giovedì 29 giugno 2017

Mafiosi e corrotti, sì alla scomunica

dalle pagine 
http://www.famigliacristiana.it/articolo/corrotti-e-mafiosi-il-vaticano-pensa-alla-scomunica.aspx
http://www.gruppoabele.org/mafiosi-e-corrotti-si-alla-scomunica/
http://www.libera.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/13407

"La scomunica sancisce in modo non più equivocabile l'incompatibilità tra il Vangelo e le mafie" 
scrive don Luigi Ciotti sulle pagine del periodico cattolico Famiglia Cristiana, spiegando quanto sia importante per la Chiesa ribadire la propria responsabilità sociale e l'interesse per il bene comune.

Leggi l'articolo di don Ciotti

sabato 24 giugno 2017

“Siamo un Paese ricco d’acqua, ma povero di infrastrutture”. Parla Erasmo D’Angelis

dalla pagina http://www.unita.tv/interviste/allarme-siccita-acqua-infrastrutture-erasmo-dangelis/

“Il piano di investimento c’è, va applicato il prima possibile superando burocrazie e ritardi”, spiega il coordinatore di #italiasicura

L’aumento delle temperature, la diminuzione delle piogge ed è subito allarme idrico. Non solo in Emilia Romagna, dove il governo ha decretato lo stato di emergenza, ma anche in altre regioni del Paese, sia nelle campagne che nelle città. Nei Comuni più a rischio, tra cui la Capitale, le amministrazioni hanno diramato un’ordinanza per limitare l’uso dell’acqua potabile ed evitare sprechi. “In realtà noi siamo tra i Paesi più ricchi d’acqua”, spiega a Unità.tv Erasmo D’Angelis, coordinatore di #italiasicura, la struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche di Palazzo Chigi. “I dati più recenti, resi noti durante la seconda conferenza nazionale delle acque, elaborati dall’Istat e dall’Ispra ci danno una media di 302 miliardi di metri cubi di pioggia ogni anno. Una cifra superiore addirittura alla Gran Bretagna e alla Germania”. Siamo ricchi di piogge, ma anche di fiumi, torrenti, specchi d’acqua alpini, laghi naturali e artificiali. Di questa grande quantità di acqua noi usiamo solo un 11%.
Quindi qual è il problema in Italia?
Il punto è che l’acqua è dipendente dalle infrastrutture. Per fare un esempio, fino agli anni ’90 tutta la Toscana centrale in una situazione del genere non avrebbe nemmeno visto scorrere l’Arno. Oggi con la costruzione della diga di Bilancino che è stata consegnata agli inizi del 2000 non c’è più alcun problema per l’acqua potabile e la diga è piena. Laddove non ci sono infrastrutture c’è periodicamente un problema enorme, soprattutto in annate siccitose come questa.

Che tipo di infrastrutture servono?
È fondamentale aumentare gli invasi per l’irrigazione. Abbiamo un piano di 7 miliardi che è stato consegnato dai consorzi di bonifica in tutta Italia che prevede tanti piccoli e medi invasi che vanno assolutamente realizzati per catturare l’acqua quando piove e conservarla per periodi come questi. Serve un grande piano di infrastrutture idriche sia per l’irriguo che per l’agricoltura: soprattutto al sud la situazione è impressionante con situazioni di sciatteria e di bieca speculazione. Servono impianti di dissalazione lungo le coste per prelevarla e produrre acqua potabile; si tratta di impianti che vanno a energia fotovoltaica, non c’è nemmeno consumo di energia. Poi bisogna puntare sulla lotta alla dispersione idrica, cambiando e riparando chilometri di tubazioni. Impianti come questi ci difendono dalla mutazione climatica che è in corso.

Dov’è il rischio maggiore?
Noi abbiamo già oggi 17 mila chilometri di zone in desertificazione, cioè aree con inaridimento e riduzione della produttività agricola. E queste aree si concentrano soprattutto al Sud, dalla Puglia alla Sicilia.

Che bisogna fare quindi per evitare ulteriori interventi per tamponare le emergenze?
Questo è il paradosso italiano: spendere di più per gestire le emergenze che per realizzare le opere. Ora il piano c’è: si tratta di ritagliare il piano finanziario e anche le aziende idriche devono rivedere i loro piani sulla base di queste emergenze. Bisogna raggiungere questo obiettivo il prima possibile, superando burocrazie e ritardi, perché rispetto al passato abbiamo un rischio clima che ci deve far accelerare su questi investimenti.

venerdì 23 giugno 2017

Salva il mare dalla plastica!

dalla pagina www.greenpeace.org/italy/it/Cosa-puoi-fare-tu/partecipa/no-plastica/

Il mare sta soffocando: in media 8 milioni di tonnellate di plastica finiscono ogni anno nei mari di tutto il mondo. 

