Il veloce passaggio dei giorni sembra relegare l’esperienza
del coronavirus in un passato remoto, quasi con un velato desiderio di
dimenticare velocemente tutto quello che è successo. Magari con l’illusione di
cancellare l’esperienza con le sue cause ed effetti semplicemente smettendo di
pensarci. Invece non è così.
Il “lockdown” che siamo stati obbligati a vivere per
salvaguardare la nostra salute e la vita delle comunità, ha provocato allo
stesso tempo anche la chiusura delle attività produttive e commerciali. I
numeri legati alle attività costrette alla chiusura, alla cassa integrazione e
alle maggiori spese che comporterà il mettere in atto tutti i protocolli
previsti per la prevenzione del contagio sta provocando conseguenze peggiori
rispetto alla stessa crisi del 2008. Una crisi impressionante, da qualsiasi
lato la si guardi, di quasi 34.000 morti solo in Italia. Le scuole sono state
le prime a chiudere e saranno le ultime a riaprire. Il 40% delle famiglie farà
fatica a pagare l’affitto. I negozi dichiarano il 50% in meno di fatturato. Un
milione di posti di lavoro in meno è la previsione per il prossimo periodo e sicuramente
i giovani risentiranno in modo particolare di questa situazione.
Da questo
punto di vista possiamo ben dire che “il bello deve ancora venire”. È stato un periodo in cui
tutti abbiamo sofferto e faticato, anche se in maniera molto diversa: gli addetti
alla sanità in primis, ma anche quelli del settore dei trasporti, delle
consegne a domicilio, dei supermercati, dei prodotti legati alle pulizie, alla
sanificazione degli ambienti hanno fatto un servizio essenziale, spesso in
situazioni difficili, frustranti, per rispettare le norme, per rispondere ad
esigenze più o meno necessarie. Le famiglie hanno dovuto affrontare problemi
legati alla mancanza della salute, alla presenza di persone con handicap, con
bambini che hanno sentito forte la mancanza di giocare all'aria aperta e della
relazione con i coetanei: tutte situazioni che hanno trovato poco spazio nei
nostri mezzi di comunicazione. Una catena di produzione che sicuramente non ha
conosciuto soste e crisi in questo periodo è quella della produzione e
commercializzazione delle armi, settore che vede l’Italia in un posto
certamente non di secondo piano a livello internazionale. Adesso si assiste
alla divisione tra coloro che chiedono di recuperare la precedente “normalità”
e coloro che sperano in un grande cambiamento, temendo la persistenza degli
errori del passato.
La
necessità di fermarsi ha liberato improvvisamente molto tempo per la propria
casa e famiglia, a patto di averne una, e ha consentito di rivedere tante
modalità di relazione al suo interno: nella coppia, con i figli; ci ha fatto capire ciò che è realmente indispensabile e cosa invece
è secondario e l'importanza di dare il giusto valore alle cose e ai rapporti
umani.
Sono emersi esempi di grande altruismo e
generosità, di buon vicinato e di sostegno reciproco; tante persone si sono
messe al servizio dei più bisognosi attraverso il volontariato civile o legato
alla Caritas e questo ha consentito di sostenere le molte situazioni di
emergenza: consegne di cibo e farmaci a domicilio, vicinanza psicologica, aiuto
concreto nelle situazioni di disabilità.
Allo
stesso tempo non sono mancati episodi preoccupanti di insofferenza per le
difficoltà, insulti verbali sui social, violenza fisica nelle case,
intolleranza e quasi una “guerra tra poveri”.
La “patologica” ricerca del colpevole a cui addossare le responsabilità
legate a questa situazione, oltre che le proprie frustrazioni e la propria
rabbia: a turno prima la Cina, poi il Governo, i “poteri forti” e c’era anche,
ma forse c’è ancora, chi lavora “dietro le quinte” per remare contro le
inadempienze invece di collaborare per individuare possibili strade di
superamento.
È
reale il pericolo che dalla rabbia si passi allo scoraggiamento e così il futuro cambia segno: da promessa diventa una minaccia.
L’esperienza del Covid comporterà necessariamente
un cambiamento, “niente sarà più come prima” e sarà duro aprire cammini
positivi data la debolezza, se non l’assenza, di una vera politica.
Manca, nella gestione dell’insieme, la
riflessione su tutto: dobbiamo
ammettere che siamo arrivati a questo per una serie di logiche, di scelte politiche, economiche e industriali, per arrivare al
nostro stile di vita; concretamente consideriamo la natura non la “madre” a cui
tutto è collegato, ma opportunità da sfruttare senza rispetto e senza regole.
A questo punto però non possiamo tornare come
prima, ma dobbiamo provare ad imparare la lezione.
Abbiamo visto che mentre noi rimanevamo chiusi
nelle nostre case la Natura finalmente si riprendeva spazi da dove prima
sembrava espulsa. Inoltre ci siamo resi conto che molto dipende dal sistema
capitalistico in cui viviamo, ma anche da quanto diamo spazio al “capitalismo
in noi”.
Quali scelte personali posso mettere in atto per
vivere un rapporto diverso con la natura e con le cose, con il lavoro e la
gestione del tempo e degli affetti?
Quali le priorità necessarie per la vita: siamo
rimasti senza tante cose, chiusi in casa, ma forse abbiamo capito che un po' di
sobrietà fa tanto bene.
Siamo consapevoli che occorre una nuova organizzazione
del lavoro, una gestione intelligente dei rifiuti e dei combustibili, una
posizione precisa a riguardo della produzione e il commercio delle armi per
dare spazio a una economia più umana, sostenibile e rispettosa dell’ambiente.
Molto dipende anche da noi: è tempo di diventare cittadini attivi e
consapevoli, attenti alle scelte di chi ha responsabilità di governo e dell'amministrazione
locale ma è fondamentale una assunzione di responsabilità concreta e coerente
nel nostro quotidiano.
Serve una riflessione che aiuti a riscrivere
un’etica del lavoro da parte di chi lo crea e di chi lo vive in quanto operaio
e collaboratore. Un’etica che impedisca di “approfittare” della situazione di
emergenza per fare “i propri interessi” ma diventi una prospettiva che aiuti a
capire che solo un mondo dove tutti stanno bene, dove anche gli operai ricevono
il giusto stipendio allora anche l’economia funzionerà meglio, per tutti.
Occorre avere il coraggio di discutere di una “retribuzione di base” per tutti
(come ci ricorda anche Papa Francesco) per garantire a tutti la possibilità di
vivere e di agire in libertà. Così come è necessario che ciascuno dia il meglio
di sé nel proprio lavoro, scoprendo la bellezza di una vocazione al lavoro,
dove la vita stessa di ogni uomo assume senso e valore.
In questo il cristiano, dal Vangelo, ha indicazioni chiare
per realizzare "il bene comune".
“L’avete fatto a me…” così ci dice Gesù in Matteo 25: ogni
volta che noi agiamo, scegliamo, lavoriamo, produciamo, compriamo e vendiamo l’abbiamo
fatto a lui. C’è un mondo intero da servire, un mondo nuovo da costruire. La
pandemia che stiamo ancora vivendo può essere la buona occasione per
ricominciare in modo nuovo, “da cristiani”.
“Peggio della pandemia ci può essere solamente il rischio
di sprecarla”
(Papa Francesco, 31 maggio 2020)
Commissione
di Pastorale Sociale: Lavoro, Giustizia e Pace, Cura del Creato, della Diocesi di Vicenza