Un po’ di anni fa, durante una vacanza americana con la mia famiglia, mio figlio Ludovico rimase molto incuriosito dalla scoperta dello Honor system, che gli fu illustrato da un amico che vive a Seattle. Ci eravamo imbattuti in uno sconto in un museo per chi dimostrasse di essere venuto in bicicletta, mostrando il casco da ciclista. E Ludovico aveva accortamente domandato: “come fanno a sapere che uno non si è portato il casco solo per lo sconto, ed è venuto in macchina?”. Così il nostro amico Diego gli aveva spiegato lo Honor system.
An honor system or honesty system is a philosophical way of running a variety of endeavors based on trust, honor, and honesty. Something that operates under the rule of the “honor system” is usually something that does not have strictly enforced rules governing its principles.
The honor system is also a system granting freedom from customary surveillance (as to students or prisoners) with the understanding that those who are so freed will be bound by their honor to observe regulations (e.g. prison farms are operated under the honor system), and will therefore not abuse the trust placed in them.
A person engaged in an honor system has a strong negative concept of breaking or going against it. The negatives may include community shame, loss of status, loss of a personal sense of integrity and pride or in extreme situations, banishment from one’s community.
Purtroppo ne avremmo voluto fare a meno, ma i decreti del governo sul coronavirus e le loro formulazioni sulle limitazioni ai comportamenti e agli spostamenti sono un interessante laboratorio di riflessione sull’equilibrio tra educazione e repressione, ma anche più estesamente sull’ingerenza dello Stato nelle scelte autonome delle persone, sulla capacità dei cittadini di “badare a se stessi” e su molti altri concetti che vengono discussi da sempre con molte contraddizioni (pensate a quelle destre che vogliono contemporaneamente più libertà dallo stato e più controllo dello stato). E infine, generano riflessioni sull’educazione dei cittadini, sull’informazione, sul lavoro culturale da fare per migliorare il funzionamento di una comunità e di un paese.
Una lettura fiduciosa e costruttiva dei decreti di cui parliamo li può considerare infatti così: sono un misurato tentativo di suggerire alle persone una gravità della situazione e una necessità di sacrifici che finora erano state sottovalutate, senza ricorrere a espliciti divieti, limitazioni di libertà, approcci autoritari e repressivi. Malgrado l’uso del termine assai diffuso in questi giorni, quelle norme non sono “divieti” e lo stesso Conte in conferenza stampa è stato attento a non chiamarli così, con formulazioni equilibristiche ma rivelatrici di questo tentativo.
ci sarà il vincolo di evitare ogni spostamentonon abbiamo un divieto assoluto di trasferimento, però c’è la necessità di motivarlo, e quindi sicuramente c’è una ridotta mobilitàdovremo tutti essere più responsabili
Lo stesso decreto distingue tra le formule di “divieto assoluto di mobilità” destinate ai contagiati e quella “evitare ogni spostamento” per tutti gli altri.
Ed essendo escluso anche nella pratica che l’osservanza delle richieste del decreto possa essere gestita in modo poliziesco e sistematico, io penso che l’idea, sensata, sia stata: alziamo la voce e chiediamo aiuto allo stesso tempo, spaventiamo e responsabilizziamo allo stesso tempo. Affidiamoci – una volta che siano chiariti i pericoli – alla comprensione e alla coscienza delle persone, mettendo comunque in conto che questo non possa bastare senza il deterrente di sanzioni per chi non l’avesse capita neanche adesso. Un giusto equilibrio – secondo me – di educazione e repressione, in cui la prima prevalga sempre e permetta che non ci sia una prepotenza di uno Stato autoritario rispetto all’autonomia di giudizio e libertà delle persone.
Superata questa lettura incoraggiante, però, sono nati tre problemi. Io ne conto tre, almeno.
Il primo è una contraddizione formale e sostanziale: da una parte c’è il comunicare che non ci sono divieti assoluti, l’affidarsi a una parte di buon senso e interpretazione (“certo che si può andare a far la spesa”), il lasciar intendere che le varie casistiche di “necessità” – termine ovviamente molto ambiguo ed elastico – sono delegate al giudizio dei singoli; dall’altra c’è il richiamo esplicito a sanzioni e conseguenze penali definite. E capite che è difficile che le persone si sentano serene della loro autonomia di giudizio e di buon senso se contemporaneamente qualcosa dice loro “se sbagliate nel giudizio, vi mettiamo in galera”. È lo Honor system monco di una delle sue metà fondanti.
Allora, si dicono le persone, dimmi esattamente cosa posso fare e cosa no.
Allora, si dicono le persone, dimmi esattamente cosa posso fare e cosa no.