Questo disastro può essere fermato. L'UE sta rivedendo le Direttive sui rifiuti: è una occasione da non perdere! Chiedi al Ministro di difendere il mare! Le tartarughe, le balene, i pesci, gli uccelli marini... ti ringrazieranno! 

Produciamo sempre più plastica usa e getta, molta più del necessario e riciclarla non basta. L'80% dell'inquinamento marino è fatto di plastica. Quest'invasione sta rapidamente trasformando i nostri mari nella più grande discarica del mondo.

Non lasciare che tutta questa plastica soffochi i nostri mari: uccide la fauna marina, contamina la catena alimentare e persiste nell'ambiente per centinaia di anni.

Nel Mediterraneo, residui di plastica sono stati trovati nello stomaco di pesci, uccelli marini, tartarughe e cetacei. Bisogna cambiare rotta e il momento per farlo è adesso.  

L'UE sta rivedendo le Direttive sui rifiuti: è una occasione da non perdere. Chiediamo al Ministro Galletti di schierarsi contro l'invasione della plastica, eliminando gli imballaggi usa-e-getta e adottando misure che risolvano il problema della plastica alla fonte! Non abbiamo molto tempo: il momento di cambiare è ora! 



 

mercoledì 21 giugno 2017

Neonazismo in Europa

dalla pagina https://www.change.org/p/la-campagna-per-l-uscita-dell-italia-dalla-nato-per-un-italia-neutrale/u/20545499

14 giu 2017 — E' NATO IL NEONAZISMO IN EUROPA

di Manlio Dinucci


L’Ucraina, di fatto già nella Nato, vuole ora entrarvi ufficialmente. Il parlamento di Kiev, l’8 giugno, ha votato a maggioranza (276 contro 25) un emendamento legislativo che rende prioritario tale obiettivo.

La sua ammissione nella Nato non sarebbe solo un atto formale. La Russia viene accusata dalla Nato di aver annesso illegalmente la Crimea e di condurre azioni militari contro l’Ucraina. Di conseguenza, se l’Ucraina entrasse ufficialmente nella Nato, gli altri 29 membri della Alleanza, in base all’Articolo 5, dovrebbero «assistere la parte attaccata intraprendendo l’azione giudicata necessaria, compreso l’uso della forza armata». In altre parole, dovrebbero andare in guerra contro la Russia.

Il merito di aver introdotto nella legislazione ucraina l’obiettivo di entrare nella Nato va al presidente del parlamento Andriy Parubiy. Cofondatore nel 1991 del Partito nazionalsociale ucraino, sul modello del Partito nazionalsocialista di Adolf Hitler; capo delle formazioni paramilitari neonaziste, usate nel 2014 nel putsch di Piazza Maidan, sotto regia Usa/Nato, e nel massacro di Odessa; capo del Consiglio di difesa e sicurezza nazionale che, con il Battaglione Azov e altre unità neonaziste, attacca i civili ucraini di nazionalità russa nella parte orientale del paese ed effettua con apposite squadracce feroci pestaggi di militanti del Partito comunista, devastando le sue sedi e facendo roghi di libri in perfetto stile nazista, mentre lo stesso Partito sta per essere messo ufficialmente fuorilegge.

Questo è Andriy Parubiy che, in veste di presidente del parlamento ucraino (carica conferitagli per i suoi meriti democratici nell’aprile 2016), è stato ricevuto il 5 giugno a Montecitorio dalla presidente della Camera, Laura Boldrini. «L'Italia - ha sottolineato la presidente Boldrini - ha sempre condannato l'azione illegale avvenuta ai danni di una parte del territorio ucraino». Ha così avallato la versione Nato secondo cui sarebbe stata la Russia ad annettersi illegalmente la Crimea, ignorando il fatto che la scelta dei russi di Crimea di staccarsi dall’Ucraina e rientrare nella Russia è stata presa per impedire di essere attaccati, come i russi del Donbass, dai battaglioni neonazisti e le altre forze di Kiev.

