Mentre per il piano antisismico nazionale di un anno si
spende meno delle spese militari di un giorno, la Campagna per la difesa
civile, non armata e nonviolenta convoca a Trento, per il 4 e 5
novembre, i suoi “Stati generali”. Cento anni dopo l’immane macello
della “grande guerra”, l’alternativa è secca: continuare nella follia o
rinsavire
Quando scrivo queste righe il nostro Paese è sottoposto alle
ennesime scosse di un terremoto infinito che da mesi sconquassa le
regioni dell’appennino centrale, uccidendo le persone,
abbattendo le case, distruggendo il patrimonio storico, avvilendo il
morale dei superstiti. Il terremoto in Italia non è solo un evento
catastrofico ad alto rischio ma una certezza periodica, costitutiva
della struttura morfologica del nostro territorio. Anzi, leggiamo sul
sito della Protezione civile, “l’Italia è uno dei Paesi a maggiore
rischio sismico del Mediterraneo, per la sua particolare posizione
geografica, nella zona di convergenza tra la zolla africana e quella
eurasiatica”. Le circa trecento vittime di Arquata ed Amatrice sono solo
le ultime di una lunghissima sequela di morti: migliaia nella storia
dell’Italia repubblicana, milioni nella storia secolare del Paese. Il
terremoto non si può ne’ prevenire ne’ prevedere, ci dicono gli esperti,
ma le sue conseguenze catastrofiche sì. Da esse ci si può difendere
attraverso la messa in sicurezza antisismica del territorio italiano.
E, in effetti, esiste in Italia – dal 2009 – un “Piano nazionale per la prevenzione del rischio sismico”, con un fondo dedicato che – sempre sul sito della Protezione civile –
è così declinato: “la spesa autorizzata è di 44 milioni di euro per
l’anno 2010, di 145,1 milioni di euro per il 2011, di 195,6 milioni di
euro per ciascuno degli anni 2012, 2013 e 2014, di 145,1 milioni di euro
per l’anno 2015 e di 44 milioni di euro per il 2016.” Insomma, per
difenderci dal rischio terremoto nell’anno in corso, mettendo in
sicurezza gli edifici prima che – puntualmente – questo si verifichi, il
governo ha previsto, complessivamente, la cifra di 44 milioni di
euro! Ossia meno di quanto lo stesso governo spende ogni giorno per la
difesa militare: il Documento programmatico pluriennale 2016-2018
del Ministero della Difesa prevede, per il solo 2016, 17,7 miliardi di
euro per le spese militari che, divisi per i giorni dell’anno, fanno 48
milioni al giorno. Al giorno!
L’esempio tragico del terremoto ci mostra, dunque, quanto sia
distorta l’idea di “difesa” nella quale persistono la cultura
militarista del Paese e le scelte del governo: si prevedono
massicci investimenti di risorse pubbliche solo in funzione di
ipotetiche minacce esterne, derivanti da potenziali nemici da
sconfiggere militarmente – programmando a questo scopo pluriennali piani
di acquisto di armamenti, contrari allo spirito ed alla lettera della
Costituzione ma a lauto beneficio delle aziende belliche – e si
stanziano solo le residuali, scarsissime e del tutto insufficienti
risorse per la difesa dei cittadini dagli autentici, effettivi e
costanti rischi alla loro sicurezza, come il terremoto o i disatri
idro-geologici. Ed altrettanto possiamo dire per le, ormai quasi
inesistenti, protezioni rispetto ad altri innumerevoli minacce, rischi e
pericoli che attentano alla sicurezza dei cittadini, dalla
disoccupazione alla povertà, dall’inquinamento di intere aree del Paese
alla scarsa sanità. Non è un caso che nel 2015 la mortalità degli italiani sia
aumentata dell’11,3 % rispetto all’anno precedente, con un’impennata
tale da avere dei precedenti solo negli anni della guerra del 1943 e del
1915-18. Ciò significa che la preparazione della guerra contro i
“nemici”, provoca in realtà – in prima battuta – una guerra vera contro
gli “amici”, i cittadini di questo Paese.
Allora è necessario sottrarre, urgentemente, allo strumento militare il monopolio della difesa e delle sue risorse.
E’ necessario ribadire culturalmente, affermare politicamente e
organizzare tecnicamente un’altra idea e un’altra .pratica della difesa.
Una difesa vocata alla sicurezza dei cittadini, alla risoluzione delle
controversie internazionali con strumenti e mezzi non militari e,
dunque, alla costruzione della pace con mezzi pacifici, secondo quanto
dispongono gli articoli 11 e 52 della Costituzione italiana. Per questo
la campagna “Un’altra difesa è possibile” ha organizzato per il 4 e 5
novembre a Trento gli “Stati generali della difesa civile, non armata e
nonviolenta”. La data non è casuale: il 4 novembre è la “festa delle
forze armate”, nel giorno che celebra la “vittoria” nella “grande
guerra”, in quell’immane macello che provocò sedici milioni di morti e
pose le premesse per il fascismo, il nazismo, i campi di sterminio e la
seconda guerra mondiale. Dalla quale ereditiamo ancora l’incubo
dell’olocausto nucleare.
Ora, cento anni dopo ci sono due possibili strade.
L’una è continuare sulla via della follia della preparazione di altre
guerre, bruciando enormi risorse, lasciando indifesi e vulnerabili i
cittadini di fronte a tremendi rischi e minacce: è la strada che ha
scelto il governo italiano con le abnormi spese militari e, in ultimo lo
scorso 27 ottobre, con il voto contrario alle Nazioni Unite all’avvio
del percorso per il “Trattato per la messa al bando delle armi
nucleari”. L’altra strada è la via del rinsavimento e del salto di
civiltà che propone la campagna “Un’altra difesa è possibile”. Entrambe
passano da Trento ma, cento anni dopo, vogliamo arrivarci in maniera
civile, non armata e nonviolenta. Qui il programma completo
Posted by Pasquale Pugliese