sabato 31 luglio 2021

L’insostenibile summit Onu

dalla pagina https://comune-info.net/linsostenibile-summit-onu/

Nicoletta Dentico

I sistemi alimentari della globalizzazione, dominati dalle grandi multinazionali e dalle corporation del cibo, non hanno assolutamente garantito la sicurezza alimentare nel mondo, e anzi definiscono gli estremi di un fallimento sistemico. Non più tardi del 2019 la Commissione Lancet sul Doppio Carico della malnutrizione descriveva l’attuale stato del cibo e dei sistemi agricoli una «triplice crisi», nella quale sottoalimentazione, obesità e cambiamenti climatici fanno strame della salute umana e planetaria

Foto tratta dal Fb della Csa Semi di comunità

Si chiude a Roma, presso la Fao, il pre-vertice Onu sulla crisi alimentare mondiale: la pandemia ha aumentato il numero degli affamati. Ma il summit, «all’ombra» di Ogm e agricoltura industriale, nasconde i nodi reali. E i movimenti protestano

Quando il Segretario Generale delle Nazioni Unite annunciò alla plenaria del Comitato sulla Sicurezza Alimentare alla FAO il proposito di organizzare un summit di alto livello dell’ONU sui sistemi alimentari, la notizia fu accolta con sorpresa, ma anche con molto interesse. Era il 16 ottobre 2019, giornata mondiale dell’alimentazione. Covid-19 non lo conosceva ancora nessuno, ma l’emergenza della fame nel mondo – in costante aumento dal 2014 – era un fenomeno che già metteva a dura prova l’obiettivo «fame zero» della Agenda dello sviluppo sostenibile.

L’arrivo del nuovo coronavirus ha solo accelerato la crisi, tanto che l’impennata della fame planetaria può essere a ragione definita la seconda pandemia del Covid-19. L’ultimo rapporto SOFI 2021 sullo stato della sicurezza alimentare e nutrizione lo rileva senza sconti: quasi una persona su tre non ha avuto accesso a un’alimentazione adeguata nel 2020 – un incremento di 320 milioni di persone affamate in un solo anno, da 2,05 a 2,37 miliardi.

I sistemi alimentari della globalizzazione, dominati dalle grandi multinazionali e dalle corporation del cibo, non hanno assolutamente garantito la sicurezza alimentare nel mondo, e anzi definiscono gli estremi di un fallimento sistemico. Non più tardi del 2019 la Commissione Lancet sul Doppio Carico della malnutrizione descriveva l’attuale stato del cibo e dei sistemi agricoli una «triplice crisi», nella quale sottoalimentazione, obesità e cambiamenti climatici fanno strame della salute umana e planetaria.

I sistemi agricoli ecosistemi; il rapporto dell’IPCC 2019 stima che contribuiscano al 37% delle emissioni di CO2. Veniamo da decenni di «rivoluzione verde», a base di fertilizzanti e di nuove verità ibride in grado di incrementare considerevolmente la produzione, ma questo modello tecnologico, oltre a non salvare il mondo dalla fame, ha brutalmente interrotto l’interazione evolutiva tra attività umana e natura.

La rivoluzione verde ha aperto un mercato immenso alle operazioni delle grandi imprese, trasformando il cibo in un prodotto di consumo che è soggetto alle logiche di mercato e spesso a feroci speculazioni finanziarie. La strategia della rivoluzione verde insomma è stata un disastro tanto ecologico quanto economico e oggi, a causa di questa specie di colonizzazione agricola su scala globale, un numero crescente di persone non ha più accesso a una dieta autodeterminata. Si registra ovunque un impoverimento delle risorse naturali (le varietà ibride consumano più acqua), una distruzione dei suoli a causa dell’uso crescente di fertilizzanti chimici e pesticidi, una perdita considerevole di biodiversità, un incremento di patologie alimentari legato a doppio filo alle politiche commerciali delle aziende.

I paesi ricchi dal canto loro hanno inaugurato lo spreco del cibo come prassi, a causa di una iper-produzione scellerata e insostenibile. Disfunzioni strutturali che sono esplose durante la pandemia.
Ma il vertice dell’ONU sui Sistemi Alimentari convocato dal Segretario Generale e previsto a New York a settembre, non attacca nessuna di queste questioni.

Anzi, l’evento si è tirato addosso un’ondata di critiche da parte di tutte le comunità di pratiche e saperi riunite nel Comitato sulla Sicurezza Alimentare, il più inclusivo organo sulla politica del cibo creato in seno alla FAO nel 2009. Posizioni critiche sono giunte anche dall’attuale Rapporteur speciale dell’ONU sul diritto al cibo Michael Fakhri e dal suo predecessore Oliver De Schutter, nonché da rappresentanti del mondo politico e scientifico direttamente coinvolti nella preparazione del Vertice, alcuni dei quali hanno denunciato in itinere le inedite opacità di governance del processo.

L’apertura dei lavori ha dovuto vedersela con oltre un migliaio di organizzazioni dei produttori di piccola scala, della società civile, dei movimenti di agricoltori, allevatori e pescatori, delle comunità dei popoli indigeni che si sono riunite in eventi virtuali e fisici in tutto il mondo, dal 25 al 28 luglio, per manifestare il loro totale e competente dissenso. È’ la prima volta che avviene una rottura del genere, nella agenda molto regolamentata del cibo: un indizio da prendere in serissima considerazione.