Il cordiale colloquio si è concluso con la firma di un memorandum d'intesa che «rafforza ulteriormente la cooperazione parlamentare tra le due assemblee, sia sul piano politico che su quello amministrativo». Si rafforza così la cooperazione tra la Repubblica italiana, nata dalla Resistenza contro il nazi-fascismo, e un regime che ha creato in Ucraina una situazione analoga a quella che portò all’avvento del fascismo negli anni Venti e del nazismo negli anni Trenta.

Il battaglione Azov, la cui impronta nazista è rappresentata dall’emblema ricalcato da quello delle SS Das Reich, è stato incorporato nella Guardia nazionale, trasformato in unità militare regolare e promosso allo status di reggimento operazioni speciali. È stato quindi dotato di mezzi corazzati e pezzi d’artiglieria.

Con altre formazioni neonaziste, trasformate in unità regolari, viene addestrato da istruttori Usa della 173a divisione aviotrasportata, trasferiti da Vicenza in Ucraina, affiancati da altri della Nato.

L’Ucraina di Kiev è così divenuta il «vivaio» del rinascente nazismo nel cuore dell’Europa. A Kiev confluiscono neonazisti da tutta Europa, Italia compresa. Dopo essere stati addestrati e messi alla prova in azioni militari contro i russi di Ucraina nel Donbass, vengono fatti rientrare nei loro paesi.

Ormai la Nato deve ringiovanire i ranghi di Gladio.


Leggi anche: Breve storia della NATO dal 1991 ad oggi (Parte 10)

martedì 20 giugno 2017

Papa Francesco a Bozzolo e Barbiana sulle tombe di don Mazzolari e don Milani


dalla pagina http://www.news.va/it/news/papa-francesco-a-bozzolo-e-barbiana-sulle-tombe-di


Papa Francesco è arrivato a Bozzolo dove è stato accolto dal vescovo di Cremona, mons. Antonio Napolioni, che ha annunciato l'avvio del processo di beatificazione di don Mazzolari il prossimo 18 settembre, dal sindaco della cittadina, e dal calore dei fedeli. Poi, nella parrocchia di San Pietro la preghiera sulla tomba di don Primo Mazzolari e un discorso. Poi si sposterà a Barbiana.  Alle 11.15 è previsto l’atterraggio. Qui sarà accolto dal cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze e dal sindaco. Visiterà la tomba di don Lorenzo Milani. Poi si sposterà nella chiesa e sul prato adiacente terrà un discorso. Alle 13,15 è previsto l’atterraggio nell’eliporto del Vaticano. Questo il programma del pellegrinaggio di Francesco a Bossolo e Barbiana
Il nostro inviato, Alessandro Gisotti, ci racconta che c’è un clima di grande gioia, di grande felicità. Ci sono tantissimi giovani nella piazza davanti alla Chiesa, che sono qui addirittura dalle 5.30-6.00 di mattina.
Il nostro inviato a Barbiana, Luca Collodi, ci racconta che il Papa atterrerà in un campo, praticamente sotto alla chiesa di Barbiana e andrà subito in visita privata a pregare nel cimitero dove si trova la tomba di don Lorenzo Milani, a 50 anni dalla morte; poi, nella chiesa, incontrerà i discepoli di don Milani, gli studenti oggi anziani ma che sono gli eterni ragazzi di don Milani.E poi il Papa proprio accanto alla canonica, anche qui, in un prato terrà un discorso commemorativo, saranno presenti circa 200 persone. E’ un luogo di pace questo di Barbiana, dove le persone che arrivano hanno veramente un contatto con quello che lo Spirito ha fatto in tutti questi anni.
(Da Radio Vaticana)


dalla pagina https://www.internazionale.it/opinione/franco-lorenzoni-2/2017/06/19/don-milani-barbiana

Cinque ragioni per tornare a don Milani


domenica 18 giugno 2017

20 giugno 2017 - Giornata mondiale del Rifugiato e del Richiedente Asilo

Io sono in Italia: racconto la mia storia

Il 20 giugno si celebra in tutto il mondo la Giornata Mondiale del Rifugiato, appuntamento annuale voluto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. L’obiettivo è sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione di milioni di rifugiati e richiedenti asilo. Saranno essi stessi a raccontarci le loro storie di vita.

