Un articolo del 2015 di Jean Pisani Ferry + Un libro del 1995 di Jeremy Rifkin...
La fine del lavoro come l'abbiamo sempre conosciuto
Nel 1983, l'economista americano premio Nobel
Wassily Leontief fece quello che allora sembrò un pronostico
sorprendente. Le macchine, disse, probabilmente sostituiranno la
manodopera umana in modo alquanto simile a come il trattore ha
sostituito il cavallo. Con circa 200 milioni di disoccupati nel mondo –
30 milioni in più rispetto al 2008 – le parole di Leontief oggi non
sembrano più stravaganti come allora.
In verità, ci sono pochi dubbi sul fatto che la tecnologia sta
trasformando radicalmente il mercato globale del lavoro. Certo, le
previsioni come quelle di Leontief suscitano molto scetticismo negli
economisti, e a buon motivo. Dal punto di vista storico, di rado gli
aumenti della produttività hanno fatto sparire posti di lavoro. Ogni
volta che le macchine hanno migliorato l'efficienza produttiva (compresi
i trattori, quando ebbero la meglio sui cavalli), i vecchi posti di
lavoro sono scomparsi, ma ne sono stati creati di nuovi. Inoltre, gli
economisti masticano numeri, e i dati recenti mostrano un rallentamento –
piuttosto che un'accelerazione – negli aumenti della produttività.
Quando si parla del numero reale dei posti di lavoro disponibili, ci
sono buoni motivi per mettere in discussione le terribili previsioni dei
catastrofisti. Ma ci sono anche buone ragioni per riflettere sul fatto
che è la natura stessa del lavoro che sta cambiando davanti i nostri
occhi.
Tanto per cominciare, come ha osservato David Autor, economista
all'Mit, gli sviluppi nell'automazione del lavoro trasformano alcuni
mestieri più di altri. I lavoratori che svolgono compiti di routine,
come l'analisi dei dati, sempre più spesso e quasi certamente saranno
sostituiti dalle macchine. Invece coloro che svolgono professioni più
creative verosimilmente andranno incontro a un aumento della
produttività. Nel frattempo, i lavoratori che forniscono servizi alla
persona potrebbero non veder cambiare per niente il loro lavoro. In
altre parole, i robot potrebbero togliere il posto a un commercialista,
aumentare la produttività di un chirurgo, lasciare inalterata l'attività
di una parrucchiera.
Lo scompiglio che si ripercuoterà nella struttura della forza lavoro
potrà assumere importanza in rapporto al numero reale dei posti di
lavoro che ne saranno colpiti. Gli economisti chiamano il risultato più
plausibile di questo fenomeno “polarizzazione dell'occupazione”.
L'automazione crea posti di lavoro nel settore dei servizi alla base
della scala salariale, mentre aumenta la quantità e la redditività dei
posti di lavoro al vertice. Ma la parte intermedia del mercato del
lavoro ne risulterà svuotata. Questo tipo di polarizzazione sta andando
avanti da decenni negli Stati Uniti, ed è ora in corso anche in Europa,
con importanti ripercussioni sulla società. Dalla fine della Seconda
guerra mondiale, la classe media ha costituito l'ossatura della
democrazia, dell'impegno civile, della stabilità. Coloro che non
appartenevano alla classe media potevano concretamente aspirare a
entrare a farne parte, o addirittura credere di poterne fare parte
quando così non accadeva.
A mano a mano che i cambiamenti nel mercato del lavoro disgregano la
classe media, potrebbe scatenarsi una nuova rivalità di classe (se così
già non è). Oltre ai cambiamenti determinati dall'automazione, il
mercato del lavoro sta subendo notevoli trasformazioni anche da
piattaforme digitali come Uber che facilitano gli scambi tra i clienti e
i fornitori individuali di servizi. Un cliente che telefona a un
conducente Uber non acquista un servizio solo, ma due: uno dall'azienda
(la connessione a un conducente la cui qualità di guida è garantita dai
voti assegnati dai clienti precedenti), e l'altro dal conducente (il
trasporto da un posto a un altro). Uber e le altre piattaforme digitali
stanno ridefinendo l'interazione tra consumatori, lavoratori e datori di
lavoro. Stanno anche rendendo non più necessaria la rinomata azienda di
epoca industriale, un'istituzione fondamentale che è riuscita a
specializzarsi e a risparmiare sulle spese di transazione. A differenza
di quanto accade in un'azienda, il rapporto di Uber con i conducenti non
fa affidamento su un tradizionale contratto di lavoro. In verità, il
software aziendale funge da mediatore tra il conducente e il cliente, in
cambio di un compenso. Questo cambiamento apparentemente minimo
potrebbe di fatto avere conseguenze di vasta portata. Invece di essere
regolato da un contratto, il valore del lavoro è soggetto alle medesime
forze di mercato che affliggono qualsiasi altro bene economico, dato che
i servizi variano di prezzo in rapporto all'offerta e alla domanda. Il
lavoro si ancora al mercato. Si potrebbero citare anche altri
cambiamenti meno perturbatori, come l'ascesa del capitale umano. Un
numero in costante aumento di giovani laureati snobba posti di lavoro
apparentemente interessanti in grosse compagnie, preferendo guadagnare
molto meno e lavorare in una start-up o in settori creativi. Se il
fascino del corrispondente stile di vita può spiegare almeno in parte
questo fenomeno, in verità tale scelta potrebbe anche essere un modo per
aumentare il reddito complessivo da lavoro nel ciclo vitale. Invece di
mettere a disposizione le proprie capacità e competenze a un prezzo
predeterminato, questi giovani laureati preferiscono sfruttare al
massimo il flusso di reddito da lavoro nel ciclo vitale che potrebbero
derivare dal proprio capitale umano.
[continua]
La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato
Un noto saggio di economia scritto da Jeremy Rifkin e pubblicato in Italia da Baldini&Castoldi nel 1995 e successivamente da Oscar Mondadori nel 2002.
La tesi dell'autore
Nella parte iniziale del libro l'autore espone la sua tesi: prima delle rivoluzioni industriali, più del 90% della popolazione americana si occupava di agricoltura.
Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle fabbriche. Attualmente solo il 3% della popolazione si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole, la domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione.
Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di lavoro.
Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero un crescente numero di lavoratori.
A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione.
[continua]
dalla pagina https://www.theguardian.com/technology/2017/may/08/virtual-reality-religion-robots-sapiens-book
Yuval Noah Harari, "Disoccupati e felici" in Internazionale, n. 1218, 18/24 agosto 2017, pp. 56-57
As technology renders jobs obsolete, what will keep us busy?
Il senso della vita in un mondo senza lavoro
Mentre la tecnologia rende i lavori obsoleti, che cosa ci terrà occupati?
Mentre la tecnologia rende i lavori obsoleti, che cosa ci terrà occupati?