Un itinerario verso la Pasqua
Inizia una Settimana Santa diversa da tutte quelle che abbiamo vissuto finora e, come credenti, siamo chiamati a viverla in un modo ancora più intenso, visto il momento storico particolarmente difficile che stiamo affrontando.
La riflessione proposta è sulle donne che hanno accompagnato Gesù nei giorni finali della sua vita, che hanno avuto un ruolo significativo nella sua Passione e che possono aiutare anche noi a vivere il nostro quotidiano così pieno di ansie e paure. Alcune di loro sono nominate, con qualche differenza, da tutti gli evangelisti, altre solo da alcuni; le vediamo tutte, anche se un po’ velocemente, cercando – se ci è possibile – di andare a rileggere i testi o ascoltandoli, con particolare attenzione, nei prossimi giorni.
La prima ad essere citata è una serva/portinaia che si rivolge a Pietro mentre è nel cortile antistante il tempio, dopo l’arresto di Gesù. Tutti e quattro i Vangeli la descrivono come colei che "guarda attentamente” Pietro e gli dice: "Anche tu eri con Gesù”. A queste parole, segue il rinnegamento ripetuto più volte da Pietro, le sue lacrime, il perdono dato da Gesù con un semplice sguardo, ma colpisce che questa donna, che è un’estranea, ponga il discepolo di fronte a una scelta di fede: ci dice che spesso sono proprio quelli che consideriamo altri, estranei, che attraverso parole e guardando con attenzione il nostro modo di comportarci, ci provocano a prendere posizione, ci rivelano delle verità, anche interiori, su noi stessi. Dovremmo metterci in ascolto delle domande che altri ci pongono sulla nostra fede, soprattutto nella situazione terribile che stiamo vivendo, cercando insieme, con umiltà e sincerità, possibili risposte o nuove domande.
Solo il Vangelo di Matteo, invece, nomina la moglie di Pilato. Questa donna, mentre il marito sta interrogando Gesù, gli manda a dire: "Non avere a che fare con quel giusto”. Lei, donna straniera e pagana, non solo sa riconoscere in Gesù un uomo giusto ma dice di aver avuto questa rivelazione in sogno, che già altre volte, nelle Scritture, abbiamo visto essere il modo in cui Dio stesso entra in relazione con un essere umano. A tutte e a tutti, senza differenza alcuna, Dio si manifesta, non è un’esclusiva dei credenti ed è fedeltà allo Spirito esserne consapevoli e accoglierne i segni dovunque essi siano.
Luca, nel suo racconto, aggiunge un particolare – che non è presente negli altri Vangeli – riferito alla strada verso il Calvario che Gesù è costretto a fare, con la croce, dopo la condanna a morte: nomina un gruppo di donne che cerca di esprimere con pianti e lamenti il dolore e la vicinanza alla sofferenza di Gesù. Gesù si rivolge a queste donne, riconosce il loro pianto, ma ribalta la situazione: "Figlie di Gerusalemme non piangete su di me, ma su di voi e sui vostri figli”. Non rifiuta il loro pianto, anzi lo ritiene così importante da andare ancor più in profondità, perché l’interrogativo di fondo è proprio su chi piangere: su chi ama fino alla fine, come Gesù, o piuttosto su chi rifiuta quell’amore? Su chi muore amando, o su chi provoca la morte?
Le donne sono presenti anche al momento fondamentale della croce, non abbandonano Gesù: secondo Matteo, Luca e Marco stanno lì ed osservano da lontano, mentre nel Vangelo di Giovanni sono, in piedi, proprio sotto la croce. Stanno lì, sanno rimanere senza fuggire, senza abbassare gli occhi di fronte a quell’orrore, senza poter cambiare nulla, ma lasciando entrare in sé quel dolore per provare la vera compassione, quella stessa che Gesù aveva manifestato, durante la sua vita, verso donne e uomini feriti nel corpo e nello spirito, quella in cui senti l’altro/l’altra come parte di te.
Secondo Giovanni, presso la croce ci sono anche la madre, nel suo strazio di vedere il figlio crocifisso, di assistere impotente alla sua morte, e il discepolo amato. Maria – che in occasione delle nozze di Cana aveva offerto Gesù al mondo spingendolo a fare il suo primo segno quando, durante un matrimonio, aveva trasformato l’acqua in vino – viene ora affidata da Gesù al discepolo amato e lo stesso discepolo, nuovo figlio, viene affidato alla madre, in una circolarità d’amore che crea legami eterni e non lascia mai da soli.
