venerdì 17 aprile 2020

Il distanziamento sociale mette in crisi la democrazia. Ma non siamo in guerra

dalla pagina https://altreconomia.it/democrazia-distanziamento-sociale/

“Non parlare di guerra può aiutare ad acquisire una abitudine mentale nuova, cosmopolita, che abbandoni le divisioni, il vocabolario dei conflitti e sappia ragionare in forme unitarie. Sul terreno sanitario, come su quello sociale ed economico”. L’analisi di Alessandro Volpi
Le parole e i simboli hanno un peso rilevante in questa fase. La pandemia e la guerra hanno in comune le vittime, la paura e l’emergenza, intesa come sospensione di ciò che viene definito nei termini della normalità. Non bastano, tuttavia, questi tre elementi a giustificare l’utilizzo del linguaggio bellico per descrivere cosa sta succedendo.
La guerra ha avuto a che fare, nel tempo, con la follia umana, con la volontà di potenza, con il fanatismo religioso, con l’odio razziale, con gli interessi economici, spesso con tutti questi aspetti insieme. Si è combattuta anche per l’aspirazione alla libertà e alla liberazione. La guerra, soprattutto, è stata ed è divisione, contrapposizione; bellum ha la propria origine etimologica in duellum e guerra deriva dal germanico werra (mischia, scontro). La pandemia, invece, accomuna, supera le distinzioni e le divisioni, colpisce tutti senza confini; le guerre si sono combattute per i confini, la pandemia li abbatte. La pandemia non è una guerra, è una catastrofe che ha bisogno di essere affrontata in modo unitario dall’intero Pianeta con lo strumento decisivo di una scienza democratica e universalistica, in grado di rinunciare alle appartenenze nazionali, tipiche invece dei conflitti.
Non parlare di guerra può aiutare ad acquisire una abitudine mentale nuova, cosmopolita, che abbandoni le divisioni, consustanziali al vocabolario dei conflitti, e sappia ragionare in forme unitarie. Sul terreno sanitario, come su quello sociale ed economico.