Il segnale emblematico della distorsione della governance che questo summit interpreta e promuove, nel segno del protagonismo indiscusso del Forum Economico Mondiale (WEF) co-organizzatore dell’evento, è la designazione di Agnes Kalibata come inviata speciale del Segretario Generale dell’ONU. Kalibata presiede la Alliance for a Green Revolution for Africa (AGRA), un’iniziativa creata nel 2006 dalla Fondazione Rockefeller e dalla Fondazione Gates per «risolvere i problemi della fame in Africa» con la introduzione di monoculture, di produzione agricola per la esportazione e la immissione di nuove tecnologie e sistemi agricoli nel continente concepiti da Monsanto, Syngenta, Microsoft (partners di AGRA). La presenza di AGRA in Africa ridefinisce da anni la agenda in campo agricolo con la creazione di nuovi mercati, a scapito delle realtà contadine che hanno a cuore un sistema alimentare autoctono e sostenibile.

Non deve sorprendere dunque dunque se il vertice, oltre la astuta coltre semantica di una narrazione che insiste sulla agricoltura familiare, accenna ai popoli indigeni e financo ai diritti umani, proponga idee fallimentari e false soluzioni come sistemi volontari di sostenibilità aziendale, Ogm e biotecnologie, agricoltura rigenerativa e intensificazione sostenibile dell’agricoltura.
Proposte che non sono né sostenibili, né convenienti per i contadini e i produttori di piccola scala e i lavoratori del sistema alimentare, e non servono l’interesse pubblico e la salute pubblica. Il Vertice è un tentativo da parte dei grandi operatori economici di normalizzare e legittimare soluzioni tecnologiche che sono dannose per le persone, la sicurezza alimentare e gli ecosistemi. Questa volta, con la benedizione delle Nazioni Unite e la insipienza dei governi.

 

venerdì 30 luglio 2021

Il Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss): dove le multinazionali continuano a definire i nostri sistemi alimentari e a controllare le nostre diete

dalla pagina Il Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss): dove le multinazionali continuano a definire i nostri sistemi alimentari e a controllare le nostre diete (pressenza.com)

Navdanya International

UNFSS DOVE LE MULTINAZIONALI CONTINUANO A PROGETTARE I NOSTRI SISTEMI ALIMENTARI E A CONTROLLARE LE NOSTRE DIETE

Il Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss) non offre il cambiamento di paradigma che sarebbe così urgentemente necessario per raggiungere la sovranità alimentare, la resilienza climatica e un sistema alimentare più equo. Al contrario, mantiene la stessa struttura di potere e comporta un’ulteriore colonizzazione dei cibi e delle diete locali. Il vertice si sta rivelando come l’ennesimo strumento per rafforzare il controllo su cibo e agricoltura da parte delle multinazionali e dei grandi gruppi finanziari, mentre il ruolo della società civile nella governance alimentare globale risulta estremamente limitato.

Le multinazionali stanno usando il summit per convincerci che le loro soluzioni saranno sufficienti e abbastanza ecologiche, in modo da poter mantenere intatto l’attuale sistema di interessi: il sistema non può essere cambiato, gli interessi privati non devono essere minati ma, al contrario, devono essere sostenuti da fondi pubblici. Trincerandosi dietro il linguaggio della necessità di un cambiamento nelle abitudini alimentari globali, le multinazionali hanno “dirottato” l’Unfss per imporre alimenti artificiali industriali e ultra-processati e una più profonda industrializzazione del sistema alimentare. Il modello dei sistemi alimentari industriali indicato dall’Unfss ci porta ulteriormente avanti sulla strada del collasso dei sistemi planetari, della nostra salute, delle nostre economie e della nostra democrazia.

È giunto il momento di ritenere le multinazionali responsabili delle proprie azioni e di sostenere una vera transizione verso un paradigma agroecologico che protegga la biodiversità, la diversità culturale, le economie alimentari locali. In risposta a questo “dirottamento corporativo” dei sistemi alimentari globali, numerose organizzazioni di base e della società civile provenienti da tutto il mondo hanno organizzato un contro-vertice per proporre una vera trasformazione dei sistemi alimentari. Si tratta di gruppi, organizzazioni e comunità che perseguono una reale trasformazione agroecologica, che mette al centro la sovranità alimentare e considera l’importanza dei piccoli agricoltori, delle donne, dei popoli indigeni e del cibo locale biodiverso nel sistema alimentare.

Uno degli aspetti chiave delle proposte del Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari è il focus sulla transizione verso diete “sostenibili” come soluzione alle problematiche del cambiamento climatico e della malnutrizione. Attraverso la retorica sulla necessità di un cambiamento nelle abitudini alimentari globali, e in risposta alle richieste dei cittadini per un futuro più sostenibile, le multinazionali cercano di imporre soluzioni false, ma certamente redditizie ignorando totalmente l’importanza e la necessità di promuovere invece i sistemi alimentari locali ed ecologici per una reale trasformazione sostenibile.


Traccia d’azione 1: il cibo non sicuro rende sicuri i profitti


La Traccia d’Azione 1 “Accesso a cibo nutriente e sicuro per tutti”, promuove la fortificazione degli alimenti, da applicarsi su larga scala, come soluzione alla malnutrizione. La fortificazione degli alimenti consiste nell’aumentare alcune sostanze nutritive nelle piante, sia attraverso la coltivazione convenzionale, sia attraverso la biotecnologia. In questo modo si isola il ruolo di un singolo nutriente dalla vasta rete della biodiversità e lo si sintetizza per creare una nuova varietà di semi da immettere sul mercato. Sebbene questa tecnologia sia descritta nella Traccia d’Azione come essenziale “per affrontare di petto la mancanza di vitamine e minerali essenziali nella dieta quotidiana delle popolazioni vulnerabili”, essa sfocia in un approccio corporativo che mina la capacità delle comunità di rafforzare i propri sistemi alimentari locali basati sulle proprie conoscenze e preferenze culturali e tradizionali.

