dalla pagina https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2020-04/via-crucis-2020-papa-francesco-detenuti-carcere-meditazioni.html
Cinque detenuti, una famiglia vittima di omicidio, la figlia di un
ergastolano, un’educatrice, un magistrato di sorveglianza, la madre di
un carcerato, una catechista, un sacerdote accusato ingiustamente, un
frate volontario, un poliziotto, tutti collegati alla Cappellania della
casa di Reclusione “Due Palazzi” di Padova: sono gli autori delle
meditazioni che verranno lette nel corso della Via Crucis presieduta
quest’anno dal Papa sul sagrato della Basilica di San Pietro
Adriana Masotti - Città Vaticano
“Accompagnare Cristo sulla Via della Croce, con la voce rauca della
gente che abita il mondo delle carceri, è l’occasione per assistere al
prodigioso duello tra la Vita e la Morte, scoprendo come i fili del bene
si intreccino inevitabilmente con i fili del male”. È ciò che si legge
nell’introduzione alle meditazioni della Via Crucis pubblicate sulla nuova pagina web della Lev, la Libreria Editrice Vaticana.
I testi, raccolti dal cappellano dell'Istituto di pena "Due Palazzi" di
Padova, don Marco Pozza, e dalla volontaria Tatiana Mario, sono stati
scritti in prima persona, ma intendono prestare la voce a tutti coloro
che, nel mondo, condividono la stessa condizione.
In carcere Gesù mi ha cercato
“Crocifiggilo, crocifiggilo!”. La persona che commenta la I stazione
("Gesù è condannato a morte") è un ergastolano. Crocifiggilo “è un grido
che ho sentito anche su di me”, scrive. La sua crocifissione è iniziata
quando era bambino, un bambino emarginato, ora si dice più simile a
Barabba che a Cristo. Il suo passato è qualcosa per cui prova ribrezzo.
“Dopo ventinove anni di galera - afferma - non ho ancora perduto la
capacità di piangere, di vergognarmi del male compiuto (…) però ho
sempre cercato un qualcosa che fosse vita”. Oggi “avverto, nel cuore,
che quell’Uomo innocente, condannato come me, è venuto a cercarmi in
carcere per educarmi alla vita”.
L'amore è più forte del male
Nella II stazione (“Gesù è caricato della croce”) a scrivere la
meditazione sono due genitori a cui è stata uccisa una figlia. “La
nostra è stata una vita di sacrifici, fondata sul lavoro e sulla
famiglia. Spesso ci chiediamo: perché proprio a noi questo male che ci
ha travolto? Non troviamo pace”. Sopravvivere alla morte di un figlio è
straziante, ma “nel momento in cui la disperazione sembra prendere il
sopravvento, il Signore, in modi diversi, ci viene incontro, donandoci
la grazia di amarci come sposi, sorreggendoci l’uno all’altro pur con
fatica”. Continuano a fare del bene agli altri, e trovano in questo una
forma di salvezza, non vogliono arrendersi al male. Sperimentano che
“l’amore di Dio è capace di rigenerare la vita".
Nel mondo c'è anche la bontà
Nella III stazione (“Gesù cade per la prima volta”) una persona in
carcere racconta che la sua caduta, la prima, è stata la sua fine. Dopo
una vita difficile in cui non si era accorto che il male gli stava
crescendo dentro, ha tolto la vita ad una persona. “Una sera, in un
attimo, come una valanga - scrive - mi si sono scatenate contro le
memorie di tutte le ingiustizie subite in vita. La rabbia ha assassinato
la gentilezza, ho commesso un male immensamente più grande di tutti
quelli che avevo ricevuto”. In carcere arriva vicino al suicidio, ma poi
ritrova la luce, attraverso l’incontro con persone che gli ridanno “la
fiducia perduta”, mostrandogli che al mondo esiste anche la bontà.