JAAM AFRICA (Africa per la Pace)
Cooperativa EDECO
con la collaborazione della CASA PER LA PACE

invitano a partecipare
presso il Cinema Patronato Leone XIII
via Vittorio Veneto 1 - Vicenza

Programma delle proiezioni

ore 16.00
proiezione del film.: 14 kilometri (durata 96 minuti)
Spagna. 2010. Regista: G. Olivares

ore 20.00
proiezione del documentario Wallah. Te lo giuro (63 minuti) 
Niger, Senegal, Italia 2016. Regista M. Merletto

INGRESSO LIBERO

Info: casaperlapace@gmail.com tel. 0444 327395-  cell. 348 5811970 (Masseye)
 

Giornata mondiale del rifugiato e del richiedente asilo

Rifugiati: l’umanità non si arresta
Due appuntamenti il 20 e 22 giugno per la Giornata mondiale del rifugiato

In occasione della Giornata mondiale del rifugiato si terranno due importanti incontri, legati dal titolo "Rifugiati: l'umanità non si arresta", volti a ricordare coloro che hanno perso la vita cercando di raggiungere l'Europa.

Martedì 20 giugno alle ore 20.30
, presso la Chiesa di S. Maria Bertilla in via Ozanam 1 (Vicenza), sarà celebrata la veglia ecumenica di preghiera "Morire di speranza" in memoria delle vittime.
 
Giovedì 22 giugno avrà luogo un incontro-testimonianza con padre Mussie Zerai, "l'angelo dei profughi", impegnato dal 2003 nelle operazioni di soccorso nel canale di Sicilia. Dialogando con Marta Randon (giornalista de La Voce dei Berici), ci racconterà come offre quotidianamente aiuto a queste persone, accompagnandole grazie al suo diffusissimo numero di telefono verso la salvezza. L'incontro si terrà alle ore 20.30 presso il Centro Culturale San Paolo in viale Ferrarin 30 (Vicenza).

L'incontro del 22 giugno sarà anche l'occasione per un gesto di solidarietà concreta tramite la raccolta di scarpe da destinare ai rifugiati ospitati a Lampedusa. Qui sotto e nel depliant allegato potete trovare ogni informazione utile. Gli appuntamenti nascono dalla collaborazione di Associazione Presenza Donna, Chiesa evangelica metodista, Centro Astalli, Migrantes e Caritas diocesana vicentina e Voce dei Berici.
Dall'inizio del 2017, più di un bambino al giorno muore nel Mediterraneo: per adesso, sono almeno 200 i bimbi che hanno perso la vita in quella tratta della morte, su un totale di 1.530 vittime.

Associazione Presenza Donna
Centro Documentazione e Studi

venerdì 16 giugno 2017

UE: non investire nelle armi

dalla pagina https://act.wemove.eu/campaigns/ue-non-investire-nelle-armi


Ai Membri europei del Parlamento e del Consiglio europeo 

Petizione

Impedisci l’inclusione della ricerca per l’industria bellica nel nuovo budget dell’UE. Nessuna sovvenzione europea dovrebbe andare alla tecnologia militare. I finanziamenti per la ricerca dovrebbero essere destinati a progetti che sviluppano modi non violenti per prevenire e risolvere i conflitti ed in particolare per affrontare le cause alla radice dell’instabilità.

Perché è importante?