E qui c’è il secondo problema: ovvero che in una situazione così inaudita di intervento statale a ribaltare i comportamenti comuni e consueti, regolare esattamente cosa si può fare e cosa no è praticamente impossibile. Le eventualità più diverse si stanno manifestando da subito dopo l’annuncio delle regole, tantissime impreviste. Non sono un giurista, ma potrebbe essere il decreto con il più alto rapporto tra la sua brevità e il campo di occasioni a cui si applica: campo riassumibile in “le vite”. Di sessanta milioni di persone. In questi giorni persino il Post – e immagino ancora di più i giornali maggiori – riceve frequenti richieste di spiegazione su casi singolarissimi (e spesso struggenti) di persone con le esigenze e i problemi più diversi e delicati. “Posso fare questo?”, ci chiediamo tutti più volte ogni giorno. E tutti abbiamo già immaginato grandi e piccoli “vuoti normativi”, a volte insignificanti ma altre volte rilevantissimi e drammatici. Un esempio maggiore su tutti riguarda le famiglie che per una ragione o per l’altra (i separati, per esempio) non vivono continuativamente e stabilmente insieme: il volersi semplicemente vedere, è in quei casi una “necessità”? (certo che lo è, dico io: ma lo decido io, non sta scritto o detto da nessuna parte). Per non dire delle semplici relazioni sentimentali di non conviventi.
È vero, come lamentano alcuni, che le istruzioni sono vaghe e a volte spaesanti. È anche vero che sono istruzioni che stanno cercando di fare una cosa che non si è mai fatta, e forse non si può fare tanto meglio di così – aggiungendo via via maggiore chiarezza, e “per capirsi” – rimanendo un paese democratico, libertario e con una Costituzione.
È vero, come lamentano alcuni, che le istruzioni sono vaghe e a volte spaesanti. È anche vero che sono istruzioni che stanno cercando di fare una cosa che non si è mai fatta, e forse non si può fare tanto meglio di così – aggiungendo via via maggiore chiarezza, e “per capirsi” – rimanendo un paese democratico, libertario e con una Costituzione.
Il terzo problema è legato a questo, ma ha tutta una sua storia, ed è il problema maggiore e più illuminante di funzionamento del paese, secondo me: che precede e seguirà questa emergenza. Lo Honor system, o qualunque investimento anche più moderato e controllato sulla responsabilità e sulla consapevolezza dei cittadini, ha bisogno appunto della consapevolezza dei cittadini. In molti, nei giorni scorsi, hanno chiesto piuttosto interventi severi, autoritari, repressivi, dopo aver osservato la leggerezza con cui una parte della popolazione stava reagendo alle richieste di prudenza. E la sensazione è che spesso noi stessi abbiamo bisogno di “ordini”, non di istruzioni: molti di noi faticano ad appropriarsi della responsabilità di decidere per il meglio, se ne sentono disorientati, temono di fare la cosa sbagliata. Vogliono “ordini” e qualcuno che glieli dia.
È una condizione in parte umana e comprensibile: ma è anche aumentata straordinariamente dal basso livello di informazione e cultura che riceviamo. Essere responsabili, consapevoli, autonomi nel giudizio ragionevole e coscienzioso è il risultato di conoscere le cose, capirle, esserne informati, come anche di essere stati educati al senso e al funzionamento di una comunità (e magari anche alla comprensione e ai metodi della scienza). “Capirlo da soli” è il risultato di un lavoro politico e culturale oggi più indebolito che mai. I rituali e secolari commenti sugli italiani che hanno bisogno di essere comandati sono ancora una volta il traboccare verso la repressione di una cosa che andrebbe demandata all’educazione: gli italiani – noi – hanno bisogno di essere educati, o di educare se stessi se preferite (sul significato di educare e sulle sensibilità che urta rimando qui); non a caso lo Honor system è diffuso nei paesi in cui l’investimento sull’educazione civica, sull’istruzione e sull’informazione corretta è sempre stato maggiore.
È una condizione in parte umana e comprensibile: ma è anche aumentata straordinariamente dal basso livello di informazione e cultura che riceviamo. Essere responsabili, consapevoli, autonomi nel giudizio ragionevole e coscienzioso è il risultato di conoscere le cose, capirle, esserne informati, come anche di essere stati educati al senso e al funzionamento di una comunità (e magari anche alla comprensione e ai metodi della scienza). “Capirlo da soli” è il risultato di un lavoro politico e culturale oggi più indebolito che mai. I rituali e secolari commenti sugli italiani che hanno bisogno di essere comandati sono ancora una volta il traboccare verso la repressione di una cosa che andrebbe demandata all’educazione: gli italiani – noi – hanno bisogno di essere educati, o di educare se stessi se preferite (sul significato di educare e sulle sensibilità che urta rimando qui); non a caso lo Honor system è diffuso nei paesi in cui l’investimento sull’educazione civica, sull’istruzione e sull’informazione corretta è sempre stato maggiore.
Magari ricordiamocelo, quando sarà finita. Magari sarà servito.