domenica 31 luglio 2016

"Tutte le religioni, vogliamo la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?"

dalle pagine
http://www.azionenonviolenta.it/ecco-a-voi-la-strategia-della-paura/
http://www.presstv.ir/Detail/2016/07/30/477592/France-Normandy-Jacques-Hamel
http://www.unita.tv/focus/ecco-il-vero-islam-musulmani-e-cristiani-insieme-contro-il-terrore/
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2016-07-31/mattarella-e-guerra-ma-non-religione-081149.shtml?uuid=ADuqSJ0&refresh_ce=1 

3 luglio, durante la festa di fine Ramadan, tre esplosioni hanno fatto 250 morti a Baghdad (l’attacco più sanguinoso dalla guerra del 2003)
22 luglio un attentato kamikaze durante una manifestazione ha fatto 80 morti e 200 feriti a Kabul 
27 luglio un kamizaze si è fatto esplodere a Quamshli, in Siria, provocando 50 morti e 170 feriti

La stragrande maggioranza dei morti sono musulmani uccisi per mano terrorista e per mano della guerra. Che è l’altra faccia del terrorismo.

Venerdì 29 luglio - musulmani e cristiani insieme hanno preso parte alle preghiere del Venerdì nella moschea della città di Saint-Etienne-du Rouvray per rendere omaggio all'anziano prete, Jacques Hamel, ucciso da terroristi il 26 luglio.
Per testimoniare che NON c'è guerra di religione e che le religioni sono per la Pace.

Domenica 31 luglio - Ecco il vero Islam: musulmani e cristiani insieme contro il terrore.
In 15mila, soltanto in Italia, raccolgono l’invito ad andare a messa per superare i pregiudizi e la paura.
Da Roma a Milano, da Napoli a Palermo, da Torino a Bari, oggi cristiani e musulmani hanno pregato insieme contro un nemico comune: il terrorismo internazionale. Anche in Italia, come in Francia, in tante chiese si tocca con mano la volontà della comunità cristiana e di quella islamica di fare argine contro il terrorismo...

«Le paure dei cittadini vanno rispettate, nascono dal vedere la violenza del terrorismo di matrice islamista e all’interno delle nostre società: ora serve una risposta seria da parte dello Stato per garantire sicurezza».
[...] Ma non si tratta di una guerra di religione, su questo tema Mattarella ha idee molto nette che somigliano a quelle di Papa Francesco. «Si tratta di una guerra in un formato diverso, senza frontiere. Il fatto che la grande maggioranza delle vittime sia di religione islamica fa comprendere che non si tratti di una guerra di religione. Questo terrorismo, cinicamente, cerca di usare la religione nella speranza impossibile di provocare un conflitto tra musulmani e cattolici, ma questo non avverrà». 

sabato 30 luglio 2016

Passi avanti verso l’arresto del consumo di suolo: lenti ma inesorabili…


di Alessandro Mortarino


Ogni mattina “noi ambientalisti”, leggendo le cronache quotidiane locali o nazionali, veniamo presi dallo sconforto scoprendo che una nuova devastazione si è affacciata notte tempo. Una piccola o grande speculazione edilizia, una norma poco efficace o addirittura contraria al bene comune, un’autorizzazione concessa con leggerezza, un “buco” legislativo. Sempre, immancabilmente, ispirato dal dio denaro.

Commentando tra noi, lo sconforto è sempre pari alla rabbia di dover constatare che «è tutto sbagliato, tutto da rifare», mantra di Bartaliana memoria. Ma dobbiamo essere realisti: il cambiamento ha bisogno (purtroppo) di tempo. E qualche segnale deve insegnarci a non cedere alla voglia di abbandonare la battaglia, perché qualcosa (di buono) sta accadendo …

Non voglio certamente lanciare un editto positivista “malgrado tutto” né invitarvi a vedere solo il bicchiere mezzo pieno. Ma credo che occorra avere i piedi ben saldi sulla terra, quella terra che abbiamo scelto di voler difendere, tutelare, salvaguardare, custodire, proteggere.

Per molti lustri la “perdita di paesaggio” e l’inarrestabile consumo di suolo sono stati un tema appassionante di pertinenza di pochi, sempre gli stessi, una élite colta e autorevole ma poco seguita e ancor meno ascoltata.

Nel 2009 la nascita del Movimento nazionale Stop al Consumo di Territorio aveva determinato un primo cambio di paradigma avviando un percorso di “massa” tendente a un obiettivo chiaro e netto, che vedeva finalmente una Rete ampia, unita e diffusa sollecitare il passaggio all’azione per debellare un grave male della nostra società, poco compreso da cittadini e da amministratori: il consumo di suolo.

Nel 2011, poi, la costituzione del Forum nazionale Salviamo il Paesaggio, con le sue oltre 1.000 organizzazioni (nazionali e locali) aderenti, aveva ulteriormente amplificato il grido di dolore e di allarme: c’era (e c’è tuttora) un’emergenza e una risposta urgente da esprimere per correre ai ripari.

