Ambiente. Dall’Annuario Ispra la radiografia da nord a sud dal punto di vista ambientale, tra riscaldamento climatico, consumo di suolo e veleni
Luca Martinelli
C’erano anche Giuseppe Conte, presidente del Consiglio, David Sassoli, presidente del Parlamento europeo, e Sergio Costa, ministro dell’Ambiente, alla presentazione dell’«Annuario dei dati ambientali 2019» dell’Ispra. Quest’anno le informazioni sull’ambiente in Italia si confrontano con i trend europei elaborati dall’Agenzia europea dell’ambiente (Eea) e illustrati lo scorso dicembre a Bruxelles, nel «Soer 2020 – State of the Environment Report».
IL RAPPORTO ISPRA, che offre il quadro aggiornato sullo stato di salute del nostro Paese, è stato presentato nel corso di una diretta streaming. E il quadro che emerge, che si prenda l’acqua o il suolo, l’aria o la biodiversità, è assai compromesso.
PARTIAMO DALLO STATO di salute di fiumi e laghi, lontani dagli obiettivi europei. Neanche la metà dei 7.493 corsi d’acqua raggiunge uno «stato ecologico buono o elevato» (appena il 43%), mentre è se possibile ancora più grave la situazione dei laghi (solo il 20%). Va meglio la situazione se si analizza lo stato chimico: è buono per il 75% dei fiumi (anche se il 18% non è ancora classificato), e per il 48% dei laghi.
PER QUANTO RIGUARDA la biodiversità, con le sue 60 mila specie animali e 12 mila vegetali l’Italia è uno dei Paesi europei più ricchi, che presenta livelli elevatissimi di endemismo (specie esclusive del nostro territorio). Ma questo patrimonio vede alti livelli di minaccia per flora e fauna. Forte argine al degrado sono la Rete Natura 2000 e il Sistema delle aree protette italiane: quelle terrestri sono 843 e coprono il 10,5% del territorio nazionale, 29 le aree marine protette, 2.613 i siti della Rete Natura 2000 (19,3% del territorio nazionale).
«QUANTO ALLO STATO di salute della fauna in Italia, tra i vertebrati sono i pesci d’acqua dolce quelli più minacciati (48%), seguiti dagli anfibi (36%) e dai mammiferi (23%). Tra le piante più tutelate dalle norme Ue, il 42% è a rischio» spiega un comunicato dell’Ispra.
LE MINACCE PIÙ GRAVI vengono, però, dal costante aumento delle specie esotiche in Italia – più di 3.300 nell’ultimo secolo – dal degrado, dall’inquinamento e dalla frammentazione del territorio. Sì, è anche il consumo di suolo a gravare sulla perdita di biodiversità. E in Italia ormai la superficie antropizzata è pari a 23.000 km2, con una velocità di trasformazione di quasi 2 m2/sec tra il 2017 e il 2018. Sembrava che il fenomeno mostrasse segnali di rallentamento, ma probabilmente era solo a causa della congiuntura economica: dal 2018 il consumo di suolo ha ripreso a crescere, e nel 2018 è stato sottratto anche il 2% delle aree protette.
Il territorio italiano è fortemente esposto al dissesto idrogeologico. La popolazione a rischio frane che risiede in aree a ‘pericolosità elevata e molto elevata’ ammonta a 1.281.970 abitanti, pari al 2,2% del totale.
Il territorio italiano è fortemente esposto al dissesto idrogeologico. La popolazione a rischio frane che risiede in aree a ‘pericolosità elevata e molto elevata’ ammonta a 1.281.970 abitanti, pari al 2,2% del totale.
QUANTO ALLA QUALITÀ dell’aria, il Bacino padano è una delle aree dove l’inquinamento atmosferico e più rilevante in Europa. Guardando ai dati del 2019, il valore limite giornaliero del PM10 è stato superato nel 21% delle stazioni di monitoraggio (50 microgrammi per metro cubo, da non superare più di 35 volte l’anno). Rispettati invece i limiti per i PM2,5 maggior parte delle stazioni di rilevamento. Uno degli effetti del lockdown è stata la riduzione del biossido di azoto tra il 40 e 50% nelle regioni del Nord e nella Pianura padana.
UNO DEI DATI PIÙ ALLARMANTI che emergono dal rapporto, ed è il portato della pressione antropica sul Paese, è che ormai la temperatura media cresce in Italia più che in altre parti del mondo. Il riscaldamento globale picchia più forte. Nel 2018 è stata registrata un’anomalia media pari a +1,71°C rispetto alla media climatologica 1961-1990, a quella globale sulla terra ferma (+0,98 °C). È stato calcolato un aumento della temperatura media pari a circa 0,38 °C ogni dieci anni periodo 1981-2018. Elemento che porta l’Italia ad allontanarsi dagli obiettivi di contrasto dei cambiamenti climatici.
Nel 2018 si è poi registrato un uovo picco per la temperatura dei mari italiani (+1,08°C), il secondo dopo il 2015, rispetto al periodo 1961-1990. Il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha detto a margine della presentazione che le analisi dell’Ispra rappresentano «nuova linfa» per «ispirare la nostra azione», per «lavorare ancora con maggiore impegno per trasformare l’economia, la società del nostro Paese».
IN PARTICOLARE, HA SPIEGATO il premier, il lavoro è verso «un indirizzo politico che faccia della transizione ecologica anche la cifra culturale del nostro impegno». Non possono restare parole. «Dai rapporti emerge che senza un intervento urgente nei prossimi 10 anni non riusciremo a cogliere gli obiettivi che ci siamo prefissati» ha detto il presidente Ispra Stefano Laporta. E il 2030 è già domani.