Lo sguardo d'amore tra la madre e il figlio
“Nemmeno per un istante ho provato la tentazione di abbandonare mio
figlio di fronte alla sua condanna”, afferma la mamma di un detenuto. Le
sue parole commentano la IV stazione (“Gesù incontra la Madre”).
Dall’arresto del figlio “le ferite crescono con il passare dei giorni,
togliendoci persino il respiro. Avverto la vicinanza della Madonna ...
Ho affidato a lei mio figlio: solamente a Maria posso confidare le mie
paure, visto che lei stessa le ha provate mentre saliva il Calvario”. E
continua: “Immagino che Gesù, sollevando lo sguardo, incrociasse i suoi
occhi pieni d’amore e non si sentisse mai solo. Così voglio fare
anch’io”.
Il sogno di essere un cireneo per gli altri
E’ ancora un detenuto a commentare la V stazione (“Gesù viene aiutato
dal Cireneo”). La croce da portare è pesante, dice, ma “dentro le
carceri Simone di Cirene lo conoscono tutti: è il secondo nome dei
volontari, di chi sale questo calvario per aiutare a portare una croce”.
Un altro Simone di Cirene è anche il suo compagno di cella, capace di
una generosità inaspettata. Conclude: “Sto invecchiando in carcere:
sogno di tornare un giorno a fidarmi dell’uomo. Di diventare un cireneo
della gioia per qualcuno”.
Uno sguardo che permette di ricominciare
“Come catechista asciugo tante lacrime, lasciandole scorrere: non si
possono arginare le piene di cuori straziati”. Sono le parole di una
catechista che riflette così sulla VI stazione (“Veronica asciuga il
volto di Gesù”). Come fare a placare l’angoscia di uomini “che non
trovano una via d’uscita a ciò che sono diventati cedendo al male”?
L’unica strada è restare lì, accanto a loro, senza provarne paura,
“rispettando i loro silenzi, ascoltando il dolore, cercando di guardare
oltre il pregiudizio”. Come fa Gesù con le nostre fragilità. E scrive:
“Ad ognuno, anche alle persone recluse, viene offerta ogni giorno la
possibilità di diventare persone nuove grazie a quello sguardo che non
giudica, ma infonde vita e speranza”.
La volontà di ricostruire la propria vita
Nella VII stazione (“Gesù cade per la seconda volta”), un detenuto,
colpevole di spaccio, che ha trascinato con sé in prigione tutta la sua
famiglia, prova un’infinita vergogna di sé. Scrive: “Solo oggi riesco ad
ammetterlo: in quegli anni non sapevo quello che facevo. Adesso che lo
so, con l’aiuto di Dio, sto cercando di ricostruire la mia vita”. L’idea
che il male continui a comandare la sua vita gli è insopportabile, è
diventata questa la sua via crucis. La preghiera al Signore è “per tutti
coloro che non hanno ancora saputo sfuggire al potere di Satana, a
tutto il fascino delle sue opere e alle sue mille forme di seduzione”.
Per me sperare è un obbligo
“Da ventotto anni sto scontando la pena di crescere senza padre”, è
l’esperienza della figlia di un ergastolano a commento della VIII
stazione (“Gesù incontra le donne di Gerusalemme”). Tutto nella sua
famiglia è andato in frantumi, lei gira l'Italia per seguire il padre di
volta in volta in una prigione diversa e tirando le somme della sua
vita, continua, “ci sono genitori che, per amore, imparano ad aspettare
che i figli maturino. A me, per amore, capita di aspettare il ritorno di
papà. Per quelli come noi la speranza è un obbligo”.
La forza di rialzarsi e il coraggio di farsi aiutare
Cadere e ogni volta rialzarsi è la testimonianza di un detenuto che
si rivede in ciò che viene contemplato nella IX stazione (“Gesù cade per
la terza volta”). “Come Pietro ho cercato e trovato mille scuse ai miei
errori: il fatto strano è che un frammento di bene è sempre rimasto
acceso dentro me” scrive. E conclude: “È vero che sono andato in mille
pezzi, ma la cosa bella è che quei pezzi si possono ancora tutti
ricomporre. Non è facile: è l’unica cosa, però, che qui dentro abbia
ancora un significato”.
