Ha concluso oggi [17 maggio 2017] la sua vita terrena il prof. Antonio Papisca, vogliamo ricordarlo con uno dei suoi interventi.
Gli siamo grati per il grande lavoro svolto, con umiltà, per i “diritti umani” e la “pace giuridica”. Lo ricordo con particolare affetto anche per la sua testimonianza al processo penale per il blocco ferroviario dei treni che portavano armi in Iarq. Anche per questo fummo assolti.
Riporto qui il suo intervento di allora. Era un uomo mite e forte. Ci mancherà.
mao valpiana
I blocchi nonviolenti sono affermazione di legalità
NOTA DEL PROF. ANTONIO PAPISCA
La guerra del Golfo è avvenuta nel momento in cui, crollati i muri e
finita la contrapposizione ideologica e militare dei blocchi dell’Est e
dell’Ovest, alta e diffusa era l’aspettativa dell’opinione pubblica in
ordine al rilancio e al potenziamento del ruolo delle Nazioni Unite in
materia di sicurezza e di pace internazionali.
Nel famoso rapporto “Un’Agenda per la pace”, elaborato nel 1992 su
richiesta del Consiglio di sicurezza, Boutros-Ghali asserisce, con
estrema chiarezza, che è venuto meno l’alibi del bipolarismo dietro cui
si erano fino ad allora trincerati gli Stati per non mettere l’ONU nella
condizione di operare tempestivamente ed efficacemente.
Per il combinato disposto degli artt. 1, 2, 42, 43, e ss. della Carta
delle Nazioni Unite e richiamando i princìpi di ius cogens che
sottendono il diritto internazionale dei diritti umani – le cui fonti
principali sono, oltre che la Dichiarazione universale del 1948, i due
“Covenants” del 1966 rispettivamente sui diritti civili e politici e sui
diritti economici, sociali e culturali, ratificati dall’Italia nel 1977
-, la guerra è in quanto tale vietata, anzi proscritta quale
“flagello”.
A conferma di questo sta anche, specificatamente, l’art. 20 del
citato Covenant sui diritti civili e politici, che stabilisce che
“qualsiasi propaganda a favore della guerra deve essere vietata dalla
legge”.
Ai sensi della Carta delle Nazioni Unite gli stati possono ricorrere,
in via d’eccezione, a misure di “autotutela individuale e collettiva”,
quale risposta immediata ad una aggressione armata in atto “fintantoché
il Consiglio di sicurezza non abbia preso le misure necessarie per
mantenere la pace e la sicurezza internazionale” (art. 51). Dunque, per
il vigente ordinamento giuridico internazionale, l’autotutela armata,
oltre che successiva, temporanea e proporzionata, è legittimata soltanto
fino a quando il Consiglio di sicurezza non abbia avuto il tempo di
attivarsi in prima persona com’è, d’altronde, suo preciso obbligo
istituzionale. Il sistema di sicurezza collettiva delle Nazioni Unite è
concepito in riferimento al principio di “autorità sopranazionale” delle
stesse Nazioni Unite e comporta che gli stati adempiano all’obbligo
giuridico, stabilito dall’art. 43 della Carta, di devolvere in via
permanente all’ONU parte delle forze armate nazionali.
La fine del bipolarismo, come prima ricordato, rende ineludibile e
urgente l’attuazione di quest’obbligo e quindi insostenibile il
perdurare di comportamenti statuali non conformi alla legalità
internazionale.
Quanto è avvenuto nel Golfo, in risposta all’aggressione armata
perpetrata da Saddam Hussein ai danni del Kuwait, non risponde allo
schema di uso della forza militare stabilito dalla Carta. All’invasione
del Kuwait ha infatti immediatamente fatto seguito l’attivazione del
Consiglio di sicurezza, culminata nella comminazione di pesanti sanzioni
ai sensi dell’art. 41 della Carta. Il successivo, spettacolare
intervento bellico della coalizione comandata dagli USA non risponde
quindi ai requisiti dell’autotutela consentita, in via eccezionale e in
termini di immediatezza, dall’art. 51.
Dal punto di vista della vigente legalità, il respingimento armato
delle truppe di Saddam Hussein al di là dei confini del Kuwait avrebbe
dovuto avvenire soltanto ad opera di una forza armata sotto comando
diretto delle Nazioni Unite, per il perseguimento degli obiettivi
consentiti alle Nazioni Unite che, giova ribadirlo, non possono essere
di guerra (distruzione di territorio e di popolazione, il “nemico
indistinto” da “debellare”), ma esclusivamente di polizia militare
internazionale (cioè azione contro il “criminale” individuato in
determinate persone e gruppi).