La richiesta era una sola, semplice e diretta: dotare il nostro Paese di una norma nazionale in grado di arrestare il consumo di suolo. Per aiutare i decisori a darne attuazione rapida, proponemmo lo strumento del “censimento del cemento” per far sì che in ogni Comune fosse palese e trasparente il dato sull’ammontare di abitazioni e capannoni esistenti ma vuoti, sfitti, non utilizzati.

Oggi sappiamo che finalmente (anche se con riluttanza evidente) nell’agenda delle priorità dichiarate dalla politica nazionale il tema del consumo di suolo è non soltanto entrato ma si è posizionato tra i gradini più alti.

E una recente sentenza del Consiglio di Stato, a proposito del Piano di Gestione del Territorio di Segrate (Milano), ci conferma quali sono le attività che comportano consumo di suolo, includendo nel concetto di superficie urbanizzata anche le aree non edificate presenti negli ambiti da trasformare ed eventualmente utilizzate per attrezzature di uso pubblico o a verde privato.

La Camera ha già approvato un testo, che ha vissuto un iter travagliato e lungo e, nell’arco di 4 anni, si è sbiadito progressivamente tanto da non trovarci favorevoli: non sarà una norma utile. Ma nel frattempo sarà (se il Senato la approverà, e su questo abbiamo le nostre perplessità …) una legge dello Stato, che si apre sancendo una verità apparentemente scontata (ma che scontata non è per la nostra legislazione): «contenere il consumo di suolo quale bene comune e risorsa non rinnovabile» e «il riuso e la rigenerazione urbana, oltre alla limitazione del consumo di suolo, costituiscono principi fondamentali della materia del governo del territorio».

Difficile – per noi – accontentarci. Ma la Storia è fatta di pietre miliari: spesso piccoli sassi capaci però di delimitare e indicare una strada.

E, oggi, anziché farci vincere dallo sconforto sempre in agguato e dal desiderio di auto confino tra le schiere delle élite, è bene osservare con il giusto distacco la situazione, spingere la leva dell’analisi corretta e passare all’azione successiva.

Due i passi, lenti ma inesorabili, che ora dobbiamo saper muovere.

Il primo è il passaggio dalla denuncia alla costruzione di un’ “altra urbanistica”, una disciplina che negli ultimi anni ci ha visto conquistare vittorie importanti in molte piccole/medie realtà comunali, con l’approvazione di Piani di Gestione del Territorio (o Piani Regolatori) a “crescita zero” o con varianti drastiche che hanno ridimensionato le possibilità edificatorie espansive.

La sfida entra ora nella sua fase più importante: le grandi metropoli.

Non sarà sfuggito a nessuno che i nuovi Assessori all’Urbanistica di Roma e di Torino si chiamano Paolo Berdini e Guido Montanari, entrambi tra i primi firmatari del manifesto fondativo del Movimento Stop al Consumo di Territorio e tra i principali ispiratori delle attività del Forum Salviamo il Paesaggio.

Poco deve importarci del “colore” delle due nuove Giunte, perché la nostra Rete era e resta estranea alle forze politiche e certamente ci avrebbe fatto piacere trovare Berdini e Montanari in due schieramenti non eguali. Ma, evidentemente, il sistema dei Partiti non ha ancora trovato il coraggio necessario per arrischiarsi a sposare il cambiamento e solo il Movimento 5 Stelle ha scelto le competenze necessarie per questo non semplice passaggio epocale. Non avranno vita facile, ma sappiamo che entrambi lavoreranno per il bene di Roma e di Torino e le loro azioni saranno la traccia operativa per una dilatazione accelerata del nostro mantra “arrestare il consumo di suolo”. Non semplicemente “contenere il consumo di suolo”.

Il secondo passo è il livello europeo. In Italia la nostra “spallata” è servita (sì, lo so: qui il bicchiere lo offro davvero mezzo pieno …) e ora “ci tocca” riprovarci su un territorio molto più ampio e con difficoltà ancora maggiori.

gente per il suolo
A settembre si avvierà una proposta d’iniziativa europea sul suolo, lanciata dalle organizzazioni italiane: People4Soil, una grande campagna, promossa da oltre 200 associazioni in tutta Europa, che ha l’obiettivo di affermare il ruolo determinante dei suoli nel creare le condizioni sociali, ambientali, sanitarie ed economiche in grado di risolvere realmente le enormi problematiche relative alla sicurezza alimentare, all’eliminazione della fame, al cambiamento climatico, alla riduzione della povertà e delineare i contorni di un equilibrato modello sostenibile, che al contempo salvaguardi il paesaggio e difenda i territori.

Il Forum Salviamo il Paesaggio è tra i principali promotori di questa ICE (iniziativa dei cittadini, cioè “dal basso”) ma la posta in gioco è altissima: occorre raccogliere le firme (sotto forma cartacea o elettronica) di almeno un milione di sostenitori in rappresentanza di almeno un quarto del numero degli Stati Membri (attualmente minimo sette). E l’Italia ha il compito di trainare tutti gli altri Stati con l’obiettivo di raggiungere almeno 55 mila sottoscrizioni, in poco meno di 12 mesi.

