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Intervista. Giacomo Grassi, vincitore del premio «Bologna Award 2020» per aver elaborato politiche per la mitigazione del clima: «Servono cambiamenti profondi anche nel sistema di produzione alimentare»
Proteggiamo il territorio se vogliamo salvarci dal caos climatico. Lo spiega il Rapporto speciale su cambiamenti climatici e territorio dell’Ipcc (Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici). Giacomo Grassi, senior scientist al Centro Comune di Ricerca della Commissione Europea a Ispra (Va) è fra gli autori di questo e altri approfondimenti e vincitore del «Bologna Award 2020», Premio per la sostenibilità agroalimentare.
Secondo l’Ipcc, il sistema alimentare globale, dalla produzione agrozootenica al consumo contribuisce per il 25-30% alle emissioni antropogeniche globali di gas serra. Ma grazie ai flussi di gas serra in entrata, gli ecosistemi terresti sono un fattore di protezione del sistema climatico.
La biosfera terrestre – particolarmente grazie alle foreste – assorbe ogni anno quasi il 30% delle emissioni antropogeniche di anidride carbonica attraverso la fotosintesi, per poi conservarla negli alberi e nel suolo. Proteggere queste «banche» di carbonio è una priorità. In particolare, alcuni suoli contengono enormi quantità di carbonio, come le torbiere sature d’acqua o il permafrost, cioè il suolo a elevate latitudini che resta permanentemente ghiacciato. Ma questi suoli sono vulnerabili, ed i rischi di rilascio di carbonio in atmosfera sono gravi, legati ad esempio all’uso delle torbiere a fini agricoli, oppure all’aumento delle temperature. In molte aree il permafrost si sta già sciogliendo. Se questo avvenisse su vaste superfici, sarebbe un disastro.
Il circolo vizioso fra cambiamenti climatici e degrado degli ecosistemi in effetti è potenzialmente esplosivo.
I cambiamenti climatici aumentano il tasso e l’entità del degrado ecosistemico attraverso due fattori principali: aumento della frequenza, intensità e/o quantità di forti precipitazioni e aumento dello stress da calore. A seconda del territorio, questi effetti saranno ulteriormente amplificati da inondazioni, fenomeni siccitosi più frequenti, aumento dell’intensità dei cicloni e innalzamento del livello dei mari. La distribuzione di parassiti e patologie cambierà, influenzando negativamente la produzione agricola in molte regioni. Quando si parla di mitigazione, è fondamentale cercare di migliorare la resilienza degli ecosistemi agricoli e forestali nei confronti degli effetti dei cambiamenti climatici, per garantire la permanenza del carbonio immagazzinato e preservarne la capacità di assorbimento di CO2 nel tempo.
Le foreste sono imprescindibili per sottrarre CO2 dall’atmosfera.
Si, le foreste sono necessarie, anche per raggiungere quella «neutralità climatica» che l’accordo di Parigi richiede nella seconda metà di questo secolo. L’Unione Europea ha anticipato questo obiettivo al 2050, e con il Green Deal intende porsi in prima fila nella battaglia ai cambiamenti climatici. Ma le foreste sono minacciate. La deforestazione rilascia rapidamente il carbonio che la foresta aveva pazientemente accumulato: a livello globale questo processo avviene soprattutto in aree tropicali, solitamente attraverso incendi appiccati dall’uomo, ed è responsabile di circa il 12% delle emissioni antropogeniche di CO2. Ma la deforestazione tropicale distrugge anche un patrimonio unico di biodiversità, causa la perdita della fertilità dei suoli e, modificando i bilanci di energia ed acqua, causa un aumento delle temperature locali. L’effetto combinato di deforestazione e cambiamenti climatici può innescare un spirale micidiale: meno foreste, meno acqua traspirata dalle piante, meno pioggia e più caldo. Questo facilita incendi più estesi, e ancora meno foreste. Molti studi sostengono che l’Amazzonia sia ormai vicina ad un punto di non ritorno. Non dimentichiamo che la causa principale della deforestazione tropicale è le crescente richiesta di spazi per allevamenti e per colture.
Accanto all’azione politica e culturale su questi fattori economici, ci sono altre strade per migliorare il ruolo climatico delle foreste?
Occorre proteggere le foreste esistenti e ripristinare quelle degradate, puntando sulla loro maggiore resilienza ai cambiamenti climatici, ad esempio con specie più adatte a sopportare forti venti o con tecniche di selvicoltura naturalistica. E poi, nuovi boschi. In Italia l’area boschiva è raddoppiata nell’ultimo secolo – grazie al naturale processo di espansione sugli ex terreni agricoli – e oggi copre oltre un terzo del territorio nazionale. A livello Ue, la proposta della Commissione europea è di ampliare la superficie forestale piantando tre miliardi di alberi. Nuovi alberi possono fornire benefici multipli: non solo assorbono CO2, ma aiutano a diminuire le temperature e gli inquinanti in zone urbane e periurbane. E poi, non dimentichiamoci del legno: utilizzarlo nelle costruzioni ha il duplice vantaggio di immagazzinare per decenni la CO2 assorbita e ridurre le emissioni associate alla produzione di cemento e acciaio.
Diamo un po’ di cifre sulle possibili riduzioni delle emissioni grazie a interventi in campo agroalimentare e forestale.
Le emissioni di gas serra si aggirano ormai intorno a 50 GtCO2-eq/ anno. Nel settore agricolo, una maggiore efficienza delle attività zootecniche e delle fertilizzazioni, e l’aumento della sostanza organica dei suoli, hanno un potenziale di mitigazione di circa 1-4 GtCO2 CO2-eq/anno. Azioni del settore alimentare possono arrivare a ridurre le emissioni di 1-8 GtCO2-eq/anno con cambiamenti verso diete a basso consumo di carne e di circa 1-4 GtCO2-eq/anno con la riduzione degli sprechi e delle perdite alimentari. In ambito forestale, l’espansione delle foreste ha un forte potenziale di mitigazione, fino a circa 10 GtCO2/anno. E la protezione delle foreste dalla deforestazione e la degradazione si combina a elevati benefici ambientali e sociali. Questi numeri esprimono un potenziale la cui realizzazione è spesso ostacolala da barriere politiche, sociali ed economiche.
Si cercano escamotages nella cosiddetta geo-ingegneria, per esempio la cattura e stoccaggio del carbonio in depositi sotterranei. Sono davvero sostenibili?
Gran parte dei modelli prevedono che, per raggiungere la neutralità climatica, sarà necessario adottare tecniche di questo tipo. C’è molta attenzione alla potenziale combinazione (detta Beccs) di colture bioenergetiche e sistemi di cattura e stoccaggio di carbonio, per generare energia rimuovendo al tempo stesso CO2 dall’atmosfera. Tuttavia, l’attuazione di queste misure su larga scala è spesso criticata, sia per i dubbi sulla fattibilità tecnica dello stoccaggio di carbonio che per il rischio di competizione con colture a scopo alimentare.
Il 2020 è stato un anno particolare. Quali tracce lascerà nell’impegno climatico?
Finora il 2020 risulta il secondo anno più caldo mai registrato, dopo il 2016. Il calo delle emissioni – si stima di circa il 5% – ha un effetto davvero minimo sulla temperatura globale. Prima che sia troppo tardi occorre indirizzare le enormi risorse finanziare che si stanno rendendo disponibili – oltre un terzo del Recovery Fund dovrebbe essere speso per il Green Deal – verso cambiamenti profondi nell’attuale sistema di produzione e consumo di energia, nonché verso una migliore gestione del territorio.