Patrizia Pallara
Per il missionario comboniano il governo italiano dovrebbe spendersi a livello internazionale per portare Mosca e Kiev al tavolo dell'Onu per trovare una soluzione. E il movimento pacifista e non violento, dopo la manifestazione di Roma, deve continuare a mobilitarsi. La posta in gioco è altissima: non possiamo rischiare una guerra nucleare
“Siamo solo agli inizi, siamo scesi in piazza troppo poco, dobbiamo tornare per strada e coinvolgere la gente, contro le armi e contro la guerra”. Fa autocritica Padre Alex Zanotelli, missionario comboniano, fondatore e ispiratore di tanti movimenti per la pace e la giustizia sociale, un prete non convenzionale, che in questi decenni dal rione Sanità di Napoli, come dalla baraccopoli di Korogocho, alla periferia di Nairobi, ha saputo rappresentare la più autentica coscienza cristiana del nostro Paese. Malgrado i suoi 83 anni, è ancora combattivo, lucido, determinato. E respinge la guerra e le sue ragioni senza mezzi termini.
Perché dice che siamo solo agli inizi?
Noi pacifisti ci siamo mossi tardi, non abbiamo lavorato abbastanza,
abbiamo aspettato troppo, forse per paura che le persone non scendessero
in piazza. E invece la manifestazione nazionale a Roma del 5 marzo,
promossa e partecipata da tantissime associazioni, è stata una bella
piazza piena, un segno di speranza, che ci dice che la gente non vuole
la guerra. Questo sentimento dobbiamo prenderlo seriamente e continuare a
mobilitarci: tornati nelle nostre città, dobbiamo darci da fare.
In che modo?
Innanzitutto facendo pressione sul nostro governo, a cui dobbiamo dire
basta finanziamenti alle armi. Il ministro della Difesa, che per me è il
ministro della guerra, ha annunciato giorni fa che la spesa militare
potrebbe essere portata dagli attuali 30 miliardi di euro all’anno a
38-40 miliardi tra il 2027 e il 2028. Con un incremento di 3 miliardi
già dal prossimo. È una pazzia. Questi soldi vanno spesi per la scuola,
la sanità, non per le bombe e i missili. La guerra è il risultato di
questo armarsi fino ai denti.
Che altro possiamo fare?
Il movimento pacifista non si deve fermare, ora inizia l’impegno.
Possiamo organizzare un’iniziativa per smuovere le coscienze, una
carovana della pace come quella che fece don Tonino Bello per Sarajevo.
Una carovana di centomila auto diretta al confine ucraino. Il mondo
della pace si faccia sentire. C’è urgenza di gesti importanti.
Che cosa pensa della decisione del Parlamento italiano di inviare armi per sostenere l’Ucraina?
Per me è un’aberrazione totale, una follia per due ragioni. La prima è
che la nostra Costituzione all’art. 11 ripudia la guerra. Questo vuol
dire che se mandiamo materiale bellico adesso siamo in guerra. In
secondo luogo, la legge 185 del 1990 (che regola l’export militare, ndr)
vieta al governo di vendere armi a Paesi che sono in guerra. Che Camera
e Senato abbiano approvato questa risoluzione è assurdo, mi vergogno
per quel voto.
Quali azioni dovrebbe mettere in campo l’Italia?
In questo momento il nostro governo dovrebbe spendersi in ambito
internazionale per forzare i contendenti a sedersi attorno a un tavolo e
arrivare a una soluzione pacifica, portare Russia e Ucraina al tavolo
dell’Onu. Una cosa che si sarebbe dovuta fare nel 2014, dopo il
protocollo di Minsk (un accordo per porre fine alla guerra nell’Ucraina
orientale, ndr) che è chiaro ma non è mai stato attuato. Se
Mosca chiede la neutralità di Kiev, per esempio, bisogna trovare gli
spazi per accordarla. Oggi l’Ucraina è una polveriera, è un Paese
spaccato profondamente, con un nazionalismo che fa paura. Un negoziato è
sempre possibile, ci si può mettere d’accordo. Ma i combattimenti
devono cessare. La posta in gioco è altissima, rischiamo grosso, una
guerra nucleare, l’inverno nucleare.
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dalla pagina https://www.lavocedelpopolo.it/opinioni/no-all-invio-di-armi-in-ucraina
Giorgio Beretta
No all'invio di armi in Ucraina
La Carta dell’Onu contempla il “diritto naturale di autotutela individuale o collettiva nel caso che abbia luogo un attacco armato contro un membro delle Nazioni Unite” (n. 51). Nessuno può pertanto negare tale diritto o ignorarlo. Ma ciò non significa automaticamente che si debba inviare armi o intervenire militarmente in ogni contesto. Se così fosse, si dovrebbe inviare armi a tutti i popoli che lottano per la propria sovranità come il popolo palestinese i cui territori sono illegalmente occupati da anni da Israele. Non viene fatto perché inviare armi configura sempre una situazione di belligeranza. Anche la fornitura di armi da parte delle forze armate americane alla resistenza partigiana va collocata nel suo preciso contesto: gli Stati Uniti erano già in guerra contro la Germania nazista e parte attiva del conflitto.
Quello che è in discussione, quindi, non è la liceità della risposta armata, ma il tipo di sostegno che si intende dare ad un popolo aggredito in un preciso momento storico. Nel contesto odierno emerge una questione centrale finora inedita: il presidente russo Putin ha minacciato l’impiego di bombe nucleari. Questo cambia radicalmente lo scenario. È la situazione che ha configurato, all’indomani della crisi dei missili di Cuba, papa Giovanni XXIII nell’enciclica Pacem in Terris. “In un tempo come il nostro, che si gloria della potenza atomica, è alieno ad ogni ragione che la guerra possa essere uno strumento adeguato per ripristinare diritti violati” (n. 67). Ciò significa che, nella situazione attuale, lo strumento militare non può essere utilizzato per ripristinare il diritto violato della sovranità dell’Ucraina. A differenza di altri conflitti, con la minaccia nucleare ciò che è in gioco oggi in Ucraina non è solo l’indipendenza di una nazione e la libertà di un popolo, ma la sua stessa sopravvivenza e, di fatto, anche la nostra e dell’intero pianeta.
Inviare armi è la risposta più comoda ma pericolosa: è un atto belligerante che rischia di estendere il conflitto a dimensioni irreparabili. Vanno invece messi in campo, subito, tutti gli strumenti della “neutralità attiva” (che non è equidistanza) e della difesa nonviolenta. Perché i capi di Stato e di governo non promuovono un’azione nonviolenta, anche andando in Ucraina, per chiedere alla Russia il ritiro delle truppe? Noi ci siamo per sostenerli!