Un compito molto arduo, ma alla nostra portata.

Che possiamo raggiungere solo a una condizione: “dandoci dentro”, con tutta la nostra forza, con la certezza che le grandi conquiste costano sudore e richiedono tempi lunghi – lunghissimi – per manifestarsi.

Quindi niente sconforto: è il momento di “pestare” sui pedali con tutte le nostre energie perché il traguardo è sempre dinanzi a noi. Sembra irraggiungibile, eppure è davanti a noi.

Eduardo Galeano direbbe: «mi avvicino di due passi, lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l’orizzonte si sposta di dieci passi più in là. Per quanto io cammini, non la raggiungerò mai. A cosa serve l’utopia? Serve proprio a questo: a camminare» …




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Italia come l’Olanda: 1500 km di piste ciclabili, arrivano le ciclovie turistiche

venerdì 29 luglio 2016

Spesa militare italiana: oltre 2,5 milioni di euro all'ora...

dalla pagina http://milex.org/

Oltre 2,5 milioni di euro ogni ora. E' l'incredibile dimensione della spesa militare italiana. Mezzo milione l'ora solo per l'acquisto di nuovi armamenti. Un investimento che sottrae preziose risorse ad altre voci di spesa pubblica (sanità, istruzione, pensioni, ambiente) e che oggi non è possibile controllare in maniera democratica proprio per mancanza di dati ed analisi certe.

Per questo Francesco Vignarca (Rete Italiana Disamo) ed Enrico Piovesana (Fatto Quotidiano) insime al Movimento Nonviolento hanno deciso di lanciare un percorso verso un Osservatorio sulle spese militari italiane (MIL€X) il cui primo passo sarà la realizzazione del primo Rapporto annuale sulle spese militari italiane. Per realizzarlo è stato lanciato un progetto di crowdfunding attivo in questi giorni che potete trovare su Eppela all'indirizzo https://www.eppela.com/it/projects/9285-mil-x-2016

E’ importante che si riesca a concretizzare questo prezioso strumento civico di monitoraggio su una tematica di cui le organizzazioni e campagne pacifiste e disarmiste si sono sempre occupate e che impatta fortemente sulle dinamiche economiche negative che la finanza etica ha invece sempre combattuto. L’invito dunque è quello di sostenere il progetto MIL€X partecipando al cro! wdfunding entro il 5 di agosto e costruendo così un nuovo strumento di contrasto alle politiche di militarizzazione e diffusione della guerra nel mondo.

Per maggiori informazioni > milex.org

Presentazione video del progetto > https://www.youtube.com/watch?v=I8A1BBKGR_A


«Dobbiamo vigilare contro l'acquisizione di un'ingiustificata influenza da parte del complesso militare-industriale, sia palese che occulta. Non dobbiamo mai permettere che il peso di questa combinazione di poteri metta in pericolo le nostre libertà e processi democratici. Soltanto un popolo di cittadini allerta e consapevole può trovare un adeguato compromesso tra l'enorme macchina industriale e militare di difesa e i nostri metodi e fini pacifici, in modo che sicurezza e la libertà possano prosperare assieme».
Presidente degli Stati Uniti d’America Dwight D. Eisenhower,
Discorso di addio alla nazione del presidente, 17 gennaio 1961

«Il denaro che oggi si sperpera a costruire ordigni di morte che recano in essi la fine dell’umanità, serva, invece, a combattere la fame nel mondo. Mentre io parlo migliaia di creature umane lottano contro la fame e di fame muoiono. Si svuotino gli arsenali e si colmino i granai».
Presidente della Repubblica Italiana Sandro Pertini,
Discorso di Città del Messico, 27 marzo 1981

giovedì 28 luglio 2016

Il Papa: il mondo è in guerra, non di religione ma per il potere

dalla pagina http://www.news.va/it/news/il-papa-il-mondo-e-in-guerra-non-di-religione-ma-p

“Quando io parlo di ‘guerra’, parlo di guerra sul serio, non di ‘guerra di religione’, no!”

Lo aveva già detto e ora Francesco lo ripete, questa volta a bordo del volo da Roma a Cracovia: quella che è in atto non è una guerra di religione:

Allen Ginsberg, poeta*
C’è guerra di interessi, c’è guerra per i soldi, c’è guerra per le risorse della natura, c’è guerra per il dominio dei popoli: questa è la guerra. Qualcuno può pensare: 'Sta parlando di guerra di religione': no. Tutte le religioni, vogliamo la pace. La guerra, la vogliono gli altri. Capito?”.

