martedì 22 agosto 2017

La fine del lavoro?

Un articolo del 2015 di Jean Pisani Ferry + Un libro del 1995 di Jeremy Rifkin...


La fine del lavoro come l'abbiamo sempre conosciuto

Nel 1983, l'economista americano premio Nobel Wassily Leontief fece quello che allora sembrò un pronostico sorprendente. Le macchine, disse, probabilmente sostituiranno la manodopera umana in modo alquanto simile a come il trattore ha sostituito il cavallo. Con circa 200 milioni di disoccupati nel mondo – 30 milioni in più rispetto al 2008 – le parole di Leontief oggi non sembrano più stravaganti come allora.
In verità, ci sono pochi dubbi sul fatto che la tecnologia sta trasformando radicalmente il mercato globale del lavoro. Certo, le previsioni come quelle di Leontief suscitano molto scetticismo negli economisti, e a buon motivo. Dal punto di vista storico, di rado gli aumenti della produttività hanno fatto sparire posti di lavoro. Ogni volta che le macchine hanno migliorato l'efficienza produttiva (compresi i trattori, quando ebbero la meglio sui cavalli), i vecchi posti di lavoro sono scomparsi, ma ne sono stati creati di nuovi. Inoltre, gli economisti masticano numeri, e i dati recenti mostrano un rallentamento – piuttosto che un'accelerazione – negli aumenti della produttività. Quando si parla del numero reale dei posti di lavoro disponibili, ci sono buoni motivi per mettere in discussione le terribili previsioni dei catastrofisti. Ma ci sono anche buone ragioni per riflettere sul fatto che è la natura stessa del lavoro che sta cambiando davanti i nostri occhi.
Tanto per cominciare, come ha osservato David Autor, economista all'Mit, gli sviluppi nell'automazione del lavoro trasformano alcuni mestieri più di altri. I lavoratori che svolgono compiti di routine, come l'analisi dei dati, sempre più spesso e quasi certamente saranno sostituiti dalle macchine. Invece coloro che svolgono professioni più creative verosimilmente andranno incontro a un aumento della produttività. Nel frattempo, i lavoratori che forniscono servizi alla persona potrebbero non veder cambiare per niente il loro lavoro. In altre parole, i robot potrebbero togliere il posto a un commercialista, aumentare la produttività di un chirurgo, lasciare inalterata l'attività di una parrucchiera.
Lo scompiglio che si ripercuoterà nella struttura della forza lavoro potrà assumere importanza in rapporto al numero reale dei posti di lavoro che ne saranno colpiti. Gli economisti chiamano il risultato più plausibile di questo fenomeno “polarizzazione dell'occupazione”. L'automazione crea posti di lavoro nel settore dei servizi alla base della scala salariale, mentre aumenta la quantità e la redditività dei posti di lavoro al vertice. Ma la parte intermedia del mercato del lavoro ne risulterà svuotata. Questo tipo di polarizzazione sta andando avanti da decenni negli Stati Uniti, ed è ora in corso anche in Europa, con importanti ripercussioni sulla società. Dalla fine della Seconda guerra mondiale, la classe media ha costituito l'ossatura della democrazia, dell'impegno civile, della stabilità. Coloro che non appartenevano alla classe media potevano concretamente aspirare a entrare a farne parte, o addirittura credere di poterne fare parte quando così non accadeva.
A mano a mano che i cambiamenti nel mercato del lavoro disgregano la classe media, potrebbe scatenarsi una nuova rivalità di classe (se così già non è). Oltre ai cambiamenti determinati dall'automazione, il mercato del lavoro sta subendo notevoli trasformazioni anche da piattaforme digitali come Uber che facilitano gli scambi tra i clienti e i fornitori individuali di servizi. Un cliente che telefona a un conducente Uber non acquista un servizio solo, ma due: uno dall'azienda (la connessione a un conducente la cui qualità di guida è garantita dai voti assegnati dai clienti precedenti), e l'altro dal conducente (il trasporto da un posto a un altro). Uber e le altre piattaforme digitali stanno ridefinendo l'interazione tra consumatori, lavoratori e datori di lavoro. Stanno anche rendendo non più necessaria la rinomata azienda di epoca industriale, un'istituzione fondamentale che è riuscita a specializzarsi e a risparmiare sulle spese di transazione. A differenza di quanto accade in un'azienda, il rapporto di Uber con i conducenti non fa affidamento su un tradizionale contratto di lavoro. In verità, il software aziendale funge da mediatore tra il conducente e il cliente, in cambio di un compenso. Questo cambiamento apparentemente minimo potrebbe di fatto avere conseguenze di vasta portata. Invece di essere regolato da un contratto, il valore del lavoro è soggetto alle medesime forze di mercato che affliggono qualsiasi altro bene economico, dato che i servizi variano di prezzo in rapporto all'offerta e alla domanda. Il lavoro si ancora al mercato. Si potrebbero citare anche altri cambiamenti meno perturbatori, come l'ascesa del capitale umano. Un numero in costante aumento di giovani laureati snobba posti di lavoro apparentemente interessanti in grosse compagnie, preferendo guadagnare molto meno e lavorare in una start-up o in settori creativi. Se il fascino del corrispondente stile di vita può spiegare almeno in parte questo fenomeno, in verità tale scelta potrebbe anche essere un modo per aumentare il reddito complessivo da lavoro nel ciclo vitale. Invece di mettere a disposizione le proprie capacità e competenze a un prezzo predeterminato, questi giovani laureati preferiscono sfruttare al massimo il flusso di reddito da lavoro nel ciclo vitale che potrebbero derivare dal proprio capitale umano.

La fine del lavoro, il declino della forza lavoro globale e l'avvento dell'era post-mercato

Un noto saggio di economia scritto da Jeremy Rifkin e pubblicato in Italia da Baldini&Castoldi nel 1995 e successivamente da Oscar Mondadori nel 2002. 

La tesi dell'autore

Nella parte iniziale del libro l'autore espone la sua tesi: prima delle rivoluzioni industriali, più del 90% della popolazione americana si occupava di agricoltura.
Nella prima rivoluzione industriale grandi masse di lavoratori lasciano l'agricoltura per andare ad operare nelle fabbriche. Attualmente solo il 3% della popolazione si occupa di agricoltura, ma grazie alle macchine agricole, la domanda è ampiamente soddisfatta dalla copiosa produzione.
Nella seconda rivoluzione industriale, le macchine e l'automazione prendono il posto dell'uomo nell'industria manufatturiera, e le masse di lavoratori lasciano le fabbriche per spostarsi nel terziario ed adottare il computer come strumento di lavoro.
Ora siamo nel corso di una terza rivoluzione industriale, nella quale l'incredibile progressione della potenza di calcolo dei moderni elaboratori, pone in esubero un crescente numero di lavoratori.
A seguito di questo, la realtà che l'autore vuole evidenziare è che le masse di lavoratori che escono dal terziario, entrano a far parte del mondo della disoccupazione.
[continua]



dalla pagina https://www.theguardian.com/technology/2017/may/08/virtual-reality-religion-robots-sapiens-book
Yuval Noah Harari, "Disoccupati e felici" in Internazionale, n. 1218, 18/24 agosto 2017, pp. 56-57

The meaning of life in a world without work

As technology renders jobs obsolete, what will keep us busy?

Il senso della vita in un mondo senza lavoro
Mentre la tecnologia rende i lavori obsoleti, che cosa ci terrà occupati?