Ne è un esempio il Golden Rice che è stato modificato in modo tale da contenere alti livelli di beta-carotene per prevenire la carenza di vitamina A e continua a essere pubblicizzato e spinto sul mercato, nonostante la Food and Drug Administration degli Stati Uniti abbia scoperto che i livelli presenti non forniscono alcun beneficio nutrizionale dimostrabile.

La Bill and Melinda Gates Foundation (Bmfg) ha finora finanziato il Golden Rice con 28 milioni di dollari, a cui si aggiunge il finanziamento tramite la partnership diretta della Global Alliance for Improved Nutrition (Gain), anch’essa avviata e finanziata dalla Bmfg e leader di questa Traccia d’Azione. La biofortificazione e le soluzioni tecnologiche hanno quindi rafforzato la dipendenza da una ristretta gamma di colture di base o da singoli ingredienti aggiunti, ignorando così il ruolo centrale della biodiversità nella nutrizione.

Questa falsa equazione si esprime nella Traccia d’Azione attraverso la lode della fortificazione del sale con iodio per combatterne la carenza nell’alimentazione, quale emblema dei miracoli di questa tecnica. Un approccio che, in primo luogo, non mette in discussione il perché gli alimenti debbano essere fortificati, ed inoltre evita di prendere in considerazione la rete di profitti ed interessi privati che sta dietro lo sviluppo di nuovi tipi di colture Ogm. I principi nutritivi raramente funzionano in modo isolato. La tradizionale dieta mediterranea, acclamata come comprovata protettrice contro diverse malattie e contro la malnutrizione, ha effetto unicamente se applicata nella sua complessità. È stato infatti riconosciuto che nessun singolo componente o nutriente di questa dieta composita ha un effetto protettivo dimostrabile se analizzato singolarmente. La biofortificazione, quindi, non tiene conto di come la biodiversità nelle diete sia fondamentale come soluzione alla malnutrizione. In definitiva, la semplice integrazione di una sostanza nutritiva non risolve il problema della malnutrizione generale. Inoltre, non spiega il perché ci sia una diminuzione dei livelli di nutrizione nelle colture e negli alimenti, rivelandosi una soluzione di livello superficiale al problema reale della malnutrizione globale.

Il Manifesto Food for Health (Cibo per la Salute) di Navdanya International, redatto dai maggiori esperti in materia di salute globale ed ecologia, ha analizzato in dettaglio come le sostanze tossiche presenti nella catena alimentare siano una delle cause principali della diffusione delle malattie croniche non trasmissibili. L’agricoltura industriale e la trasformazione del cibo hanno portato al degrado della nostra salute e delle nostre abitudini alimentari, sia ignorando la priorità della nutrizione e della salute nel sistema alimentare, sia immettendo sostanze chimiche e contaminanti in tutta la filiera: dalla produzione, alla trasformazione, alla distribuzione.

Un rapporto pubblicato di recente dall’organizzazione argentina Naturaleza de Derechos, rivela come i residui di pesticidi, vietati nell’UE in ragione degli effetti negativi sulla salute, siano stati riscontrati in grandi quantità in svariati tipi di frutta e verdura destinati ai mercati internazionali e al consumo interno. Le agrotossine sono note per essere cancerogene, interferenti degli ormoni umani e inibitori della colinesterasi. I loro effetti sinergici sono ancora sconosciuti. L’esposizione cronica ai pesticidi e i conseguenti rischi per la salute umana, anche a dosi minime, può avere effetti persistenti e bioaccumulativi con relativi impatti negativi non solo sui parassiti per cui i pesticidi sono stati creati, ma sull’intero ecosistema e sulla salute umana. Considerando tutti questi fattori, risulta evidente come il modo in cui l’Unfss affronta il problema della sicurezza alimentare sia limitato, visto che ignora completamente il ruolo dei prodotti chimici nella produzione e trasformazione degli alimenti industriali come minaccia diretta alla salute umana e alla sostenibilità ambientale.

Gain, che dirige la Traccia d’Azione 1, ha utilizzato per prima il modello del partenariato tra settore pubblico e privato, quando è stata fondata nel 2001 da Bill Gates. Da allora, ha continuato a supportare le soluzioni corporative alla malnutrizione e all’insicurezza alimentare, con un focus esclusivo sulla biofortificazione e altri schemi simili. Molti dei finanziatori di Gain inoltre sono gli stessi di Agra, come la Fondazione Rockefeller, Basf o Unilever, oltre alla Bill & Melinda Gates Foundation da cui ha ricevuto non meno di 251 milioni di dollari tra il 2002 e il 2014.


Traccia d’Azione 2: gli alimenti sintetici ultra-processati, realizzati con tecnologie brevettate per ottenere la diversificazione delle proteine portano solo alla diversificazione dei profitti


La Traccia d’Azione 2, “Transizione verso modelli di consumo sostenibili”, prevede la promozione di prodotti animali artificiali e ultra-processati a base vegetale.

Con il pretesto della “diversificazione delle proteine”, questa cosiddetta soluzione sostituisce in modo conveniente le diete biodiverse e locali con alimenti sintetici ultra-processati, realizzati con tecnologie brevettate che rappresentano una fonte di grandi profitti per le multinazionali agroalimentari e i relativi investitori miliardari. Queste proteine a base di piante e alghe tentano di imitare il gusto e la consistenza delle loro controparti animali “facilitando l’integrazione nella vita quotidiana senza la necessità di acquisire nuove competenze o cambiare il comportamento in cucina, dato che possono essere facilmente utilizzate nelle cucine tradizionali”. Sembra quindi chiaro come l’obiettivo sia quello di incorporare questi ingredienti e cibi, di proprietà delle multinazionali, nei nostri piatti, compresi quelli delle comunità locali e indigene, che si vedranno private delle loro diete tradizionali e sostenibili. Come Navdanya International ha denunciato, gli alimenti artificiali ultra-processati sono basati su brevetti, su metodi di biologia sintetica non sicuri e non testati e costituiscono un modo per le aziende biotecnologiche, in alleanza con i giganti dell’agribusiness, di accedere a un mercato più vasto.