Il Parlamento italiano autorizzò la partecipazione armata dell’Italia
alla coalizione comandata dagli USA nell’assunto che si trattasse di
“azione di polizia delle Nazione Unite”. Invece fu guerra, non gestita
dalle Nazioni Unite e senza, per parte italiana, la “dichiarazione di
guerra” prescritta dall’art. 78 della Costituzione.
Il movimento per la pace italiano si mobilitò capillarmente, insieme
con numerosissimi enti locali, facendosi appassionato assertore della
legalità stabilita dalla Carta delle Nazioni Unite e quindi chiedendo a
gran voce che l’Italia e gli altri stati adempissero agli obblighi a suo
tempo sottoscritti con la ratifica della Carta.
Tutti ricordiamo il clima belligeno, angosciante, violento
instauratosi nel paese con l’ausilio dei mass-media, in particolare
della televisione: ci fu una vera e propria propaganda di guerra,
nonostante l’esplicito divieto del citato art. 20 del Covenant
internazionale sui diritti civili e politici. Nei dibattiti televisivi
non fu consentita, come da molti richiesto, l’interpretazione puntuale
della Carta delle Nazioni Unite e dei pertinenti articoli della
Costituzione italiana, in particolare degli artt. 11 e 78. Si attentò
flagrantemente alla salute mentale e alla coscienza dei bambini e dei
giovani e, più in generale, alla morale pubblica. Giova ricordare che
Giovanni Paolo II insorse contro questa illegalità, gridando, con esteso
seguito popolare, che la guerra è “avventura senza ritorno”. Dal canto
suo in “Un’Agenda per la pace” il Segretario Generale delle Nazioni
Unite scrive che l’art. 42 della Carta, che prevede le operazioni
militari direttamente gestite dall’ONU, non ha finora trovato attuazione
in nessuna occasione, con ciò smentendo autorevolmente e
definitivamente quanti sostennero che nel Golfo si realizzò una
“operazione di polizia delle Nazioni Unite”.
Negli anni successivi al 1991, il movimento per la pace italiano ha
continuato nell’impegno teso a elucidare la Carta delle Nazioni Unite e
le convenzioni internazionali sui diritti umani e a diffonderne i valori
e i principi. A dimostrazione di questo importante impegno civile,
giuridico e politico di società civile, sta la grande mobilitazione
popolare del 1995 – 50° anniversario delle Nazioni Unite – culminata
nella marcia della pace Perugia-Assisi all’insegna di “Noi popoli delle
Nazioni Unite” (24 settembre 1995). In questa occasione sono state
avanzate al governo italiano puntuali proposte per il potenziamento e la
democratizzazione delle Nazioni Unite. Si è in particolare chiesto che
l’Italia adempia a quanto previsto dall’art. 43 e devolva quindi all’ONU
una parte delle proprie forze armate perché siano definitivamente
riconvertite in forze di polizia militare delle Nazioni Unite. In data
18 ottobre 1995, è stata presentata in Parlamento, per iniziativa di
esponenti dei vari gruppi politici, una mozione parlamentare che
recepisce, per esplicita dichiarazione, le principali proposte della
“Perugia-Assisi”
Il 24 ottobre del 1996, in occasione della celebrazione della
giornata delle Nazioni Unite svoltasi nella Sala del Cenacolo (Camera
dei Deputati) su iniziativa del movimento pacifista, il Presidente della
Commissione Estera della Camera ha dichiarato che il futuro dell’ONU è
oggi al centro della politica estera italiana e che l’Italia è pronta a
dare adempimento a quanto previsto dall’art. 43 della Carta. In questo
stesso senso si è dichiarato il Ministro degli Esteri Dini, pronunciando
il suo discorso alla 51a sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni
Unite.
Dunque, quanto oggi ufficialmente perseguito dallo Stato italiano, fu
chiesto dai pacifisti all’epoca della guerra del Golfo. Sicché le
dimostrazioni nonviolente di allora devono, per verità storica, essere
intese non solo come affermazione di legalità internazionale, non solo
come feconda lezione di etica universale, ma anche come illuminata
anticipazione politica dei legittimi comportamenti governativi ora
richiamati
Padova, 26 gennaio 1997