Il Papa riferendosi al barbaro omicidio di padre Hamel, ieri a Rouen, è quindi ritornato con la sua drammatica semplicità al concetto di “terza guerra mondiale a pezzi”:
Una parola che si ripete tanto è ‘insicurezza’. Ma la vera parola è ‘guerra’. Da tempo diciamo: 'Il mondo è in guerra a pezzi'. Questa è guerra. C’era quella del  ’14, con i suoi metodi, poi quella del ’39 – ’45, un’altra grande guerra nel mondo, e adesso c’è questa. Non è tanto organica, forse, organizzata, sì, non organica, dico, ma è guerra. Questo santo sacerdote che è morto proprio nel momento in cui offriva le preghiera per tutta al Chiesa, è ‘uno’, ma quanti cristiani, quanti innocenti, quanti bambini … Pensiamo alla Nigeria, per esempio: 'Ma, quella è l’Africa!'. Quella è guerra! Non abbiamo paura di dire questa verità: il mondo è in guerra, perché ha perso la pace”.
In conclusione Francesco, nell’auspicare che i giovani della Gmg “dicano qualcosa che ci dia un po’ più di speranza”, ha ringraziato coloro che hanno espresso le condoglianze per l’uccisione di padre Hamel, a cominciare dal presidente Hollande:
“In modo speciale il presidente della Francia che ha voluto collegarsi con me telefonicamente, come un fratello: lo ringrazio”.
Da Radio Vaticana



dalla pagina http://www.guerrenelmondo.it/

Conflitti nel mondo
Totale degli Stati coinvolti nelle guerre:
67
Totale milizie e gruppi terroristi-guerriglieri-separatisti-etc. coinvolti:
718



dalla pagina http://presenzalongare.blogspot.it/2016/05/lodiosa-propaganda-anti-russa-di-obama.html

dati dalla pagina http://www.sipri.org/research/armaments/milex/milex_database

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Presenza militare USA nel mondo 
Gli USA operano o controllano fra 700 e 800 basi militari nel mondo; le basi militari USA sono in 63 paesi stranieri
Militari USA sono presenti in 156 paesi stranieri (nel mondo si contano 190 stati la cui sovranità è indiscussa e 16 la cui sovranità è discussa): circa 160mila soldati USA in servizio al di fuori dei propri territori, più altri circa 90mila distribuiti in varie operazioni.


* La frase: "War is good business Invest your son", "La guerra è un buon affare Investi tuo figlio" fu pronunciata dal poeta e scrittore statunitense Irwin Allen Ginsberg. Fra le sue varie opere, Plutonian Ode, poemi scritti nel periodo 1977-1980 contro gli armamenti nucleari.

mercoledì 27 luglio 2016

Referendum costituzionale

1) La Costituzione della Repubblica italiana in formato PDF
http://www.quirinale.it/qrnw/costituzione/pdf/costituzione.pdf

2) Il testo di legge costituzionale pubblicato in Gazzetta Ufficiale - Disegno di legge, 12/04/2016, G.U. 15/04/2016
http://www.gazzettaufficiale.it/eli/id/2016/04/15/16A03075/sg 

3) Testi a confronto: il  testo  vigente  della  Costituzione  e a fronte  quello  modificato dal testo di legge costituzionale, come risultante dall’esame parlamentare 
http://documenti.camera.it/Leg17/Dossier/Pdf/AC0500N.Pdf 

4) "Posizioni a confronto sulla riforma costituzionale", Aggiornamenti Sociali 
http://www.aggiornamentisociali.it/easyne2/LYT.aspx?Code=agso&IDLYT=769&ST=SQL&SQL=ID_Documento=14696 

Il prossimo ottobre gli italiani saranno chiamati a votare il referendum costituzionale per l’approvazione della riforma della Carta fondamentale della Repubblica. Diamo voce alle ragioni del “sì” e del “no” per comprendere come orientarci in questa scelta importante. 

1. "Le ragioni del “sì” alla riforma costituzionale", di Carlo Fusaro, pp. 454-460
2. "I “no” alla riforma costituzionale: retorica, metodo e contenuti", di Filippo Pizzolato, pp. 461-466
Scarica il pdf (a pagamento) 

5) "Tra riforma costituzionale e referendum. Appunti per il discernimento", Città dell'Uomo
http://www.c3dem.it/wp-content/uploads/2016/06/Documento-riforma-referendum-2016.pdf