Il cibo sintetico si basa sullo stesso problematico modello agricolo industriale su larga scala, sulle monocolture, sui pesticidi e spesso sulla coltivazione di Ogm, contribuendo così direttamente al già fallito sistema alimentare che sta distruggendo la fauna selvatica, inquinando l’acqua e il suolo, e contribuendo alle emissioni climalteranti. Essendo prodotti altamente lavorati e contenenti sostanze chimiche tossiche, non sono in grado di soddisfare quei requisiti nutrizionali che sono invece presenti negli alimenti integri prodotti in natura. Come nel caso della fortificazione degli alimenti, la semplice aggiunta di proteine isolate, vitamine e minerali alle diete non conferisce gli stessi benefici alla salute degli alimenti interi, i cui nutrienti agiscono in sinergia con altre migliaia di composti.

Quanto a EAT, che guida la Traccia d’Azione 2 del Summit, assistiamo ad un altro caso che tende a modellare i sistemi alimentari globali secondo gli interessi privati. La direzione e il consiglio di amministrazione di EAT sono strettamente connessi al World Economic Forum e i suoi partner includono società come Nestlé e Danone, entrambe leader nella globalizzazione degli alimenti ultra elaborati. Le raccomandazioni presenti nella Traccia d’Azione 2 provengono direttamente dal rapporto EAT-Lancet “Food in the Anthropocene: the EAT-Lancet Commission on healthy diets from sustainable food systems“. Sebbene il rapporto tenti di far emergere come la trasformazione dei sistemi alimentari sostenibili potrebbe essere realizzata attraverso la promozione di “diete sane”, esso sorvola sul ruolo diretto dell’agricoltura industriale e chimica nella creazione di sistemi alimentari insostenibili e malsani. Il rapporto evita totalmente di riconoscere che il passaggio a diete sane dipende da un allontanamento dal paradigma dell’agricoltura chimica. Piuttosto il rapporto promuove la nozione fondamentalmente insostenibile di “intensificazione sostenibile” degli attuali sistemi alimentari, e una transizione globale verso alternative problematiche “a base vegetale”, tralasciando di analizzare i problemi connessi al consumo di alimenti industriali e distogliendo deliberatamente l’attenzione da soluzioni alternative come l’agroecologia.


Diete nutrienti, biodiverse e diversificate: la democrazia alimentare contro il colpo di stato delle multinazionali

 

Se da un lato le aziende multinazionali e i loro partner hanno per molto tempo continuato a promuovere false soluzioni e modelli fallimentari, la vasta piattaforma fornita dall’Unfss ora dà loro il potere diretto di plasmare i sistemi alimentari globali. Attraverso il passaggio intenzionale all’approccio “multi stakeholder”, inventato dal World Economic Forum, le multinazionali hanno rovesciato la bilancia del potere a proprio favore, fornendo allo stesso tempo l’illusione dell’inclusività.

Come sottolineato dal Civil Society Mechanism (Csm), un tale approccio conferisce un maggior potere a pochi eletti nel determinare la politica alimentare globale, mentre tutti gli altri sono relegati a spettatori, chiudendo ogni via possibile in materia di assunzione di responsabilità e negoziazione orizzontale, mantenendo inalterate le strutture di potere e i modelli fallimentari che sostengono.

Il Forum delle Nazioni Unite sui sistemi alimentari (Unfss) non offre il cambiamento di paradigma e l’approccio olistico che sarebbe così urgentemente necessario per raggiungere la sovranità alimentare, la resilienza climatica e un sistema alimentare più equo.

Navdanya International


Bibliografia

L'Associazione Navdanya International - Onlus è stata creata in Italia nel 2011 allo scopo di sostenere la missione di Navdanya a livello internazionale. L’organizzazione promuove un nuovo paradigma agricolo ed economico, una cultura del “cibo come salute”, in cui prevalgono la responsabilità ecologica e la giustizia economica. Fra gli obiettivi dell’organizzazione emergono la protezione della natura e della biodiversità, la difesa delle culture e delle conoscenze indigene e tradizionali, la difesa del diritto dei consumatori ad un'alimentazione sana e libera da veleni, la tutela del diritto degli agricoltori e dei cittadini comuni di conservare, scambiare, coltivare e selezionare liberamente i semi, nonché il riscatto dei beni comuni come fondamento di un rinnovato senso di comunità, solidarietà e di una cultura di pace. Le campagne internazionali, il coordinamento di incontri, dibattiti e conferenze e le campagne politiche di Navdanya International sono incentrate sull’analisi del contesto dei sistemi agro-alimentari e del loro stretto legame con le condizioni del suolo, della biodiversità e degli ecosistemi, con la resilienza climatica e la giustizia sociale.


sabato 24 luglio 2021

“The Last Twenty”: la voce fiera degli ‘Ultimi’ in risposta al G20 dei ‘Grandi’ della terra: Reggio Calabria, 22 – 25 luglio 2021

dalla pagina "The Last Twenty": la voce fiera degli 'Ultimi' in risposta al G20 dei 'Grandi' della terra: Reggio Calabria, 22 - 25 luglio 2021 (pressenza.com)

Sofia Donato - 

(Foto di Sofia Donato)

Si può partire dagli “Ultimi”? Si DEVE. Sopratutto se questi “Ultimi” “sono stati resi poveri, non sono poveri”, come precisato da Giuseppe Falcomatà, sindaco di Reggio Calabria, ieri, nel giorno di apertura del controvertice “The Last Twenty” (https://thelast20.org/): un evento che “(…) non vuole essere in contrapposizione con il G20, ma un modo diverso di guardare il mondo”, ha precisato il vice Sindaco di Reggio, Tonino Perna.

