele occupa militarmente un Territorio, la Palestina, privando un intero popolo di diritti fondamentali e praticando un sistema di vero e proprio apartheid.

3 - In Italia la Libertà di insegnamento è valore costituzionalmente tutelato (art. 33 Cost.) e non intaccabile da interventi esterni che, incidendo sui contenuti, configurerebbero un’attività censoria del tutto contraria ai principi della democrazia costituzionale. Comitato Vicentino per la liberazione dei prigionieri politici palestinesi

(Anpi, Cgil, Arci servizio civile, Da adesso in poi, Fornaci rosse, Pax Christi, Mir Progetto sulla soglia, Salaam ragazzi dell’Olivo)



sabato 12 novembre 2022

Passato e futuro di una guerra

dalla pagina https://comune-info.net/passato-e-futuro-di-una-guerra/

Guido Viale  

Cosa sarebbe successo se gli accordi di Minsk del 2014 fossero stati rispettati da Russia e Ucraina? Cosa sarebbe successo se la Nato avesse rinunciato ad annettersi tutti gli Stati dell’ex dominio sovietico? Chi avrebbe dovuto mediare nei mesi scorsi tra l’aggressore Russia e la sempre più armata Ucraina? Secondo Guido Viale è importante risalire indietro nel tempo per misurarsi con il presente e proiettarsi nel futuro. Tuttavia, questo esercizio diventa ricco di senso se parte da due presupposti, spesso dimenticati. Il primo: la guerra non è un evento ma un processo e comincia ben prima del suo scoppio. Il secondo: anche la pace è un processo. E non ha mai fine

Roma, 5 novembre 2022

Che cosa sarebbe successo se, di fronte all’invasione dell’Ucraina, giunta fino a Kiev, Zelenski fosse fuggito, o si fosse arreso? O la Nato non gli avesse fornito tutte le armi che gli ha messo a disposizione? È l’argomento “forte” che tutti i favorevoli a riempire di armi l’Ucraina ritengono risolutivo. Non si può non rispondere. Ma l’alternativa a una resa di Zeleski non è, e non era nemmeno allora, la resa di Putin. Questa è la visione di chi nel proprio orizzonte non ha che la guerra.

È certamente giusto che la storia si faccia con i se. I “se” aprono l’orizzonte a molteplici possibilità, spezzando la rigida concatenazione degli eventi che riduce la libertà umana a necessità. Ma proprio per questo occorre aprirsi a una molteplicità di se: risalire indietro nel tempo, misurarsi con il presente e proiettarsi in avanti nel futuro. La guerra non è un evento ma un processo; che comincia ben prima del suo scoppio e spesso si trascina oltre la sua conclusione. Ma anche la pace è un processo, che si svolge sia in tempo di guerra che pace. E non ha mai fine.

Andiamo indietro nel tempo

Dunque, andiamo all’indietro: che cosa sarebbe successo se gli accordi di Minsk fossero stati rispettati da entrambe le parti? Se le potenze che li avevano promossi, o l’Onu, li avessero fatti rispettare, invece di permettere che una guerra mai dichiarata andasse avanti per anni in una regione dell’Ucraina, preparando quella che sarebbe venuta dopo? Rispetto alla situazione attuale entrambi i contendenti si sarebbero risparmiati migliaia di morti e la distruzione, che andrà avanti, di un intero paese, senza che una sovranità nazionale rispettosa delle minoranze e delle autonomie ne avesse soffrire. Era quanto Zelenski aveva promesso in campagna elettorale e non ha rispettato; pressato da poteri e organizzazioni che ne hanno condizionato il governo.

E, continuando ad andare all’indietro, che cosa sarebbe successo se la Nato avesse rinunciato ad annettersi tutti gli Stati sottrattisi al dominio sovietico, come era stato promesso a Gorbaciov, ma anche raccomandato da numerose personalità di “fede” atlantica; se non avesse continuato ad “abbaiare” alle frontiere della Russia con esercitazioni militari sempre più minacciose; se non avesse fatto quanto in suo potere per raggiungere l‘annessione dell’Ucraina, e poi della Georgia, e di altro, con l’evidente prospettiva di smantellare la Federazione Russa? Ma è una scelta che quegli Stati avevano compiuto autonomamente, se non proprio democraticamente, si obietta. Sia pure, ma in una prospettiva di crescente contrapposizione e di un confronto sempre più serrato tra grandi potenze, invece della promozione di una cooperazione che era di primario interesse per tutta l’Europa. D’altronde la Nato è una gabbia da cui, una volta entrati, è impossibile uscire; perché trascina i suoi membri in conflitti che nulla hanno a che fare con i loro interessi; e perché le classi dominanti trovano in quell’affiliazione un puntello inaggirabile del loro dominio.