Sostenere chi è spogliato di tutto
Come nella X stazione viene ricordato “Gesù spogliato delle sue
vesti” così un’educatrice vede tanti dentro il carcere spogliati anche
della dignità e del rispetto di sé e degli altri. Sono uomini e donne
“esasperati nella loro fragilità, spesso privi del necessario per
comprendere il male commesso. A tratti, però, assomigliano a dei bambini
appena partoriti che possono ancora essere plasmati”. Ma non è facile
portare avanti questo impegno. “In questo servizio così delicato -
scrive - abbiamo bisogno di non sentirci abbandonati, per poter
sostenere le tante esistenze che ci sono affidate e che rischiano ogni
giorno di naufragare”.
Gli innocenti colpiti da false accuse
Nella XI stazione della Via Crucis ("Gesù è inchiodato alla croce"),
la meditazione è di un sacerdote accusato e poi assolto. La sua
personale via crucis è durata 10 anni, “popolata di faldoni, sospetti,
accuse, ingiurie”. Mentre saliva il calvario, racconta, ha incontrato
tanti cirenei che hanno sopportato con lui il peso della croce. Assieme
hanno pregato per il ragazzo che lo aveva accusato. “Il giorno in cui
sono stato assolto con formula piena - scrive - ho scoperto di essere
più felice di dieci anni fa: ho toccato con mano l’azione di Dio nella
mia vita. Appeso in croce, il mio sacerdozio si è illuminato".
La persona dietro alla colpa
È di un magistrato di sorveglianza, il testo che commenta la XII
stazione (“Gesù muore in croce). “Una vera giustizia - afferma - è
possibile solo attraverso la misericordia che non inchioda per sempre
l’uomo in croce”. È necessario aiutarlo a rialzarsi, scoprendo quel bene
che nonostante tutto, “non si spegne mai completamente nel suo cuore”.
Ma lo si può fare solo imparando “a riconoscere la persona nascosta
dietro la colpa commessa”, così si può “intravedere un orizzonte che può
infondere speranza alle persone condannate”. La preghiera al Signore è
per “i magistrati, i giudici e gli avvocati, perché si mantengano retti
nell’esercizio del loro servizio” a favore soprattutto dei più poveri.
Immaginarsi diversi da come ci si vede
Nella XIII stazione (“Gesù è deposto dalla croce”) la meditazione è
di un frate che da sessant'anni fa il volontario nelle carceri. “Noi
cristiani - afferma - cadiamo spesso nella lusinga di sentirci migliori
degli altri (...) Passando da una cella all’altra vedo la morte che vi
abita dentro”. Il suo compito è quello di fermarsi in silenzio davanti
ai tanti “volti devastati dal male e ascoltarli con misericordia”.
Accogliere la persona è spostare dal suo sguardo l’errore che ha
commesso. “Solamente così potrà fidarsi e ritrovare la forza di
arrendersi al Bene, immaginandosi diverso da come ora si vede”. E’
questa la missione della Chiesa.
Gesti e parole che fanno la differenza
“Gesù è sepolto" è l’ultima stazione, la XIV: le parole di un agente
di Polizia Penitenziaria, diacono permanente, concludono la Via Crucis.
Nel suo lavoro, ogni giorno tocca con mano la sofferenza e sa che in
carcere “un uomo buono può diventare un uomo sadico. Un malvagio
potrebbe diventare migliore”. Dipende anche da lui. E dare un’altra
possibilità a chi ha favorito il male è diventato il suo impegno
quotidiano che si traduce “in gesti, attenzioni e parole capaci di fare
la differenza”. Capaci di ridare speranza a gente rassegnata e
spaventata al pensiero di ricevere, scontata la pena, un nuovo rifiuto
da parte della società. “In carcere - conclude - ricordo loro che, con
Dio, nessun peccato avrà mai l’ultima parola”.