martedì 26 luglio 2016

USA: VIOLENZA IN CASA, VIOLENZA FUORI


di Fulvio Scaglione 
Uomini armati appostati tra le auto e agli angoli delle case. Spari, sirene, le grida stupite e disperate dei passanti. Le immagini arrivavano da Dallas, terza città del Texas, nona degli Stati Uniti, il maggior centro economico della fascia meridionale degli Usa, ma avrebbero potuto arrivare da qualche periferia dell’America latina, se non dal Medio Oriente. Immagini di una guerriglia urbana vera, quella che ha lasciato sul campo i cadaveri di cinque poliziotti e di un attentatore. E anche in questo caso, si badi bene: l’uomo che ha colpito gli agenti aveva una preparazione militare ed era disposto a tutto. Altro particolare che ci porta lontano dall’Occidente, nella dimensione di scontri etnici e settari che da noi sembravano dimenticati.
E forse lo sbaglio è questo. Non tutto è stato dimenticato. Nei giorni prima di Dallas altri due neri americani erano stati uccisi da poliziotti bianchi. Uno in Louisiana, l’altro nel Minnesota. Quest’ultimo era incensurato e lavorava presso una scuola Montessori. Era seduto in macchina con la moglie e il figlio, con la cintura allacciata. Il poliziotto, che l’aveva fermato per un fanalino rotto, gli ha sparato quattro colpi al petto da distanza ravvicinata. Nel solo 2015 negli Usa quasi 600 persone sono state uccise mentre venivano controllate o arrestate. Di queste, più di due terzi erano neri. Nel 97% dei casi, gli episodi non hanno portato ad alcuna sanzione per i poliziotti.
Questo spinge quasi tutti gli osservatori a concludere che i neri americani soffrono di una pesante discriminazione, almeno da parte delle forze dell’ordine. E che tale discriminazione è accettata dal sistema, che la legalizza di fatto rifiutando di punire gli agenti. Tale era di certo il pensiero dello sparatore di Dallas, che ha inteso così vendicare i torti subiti dai neri.

USA, dieci anni di stragi

Dovremmo però chiederci se la questione non sia un po’ più complessa e forse anche più drammatica. È normale che una società democratica, sviluppata e in ripresa rispetto alle recenti crisi (nel solo mese di giugno sono stati creati quasi 300 mila nuovi posti di lavoro), culturalmente e tecnologicamente all’avanguardia come quella Usa, esprima una tale carica di violenza? I dati ci dicono che il 70% dei neri e l’81% dei bianchi uccisi l’anno scorso dai poliziotti era armato. Anche Philando Castile, l’uomo di 32 anni ammazzato in Minnesota nella sua auto, era in possesso di una pistola, regolarmente denunciata. Ma che ci fa, in giro per le strade, così tanta gente armata?
È la stessa domanda che ci si pone di fronte alle stragi senza spiegazione che punteggiano la storia recente degli Usa e che hanno falciato molti più americani del terrorismo, islamico e non. Secondo i dati del Center for Disease Control and Prevention, tra il 2004 e il 2013 negli Usa sono morte per colpi di arma da fuoco quasi 320 mila persone. Anni in cui è diventato sempre più facile comprare armi da guerra: con qualche tiepido controllo presso gli armaioli, in libertà nelle fiere e su internet. Omar Mateen, l’uomo che tre settimane fa ha ucciso 50 persone in un locale di Orlando (Florida), era sospettato di attività terroristiche ma era riuscito a procurarsi un fucile semi-automatico. Lasciamo perdere le fandonie sulla “frontiera” e sullo spirito di avventura e chiediamoci: è normale?
E che cosa si deve pensare della volontà politica e dei poteri reali di un presidente come Barack Obama, che in otto anni non è riuscito a mettere un freno né alla violenza diretta dei poliziotti né a quella indiretta dei venditori di armi. È la Casa Bianca che comanda negli Usa oppure no?
Viene da chiedersi se questa attitudine degli americani tra loro non influenzi anche il loro rapporto con gli altri. E cioè se tutta quella violenza non detti poi scelte come la guerra in Iraq nel 2003 o quella in Libia nel 2011. Disastri dove la smania di menare le mani è stata di gran lunga superiore alle capacità di previsione e programmazione politica. Se, in altre parole, forza e grinta non siano strumenti sopravvalutati quando si tratti di gestire una società complessa come quella americana, e un mondo ancor più complesso come quello in cui tutti quanti ci troviamo a vivere.
Pubblicato sull’Eco di Bergamo del 9 luglio 2016

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USA: armi in una famiglia su tre

giovedì 14 luglio 2016

Ma senza una linea comune si perde la "guerra al terrorismo"

dalla pagina http://www.famigliacristiana.it/articolo/dacca-analisi.aspx

03/07/2016  Un filo rosso lega le stragi di Dacca e Baghdad, finché la comunità internazionale non trova la compattezza e la volontà di intervenire contro chi si fa sponsor del terrorismo il contrasto non funzionerà. 

di Fulvio Scaglione 

A dispetto delle differenze tra Iraq e Bangladesh, che sono molte e importanti, c’è un filo rosso che lega la strage degli imprenditori italiani a Dacca a quella contemporanea dei cittadini sciiti a Baghdad. L’aspetto più evidente è questo: quanto più perde terreno negli scontri campali, tanto più l’Isis sfrutta l’arma crudele degli attentati per segnalare di essere ancora forte e vitale. Un messaggio interno, per i militanti che hanno bisogno di essere galvanizzati, e anche esterno, per intimorire i nemici colpendoli, per così dire, alle spalle. Ma questa è la tattica del terrorismo.