Vogliamo tutti vivere in un mondo pacifico ed è per questo che è stata creata l’Unione europea.
Ma la Commissione europea, sotto la forte pressione dell’industria bellica, sta ora progettando di stanziare migliaia di milioni di euro di denaro pubblico per sviluppare una tecnologia militare avanzata per la prima volta da quando esiste l’Unione [1].
Anche se viene presentata come una misura di "difesa", la verità è che lo scopo di questi sussidi è di preservare la competitività dell’industria bellica e la sua capacità di esportare all’estero, anche in paesi che contribuiscono all’instabilità e che prendono parte a conflitti letali, come l’Arabia Saudita [2].
L'anno scorso i nostri governi ed europarlamentari hanno votato uno stanziamento di 90 milioni di euro su 3 anni per finanziare la ricerca militare e questo è solo l’inizio.
La Commissione Ue sta spingendo sui finanziamenti alle “strategie di difesa” usando fondi già esistenti, a discapito di programmi regionali e strutturali di aiuto allo sviluppo e, persino, del programma Erasmus per l'istruzione, la formazione, la gioventù e lo sport, che dovrebbero d’ora in poi contribuire a "competenze di difesa"! [3]
Lo scorso 7 giugno la Commissione ha presentato ufficialmente Piano d'azione europeo in materia di difesa [4] insieme alla proposta di una dotazione annua stimata di 500 milioni di euro dal budget Ue per la ricerca e lo sviluppo nel settore bellico e degli armamenti nel 2019-2020 [5]. Si prevede che nel 2021 questo stanziamento cresca e raggiunga i 1,5 miliardi all’anno. La situazione è molto più grave di quella in cui ci trovavamo nel novembre 2016 [6].
Il Fondo comprende, inoltre 4 miliardi di contributi nazionali annuali per finanziare l’ultima fase del processo: l’acquisizione di equipaggiamenti militari e lo sviluppo congiunto da parte degli Stati membri. La Commissione ha proposto che i contributi nazionali da destinare al Fondo siano esclusi dalla soglia di disavanzo del 3% del PIL che gli Stati membri sono tenuti a rispettare. Un privilegio che non è accordato a settori come l’educazione, la sanità pubblica o gli investimenti per la tutela dell’ambiente.
Questi provvedimenti significheranno tagli drastici a scapito di altre priorità di spesa sia a livello europeo sia a livello nazionale. L'UE insiste sul fatto che tale finanziamento dovrebbe essere aggiunto alle spese militari nazionali, e non essere un loro sostituto.
È ormai chiaro che dopo anni di manovre dietro le quinte, l’industria bellica si è riuscita ad ottenere il supporto di alcuni paesi europei e di alti funzionari, riuscendo a far passare le spese belliche sotto forma di “ricerca”, e più in generale a sbarazzarsi delle norme che limitano i finanziamenti dell'UE a impieghi civili.
Ma abbiamo ancora una possibilità per evitare che i soldi dei contribuenti europei vengano usati per finanziare le guerre. Diciamo ai membri del Parlamento europeo che vogliamo che lavorino per la pace, non per sovvenzionare le armi.

In partenariato con la Rete europea contro il commercio delle armi (ENAAT)

 

mercoledì 14 giugno 2017

Lavoro: Il nuovo fordismo individualizzato

dalla pagina http://sbilanciamoci.info/dal-fordismo-concentrato-al-fordismo-individualizzato/


domenica 11 giugno 2017

Card. Turkson: urgente accordo su protezione oceani


2017-06-08 Radio Vaticana
Per molti anni la salute degli oceani e dei mari non è stata adeguatamente considerata. Abbiamo privilegiato il nostro diritto e libertà a goderne senza considerare le responsabilità, personali e nazionali verso beni tanto preziosi. Così il card. Peter Turkson, capo delegazione della Santa Sede alla Conferenza Onu in corso fino al 9 giugno a New York sulla tutela e l’utilizzo di oceani, mari e risorse marine per lo sviluppo sostenibile, in concomitanza con l’odierna Giornata mondiale degli oceani indetta dalle Nazioni Unite.

Occorre un accordo globale per la protezione degli oceani
Il presidente del Pontificio Consiglio per il servizio dello sviluppo umano integrale rimarca come ad oggi non esista alcun accordo globale o tantomeno un ente istituzionale che affronti nello specifico la cura e la protezione delle risorse degli oceani. Mancano adeguati quadri giuridici e spesso le leggi esistenti non vengono attuate. Eppure, è la considerazione del porporato, un tale accordo si fa sempre più urgente guardando al massiccio utilizzo di tali risorse.

Valore insostituibile degli oceani
Il valore degli oceani infatti va ben oltre quello della pesca e della navigazione: essi - evidenzia il cardinale Turkson - sono una grande fonte di energia rinnovabile e una ricchezza a livello biologico e minerale: forniscono cibo e materie prime, offrono insostituibili benefici all’ambiente come la purificazione dell’aria ed hanno un ruolo significativo nella stabilità climatica, nel ciclo dei rifiuti e nel mantenimento di habitat critici per la vita sulla terra.

Appello ad una conversione ecologica: pensare alle generazioni future
L’approccio dunque non può essere egoistico: il capo delegazione della Santa Sede esorta a pensare alle generazioni future che riceveranno in eredità i frutti del nostro comportamento: “in molte tradizioni religiose - osserva - l’acqua è simbolo di pulizia, rinascita e rinnovamento”. L’invito è quindi ad una conversione ecologica come auspicato da Papa Francesco: “la cura per la nostra casa comune è e sarà sempre un imperativo morale”.

