24.10.2016 - Anna Polo
(Foto di Ragesoss, Wikimedia Commons) |
Nel tuo sito http://worldbeyondwar.org/
è scritto: “Puntiamo a sostituire una cultura della guerra con una
cultura della pace, in cui i mezzi nonviolenti di risoluzione dei
conflitti prendano il posto degli eccidi”. Che ruolo e valore quindi può
avere la nonviolenza nella costruzione di una simile cultura?
L’azione nonviolenta può svolgere almeno tre funzioni.
1. Può dimostrarsi un metodo superiore di resistenza alla tirannia,
un metodo che provoca meno sofferenze e ha maggiori e più durature
probabilità di successo. La maggior parte degli esempi, come quello
della Tunisia nel 2011, riguarda il rovesciamento di una tirannia in un
paese, ma esiste anche una serie crescente di azioni di resistenza
nonviolenta che hanno avuto successo contro un’invasione o
un’occupazione straniera. Aumenta inoltre la comprensione riguardo al
modo di applicare le lezioni della nonviolenza all’interno di un paese
alla resistenza a un attacco straniero.
2. Può mostrare un mondo che ha superato la guerra. Le nazioni
possono dare il buon esempio, entrando a far parte di istituzioni
internazionali, firmando trattati, rispettando la legge e facendola
applicare. Il Tribunale Penale Internazionale potrebbe incriminare un
non-africano. Gli Stati Uniti, che hanno smesso di produrre bombe a
grappolo, potrebbero sottoscrivere la loro messa al bando. Le
Commissioni per la verità e la riconciliazione potrebbero diffondersi. I
colloqui per il disarmo, gli aiuti umanitari su una nuova scala e la
chiusura delle basi straniere potrebbero essere il cambiamento che
vogliamo vedere.
3. Gli strumenti della protesta e della resistenza nonviolenta
possono essere usati dagli attivisti per opporsi alle basi, alle
fabbriche d’armi, al reclutamento militare e a nuove guerre. Non abbiamo
potuto fermare la base Dal Molin a Vicenza, ma non per questo dobbiamo
accettarla. Non si dovrebbe permettere all’apparato militare degli Stati
Uniti di usare strutture in Sicilia per gli omicidi con i droni in
Asia e in Africa. Un anno di servizio al proprio paese non dovrebbe
significare la partecipazione ad azioni militari. Le fabbriche d’armi
non devono essere finanziate da fondi pubblici e privati, eccetera.
Cosa si può fare a tuo parere per trasformare la cultura
basata sulla violenza e la vendetta che provoca tante vittime negli
Stati Uniti?
Abbiamo bisogno di una riforma strutturale dei mass media,
dell’industria dello spettacolo, dei notiziari e delle scuole. Possiamo
cominciare fornendo alla gente l’informazione che le manca. Spesso
quello di cui c’è bisogno sono i fatti, non le ideologie. Quando una
vincitrice del concorso di Miss Italia ha dichiarato che le sarebbe
piaciuto vivere durante la seconda guerra mondiale la gente ha riso di
lei, ma potrei trovarti milioni di americani che direbbero la stessa
cosa. Nessuno di loro ha idea di cosa significava vivere sotto le bombe,
altrimenti non farebbe un’affermazione del genere. Pochi di loro hanno
idea di cosa significhi vivere oggi sotto le bombe degli Stati Uniti o
della Nato in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Somalia, Siria, Libia, o
Yemen.
Quando vado a parlare in un’università (video ripreso questo weekend: http://davidswanson.org/node/5319
) cerco di fornire alla gente i fatti che le sfuggono. Media
indipendenti, social media, film stranieri: tutti questi possono essere
strumenti efficaci. E lo stesso vale per i viaggi. Quando ho passato un
anno in Italia dopo il liceo, in un programma di scambio tra studenti,
questo mi ha permesso più di ogni altra cosa di vedere la cultura
americana da una prospettiva nuova. E quest’abitudine mi consente di
vedere e mettere in discussione le usanze culturali condivise da Italia e
Stati Uniti. Ciò che cambierebbe davvero le cose, comunque, sarebbe la
possibilità di produrre, ottenere e diffondere ampiamente video delle
vittime dei guerrafondai occidentali, così come oggi condividiamo i
video delle vittime della brutalità poliziesca negli Stati Uniti.
Gli Stati Uniti spendono ogni anno un trilione di dollari in
guerre e armi e né i democratici, né i repubblicani, né i media mettono
in discussione questa scelta. Cosa pensi si possa fare per
sensibilizzare l’opinione pubblica su queste enormi spese miliari e
sulle possibili alternative?
Ecco un video che ha proprio questo scopo: http://worldbeyondwar.org/moneyvideo/ e questa è un’organizzazione che invitiamo a sostenere http://worldbeyondwar.org/individual/
per raggiungerlo. Un altro utile strumento, se ben presentato con
un’introduzione o un dibattito dopo la proiezione, è il film di Michael
Moore Where To Invade Next.
Molti temono che, se eletta presidente, Hillary Clinton possa
scatenare una guerra con la Russia usando la Siria come pretesto. Il
movimento pacifista negli Stati Uniti cercherà di fermare questo piano? E
cosa potrebbero fare i movimenti di altri paesi per aiutarlo?
Purtroppo non siamo affatto preparati. Gli attivisti americani
soffrono di settarismo e per tradizione si oppongono di più alle guerre
repubblicane che a quelle democratiche. Soffriamo anche di ossessione
elettorale. Il giorno dopo le elezioni migliaia di persone crollano
esauste, convinte di aver completato quello che c’era da fare. Su di noi
pesano anche l’ideologia della guerra, i problemi di comunicazione e
una divisione sulla Siria di una profondità mai vista a memoria d’uomo.
Alcuni sono a favore della guerra all’Isis, altri della guerra alla
Siria, altri ancora sostengono entrambe, oppure la guerra fatta dai
siriani o dai russi. Chiunque si opponga a un intervento militare degli
Stati Uniti viene accusato di sostenere i guerrafondai siriani e vice
versa. Dobbiamo unirci per un’opposizione globale all’istituto della
guerra, chiunque la faccia, senza lasciarsi dissuadere dalla stupida
accusa secondo cui dovremmo mettere sullo stesso piani i crimini di
guerra minori di una parte con i crimini di guerra di massa di un’altra
fazione. Abbiamo bisogno di concentrarci sul commercio delle armi. Le
armi vengono dagli Stati Uniti e dall’Europa e in secondo luogo dalla
Russia e dalla Cina. Le nazioni che soffrono per le guerre non producono
armi. Tocca a noi fermare la produzione, la vendita e la fornitura di
questi strumenti di morte. Negli ultimi 15 anni la vendita di armi
leggere e le morti da esse causate sono triplicate. Dobbiamo porre
l’accento su aiuti umanitari su una scala enorme, che non abbiamo mai
osato sognare, ma che comunque costerebbero molto meno di una guerra. E
di certo non dobbiamo cadere un’altra volta nella trappola dei
cambiamenti di facciata, immaginando che una donna presidente, come un
presidente afro-americano, siano per magia migliori nonostante quello
che hanno dimostrato finora. Otteniamo un solido accordo di pace in
Ucraina entro gennaio e se possibile anche in Siria. E per l’amor di Dio
che nessuno pensi di darle il Premio Nobel per la Pace l’anno prossimo,
mentre farà di tutto per intensificare le guerre!