Il punto cruciale è la strategia, che si replica identica in ogni parte del mondo. In due fasi. La prima: Al Qaeda o l’Isis o una qualunque delle infinte sigle dell’estremismo armato islamico si insedia nella crisi già aperta di un determinato Paese. Successe in Afghanistan all’epoca dell’invasione sovietica e via via fino ai giorni nostri come nella Somalia della disgregazione statuale. Nel Mali dell’autonomismo tuareg come nell’Iraq post-invasione americana. Nella Nigeria del dualismo economico tra musulmani e cristiani come nella Libia bombardata da Francia e Gran Bretagna o nella Siria coinvolta in una delle tante Primavere. 

La seconda: allargare le lacerazioni del tessuto politico e sociale fino a smembrare lo Stato o, almeno, renderlo di fatto ingovernabile. Da questo punto di vista, quindi, che il vero Isis faccia strage di sciiti a Baghdad approfittando del comprensibile revanscismo sunnita o un gruppo di affiliati locali ammazzi un gruppo di stranieri speculando sulla protesta sociale, non fa molta differenza. L’idea è la stessa: colpire una linea di faglia (in Iraq le rivalità settarie, in Bangladesh un settore vitale dell’economia) per far crollare tutto. Questa caratteristica crea grandi problemi alla cosiddetta “comunità internazionale”, che tende a badare al quadro generale sottovalutando l’importanza delle ferite che ogni specifico Paese ha bisogno di curare. Ferite che sono il terreno di coltura del terrorismo. 

Ma il problema dei problemi, anche alla luce dei massacri di Dacca e di Baghdad, è questo: checché se ne dica, il terrorismo islamico non è la priorità di detta “comunità internazionale”. È una piaga, un pericolo, una minaccia. Ma non è “la” minaccia”. Almeno, non per tutti. Lo abbiamo visto con chiarezza in due eventi recenti. Le indagini dopo l’attentato all’aeroporto Ataturk di Istanbul (44 morti) sembrano aver chiarito che lo stratega del gruppo terrorista sia Ahmed Shataev, un ceceno ben noto agli specialisti dell’intelligence. Shataev fuggì dalla Russia dodici anni fa perché ricercato per atti di terrorismo. Nel 2011 fu arrestato in Bulgaria ma non potè essere estradato in Russia, come da Mosca appunto richiesto, perché in Austria gli era stato concesso lo status di rifugiato politico. È chiaro che se la stessa persona è un terrorista in una parte di mondo e un perseguitato nell’altra, di strada nella lotta contro lo stragismo se ne fa poca. Il secondo episodio è quello che ha riguardato direttamente l‘Italia nei giorni scorsi. Al momento di assegnare i due seggi di membro non permanente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il nostro Paese, che era favorito, è stato “retrocesso” e costretto a dividersi il seggio (un anno a testa) con l’Olanda. Ciascuno può giudicare, anche al netto della strage di Dacca, se con il Mediterraneo diventato cimitero di profughi, il Medio Oriente in fiamme e il Nord Africa (dalla Libia alla Tunisia all’Egitto) pieno di tormenti, tre dei quattro anni di presenza europea nel Consiglio potevano ragionevolmente essere assegnati a Paesi nordici (Svezia e, appunto, Olanda) e uno solo a un Paese del Sud continentale (l’Italia). 

D’altra parte, che il terrorismo islamico non sia la priorità di tutti viene dimostrato anche dal lassismo con cui ci si rivolge ai Paesi e agli ambienti che sono i primi responsabili del finanziamento degli islamisti radicali. Pensiamo al Bangladesh: da anni molti musulmani locali denunciano la progressiva infiltrazione dei predicatori wahabiti, forti dei petrodollari del Golfo Persico e sempre più inseriti nel sistema scolastico e dell’educazione religiosa. Anche in questo caso, come già nel caso del Pakistan e di altri Paesi dell’Asia, nulla è stato fatto per parare il colpo.

Come nulla o troppo poco si fa per ridurre il fiume di quattrini che da donatori pubblici o privati e in modo più o meno palese continua a scorrere dalle monarchie del Golfo Persico verso la galassia dell’islam radicale. L’Occidente sta perdendo la guerra contro il terrorismo: dal 2000 a oggi, le vittime di attentati e kamikaze sono aumentate di nove volte. E la sta perdendo proprio perché non trova la compattezza e la volontà di intervenire contro chi del terrorismo si fa sponsor. Gli esempi sono infiniti, dai viaggi d’affari dei primi ministri occidentali in Arabia Saudita e Qatar alle relazioni pericolose dei vertici della politica americana. Come un “caso Regeni” moltiplicato decine di migliaia di volte, ma di cui preferiamo tacere.  

dalla pagina http://www.pandoratv.it/?p=7032

La notizia di Manlio Dinucci – Strategia segreta del terrore

 

lunedì 11 luglio 2016

Quindici anni dopo, per non dimenticare: Scuola Diaz, 21 luglio 2001


7 aprile 2015 
G8 Genova - La Corte di Strasburgo condanna l'Italia: 
"Alla Diaz fu tortura, ma colpevoli impuniti"