Impegno della Santa Sede per sviluppo sostenibile
A riguardo è fermo l’impegno della Santa Sede a favorire il raggiungimento di uno sviluppo sostenibile nell’interesse di tutti, “perché la gravità delle questioni che affrontano i nostri oceani coinvolge l'esistenza stessa dell'umanità”. Il card. Turkson quindi rinnova l’invito di Francesco nell’Enciclica Laudato Si’ a modificare stili di vita dannosi per la tutela del Creato. L’uso sconsiderato delle risorse del pianeta infatti deve essere affrontato a tutti i livelli: dal comportamento individuale alle politiche nazionali, fino agli accordi internazionali multilaterali.

Preoccuparsi dell’ambiente vuol dire proteggere i più vulnerabili
Deterioramento ambientale e degrado etico ed umano - spiega il porporato - sono strettamente legati, l’ambiente non può essere considerato come separato da noi stessi o semplicemente come lo spazio in cui viviamo. L’approccio deve dunque essere etico e non esclusivamente fondato su una logica di profitto, ma integrare tutela del creato e lotta alla povertà e all’esclusione sociale: solo così potrà esserci un godimento collettivo del bene comune e una solidarietà intergenerazionale. “Preoccuparsi dell’ambiente vuol dire proteggere i più vulnerabili”. (A cura di Paolo Ondarza)

giovedì 8 giugno 2017

Quattro piste pastorali per nuovi stili di vita in un nuovo umanesimo

dalla pagina https://reteinterdiocesana.wordpress.com/2016/03/19/le-quattro-piste-pastorali-per-nuovi-stili-di-vita-in-un-nuovo-umanesimo/


Ecco gli strumenti che sono stati preparati per la diffusione delle 4 piste pastorali:
  1. un depliant che contiene tutto il documento (PDF a colori, PDF in bianco e nero, Immagine Fonte e Retro)
  2. un video spot (scaricabile da qui in bassa risoluzione 94 MB, e visualizzabile su youtube a risoluzione più alta)
  3. un powerpoint (visualizzabile sia con Office che OpenOffice)
  4. un comunicato stampa
  5. una serie di tweet

martedì 6 giugno 2017

Italia: sestuplicato l’export di armamenti...


 Grafico di G. Beretta

Il vero record di Renzi: sestuplicato l’export di armamenti

Lo sa, ma non lo dice in pubblico. E la notizia non compare né sul suo sito personale, né sul portale “Passo dopo passo” e nemmeno tra “I risultati che contano” messi in bella mostra con tanto di infografiche da “Italia in cammino”. Eppure è stata la miglior performance del suo governo. Nei 1024 giorni di permanenza a Palazzo Chigi, Matteo Renzi ha raggiunto un primato storico di cui però, stranamente, non parla: ha sestuplicato le autorizzazioni per esportazioni di armamenti. Dal giorno del giuramento (22 febbraio 2014) alla consegna del campanellino al successore (12 dicembre 2016), l’esecutivo Renzi ha infatti portato le licenze per esportazioni di sistemi militari da poco più di 2,1 miliardi ad oltre 14,6 miliardi di euro: l’incremento è del 581% che significa, in parole semplici, che l’ammontare è più che sestuplicato. Una vera manna per l’industria militare nazionale, capeggiata dai colossi a controllo statale Finmeccanica-Leonardo e Fincantieri. E’ tutto da verificare, invece, se le autorizzazioni rilasciate siano conformi ai dettami della legge n. 185 del 1990 e, soprattutto, se davvero servano alla sicurezza internazionale e del nostro paese.

 

Renzi e il motto di Baden Powell

Un fatto è certo: è un record storico dai tempi della nascita della Repubblica. Ma, visto il totale silenzio, il primato sembra imbarazzare non poco il capo scout di Rignano sull’Arno che ama presentarsi ricordando il motto di Baden Powell: “Lasciare il mondo un po’ migliore di come lo abbiamo trovato”. L’imbarazzo è comprensibile: la stragrande maggioranza degli armamenti non è stata destinata ai paesi amici e alleati dell’UE e della Nato (nel 2016 a questi paesi ne sono stati inviati solo per 5,4 miliardi di euro pari al 36,9%), bensì ai paesi nelle aree di maggior tensione del mondo, il Nord Africa e il Medio Oriente. E’ in questa zona – che pullula di dittatori, regimi autoritari, monarchi assoluti sostenitori diretti o indiretti del jihadismo oltre che di tiranni di ogni specie e risma – che nel 2016 il governo Renzi ha autorizzato forniture militari per oltre 8,6 miliardi di euro, pari al 58,8% del totale. Anche questo è un altro record, ma pochi se ne sono accorti.