Facciamo un altro passo indietro. Più o meno cinquant’anni fa – è stato critto – una potenza nucleare come gli Usa aggredivano uno Stato e
nessuno di noi contestava il suo diritto di resistere con le armi. Gridavamo “Vietnam vince perché spara” e forse molti di noi oggi non lo griderebbero più. Il Vietnam ha vinto: hanno vinto le sue classi dominanti. Ma il Fln (Fronte di Liberazione Nazionale) ha perso, inghiottito di chi aveva più armi per combattere gli Usa. Quel conflitto, comunque, non era mai assurto a confronto diretto tra potenze nucleari, nonostante l’appoggio che Urss e Cina fornivano ad Hanoi. Nessuno però si era o si sarebbe mai dichiarato contrario a un cessate il fuoco immediato prima che le truppe statunitensi si fossero ritirate dal paese. E se un cessate il fuoco avesse avuto luogo, forse in Vietnam si sarebbe potuto arrivare a una soluzione soddisfacente prima che il coinvolgimento di Hanoi creasse le condizioni di una mera annessione.

Prima di tutto mediare

Ora, venendo al passato recente, certo Putin pensava di ripetere l’operazione che era riuscita a Breznev con la Cecoslovacchia di Dubcek e, vedendola fallire, si è vendicato lasciando mano libera o ordinando alle sue truppe di compiere ogni sorta di infamia (non che il nemico aggredito sia andato con la mano leggera; né prima né dopo l’invasione. Ma è la guerra…). Comunque, l’esercito e le milizie ucraine avevano già ricevuto armi a sufficienza (usate nella guerra al Donbass) per resistere a un esercito numericamente, se non tecnicamente, superiore. Ma nessuno ha mai contestato all’Ucraina – all’Ucraina; non alla Nato – il diritto di resistere ed è chiaro, ed era chiaro anche allora, che Putin non ha le forze per occupare e tener sotto controllo tutto il paese. Senza una resa di Zelenski si sarebbe comunque sviluppata una situazione di conflitto endemico su molti fronti ed è lì che occorreva intervenire: non con le armi, ma con una proposta di mediazione che aggiornasse gli accordi di Minsk alla luce della nuova situazione. Proposte in tal senso – peraltro irrise – sono state avanzate recentemente, come base di partenza di un possibile negoziato, sia da alcuni intellettuali che da un gruppo di ex diplomatici.

Ma chi poteva, e doveva, promuovere quella mediazione? Non certo Erdogan, che ha le mani altrettanto insanguinate di Putin; né Xi Jinping, che non ha certo interesse ad alienarsi la Russia in una prospettiva di crescente conflitto con gli Usa. Avrebbe dovuto farlo la Ue, che aveva tutto l’interesse a non far precipitare la situazione e aveva e ha delle carte da giocare, a partire dall’ingresso dell’Ucraina nell’Unione, ma senza Nato, e dei suoi commerci con la Russia. Ma non lo ha fatto perché le sue classi dirigenti sono totalmente asservite alla Nato, che rappresenta gli interessi esclusivi degli Usa che dal conflitto in Ucraina non vengono minimamente danneggiati. Non è stato fatto; e nessun governo o partito di opposizione degli Stati dell’Unione europea ha portato avanti una proposta o una rivendicazione in tal senso. Perché? Perché i mediatori non possono armare una delle parti. È una cosa elementare ma che nessuno, a partire dal favoloso Draghi, sembra aver capito.

Un conflitto sempre più armato

E ora? Ora la consegna massiccia all’Ucraina di armi sempre più potenti ha completamente cambiato il conflitto, trasformandolo in un confronto diretto tra Federazione Russa e Nato. Sono armi non solo costosissime, ma che per funzionare hanno bisogno di assistenza: di istruttori, contractors e consulenti stranieri, dei droni di Sigonella, dei radar del Muos di Niscemi, dei satelliti di Musk (un esempio istruttivo di partnership pubblico-privato) nonché di una stampa asservita, che è un’arma potentissima, in gran parte del resto del mondo. Si farà la pace, a qualsiasi condizione, solo quando e se quella guerra non converrà più al governo degli Stati Uniti. Rischiando nel frattempo l’ecatombe nucleare. Perché Putin non è un pazzo; ma è uno che per la posizione che occupa non può permettersi di perdere come se lo poteva permettere invece il governo degli Stati uniti in Corea, in Vietnam e in Afghanistan, in Siria.