STRASBURGO - Quanto compiuto dalle forze dell'ordine italiane nell'irruzione alla Diaz il 21 luglio 2001 "deve essere qualificato come tortura". Lo ha stabilito la Corte Europea dei Diritti Umani che ha condannato l'Italia non solo per il pestaggio subìto da uno dei manifestanti (l'autore del ricorso) durante il G8 di Genova, ma anche perché non ha una legislazione adeguata a punire il reato di tortura; un vuoto legislativo che ha consentito ai colpevoli di restare impuniti. "Questo risultato - scrivono i giudici - non è imputabile agli indugi o alla negligenza della magistratura, ma alla legislazione penale italiana che non permette di sanzionare gli atti di tortura e di prevenirne altri".
Il ricorso. All'origine del procedimento c'era il ricorso presentato da Arnaldo Cestaro, manifestante veneto che all'epoca aveva 62 anni e che rimase vittima del violento pestaggio da parte della polizia durante l'irruzione nella sede del Genova Social Forum. L'uomo, il 21 luglio 2001, era il più anziano dei manifestanti presenti nella scuola Diaz a Genova. Gli agenti lo sorpresero mentre dormiva, gli ruppero un braccio, una gamba e dieci costole durante i pestaggi. Nel ricorso, portato avanti dagli avvocati Nicolò e Natalia Paoletti, Joachim Lau e Dario Rossi, Cestaro afferma che quella notte fu brutalmente picchiato dalle forze dell'ordine tanto da dover essere operato e subire ancora oggi le conseguenze delle percosse subite. Sostiene inoltre che le persone colpevoli di quanto ha subìto avrebbero dovuto essere punite adeguatamente, ma che questo non è mai accaduto perché le leggi italiane non prevedono il reato di tortura o reati altrettanto gravi. [continua]

leggi anche 
Scuola Diaz, 21 luglio 2001: Fatti e Menzogne

sabato 9 luglio 2016

10 Luglio: Concerto per la Pace


COMUNICATO STAMPA

Campo Marzo, domenica 10 luglio cinquanta giovani musicisti in concerto per la pace
Spettacolare esibizione del
Coro giovanile di Thiene e dell’Orchestra Officina Armonica di Breganze  

Domenica 10 luglio alle 21, in Campo Marzo, nell’ambito della rassegna "L’Estate a Vicenza 2016" promossa dall’assessorato alla crescita del Comune di Vicenza, si terrà un originale concerto che vedrà protagonista il Coro giovanile di Thiene assieme all’Orchestra Officina Armonica di Breganze e vari solisti, per un totale di circa cinquanta musicisti che interpreteranno la Messa per la pace ‘The armed man: a mass for peace’ del compositore gallese Karl Jenkins. 
Si tratta di una composizione dedicata alle vittime delle guerre e alla speranza di pace, commissionata a Jenkins per una delle celebrazioni dell'anno 2000. 
Prende il titolo dall’omonima e nota chanson medioevale “L’homme armé” il cui tema già nel XIV secolo era divenuto così popolare da essere utilizzato come melodia per più di 30 messe. Jenkins compone una moderna “messa dell’uomo armato” combinando musica religiosa con elementi militari, a ricordo e a motivo di riflessione sulla guerra e sugli orrori che hanno accompagnato la storia del secolo appena concluso e con la speranza che da questo cresca e si alimenti una reale cultura della pace. 
Nell’opera i testi, di grande valenza simbolica e letteraria, si susseguono secondo un preciso schema narrativo; utilizzando per contrasto il modello del "proprio" e dell’ordinario liturgico, si narra la guerra nelle sue fasi: la chiamata alle armi, la carica, il culmine della battaglia, il suo triste epilogo, ma anche la rinascita, la speranza nel cambiamento, il desiderio di una nuova era. 
I
l concerto coinvolge circa cinquanta giovani musicisti tra coristi e orchestrali (archi, fiati, piano e percussioni) fra cui il soprano Eleonora Donà e il contralto (e voce recitante) Valentina Trabaldo; quest'ultima è coautrice - assieme al direttore del coro Silvia Azzolin - di alcuni testi di collegamento e raccordo. 
Da anni, coro e orchestra collaborano per diffondere proposte innovative che coinvolgano i giovani in percorsi artistici e culturali anche impegnativi. Anima del Coro giovanile di Thiene è da sempre Silvia Azzolin, docente all’Università di Verona, che da anni affianca l'insegnamento alla sperimentazione didattica e all'aggiornamento di insegnanti in ambito musicale; con lei, oltre alle voci soliste, collabora da tempo la violista Martina Pettenon con la sua Officina armonica, in cui suonano, fra gli altri, Davide Girolimetto, Alice Dalla Pozza, Alberto Tisato e Pietro Squarzon, Davide Pianegonda, Giacomo e Alessandro Barone. 
L'ingresso alla serata è libero. 

