È stata presentata la bozza di nuova Strategia Forestale Nazionale (SFN) per i prossimi 20 anni, su cui si è appena conclusa la consultazione pubblica.
Il GUFI – Gruppo Unitario per le Foreste Italiane, insieme a USB – Unione Sindacati di Base e alle associazioni Grig – Gruppo Intervento Giuridico, ISDE Italia – Medici per l’ambiente, Italia Nostra Toscana, Italia Nostra Abruzzo, Italia Nostra Friuli Venezia Giulia, Italia Nostra Marche, Italia Nostra ABC Alleanza Bene Comune – La Rete, ALTURA – Associazione per La Tutela degli Uccelli Rapaci e dei loro habitat, CODACONS, Atto Primo: salute, ambiente e cultura, Comitato Tutela Alberi Bologna e Provincia, European Consumers, Forum Ambiente e Salute Lecce, Lipu Grosseto, Lupus in Fabula, Liberi Pensatori a Difesa della Natura, STAI-Stop Taglio Alberi Italia – Comitato Coordinamento Nazionale, CISDAM (Centro Italiano Studi e Documentazione per gli Abeti Mediterranei), Ecoistituto Abruzzo, Mila Donnambiente, Le Majellane e Centro Parchi Internazionale, esprimono una forte delusione per i contenuti e gli obiettivi del documento. Le associazioni firmatarie, bocciando l’impianto della Strategia nel suo complesso, hanno trasmesso al Ministero le seguenti osservazioni.
Nella Strategia prevale un indirizzo economico di sfruttamento estrattivo delle risorse (in particolare per la fornitura di biomassa per il settore energetico), trattando le foreste come infrastrutture produttive. La SFN, al di là di qualche frase fatta sulla protezione dell’ambiente, fa propri gli assunti del TUFF – Testo Unico Forestale: vede nell’espandersi della superficie dei boschi italiani un problema e spinge per una maggiore “manutenzione” degli stessi in un’ottica di gestione attiva. Una gestione ad alto impatto ambientale già ora ampiamente praticata, le cui conseguenze sono la riduzione della biodiversità e un maggiore rischio idrogeologico. L’assimilazione della Gestione Forestale Sostenibile con la Gestione Attiva nella Strategia è impropria e viola la normativa internazionale, e non viene bilanciata da norme a salvaguardia dell’ambiente.
L’approccio ecologico dichiarato è solo di facciata, non c’è la ricerca di un equilibrio fra produzione e tutela delle foreste. L’effettiva partecipazione è impedita in quanto la proposta di SFN non indica in modo chiaro e trasparente i propri presupposti e le sue reali priorità. In particolare mancano dati certi sulla reale consistenza del patrimonio forestale nazionale, sull’entità delle utilizzazioni e sul loro andamento nell’ultimo decennio, senza i quali una programmazione forestale perde di senso. Il Green Deal Europeo viene ignorato, in quanto la SFN è stata proposta senza attendere le nuove strategie europee, quella sulla Biodiversità, nonché la nuova strategia forestale europea prevista per il 2020. Il quadro normativo di riferimento ignora la Legge sulle Norme in materia di domini collettivi e non è stata considerata nelle valutazioni di coerenza e coordinamento la strategia nazionale per le aree interne (SNAI).
La Strategia non tiene in conto del ruolo fondamentale (nel contesto della crisi climatica): della silvicoltura intesa come ecologia applicata di ispirazione naturalistica e sistemica; del restauro forestale; di aree di monitoraggio permanenti; delle aree ad accrescimento naturale e indefinito; del ruolo delle comunità locali e della necessità di distinguere tra aree produttive ed aree conservative, tra ecoservizi ed ecobenefici. Gli ecobenefici dovrebbero essere tutelati slegandoli da questioni economiche. Appaiono travisate le competenze in materia di AIB (Anti Incendio Boschivo) ed il ruolo della Legge quadro in materia di incendi boschivi e non risulta al riguardo alcun coordinamento con i ministeri competenti e la Protezione Civile. Manca una reale analisi di copertura finanziaria.
Il documento appare quindi prematuro e la consultazione pubblica dovrà essere riproposta. I problemi del settore forestale sono conseguenza di anni di politiche sbagliate che hanno delegato alle Regioni la gestione del patrimonio boschivo: le leggi variano grandemente da Regione a Regione, con un caos normativo che si traduce in una mancanza di visione a lungo termine. È necessario armonizzare le normative e le strutture regionali fra loro secondo una logica unitaria, per uscire dall’anarchia nella quale versa il settore forestale e si devono riorganizzare i servizi e gli uffici regionali sul territorio secondo livelli standard omogenei.