Rappresentanti di 20 Paesi (17 africani e 3 asiatici), associazioni e ONG, esponenti delle Istituzioni e società civile, sono giunti da varie parti d’Italia e d’Europa al fine di partecipare attivamente alla prima tappa calabrese di questo Summit itinerante che proseguirà a Roma (10-12/9), in Abruzzo e Molise (17-21/9), a Milano (22-26/9) per concludersi a S.M. di Leuca (2-3/10) con la stesura di un documento unitario in vista del vertice del G20 che si svolgerà a Roma a fine ottobre.

”The Last Twenty” ha iniziato il suo viaggio, non a caso, dal Sud Italia, segnatamente dalla Calabria, una delle ultime regioni in termini di servizi pubblici e indici economici, una terra che sente improrogabile l’urgenza di un riscatto. “Una terra che ha una lunga storia di accoglienza e che è frutto di secoli di contaminazioni”, ha ricordato, sempre ieri, il sindaco Falcomatà.

La cerimonia di apertura è iniziata con la lettura del messaggio inviato dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Luigi Di Maio, il quale ha sottolineato quanto la debolezza delle Istituzioni impedisca ai giovani africani di sviluppare il loro potenziale ed evidenziando che l’Italia si impegna a porre l’Africa al centro dell’Agenda del G20, quest’anno ospitato e presieduto proprio dal nostro Paese.

La cerimonia è stata commovente e ricca di significato, esordendo con l’intitolazione del ponte sul waterfront di Reggio Calabria – che unisce la città al suo porto – all’Ambasciatore Luca Attanasio e alla sua scorta, morti in un agguato nella Repubblica Democratica del Congo il 22 febbraio scorso. Un ponte dal forte valore simbolico che segna l’unione tra la nostra Penisola ed il Continente africano. “Un ponte tra i ‘Primi’ venti e gli ‘Ultimi’ venti”, ha provocatoriamente detto il Prefetto di Reggio Calabria, Massimo Mariani, ricordando che “parlare di ‘ultimi’ venti non è bello, impone una riflessione perché occorre accorciare le distanze, affinché il mondo diventi migliore”.

All’inaugurazione erano presenti, oltre alle Autorità locali, anche i familiari e la vedova dell’Ambasciatore Attanasio, Zakia Seddiki. Erano inoltre presenti Domenica Benedetto, compagna del carabiniere Vittorio Iacovacci, morto nell’agguato che in cui veniva ucciso l’Ambasciatore, i rappresentanti dell’Arma dei Carabinieri e la comunità congolese rappresentata da Anselme Bakudila che ha ricordato Mustapha Milambo, autista dell’Ambasciatore, morto anch’egli durante l’attacco nei pressi di Goma. La comunità congolese ha donato la bandiera del Congo alla Seddiki ed alla Benedetto in segno di gratitudine e di continuità, affinché non si arresti l’opera dell’Ambasciatore Attanasio, che nella propria carriera diplomatica si è prodigato in un impegno costante a vantaggio degli indifesi.

Il summit è proseguito, nel pomeriggio di ieri, al Parco Ecolandia – un grande balcone sullo Stretto di Messina, sito a Nord della città – in cui sono state installate mostre tematiche a cura delle associazioni organizzatrici, allestiti banchetti di artigianato interetnico, organizzati uno spettacolo musicale e proiezioni di film sulla corrente situazione geo-politica in Afghanistan, Niger e Libano. Si sono susseguiti, inoltre, numerosi interventi su Migrazioni, conflitti e religioni nei Last 20.

È stato dato spazio all’appello della “ResQ – People Saving People”, la nave degli italiani che accolgono, affinché possa prestare soccorso in mare e salvare vite nel Mar Mediterraneo, grazie al sostegno economico e operativo di tutti.

In sostituzione della Vice Ministra degli Affari Esteri, on. Marina Sereni, è intervenuto il diplomatico e Ministro plenipotenziario del MAEC, Filippo Scammacca, il quale ha sottolineato come occorra ripensare allo sviluppo partendo proprio dagli “Ultimi” e come la Cooperazione Internazionale debba lavorare affinché la migrazione divenga una scelta dell’individuo e non più un obbligo figlio di miseria e guerra.

Filippo Ivardi, direttore di “Nigrizia” la rivista dedicata al continente africano, ha ricordato l’importanza di fare causa comune tra tutti i popoli della terra evidenziando che quando facciamo graduatorie tra i “Primi” e gli “Ultimi”, partiamo sempre da un unico indicatore globale, ovvero quello meramente economico. Laddove ponessimo al centro indicatori di altro genere, basati su valori differenti, gli equilibri non sarebbero più gli stessi ed emergerebbe nitido quanto abbiamo da apprendere da altri Paesi.

Yvan Sagnet, attivista camerunense, presidente dell’associazione internazionale “NoCap”, nata per contrastare il caporalato, ha sottolineato quanto sia vitale mettere insieme tutte le forze per contrastare lo sfruttamento del lavoro rafforzando l’alleanza tra produttori, lavoratori e consumatori e quanto la sostenibilità economica, ambientale e sociale si muovano e incedano all’unisono. Si sono poi susseguiti altri interventi che hanno lasciato il passo alla musica e al buon cibo, a conclusione di un primo giorno ad alto tasso di contenuti ed emozioni.