E in futuro? Il futuro è tutto della crisi climatica che incombe e incalza su tutto il pianeta. Se l’Olocausto nucleare è una possibilità, tutt’altro che remota, la catastrofe climatica, senza misure radicali, è invece una certezza assoluta. Coloro che promuovono le armi (e non solo all’Ucraina; quanto di questo fervore bellico ha contribuito ad alzare i budget della cosiddetta difesa e ad allontanare il bando delle armi nucleari votato dall’Onu?) sono un esempio palese di dissociazione mentale. Molti di loro sanno perfettamente che la crisi climatica è alle porte. Ma ce ne si occuperà “dopo”: dopo la vittoria su Putin. Cioè mai. Esattamente come fanno i negazionisti: quelli tetragoni come quelli che lo sono nei fatti; cioè tutte le classi dirigenti del mondo.

La guerra e il clima

E invece no. La lotta contro la crisi climatica – per arginarla, non certo per sventarla, dato che ormai è irreversibile – è innanzitutto una lotta per la pace, contro le guerre e contro le armi; contro le loro emissioni, che sono enormi; contro le loro distruzioni, che esigono di produrre nuove armi, di ricostruire case, impianti e infrastrutture nuove con altro consumo di materiali ed energia; che degradano il suolo e miliardi di esseri viventi indispensabili all’equilibrio ecologico del pianeta. Ma il passaggio obbligato è sempre lì: nella comprensione che l’autonomia di una comunità non è un’offesa alla sovranità di un popolo, ma la sua esaltazione. Che i confini non sono barriere da sacralizzare ma faglie sopra cui gettare ponti. Che le armi prodotte e vendute, comprese quelle nucleari, chiedono di essere usate: in sempre nuove guerre. Quante più armi, tante più guerre. Quanto più letali, tanto più rampa di lancio dell’apocalisse.

La CoP27 sui cambiamenti climatici aperta domenica a Sharm el Sheik sotto il patrocinio di Al Sisi e – non solo per questo – destinata comunque al fallimento, potrebbe riscattarsi dal pantano in cui è affondata questa partita mettendo in chiaro una volta per tutte una cosa sola: che la lotta contro la crisi climatica comincia da quella contro guerre e armi. Sarebbe un grande successo.

 

giovedì 10 novembre 2022

Francesco: gettare ponti perché rive nemiche tornino a comunicare

dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2022-11/papa-francesco-udienza-collegio-neopmuceno-ucraina-pace-umorismo.html

Papa Francesco all'udienza con la comunità del Pontificio Collegio Nepomuceno  (Vatican Media)

Il Papa riceve in udienza la comunità del Pontificio Collegio Nepomuceno, intitolato al martire boemo che nel 1300 fu annegato nella Moldava per non aver violato il segreto confessionale: oggi mentre infuria la guerra in Ucraina bisogna lavorare con fermezza evangelica e pregare perché nasca la riconciliazione

Alessandro De Carolis - Città del Vaticano

Mettersi là dove dilaga un conflitto “perché due sponde distanti e nemiche possano tornare a comunicare”. La preghiera, specialmente la “preghiera di intercessione”, ha questa potenza, di creare contatto sul terreno delle coscienze, fino a un’insospettabile possibilità di dialogo, all’opposto della liturgia dei missili e dei cannoni, che fanno macerie di ogni spiraglio di comprensione. “Oggi mentre infuria la guerra in Ucraina” il Papa si rifà all’“attualità” di un’omelia del cardinale Martini del ’91 per mettere in risalto una caratteristica di San Giovanni Nepomuceno, morto martire alla fine del 1300, venerato come “protettore di ponti”, e al cui nome da circa 140 anni è intitolato il Pontificio Collegio ricevuto in udienza da Francesco.

Primato della coscienza

San Giovanni Nepomuceno è un sacerdote integro che rifiuta la pretesa del corrotto re Venceslao di violare il segreto della confessione per rivelare quanto gli abbia detto la regina sotto il sigillo sacramentale - regina di cui il re, inguaribile fedifrago, sospetta inesistenti infedeltà - e per questo rifiuto Giovanni paga con la vita, gettato dal Ponte San Carlo di Praga giù nella Moldava. Questa testimonianza, afferma Francesco, “ci ricorda, oggi più che mai, il primato della coscienza su qualunque potere mondano; il primato della persona umana, la sua dignità inalienabile”. Ma c’è, sottolinea il Papa, un modo ancora più stringente per onorare la memoria di un santo martire ucciso in quel modo.