Per consultare il calendario completo del cartellone L’estate a Vicenza 2016”: http://www.comune.vicenza.it/vicenza/eventi/evento.php/151209

venerdì 8 luglio 2016

Summit NATO a Varsavia

dal TG1 DELLE 13.30 del 08/07/2016

Il corrispondente Alberto Romagnoli da Varsavia:

"I leader giunti qui a Varsavia pensavano di fare il punto sulle grandi minacce globali derivanti da potenze internazionali... Invece, si ritrovano a commentare, come Obama, gli attentati che arrivano nelle periferie, dall'interno delle comunità nazionali...".



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USA: Bimba di tre anni trova un'arma e si spara

dalla pagina http://www.avvenire.it/Cronaca/Pagine/Usa-bimba-di-tre-anni-trova-arma-e-si-spara.aspx

Ancora una pistola lasciata incustodita e un'altra vita spezzata troppo presto. La tragedia avviene in USA dove una bimba di 3 anni ha trovato l'arma dentro una casa in cui era in visita con la famiglia. Si è sparata alla testa ed è morta. Siamo a Lemoore, nel sud della California. Secondo quanto riferiscono i media Usa, la piccola si trovava nell'appartamento di due amiche di famiglia. Si è allontanata prima in bagno e poi in una delle camere da letto. A quel punto, ha raccontato la madre, si è sentito uno sparo. [...] Soltanto poche settimane fa il Senato degli Stati Uniti ha bloccato i tentativi di aprire a maggiori controlli e verifiche per la detenzione di armi respingendo una proposta di legge volta a incrementare le verifiche. Con 53 voti a favore e 47 contrari, non si è raggiunta la soglia dei 60 voti che permette al testo di proseguire il suo iter.
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I Repubblicani si sono opposti a queste misure in nome dell'anacronistico II emendamento della Costituzione (approvato nel 1791 quando i giovani Usa non avevano un esercito proprio e costituirono milizie cittadine per difendere il Paese dall'eventuale tentativo della Gran Bretagna di riconquistare le ex colonie perse nel 1766) che garantisce il diritto a "possedere armi".

L'ONU agli USA: più controlli su armi
Il Commissario dell'ONU per i diritti umani Zeid ha chiesto agli Usa di rispettare l'obbligo di proteggere i propri cittadini da «attacchi violenti spaventosamente banali ma prevenibili e che risultano direttamente da un insufficiente controllo delle armi». 

Negli USA armi in una famiglia su tre
  • una famiglia su tre negli Stati Uniti possiede un'arma da fuoco
  • gli americani rappresentano quasi la metà dei possessori di armi nel mondo
  • armi in circolazione: dai 270 ai 310 milioni, detenute legalmente o illegalmente
  • nel 2013 [le vittime] ammontano a oltre 33 mila
  • nel 2015 da maggio ad agosto, i morti in tutto il Paese sono stati oltre 3.000, tra cui molti minori e persone che si sono suicidate
  • tra i singoli stati la bandiera nera va all'Alaska, con 19,6 morti ogni 100 mila persone, seguita da Louisiana con 19,1 vittime e Mississippi, con 17,7 morti
  • [...] in Usa con le armi si uccide 297 volte in più che in Giappone, 49 volte in più che in Francia e 33 volte in più che in Israele
  • omicidi di massa: dal 1982 al maggio del 2014 negli Usa se ne sono verificati almeno 61 in ben 30 Stati USA
  • secondo un sondaggio del Pew Research Center nel 2014 la media nazionale delle famiglie con almeno una pistola in casa è 31%. La media è più bassa è nel nord-est del Paese, con il 27%, seguito dalla zona occidentale con il 34%, il Mid-west con il 35%, mentre la percentuale più alta è registrata negli Stati del Sud con il 38%
  • nel complesso sono i bianchi il gruppo etnico che più di altri detiene un'arma in casa, ossia il 41%, tasso che scende al 20% tra gli ispanici e al 19% tra gli afroamericani.
 USA: sit-in Dem al Congresso per una stretta sulle armi

dalle pagine:
http://www.usatoday.com/story/news/nation/2014/12/03/military-style-ar-rifles-market-saturated/19836755/
http://goal.org/newspages/AWB-truth.html 
https://www.stagarms.com/ar15-rifles/ 

Dicembre 2014: Fucili di tipo militare AR-15: "Il mercato è saturo" 

Il numero di fucili posseduto legalmente negli USA oggi è stimato fra 20 e 30 milioni
Il numero stimato di fucili AR-15 negli USA è 3milioni, secondo una stima, fra 5 e 10 milioni secondo altre
  • prezzo: a partire da US$900
  • caricatore standard: 30 colpi
  • gittata: oltre 500m 


dalla pagina https://en.wikipedia.org/wiki/Number_of_guns_per_capita_by_country
Densità di armi da fuoco legalmente detenute da civili
Negli USA il numero di armi da fuoci è:
  • 112,6 per 100 abitanti
  • oltre 300milioni di armi da fuoco (il doppio rispetto al 1968)
  • il numero di famiglie che possiede armi da fuoco è sceso dal 50% (1975) a circa il 30% in anni recenti (una famiglia su tre è pesantemente armata)