Fino a domenica prossima, Reggio Calabria ospiterà gli altri incontri di questo importante summit, dando spazio all’esperienza di Riace e dei Comuni che accolgono, ai corridoi umanitari, alla cooperazione internazionale, al contributo degli immigrati alla crescita economica e culturale del nostro Paese, al ruolo delle nuove generazioni e delle donne nel futuro degli L20. Ci auguriamo che da questo Summit giunga ai Grandi della terra, la voce degli Ultimi e si apra finalmente un dialogo leale e concreto tra Paesi, che riconosca a tutti il proprio ruolo politico, sociale ed economico.

 

martedì 20 luglio 2021

A 20 anni dal G8. Le pagine profetiche di Genova

dalla pagina https://www.nigrizia.it/notizia/a-20-anni-dal-g8-le-pagine-profetiche-di-genova

Guardiamoci attorno: quali sono i temi chiave del nostro tempo? L'emergenza climatica, le fortissime disuguaglianze, la crisi pandemica e sanitaria, la questione migratoria, per citare i principali. Tutti argomenti che il movimento portò all'attenzione globale proprio nel passaggio di millennio. Ce lo spiega Lorenzo Guadagnucci del Comitato Verità e Giustizia per Genova, autore dell'articolo uscito su Nigrizia di luglio-agosto 2021 

Lorenzo Guadagnucci 

Nel dicembre 2020 è comparso alla Borsa elettronica di New York il Nasdaq Veles California Water Index Future. Il primo strumento finanziario che “scommette” sul valore dell’acqua, o meglio sul prezzo dei diritti di sfruttamento idrico in California.

Non sfugge la portata pratica e simbolica del passaggio: l’acqua è un bene essenziale, dal quale dipende la vita di ciascun essere vivente. Ma non è sfuggito alla logica dei mercati, per i quali qualsiasi cosa ha un prezzo e può essere oggetto di scambi commerciali e speculazioni.

Proprio vent’anni fa, fra i Forum mondiali di Porto Alegre (gennaio 2001 e 2002) e quelli europei di Firenze e Parigi (2002 e 2003), passando per la cruciale estate del G8 di Genova, nel luglio 2001, l’acqua era al cuore di una visione del mondo alternativa a quella corrente. Si discuteva di un Contratto mondiale dell’acqua che aveva come punto di partenza l’accesso alle risorse idriche come diritto umano: ciascuna persona, per il fatto stesso di esistere, doveva vedersi garantito un quantitativo minimo di acqua potabile gratuita. Un principio da recepire a livello globale e da mettere in pratica con legislazioni nazionali coerenti. È il modello al quale si ispirarono i promotori del referendum che nel 2011 in Italia cercò di sancire – venendo però disatteso negli anni successivi – il principio dell’acqua come bene comune.

Linea di continuità

È solo un esempio, fra i tanti possibili, dell’asse di continuità che lega il presente all’esperienza del “movimento per la giustizia globale” (giornalisticamente definito, in modo improprio, “no global”). A Genova, nel luglio 2001, quello strano movimento, con radici forti in America Latina e l’esperienza alle spalle della “battaglia di Seattle” (novembre 1999) durante una riunione dell’Organizzazione mondiale del commercio, presentò il suo volto, i suoi temi, la sua composita natura all’opinione pubblica europea. Il vertice dei cosiddetti “Otto grandi” era l’occasione per indicare i tratti salienti di una critica al neoliberismo dominante che poggiava su competenze, esperienze e sperimentazioni che si erano sedimentate negli anni. Il cuore delle “giornate di Genova”, così come dei Forum sociali, erano i seminari, i convegni, le piazze tematiche, le campagne, più ancora che le manifestazioni, i cortei, i sit-in, pur necessari per stimolare la partecipazione e rendere evidente la crescente opposizione popolare al “pensiero unico neoliberista”, come si diceva allora.

A Genova, dunque, si parlava fra molte altre cose di accesso all’acqua, all’interno di una critica al sistema che aveva due grandi direttrici: da un lato la denuncia della concentrazione di potere reale in organizzazioni sovranazionali sottratte al controllo democratico dei cittadini; dall’altro la contestazione del modello di sviluppo dominante, sia per la sua impronta ecologica, sia per il suo impatto sociale: l’esplosione delle disuguaglianze Nord/Sud e anche interne ai paesi più ricchi era messa a fuoco con grande forza e precisione. In breve, il movimento di Porto Alegre e Genova immaginava “un altro mondo possibile”, come recitava lo slogan nato nel gennaio 2001 nel campus universitario della città brasiliana.

Utopie praticabili

Erano sogni e impraticabili utopie, come sostenevano allora i circoli politici e mediatici dominanti? Forse no, se ci guardiamo attorno e consideriamo quali sono le questioni chiave del nostro tempo: l’emergenza climatica, le fortissime disuguaglianze, la crisi pandemica e sanitaria, la questione migratoria, per limitarsi ai macro temi. Tutti argomenti che il movimento portò all’attenzione globale proprio nel passaggio di millennio, nel momento di sua massima espansione, prima di finire soffocato dalla violenza istituzionale, proprio a Genova, e dal manicheismo implicito nella “guerra globale al terrorismo”, lanciata dopo gli attentati jihadisti negli Stati Uniti dell’11 settembre 2001.