 

Il basso profilo della sottosegretaria Boschi

Eppure non sono cifre segrete. Sono tutte scritte, nero su bianco e con tanto di grafici a colori, nella “Relazione sulle operazioni autorizzate e svolte per il controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento per l’anno 2016” inviata alle Camere lo scorso 18 aprile. L’ha trasmessa l’ex ministra delle Riforme e attuale Sottosegretaria di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi. Nella relazione di sua competenza l’ex catechista e Papa girl si è premurata di segnalare che “sul valore delle esportazioni e sulla posizione del Kuwait come primo partner, incide una licenza di 7,3 miliardi di euro per la fornitura di 28 aerei da difesa multiruolo di nuova generazione Eurofighter Typhoon realizzati in Italia”.  Al resto – cioè ai sistemi militari invitati in 82 paesi del mondo tra cui soprattutto quelli spediti in Medio Oriente – la Sottosegretaria ha riservato solo un laconico commento: “Si è pertanto ulteriormente consolidata la ripresa del settore della Difesa a livello internazionale, già iniziata nel 2014, dopo la fase di contrazione del triennio 2011-2013”. La legge n. 185 del 1990, che regolamenta la materia, stabilisce che l’esportazione e i trasferimenti di materiale di armamento “devono essere conformi alla politica estera e di difesa dell'Italia”: autorizzare l’esportazione di sistemi militari a paesi al di fuori delle principali alleanze politiche e militari dell’Italia meriterebbe pertanto qualche spiegazione in più da parte di chi, durante il governo Renzi e oggi col governo Gentiloni, ha avuto la delega al programma di governo.

 

I meriti della ministra Pinotti

Non c’è dubbio, però, che gran parte del merito per il boom di esportazioni sia della ministra della Difesa, Roberta Pinotti. E’ alla “sorella scout”, titolare di Palazzo Baracchini, che va attribuito il pregio di aver consolidato i rapporti con i ministeri della Difesa, soprattutto dei paesi mediorientali. La relazione del governo non glielo riconosce apertamente, ma la principale azienda del settore, Finmeccanica-Leonardo, non ha mancato di sottolinearne il ruolo decisivo. Soprattutto nella commessa dei già citati 28 caccia multiruolo Eurofighter Typhoon: “Si tratta del più grande traguardo commerciale mai raggiunto da Finmeccanica” – commentava l’allora Amministratore Delegato e Direttore Generale di Finmeccanica, Mauro Moretti. “Il contratto con il Kuwait si inserisce in un’ampia e consolidata partnership tra i Ministeri della Difesa italiano e del Paese del Golfo” – aggiungeva il comunicato ufficiale di Finmeccanica-Leonardo. Alla firma non poteva quindi mancare la ministra, nonostante i slittamenti della data dovuti – secondo fonti ben informate – alle richieste di chiarimenti circa i costi relativi “a supporto tecnico, addestramento, pezzi di ricambio e la realizzazione di infrastrutture”.
Anche il Ministero della Difesa ha posto grande enfasi sui “rapporti consolidati” tra Italia e Kuwait: rapporti – spiegava il comunicato della Difesa“che potranno essere ulteriormente rafforzati, anche alla luce dell’impegno comune a tutela della stabilità e della sicurezza nell’area mediorientale, dove il Kuwait occupa un ruolo centrale”. Nessuna parola, invece, sul ruolo del Kuwait nel conflitto in Yemen, in cui è attivamente impegnato con 15 caccia, insieme alla coalizione a guida saudita che nel marzo del 2015 è intervenuta militarmente in Yemen senza alcun mandato internazionale. I meriti della ministra Pinotti nel sostegno all’export di sistemi militari non si limitano ai caccia al Kuwait: va ricordato anche l’accordo di cooperazione militare con Qatar per la fornitura da parte di Fincantieri di sette unità navali dotate di missili MBDA per un valore totale di 5 miliardi di euro, che però non compare nella Relazione governativa. Ma, soprattutto, non va dimenticata la visita della ministra Pinotti in Arabia Saudita per promuovere “affari navali”: ne ho parlato qualche mese fa e rimando in proposito ai miei precedenti articoli.

