“Il lavoro: libertà e dignità dell’uomo in tempo di crisi
economica e sociale”
Il dato prevalente è che il lavoro in Italia manca. Una scarsità
che porta sempre più persone, impaurite dalla prospettiva di
perderlo o di non trovarlo, a condividere l’idea che nulla sia più
come è stato finora: dignità, diritti, salute finiscono così in
secondo piano. Si tratta di una deriva preoccupante messa in moto dal
perdurare di una crisi economica stabilmente severa, da una
disoccupazione che tocca diversi segmenti anagrafici e demografici (i
giovani, le donne e gli ultracinquantenni), e da un cambiamento
tecnologico che da più parti viene definito in termini di “quarta
rivoluzione industriale”. Rispetto a questa situazione, non sfugge
la pertinenza del richiamo alla responsabilità degli imprenditori
formulata nell’Evangelii gaudium1,
e ripresa nel Messaggio del Pontefice al Forum economico mondiale di
Davos2;
tuttavia, si possono prefigurare responsabilità più ampie e
diffuse. A ben vedere, infatti anche i lavoratori hanno una
responsabilità con la quale fare i conti: il lavoro, che ci sia o
meno, tracima e invade le vite delle persone, appiattisce il senso
dell’esistenza, così che chi non aderisce a questa logica viene
scartato, rifiutato, espulso. Ecco la responsabilità che tutti ci
troviamo a condividere: l’incapacità di fermarci e tendere la mano
a chi è rimasto indietro. Intimoriti e atterriti da un mondo che non
offre certezze, scivoliamo nel disinteresse per il destino dei nostri
fratelli e così facendo perdiamo la nostra umanità, divenendo
individui che esistono senza trascendenza e senza legami sociali. La
ricerca della «giusta misura» è la missione consegnataci dal Papa
nel Discorso per il ventennale del Progetto Policoro, quando ha
invitato a riscoprire la «“vocazione” al lavoro», intesa come
«il senso
alto di un impegno che va anche oltre il suo risultato economico, per
diventare edificazione del mondo, della società, della vita»3.
L’educazione
al lavoro
Oggi più che mai c’è quindi bisogno di educare al lavoro e la
situazione è tale da richiedere una riscoperta delle relazioni
fondamentali dell’uomo. Il lavoro deve tornare a essere luogo
umanizzante, uno spazio nel quale comprendiamo il nostro compito di
cristiani, entrando in relazione profonda con Dio, con noi stessi,
con i nostri fratelli e con il creato. Bisogna, in altre parole,
fuggire dall’idea che la vera realizzazione dell’uomo possa
avvenire nell’alternativa “solo nel lavoro o nonostante il
lavoro”. Il tempo dell’uomo è invece tempo operoso. Questa
riflessione è valida per tutte quelle persone che guardano in modo
disilluso e stanco alla propria vita lavorativa e, soprattutto, per
tutti quei giovani che disperano di poter trovare un’occupazione o
languono facendo un lavoro che non li soddisfa. Il pensiero è valido
a maggior ragione per i datori di lavoro che gestiscono imprese,
laboratori, botteghe e uffici con criteri esclusivamente
utilitaristici. Il lavoro deve essere sempre e comunque espressione
della dignità dell’uomo, dono di Dio a ciascuno.
Questo tema trova particolare espressione nell’elaborazione di
percorsi educativi per le giovani generazioni da parte delle comunità
cristiane con una precisa attenzione all’orientamento al mondo
universitario. L’esperienza universitaria non può soggiacere
unicamente alla logica economica di mercato e di preparazione di
persone competenti nei campi della sola organizzazione del lavoro. La
formazione culturale e l’elaborazione di esperienze spirituali e
morali che plasmino l’identità della persona e aprano ai valori
della giustizia, della solidarietà e della cura per il creato
costituiscono le condizioni di base per una corretta e completa
educazione al lavoro stesso.
Il binomio scuola-lavoro
Oltre a questo senso originario, la dimensione educativa del lavoro
va ritrovata anche all’interno delle istituzioni formative, facendo
in modo che scuola e lavoro siano due esperienze che si intrecciano e
interagiscono: i giovani devono poter fare esperienze professionali
il prima possibile, così da non trovarsi impreparati una volta
terminati gli studi.