Le donne osservano ogni cosa anche dopo la morte e dopo che Giuseppe d'Arimatèa ha chiesto ed ottenuto da Pilato il corpo di Gesù e l’ha deposto nel sepolcro, per custodire con fedeltà quanto sta accadendo, per vedere se quel corpo è trattato con amore.
Secondo Matteo, quando tutti sono andati via, Maria di Magdala e l’altra Maria rimangono sedute di fronte alla tomba, ed è straziante e nello stesso tempo fortissima, questa immagine di due donne testimoni della morte ma, nello stesso tempo, quasi incapaci di staccarsi da quel corpo chiuso dalla pietra, come se l’andare via fosse un abbandonare. Chi l’ha provato sa, che non si vorrebbe mai lasciare andare un corpo amato, anche se si ha la consapevolezza della morte…
Luca ci dice che poi tornano a casa, a preparare aromi, olii e profumi. Sembrano gesti inutili perché Gesù è già nel sepolcro, eppure loro preparano profumi: è la logica dell’amore in un tempo di morte, perché è credere che Dio abita anche questi tempi difficili e a noi è forse chiesto di preparare profumi, inventando gesti, con quel poco di energia di vita che sta nel presente.
Poi le donne, come tutti gli ebrei, rispettano il silenzio del sabato, il riposo previsto dalla legge ebraica. È un tempo che si dilata, che troppo spesso noi quasi saltiamo nei preparativi della Pasqua, ma che forse quest’anno possiamo provare a vivere in modo diverso. È un tempo in cui far riaffiorare i ricordi, rivivere i sentimenti, cercare nella storia di ognuna ed ognuno la presenza di Dio. Vivere intensamente il silenzio, anche se può fare paura, cercando di coltivare la speranza e di far crescere, nonostante tutto, la vita. Noi lo sappiamo che la morte non è l’ultima parola.
Dopo la festività del sabato, alle prime luci dell’alba, le donne che non hanno mai abbandonato Gesù nemmeno nei momenti più bui, si alzano: sono pronte a riprendere la loro quotidianità, a riprendere il cammino e ad andare incontro all’Amato.
La riflessione proposta è sulle donne che hanno accompagnato Gesù nei giorni finali della sua vita, che hanno avuto un ruolo significativo nella sua Passione e che possono aiutare anche noi a vivere il nostro quotidiano così pieno di ansie e paure. Alcune di loro sono nominate, con qualche differenza, da tutti gli evangelisti, altre solo da alcuni; le vediamo tutte, anche se un po’ velocemente, cercando – se ci è possibile – di andare a rileggere i testi o ascoltandoli, con particolare attenzione, nei prossimi giorni.
La prima ad essere citata è una serva/portinaia che si rivolge a Pietro mentre è nel cortile antistante il tempio, dopo l’arresto di Gesù. Tutti e quattro i Vangeli la descrivono come colei che "guarda attentamente” Pietro e gli dice: "Anche tu eri con Gesù”. A queste parole, segue il rinnegamento ripetuto più volte da Pietro, le sue lacrime, il perdono dato da Gesù con un semplice sguardo, ma colpisce che questa donna, che è un’estranea, ponga il discepolo di fronte a una scelta di fede: ci dice che spesso sono proprio quelli che consideriamo altri, estranei, che attraverso parole e guardando con attenzione il nostro modo di comportarci, ci provocano a prendere posizione, ci rivelano delle verità, anche interiori, su noi stessi. Dovremmo metterci in ascolto delle domande che altri ci pongono sulla nostra fede, soprattutto nella situazione terribile che stiamo vivendo, cercando insieme, con umiltà e sincerità, possibili risposte o nuove domande.
Solo il Vangelo di Matteo, invece, nomina la moglie di Pilato. Questa donna, mentre il marito sta interrogando Gesù, gli manda a dire: "Non avere a che fare con quel giusto”. Lei, donna straniera e pagana, non solo sa riconoscere in Gesù un uomo giusto ma dice di aver avuto questa rivelazione in sogno, che già altre volte, nelle Scritture, abbiamo visto essere il modo in cui Dio stesso entra in relazione con un essere umano. A tutte e a tutti, senza differenza alcuna, Dio si manifesta, non è un’esclusiva dei credenti ed è fedeltà allo Spirito esserne consapevoli e accoglierne i segni dovunque essi siano.