 

Le dichiarazioni dell’ex ministro Gentiloni

Una menzione particolare spetta all’ex ministro degli Esteri e attuale presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni. E’ lui, ex catechista ed ex sostenitore della sinistra extraparlamentare, che più di tutti si è speso in difesa delle esportazioni di sistemi militari. Lo ha fatto nella sede istituzionale preposta: alla Camera in riposta a due “Question Time”. Il primo risale al 26 novembre 2015, in riposta ad un’interrogazione del M5S, durante la quale il titolare della Farnesina, dopo aver ricordato che “… abbiamo delle Forze armate, abbiamo un’industria della Difesa moderna che ha rapporti di scambio e esportazioni con molti paesi del mondo…” ha voluto evidenziare che “è importante ribadire che l’Italia comunque rispetta, ovviamente, le leggi del nostro paese, le regole dell’Unione europea e quelle internazionali (pausa) sia per quanto riguarda gli embargo che i sistemi d’arma vietati”. Già, ma la legge 185/1990 e le “regole Ue e internazionali” non si limitano agli embarghi, anzi pongono una serie di specifici divieti sui quali Gentiloni ha bellamente sorvolato.
Nel secondo, del 26 ottobre 2016, in risposta ad un’interrogazione del M5S che riguardava nello specifico le esportazioni di bombe e materiali bellici all’Arabia Saudita e il loro impiego nel conflitto in Yemen, Gentiloni ha sostenuto che “l’Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti”. Tacendo però sulla Risoluzione del Parlamento europeo, votata ad ampia maggioranza già nel febbraio del 2016, che ha invitato l’Alta rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e Vicepresidente della Commissione, Federica Mogherini, ad avviare un’iniziativa finalizzata all’imposizione da parte dell’UE di un embargo sulle armi nei confronti dell’Arabia Saudita”, in considerazione delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale perpetrate dall’Arabia Saudita nello Yemen. Questa risoluzione, finora, è rimasta inattuata anche per la mancanza di sostegno da parte del Governo italiano.

 

Ventimila bombe da sganciare in Yemen

Rispondendo alla suddetta interrogazione, Gentiloni ha però dovuto riconoscere le “la ditta RWM Italia, facente parte di un gruppo tedesco, ha esportato in Arabia Saudita in forza di licenze rilasciate in base alla normativa vigente”. Un’assunzione, seppur indiretta, di responsabilità da parte del ministro. Il quale, nonostante i vari organismi delle Nazioni Unite e lo stesso Ban Ki-moon abbiano a più riprese condannato i bombardamenti della coalizione saudita sulle aree abitate da civili in Yemen (sono più di 10mila i morti tra i civili), ha continuato ad autorizzare le forniture belliche a Riad. E non vi è notizia che le abbia sospese, nemmeno dopo che uno specifico rapporto trasmesso al Consiglio di Sicurezza dell’Onu non solo ha dimostrato l’utilizzo anche delle bombe della RWM Italia sulle aree civili in Yemen, ma ha affermato che questi bombardamenti “may amount to war crimes” (“possono costituire crimini di guerra”).
Nella Relazione inviata al Parlamento spiccano le autorizzazioni all’Arabia Saudita per un valore complessivo di oltre 427 milioni di euro. Tra queste figurano “bombe, razzi, esplosivi e apparecchi per la direzione del tiro” e altro materiale bellico. La relazione non indica, invece, il paese destinatario delle autorizzazioni rilasciate alle aziende, ma l’incrocio dei dati forniti nelle varie tabelle ministeriali, permette di affermare che una licenza da 411 milioni di euro alla RWM Italia è destinata proprio all’Arabia Saudita: si tratta, nello specifico, dell’autorizzazione all’esportazione di 19.675 bombe Mk 82, Mk 83 e Mk 84. Una conferma in questo senso è contenuta nella Relazione Finanziaria della Rheinmetall (l’azienda tedesca di cui fa parte RWM Italia) che per l’anno 2016 segnala un ordine “molto significativo” di “munizioni” per 411 milioni di euro da un “cliente della regione MENA” (Medio-Oriente e Nord Africa).
La legge n. 185/1990 vieta espressamente l’esportazione di sistemi militari “verso Paesi in conflitto armato e la cui politica contrasti con i princìpi dell'articolo 11 della Costituzione”, ma – su questo punto – nessun commento nella Relazione. E nemmeno da Renzi. Men che meno da Gentiloni. Che l’attuale capo del governo si sia dato come obiettivo quello di migliorare la performance di Renzi nell’esportazione di sistemi militari?