L’alternanza scuola-lavoro, così come è stata di recente
riformata, rappresenta una leva fondamentale poiché permette a un
numero sempre più ampio di giovani di capire quali sono le
competenze e le capacità richieste dal mercato del lavoro. Inoltre,
non bisogna dimenticare che questo genere di esperienze possono
favorire anche lo sviluppo di una propensione all’auto-impiego:
l’Italia non può continuare a sprecare l’intelligenza, il
talento e la creatività dei suoi giovani, che emigrano nella
speranza di essere accolti altrove. Occorre creare per loro spazi di
sperimentazione, dove lasciare libera espressione alla creatività e
all’intraprendenza: ci sono tanti piccoli, ma significativi segnali
che mostrano quanto la collaborazione, la partecipazione e la
solidarietà possano essere gli ingredienti di base per ricette
imprenditoriali nuove, esperienze che rompono con la «globalizzazione
del paradigma tecnocratico»4,
senza per questo essere improduttive o economicamente fallimentari.
L’esperienza del Progetto Policoro è prova reale e concreta delle
possibilità che si schiudono ai nostri territori quando si sanno
mettere all’opera5.
Cooperative di servizi, start-up tecnologiche, aziende di agricoltura
sociale, oltre a essere innovative per il prodotto proposto al
mercato, sono spesso innovative anche nelle forme di produzione:
aziende inclusive, solidali, basate sulla relazione e sulla
valorizzazione del talento delle persone.
Interdipendenza culturale ed economica Nord-Sud
L’impegno nelle direzioni segnalate è peraltro necessario per
porre argine a una delle disuguaglianze storiche dell’Italia. Il
Meridione è una terra che nel corso dei decenni ha subìto un
depauperamento economico e sociale tale da trasformare queste regioni
in una seconda Italia, povera, sofferente e sempre più infragilita.
L’emigrazione è il tratto macroscopico di questa situazione: negli
ultimi dieci anni hanno abbandonato il Sud oltre 700mila persone,
giovani, laureati, studenti, imprenditori tutte persone che, quasi
sempre a malincuore, hanno lasciato la propria terra con l’amarezza
di non poter contribuire alla sua rinascita6.
Ciò che colpisce e inquieta di questa situazione è la mancanza di
consapevolezza rispetto al fatto che il destino delle diverse aree
del Paese non può essere disgiunto: senza un Meridione sottratto
alla povertà e alla dittatura della criminalità organizzata non può
esserci un Centro-Nord prospero. Non è un caso che le mafie abbiamo
spostato gli affari più redditizi nelle regioni del Nord, dove la
ricchezza da accaparrare è maggiore.
Sotto questo profilo, le misure da mettere in campo sono numerose. In
prima battuta, è necessario prevedere uno strumento di contrasto
alla povertà che poggi su basi universalistiche e supporti le
persone che hanno perso il lavoro, soprattutto gli adulti tra i 40 e
i 60 anni che non riescono a trovare una ricollocazione. Oltre a
quanto già indicato circa l’incentivazione di forme di dialogo
scuola-lavoro, bisogna dare spazio all’innovazione e alla
creatività, creando le condizioni per un sistema produttivo capace
di liberare la fantasia e le capacità dei giovani e di tutte le
persone con buone idee. A ben vedere, lungo queste direttrici
qualcosa si sta muovendo, sia a livello istituzionale sia dentro la
società civile e il mondo dell’impresa. Tuttavia, la strada è
ancora lunga perché l’Italia è stata per troppo tempo ferma: è
giunto il momento di ricominciare a camminare, nessuno escluso,
mettendo in pratica quell’«ecologia integrale», che è la base
del nostro stare al mondo7.
Roma, 3 aprile 2016
La Commissione Episcopale
per i problemi sociali e il
lavoro, la giustizia e la pace
1
Francesco, Esort. ap.
Evangelii gaudium, 24 novembre 2013, n. 203, dove si afferma:
«La
vocazione di un imprenditore è un nobile lavoro, sempre che si
lasci interrogare da un significato più ampio della vita; questo
gli permette di servire veramente il bene comune, con il suo sforzo
di moltiplicare e rendere più accessibili per tutti i beni di
questo mondo».
2
«L’attività
imprenditoriale… ha la responsabilità di aiutare a superare la
complessa crisi sociale ed ambientale e di combattere la povertà»
(Id.,
Messaggio
al Presidente Esecutivo del “World Economic Forum”,
20 gennaio 2016).
3
Id., Discorso ai
gruppi del “Progetto Policoro” della Conferenza Episcopale
Italiana, 14 dicembre 2015.
4
Id., Enc. Laudato
si’, 24 maggio 2015, nn. 106-114.
5
Cf., Cei, Sviluppo
civile e partecipazione. Venti anni di Progetto Policoro,
GrafiSer, Troina (Enna) 2015.
6
Cf., Svimez, Rapporto
2015 sull’economia del Mezzogiorno, Il Mulino, Bologna 2015,
pp. 113-130.
7
Più ampiamente, cf., Francesco,
Enc. Laudato si’.