Cercare, nella vita concreta, di gettare ponti là dove ci sono divisioni, distanze, incomprensioni. Anzi, di essere noi stessi dei ponti, strumenti umili e coraggiosi di incontro, di dialogo tra persone e gruppi diversi e contrapposti (…) Ma questo lo fanno anche meglio le donne, eh?, per voi [rivolto alle donne presenti?]: fare dei ponti, perché una donna sa meglio di noi maschi come fare dei ponti, e voi [sempre rivolto alle donne] insegnate loro come si fanno dei ponti.

Lottatori, non primattori mondani

Francesco mette in guardia per l’ennesima volta dei religiosi dal pericolo della mondanità spirituale - “il peggio - dice - che può accadere a un uomo, a una donna consacrati” - e rilancia sull’esempio del Nepomuceno quei “no ai poteri di questo mondo per confermare il al Vangelo”, poteri a volte politici o ideologici o culturali che condizionano in modo sottile. Il vostro collegio, è l’augurio del Papa, sia “casa e scuola di libertà”, specie oggi che con la “diminuzione delle presenze europee”, i sacerdoti africani e asiatici che ne sono ospiti possono costituire, indica, “se ben gestita una ricchezza umana e formativa”.

Il Signore ci vuole a tutti noi servitori, fratelli e sorelle, non primadonna o primo attore, non protagonisti, e alle volte protagonisti di storie tristi e di storie mediocri. No. Il Signore ci vuole lottatori: fuggiamo la tentazione di questo protagonismo mondano.

L’umorismo che libera

E capaci di un sorriso liberante, di un umorismo che sdrammatizza e non si prende sul serio. Come, ricorda Francesco, riusciva a suscitare il cardinale card. Tomàš Špidlík, “che io - ricorda - “ho conosciuto tanto bene”.

L’ho conosciuto da vicino – che per tanti anni ha svolto il suo ministero nel vostro Collegio e con quel senso dell’umorismo che era capace di ridere di questo, di quello ma di se stesso, pure. Un grande.

 

venerdì 4 novembre 2022

Lettera a chi manifesta per la pace. Liberi insieme dalla guerra

dalla pagina https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/liberi-insieme-dalla-guerra

Sono contento che ti metta in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole 

Cara amica e caro amico, 

sono contento che ti metta in marcia per la pace. Qualunque sia la tua età e condizione, permettimi di darti del “tu”. Le guerre iniziano sempre perché non si riesce più a parlarsi in modo amichevole tra le persone, come accadde ai fratelli di Giuseppe che provavano invidia verso uno di loro, Giuseppe, invece di gustare la gioia di averlo come fratello. Così Caino vide nel fratello Abele solo un nemico.

Ti do del “tu” perché da fratelli siamo spaventati da un mondo sempre più violento e guerriero. Per questo non possiamo rimanere fermi. Alcuni diranno che manifestare è inutile, che ci sono problemi più grandi e spiegheranno che c’è sempre qualcosa di più decisivo da fare. Desidero dirti, chiunque tu sia – perché la pace è di tutti e ha bisogno di tutti – che invece è importante che tutti vedano quanto è grande la nostra voglia di pace. Poi ognuno farà i conti con se stesso. Noi non vogliamo la violenza e la guerra. E ricorda che manifesti anche per i tanti che non possono farlo. Pensa: ancora nel mondo ci sono posti in cui parlare di pace è reato e se si manifesta si viene arrestati! Grida la pace anche per loro!

Quanti muoiono drammaticamente a causa della guerra. I morti non sono statistiche, ma persone. Non vogliamo abituarci alla guerra e a vedere immagini strazianti. E poi quanta violenza resta invisibile nelle tante guerre davvero dimenticate. Ecco, per questo chiediamo con tutta la forza di cui siamo capaci: “Aiuto! Stanno male! Stanno morendo! Facciamo qualcosa! Non c’è tempo da perdere perché il tempo significa altre morti!” Il dolore diventa un grido di pace.

La pace mette in movimento. È un cammino. « E, per giunta, cammino in salita», sottolineava don Tonino Bello, che aggiungeva: «Occorre una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un dato, ma una conquista. Non un bene di consumo, ma il prodotto di un impegno.