Luca, nel suo racconto, aggiunge un particolare – che non è presente negli altri Vangeli – riferito alla strada verso il Calvario che Gesù è costretto a fare, con la croce, dopo la condanna a morte: nomina un gruppo di donne che cerca di esprimere con pianti e lamenti il dolore e la vicinanza alla sofferenza di Gesù. Gesù si rivolge a queste donne, riconosce il loro pianto, ma ribalta la situazione: "Figlie di Gerusalemme non piangete su di me, ma su di voi e sui vostri figli”. Non rifiuta il loro pianto, anzi lo ritiene così importante da andare ancor più in profondità, perché l’interrogativo di fondo è proprio su chi piangere: su chi ama fino alla fine, come Gesù, o piuttosto su chi rifiuta quell’amore? Su chi muore amando, o su chi provoca la morte?
Le donne sono presenti anche al momento fondamentale della croce, non abbandonano Gesù: secondo Matteo, Luca e Marco stanno lì ed osservano da lontano, mentre nel Vangelo di Giovanni sono, in piedi, proprio sotto la croce. Stanno lì, sanno rimanere senza fuggire, senza abbassare gli occhi di fronte a quell’orrore, senza poter cambiare nulla, ma lasciando entrare in sé quel dolore per provare la vera compassione, quella stessa che Gesù aveva manifestato, durante la sua vita, verso donne e uomini feriti nel corpo e nello spirito, quella in cui senti l’altro/l’altra come parte di te.
Secondo Giovanni, presso la croce ci sono anche la madre, nel suo strazio di vedere il figlio crocifisso, di assistere impotente alla sua morte, e il discepolo amato. Maria – che in occasione delle nozze di Cana aveva offerto Gesù al mondo spingendolo a fare il suo primo segno quando, durante un matrimonio, aveva trasformato l’acqua in vino – viene ora affidata da Gesù al discepolo amato e lo stesso discepolo, nuovo figlio, viene affidato alla madre, in una circolarità d’amore che crea legami eterni e non lascia mai da soli.
Le donne osservano ogni cosa anche dopo la morte e dopo che Giuseppe d'Arimatèa ha chiesto ed ottenuto da Pilato il corpo di Gesù e l’ha deposto nel sepolcro, per custodire con fedeltà quanto sta accadendo, per vedere se quel corpo è trattato con amore.
Secondo Matteo, quando tutti sono andati via, Maria di Magdala e l’altra Maria rimangono sedute di fronte alla tomba, ed è straziante e nello stesso tempo fortissima, questa immagine di due donne testimoni della morte ma, nello stesso tempo, quasi incapaci di staccarsi da quel corpo chiuso dalla pietra, come se l’andare via fosse un abbandonare. Chi l’ha provato sa, che non si vorrebbe mai lasciare andare un corpo amato, anche se si ha la consapevolezza della morte…
Luca ci dice che poi tornano a casa, a preparare aromi, olii e profumi. Sembrano gesti inutili perché Gesù è già nel sepolcro, eppure loro preparano profumi: è la logica dell’amore in un tempo di morte, perché è credere che Dio abita anche questi tempi difficili e a noi è forse chiesto di preparare profumi, inventando gesti, con quel poco di energia di vita che sta nel presente.
Poi le donne, come tutti gli ebrei, rispettano il silenzio del sabato, il riposo previsto dalla legge ebraica. È un tempo che si dilata, che troppo spesso noi quasi saltiamo nei preparativi della Pasqua, ma che forse quest’anno possiamo provare a vivere in modo diverso. È un tempo in cui far riaffiorare i ricordi, rivivere i sentimenti, cercare nella storia di ognuna ed ognuno la presenza di Dio. Vivere intensamente il silenzio, anche se può fare paura, cercando di coltivare la speranza e di far crescere, nonostante tutto, la vita. Noi lo sappiamo che la morte non è l’ultima parola.
Dopo la festività del sabato, alle prime luci dell’alba, le donne che non hanno mai abbandonato Gesù nemmeno nei momenti più bui, si alzano: sono pronte a riprendere la loro quotidianità, a riprendere il cammino e ad andare incontro all’Amato.
Donatella Mottin