A Genova si metteva in discussione l’attuale modello di sviluppo a partire dalla sua strutturale incapacità di darsi un limite nel consumo di risorse e nella conseguente distruzione degli ecosistemi. L’ideologia della crescita è il cuore dell’economia dominante e resta il convitato di pietra di ogni discorso sulla “sostenibilità” oggi tanto di moda: la necessità di abbattere l’estrazione di risorse, di uscire dal consumismo, di immaginare un “bem vivir” alternativo, cioè un benessere sganciato dall’aumento dei consumi materiali, era – e rimane – lo snodo cruciale nella lotta contro la catastrofe climatica in corso. Fra Porto Alegre e Genova si ragionava dei pilastri di una nuova “economia capace di futuro” (come diceva un felice slogan della Rete Lilliput). E si metteva al centro, con grande anticipo sui tempi, la questione migratoria. La piena libertà di movimento garantita alle merci e ai capitali (e ai cittadini dei paesi ricchi) era negata ai più bisognosi di muoversi, cioè i cittadini dei molti Sud del mondo, spinti all’espatrio dalle guerre, dalle carestie e dall’umanissimo desiderio di migliorare le proprie condizioni esistenziali. Il corteo dei migranti del 19 luglio 2001 fu forse la pagina più profetica delle intense giornate genovesi.

Walden Bello, sociologo e attivista filippino, durante il Public forum genovese puntò il dito sulla finanziarizzazione già allora incontrollata dell’economia globale: «Gran parte dei profitti e dei capitali si è mossa dal settore reale a quello finanziario. In poche settimane a Wall Street oltre 4,6 trilioni di dollari sono stati bruciati. Il settore finanziario non è in grado di stabilizzare il capitalismo». Parole premonitrici di quanto sarebbe avvenuto pochi anni dopo, con il crac finanziario del 2007-2008. E ancora, sempre Walden Bello: «La crisi è relativa al capitalismo e alla sua tendenza a trasformare ogni risorsa in un prodotto da vendere, un sistema antitetico all’interesse della biosfera». Siamo nel 2001, sei anni prima che l’Ipcc, la rete internazionale di scienziati facente capo alle Nazioni Unite, riceva il premio Nobel per la pace per i suoi rapporti sulla crisi climatica globale. E poi il tema del debito pubblico, divenuto strumento di dominio da parte degli stati più forti e della finanza globale e oggetto al tempo di Genova G8 di due distinte campagne per chiederne la revisione, fino alla cancellazione.

Contro i monopoli dei vaccini

Sempre a Genova Nicoletta Dentico, all’epoca responsabile per l’Italia di Medici senza frontiere, denunciava il fallimento (sul piano umano) del mercato della salute: «Nel mondo 14 milioni di persone muoiono ogni anno di malattie curabili con farmaci cui non hanno accesso». E Vittorio Agnoletto, nel 2001 portavoce del Genoa Social Forum ma anche presidente della Lila, Lega italiana per la lotta all’Aids: «Chi difende il monopolio sostiene che la proprietà intellettuale del brevetto permette alle aziende di recuperare i soldi spesi per la ricerca. In realtà, la spesa in ricerca delle multinazionali farmaceutiche non supera il 20% del bilancio, mentre per azioni di lobby, ossia soldi per pressioni sul mondo politico e sanitario, viene speso tra il 30% e il 39% del bilancio». Passati vent’anni, nel pieno della pandemia di Covid-19, il controllo dei brevetti su farmaci e vaccini da parte di Big Pharma è ancora un ostacolo insormontabile: rende impossibile una risposta equa e globale alla diffusione del virus.

Si è detto, in questi anni, che il movimento per la giustizia globale – criminalizzato prima sui media poi nelle piazze e quindi messo fuori gioco – si è trovato a svolgere il ruolo di Cassandra, il personaggio mitologico condannato a prevedere il futuro senza essere creduto. È un ruolo ingrato in una partitura che riguarda tutti e sulla quale è diventato urgente intervenire, in modo da provare a cambiare il finale. Il mondo oggi è in fiamme più di vent’anni fa e il tempo della storia – quella climatica, innanzitutto – non dà letteralmente respiro: se un altro mondo era allora possibile, oggi è diventato necessario.

 

Nigrizia in questi 20 anni ha dedicato molti articoli e analisi ai fatti del G8. Ripubblichiamo l’editoriale del settembre 2001, assieme all’ampio dossier che accompagnava quel numero della rivista, e l’articolo scritto nel 2011 a 10 anni dagli eventi.

La lezione di Genova

G8, la svolta. Genova, l’Africa e noi

Genova 2001, la breccia

 

sabato 17 luglio 2021

Il Vertice dei padroni del cibo

dalla pagina https://comune-info.net/il-vertice-dei-padroni-del-cibo/

Silvia Ribeiro

Con la pandemia è aumentato in modo esplosivo l’afflusso dei giganti della tecnologia e del commercio online, un fatto che ha cambiato le strutture di produzione e i soggetti che controllano produttori e consumatori. Per legittimare questo attacco digitale e biotecnologico al nostro cibo e stabilire nuove normative internazionali (cioè per evitare normative e controlli pubblici), è stato concepito il cosiddetto Food Systems Summit, che si terrà a settembre 2021. Viene presentato come un appuntamento delle Nazione Unite ma in realtà lo ha deciso il World Economic Forum, noto anche come Forum di Davos, quello in cui convergono gli interessi economici e finanziari che estendono il loro dominio sul mondo intero. L’industria alimentare è più fondata che mai sulla variabile indipendente del profitto, sviluppa l’uniformità genetica di piante e animali, con pesanti interventi chimici (agrotossici, conservanti, aromi, addensanti, coloranti, ecc.), e con sempre più elementi sintetici e artificiali. È inoltre uno dei maggiori fattori di inquinamento dei suoli, dell’acqua e del terreno, dunque una causa importante del cambiamento climatico, ma non bisogna dimenticare che è perfino il più grande fattore di produzione di epidemie e pandemie

Foto Freepng

Non possiamo vivere senza mangiare. Il cibo e tutto ciò che lo circonda sono alla base della vita di ogni persona. Il controllo di questo mercato è quindi un obiettivo fondamentale delle imprese transnazionali. Oggi, quattro o cinque grandi aziende agroalimentari controllano più della metà del mercato globale in ogni anello di quella catena industriale. Con la pandemia, è aumentato in modo esplosivo l’afflusso dei giganti della tecnologia e del commercio online, un fatto che ha cambiato le strutture di produzione e i soggetti che controllano produttori e consumatori. Per legittimare questo attacco digitale e biotecnologico al nostro cibo e stabilire nuove normative internazionali (leggi evitare normative e controlli pubblici), è stato concepito il cosiddetto Food Systems Summit, che si terrà a settembre 2021.