La gestione del patrimonio forestale pubblico e dei boschi privati “abbandonati”, degli alvei dei fiumi, delle aree in dissesto idrogeologico e dell’antincendio boschivo deve essere affidata ad agenzie multiservizi regionali pubbliche, dotate di strutture tecniche adeguate, che devono operare attraverso una programmazione annuale. Alle stesse si potrebbe anche affidare il servizio di irrigazione agricola svolto attualmente dai consorzi regionali, con un contratto di servizio unitario a livello regionale attraverso la cessione dell’acqua agli agricoltori a un prezzo politico, differenziato sulla base degli effettivi consumi e della redditività delle colture. Solo queste entità pubbliche fornirebbero le necessarie garanzie sul corretto impiego delle risorse e beni pubblici e sulla gestione di boschi e terreni abbandonati nell’interesse esclusivo della collettività, al pari dell’acqua e degli altri beni comuni, nelle quali ricollocare e riorganizzare il personale delle soppresse comunità montane, dei consorzi di bonifica, e di quello impiegato per questi servizi presso le strutture regionali e provinciali, nelle quali assumere e far lavorare stabilmente centinaia di persone in ogni regione, soprattutto delle aree interne, dove maggiore è l’abbandono del territorio e la disoccupazione.
L’Italia non si può permettere di perdere altri 20 anni per porre rimedio ad una situazione che continua a peggiorare sempre di più: l’incremento continuo di incendi, frane e alluvioni che interessano il territorio sono una prova evidente dei cambiamenti climatici in atto e richiedono l’adozione di scelte coraggiose e non più procrastinabili. Scelte che considerino i benefici ecosistemici e mirino alla conservazione del patrimonio boschivo e non a incentivarne lo sfruttamento. La pubblica amministrazione deve ritornare alla sua funzione istituzionale originaria, che non è certo quella produttiva finalizzata a massimizzare i ricavi immediati, svendendo il valore del patrimonio forestale pubblico fin qui accumulato.
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Negli ultimi anni l’Europa ha perso una grande area forestale a causa della raccolta di legname, riducendo la capacità di assorbimento di carbonio del continente e forse indicando problemi più ampi. Molte foreste dell’UE, che rappresentano circa il 38% della superficie terrestre, sono gestite per la produzione di legname, ma la perdita di biomassa è aumentata del 69% nel periodo che va dal 2016 al 2018.
Si prevede che l’area raccolta arriverà ad essere meno del 10% a causa dei cicli di coltivazione e semina. Secondo Guido Ceccherini del Centro comune di ricerca dell’UE, autore principale dello studio, risulta probabile che altri fattori siano in gioco e potrebbero includere un aumento della domanda di legno come combustibile e mercati più grandi per legname e altri prodotti.
I dati satellitari potrebbero quindi essere un indicatore precoce di richieste insostenibili poste nelle foreste dell’UE. La perdita di biomassa forestale è più pronunciata in Svezia, con una percentuale del 29%, mentre in Finlandia si registra il 22%. Molto meno colpiti sono stati Polonia, Spagna, Lettonia, Portogallo ed Estonia, che hanno rappresentato congiuntamente circa il 30% dell’aumento nei 26 paesi studiati.
L’aumento della domanda di legname e prodotti in legno, come la carta, e una maggiore combustione di biomassa possono essere alla base del rapido aumento della raccolta osservato nei paesi nordici. In tal caso, secondo i ricercatori, è importante sapere i possibili impatti negativi. Il prof. Thomas Crowther, fondatore di Crowther Lab, che non era coinvolto nella ricerca, ha dichiarato: "È preoccupante vedere che la crescente domanda di prodotti forestali potrebbe ridurre il carbonio immagazzinato all’interno della biomassa vivente nelle foreste europee. Probabilmente è più preoccupante che la rimozione delle foreste possa anche minacciare lo stoccaggio di carbonio sottoterra. Queste foreste ad alta latitudine supportano alcune delle più grandi riserve di carbonio del suolo sulla terra. Se il disboscamento delle foreste minaccia l’integrità degli stoccaggi di carbonio nel suolo ad alta latitudine, gli impatti climatici potrebbero essere più forti del previsto".