Non un nastro di partenza, ma uno striscione di arrivo». Le strade della pace esistono davvero, perché il mondo non può vivere senza pace. Adesso sono nascoste, ma ci sono. Non aspettiamo una tragedia peggiore. Cerchiamo di percorrerle noi per primi, perché altri abbiamo il coraggio di farlo. Facciamo capire da che parte vogliamo stare e dove bisogna andare. E questo è importante perché nessuno dica che lo sapevamo, ma non abbiamo detto o fatto niente.

Non sei un ingenuo. Non è realista chi scrolla le spalle e dice che tanto è tutto inutile. Noi vogliamo dire che la pace è possibile, indispensabile, perché è come l’aria per respirare. E in questi mesi ne manca tanta. È proprio vero che uccidere un uomo significa uccidere un mondo intero. E allora quanti mondi dobbiamo vedere uccisi per fermarci?

«Quante volte devono volare le palle di cannone prima che siano bandite per sempre? ». «Quante orecchie deve avere un uomo prima che possa sentire la gente piangere?». «Quante morti ci vorranno finché non lo saprà che troppe persone sono morte? ». «Quando sarà che l’uomo potrà imparare a vivere senza ammazzare? ». Io, te e tanti non vogliamo lutti peggiori, forse definitivi per il mondo, prima di fermare queste guerre, quella dell’Ucraina e tutti gli altri pezzi dell’unica guerra mondiale. Le morti sono già troppe per non capire! E se continua, non sarà sempre peggio? Chi lotta per la pace è realista, anzi è il vero realista perché sa che non c’è futuro se non insieme.

È la lezione che abbiamo imparato dalla pandemia. Non vogliamo dimenticarla. L’unica strada è quella di riscoprirci “Fratelli tutti”. Fai bene a non portare nessuna bandiera, solo te stesso: la pace raccoglie e accende tutti i colori. Chiedere pace non significa dimenticare che c’è un aggressore e un aggredito e quindi riconoscere una responsabilità precisa. Papa Francesco con tanta insistenza ha chiesto di fermare la guerra.

Poco tempo fa ha detto: «Chiediamo al Presidente della Federazione Russa, di fermare, anche per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte e chiediamo al Presidente dell’Ucraina perché sia aperto a serie proposte di pace». Chiedi quindi la pace e con essa la giustizia. L’umanità ed il pianeta devono liberarsi dalla guerra. Chiediamo al Segretario Generale delle Nazioni Unite di convocare urgentemente una Conferenza Internazionale per la pace, per ristabilire il rispetto del diritto internazionale, per garantire la sicurezza reciproca e impegnare tutti gli Stati ad eliminare le armi nucleari, ridurre la spesa militare in favore di investimenti che combattano le povertà.

E chiediamo all’Italia di ratificare il Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari non solo per impedire la logica del riarmo, ma perché siamo consapevoli che l’umanità può essere distrutta. Dio, il cui nome è sempre quello della pace, liberi i cuori dall’odio e ispiri scelte di pace, soprattutto in chi ha la responsabilità di quanto sta accadendo. Nulla è perduto con la pace. L’uomo di pace è sempre benedetto e diventa una benedizione per gli altri. Ti abbraccio fraternamente.

Cardinale arcivescovo di Bologna e presidente della Cei


giovedì 3 novembre 2022

primolunedìdelmese. Chi rappresenta chi (e cosa)?

dalle pagine

primolunedìdelmese
Anno XXV - Incontro n. 196 / 22° virtuale
 
lunedì 7 novembre  2022 ore 20:30

Facebook e YouTube


Traversata del deserto / 2
Quando la produzione è gestita da un algoritmo, il consumo risponde alla profilazione e la politica si gioca sui social. Astensione, elezioni su liste bloccate, abnormi premi di maggioranza. Crescente distanza fra partiti e società, politiche e bisogni, sogni e realtà.
Insomma,

Chi rappresenta chi (e cosa)?

 
 Ne parliamo con
Michele Mezza
giornalista, saggista, docente universitario
 
Monica Di Sisto
giornalista, vicepresidente Fairwatch, attivista
 
Matteo Zanellato
Osservatorio Democrazia a Nordest (DANE)
 
Vladimiro Soli
discussant
 
Marco Cantarelli
moderatore
 

Il pldm è frutto di un coordinamento ad hoc promosso, a Vicenza, da Alternativa Nord/Sud per il XXI secolo (ANS-XXI) cui aderiscono le associazioni vicentine:
Associazione Centro Astalli; Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI); Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL); Gruppo di Iniziativa Territoriale (GIT) Banca Etica; Progetto sulla soglia (Cooperativa Insieme, Cooperativa Tangram, Rete Famiglie Aperte); Ufficio Migrantes.

Info: primolunedidelmese@ans21.org