Sebbene sia presentato come un vertice delle Nazioni Unite, è stata un’iniziativa del World Economic Forum (detto comunemente Forum di Davos, in cui convergono le più grandi società transnazionali). António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, ha annunciato nel 2019 la sua realizzazione prima che gli organismi delle Nazioni Unite relativi all’agricoltura e all’alimentazione – come la FAO e il Comitato per la sicurezza alimentare mondiale – ne fossero a conoscenza. Nonostante sia ufficiale, questo vertice sarà un evento pubblico-privato, in cui il settore privato ha più partecipazione e influenza dei co-organizzatori delle Nazioni Unite (si veda: “Nuovo assalto al cibo”).

L’alimentazione non è solo nutrizione, ma è anche un pilastro essenziale dell’organizzazione delle società e delle culture. Per oltre il 99,9% della storia dell’alimentazione umana, il modo in cui il cibo viene ottenuto, prodotto e trasformato è stato diverso e decentralizzato a seconda delle aree geografiche e delle culture, basato su sistemi locali e, per la maggior parte, socialmente ed ecologicamente sostenibile.

Il capitalismo e la sua Rivoluzione Verde (pacchetto tecnologico di semi ibridi e transgenici, macchinari pesanti, agrotossici e fertilizzanti sintetici) insieme alla globalizzazione imposta, sono riusciti a danneggiare in pochi decenni parte di quella realtà millenaria, con un’industria alimentare basata sul profitto, sull’uniformità genetica di piante e animali, con pesanti interventi chimici (agrotossici, conservanti, aromi, addensanti, coloranti, ecc.), e con sempre più elementi sintetici e artificiali. Un’industria che è anche uno dei maggiori fattori di inquinamento dei suoli, dell’acqua e del terreno e che è una causa del cambiamento climatico. Inoltre, è perfino il più grande fattore di produzione di epidemie e pandemie (si veda: “Gestando la próxima pandemia”).

Si tratta di uno dei 10 maggiori mercati industriali globali, un elenco in cui ha occupato tra il primo e il settimo posto nell’ultimo decennio, nonostante questa contabilità tenga conto solo dell’industria e consideri solo parzialmente il cibo che proviene dalle reti contadine, dalla pesca artigianale, dagli orti urbani e dalla raccolta tradizionale, che sono quelli che forniscono cibo al 70% della popolazione mondiale (si veda: “Chi ci nutrirà?. La Rete alimentare contadina a confronto con la Catena alimentare agroindustriale”).

Da alcuni anni, i giganti della tecnologia digitale e le piattaforme di vendita online (come Google, Facebook, Amazon, Microsoft, ecc.) sono entrati nell’agroalimentare. Hanno introdotto programmi di controllo digitale per l’agricoltura (offerti da imprese agroalimentari e produttrici di macchinari, in collaborazione con le imprese tecnologiche) e vari strumenti per questo, come droni e sensori, espandendo e controllando le vendite online, sia tra le aziende che tra i consumatori (si veda: “La insostenible agricultura 4.0” e “Agricoltura 4.0”).

Per queste ragioni, al di là della retorica, gli obiettivi principali di questo Food Systems Summit sono: a) La promozione e il progresso su larga scala dell’industria agroalimentare digitale o agricoltura 4.0, con nuove biotecnologie, sistemi informatici, estrazione e massiccio accumulo di dati relativi alle attività agricole, agli ecosistemi e ai nostri comportamenti alimentari; b) la costruzione di sistemi alternativi di governo in materia agroalimentare, in cui le imprese abbiano il ruolo principale insieme ad alcuni governi: creare sistemi pubblico-privati, emarginando le stesse Nazioni Unite e cercando di eliminare le organizzazioni contadine, indigene, delle donne e dei lavoratori che non si riesce a co-optare; c) stabilire nuovi concetti come quello di “produzione positiva per la natura”, allo scopo di ottenere sovvenzioni e co-optare la produzione biologica qualora se ne possa ricavare profitto, e altri concetti come quello di “soluzioni basate sulla natura” che costituiscono una copertura per aprire nuovi mercati del carbonio in agricoltura e mercati di compensazione per la distruzione della biodiversità.

La Via Campesina e la grande maggioranza dei movimenti contadini, ambientali, agroecologici, delle donne e delle popolazioni indigene di tutto il mondo respingono questo vertice e hanno deciso di svelare le bugie e le manovre connesse (si veda il documento di La Via Campesina: “Un Summit sotto assedio”). Ancora più grave è il fatto che, mentre il mondo è ancora in una situazione di pandemia, il sistema agroalimentare industriale che il Vertice intende portare avanti è uno dei fattori chiave nella generazione di epidemie. Pertanto, si terrà un contro-vertice alla fine di luglio, in cui una grande varietà di organizzazioni e comunità presenterà le realtà e le proposte di cui abbiamo bisogno per nutrire tutti, con giustizia e cura per l’ambiente.

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Fonte: “Cumbre de los dueños de la alimentación”, in La Jornada, 03/07/2021.
Traduzione a cura di Camminardomandando