A 50 anni dal processo a don Milani, un’altra idea di difesa della patria dalle aule di tribunale alle Aule parlamentari
Il processoIl 15 febbraio del 1966 Lorenzo Milani veniva assolto nel processo di primo grado (non fece poi in tempo ad essere condannato nel secondo…), nel quale era accusato di “apologia di reato” per aver difeso – con una risposta pubblica al comunicato stampa infamante dei cappellani militari – gli obiettori di coscienza cristiani in carcere. Essendo già gravemente ammalato, qualche mese prima il Priore di Barbiana aveva mandato ai giudici un’autodifesa scritta. Il processo a don Milani – i cui atti sono raccolti nella famosa pubblicazione L’obbedienza non è più una virtù (Quaderni di Azione nonviolenta) – sono una tappa fondamentale nello sviluppo della consapevolezza pubblica che porterà, da lì a qualche anno (1972), alla prima legge italiana che prevede la possibilità di obiettare per motivi di coscienza al servizio militare obbligatorio, svolgendo un servizio civile sostitutivo. Tuttavia, sia nella lettera ai cappellani militari, sia nella successiva lettera ai giudici, don Milani non si limita a ribadire i motivi di coscienza – ancorati al Vangelo ed alla Costituzione italiana – che fondano legittimamente la scelta degli obiettori in galera, ma mette in discussione il principio della difesa militare della patria.
La patria e la sua difesa
Ai cappellani militari don Milani aveva scritto: “se voi avete il diritto di dividere il mondo in italiani e stranieri allora vi dirò che, nel vostro senso, io non ho Patria e reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall’altro. Gli uni sono la mia Patria, gli altri i miei stranieri”. Viene qui proposta una importante evoluzione del concetto di patria, che supera i confini geografici e nazionalistici e diventa l’appartenenza ad una condizione sociale universale. Concetto che ribadisce con maggior precisione nella “lettera ai giudici”: “ai miei ragazzi insegno che le frontiere son concetti superati. Quando scrivevamo la lettera incriminata abbiamo visto che i notri paletti di confine sono stati sempre in viaggio. E ciò che seguita a cambiar posto secondo il capriccio delle fortune militari non può essere dogma di fede né civile né religioso”. Sganciare la patria dal riferimento ai confini e ricordare che questi ultimi sono transitori, mette già in discussione la necessità della loro difesa militare, ma – a partire dall’articolo 11 (ripudio della guerra) e dall’articolo 52 (difesa della Patria) della Costituzione – Lorenzo Milani “misura” anche un secolo di storia del nostro esercito, dimostrando come più che di difesa sia “intessuta di offese alle Patrie altrui”. Rispetto alle quali chiede ai cappellani militari di spiegare chi davvero abbia difeso la patria e il suo onore: “quelli che obiettarono o quelli che obbedendo resero odiosa la nostra Patria a tutto il mondo civile?”. E’ il fondamento dell’idea che la vera difesa del Paese, anziché dall’obbedienza militare, passi – al contrario – attraverso l’obiezione di coscienza. E quindi attraverso un’altra idea di difesa.
Un’altra difesa è possibile
In questo mezzo secolo sono accadute molte cose nel nostro Paese e – con grande lentezza e fatica – il servizio civile è ormai “formalmente”, per l’ordinamento italiano, parte di una modalità di difesa della patria alternativa a quella militare. Ma in realtà i due modelli di difesa non sono, in nessun modo, comparabili: lo strumento militare è sempre più potenziato e finanziato – fino al folle acquisto dei caccia F35 – e utilizzato nell’offesa delle “Patrie altrui”, come scriveva don Milani, mentre la difesa civile, non armata e nonviolenta – salvo poche decine di milioni l’anno per il servizio civile (e il collegato esperimento transitorio dei corpi civili di pace) – non ha risorse, ne organizzazione, ne preparazione adeguate. La campagna in corso Un’altra difesa è possibile – che ha depositato oltre 53.000 firme in Parlamento – ne vuole finalmente il riconoscimento della pari dignità, con tutto ciò che ne consegue.
La seconda fase
Dopo sei mesi di raccolta firme e il loro deposito in Parlamento, e a cinquanta anni dal processo a don Milani, la proposta di legge di “Un’altra difesa è possibile” è ora assegnata alla discussione delle commissioni della Camera dei Deputati, grazie anche alla presentazione di un identico progetto di legge di iniziativa parlamentare, a cura di sei deputai di diverse forze politiche, aderenti all’intergruppo dei Parlamentari per la pace. A questo punto, la Campagna dei movimenti per la pace, la nonviolenza, il disarmo e il servizio civile – che ha visto gruppi territoriali presenti e coordinati in tutte le regioni italiane – entra nella seconda fase, quella più politica di sollecito nei confronti di tutti i parlamentari sui temi della difesa del Paese, sui contenuti specifici della Legge e sulla sua calendarizzazione.
Costruire le alternative civili
I sei primi parlamentari firmatari del progetto di legge – per una volta indichiamoli tutti: Giulio Marcon (Sinistra Italiana), Giorgio Zanin (Partito Democratico), Tatiana Basilio (Movimento 5 Stelle), Mario Sberna (Democrazia Solidale – Centro Democratico), Giuseppe Civati (Possibile), Massimo Artini (Alternativa Libera) – hanno dichiarato congiuntamente che “l’Istituzione del Dipartimento della difesa civile non armata e nonviolenta presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che questa proposta di legge avanza, darebbe concretezza alla pluridecennale lotta degli obiettori di coscienza al servizio militare che culminò nella storica sentenza della corte Costituzionale che dette pari dignità tra servizio civile alternativo e servizio militare. Questa doppia possibilità di servire la Patria (come previsto dall’art.52 della Costituzione) è stata trascurata per privilegiare la difesa armata e la professionalizzazione delle forze armate. E’ quanto mai urgente anteporre alla cultura della guerra alternative civili di prevenzione dei conflitti e di riconciliazione tra le parti che solo la nonviolenza può efficacemente raggiungere. Il nostro impegno, trasversale ai gruppi di appartenenza, è che questo testo sia al più presto incardinato nelle commissioni competenti e discusso ed approvato dall’Aula.”
Il Priore di Barbiana, chiamato per queste ragioni a rispondere in un’aula di tribunale, aveva visto lontano.