"SAREBBE NECESSARIO un progetto politico animato da una
visione del mondo alternativa a quella basata su profitto,
accumulazione, competizione, valutazione ai fini dell’esclusione della
diversità. Se non si condivide un’idea di società che tuteli la natura,
di cui siamo parte, è difficile costruire soluzioni diverse dal
capitalismo"
dalla pagina https://ilmanifesto.it/un-mondo-alternativo-prima-del-punto-di-non-ritorno/
Tempi presenti. «AI-Work» di Sergio Bellucci (pubblicato da Jaca Book) è un’audace riflessione sui cambiamenti del lavoro digitale
Dopo più di quindici anni dal suo libro E-Work (DeriveApprodi, 2005), Sergio Bellucci torna sul rapporto tra tecnologia e lavoro con un nuovo testo corale che viene introdotto da un articolo sulle sue analisi più recenti. AI-Work (Jaca Book, pp. 312, euro 25) offre una panoramica riflessione corale sul lavoro che cambia modello di estrazione del plusvalore usando la dimensione immateriale dell’informazione.
LA TESI AUDACE del progetto è che le innovazioni dei
processi produttivi come il capitalismo della sorveglianza e delle
piattaforme, su cui si discute spesso, sarebbero in atto da tempo e non
sarebbero che la punta dell’iceberg di un cambiamento più profondo, una
vera e propria transizione. Tale passaggio consentirebbe perfino di
eliminare il riferimento al capitale per la produzione e di
rivitalizzare pratiche artigianali o le relazioni di scambio senza
riferimento al denaro tradizionale.
Per costruire tale esito della transizione sarebbe necessario un grande
progetto di revisione politica delle relazioni per la produzione e il
trasferimento delle merci. Il ragionamento interessante di Bellucci è
che il ruolo dell’immateriale sarebbe così rilevante nella nuova forma
digitale della produzione da permettere di evitare il possesso dei mezzi
industriali, finora necessari al funzionamento delle strutture
capitalistiche.
Non si rinuncia a elencare le modalità dell’attuale stato del mondo del
lavoro nel quale a vari livelli si assiste a forme di sfruttamento nuove
di clienti e partecipanti ai servizi delle piattaforme che mettono a
lavoro tante pratiche prima escluse dalla mercificazione. Dall’acquisto
dei biglietti aerei alle attività sociali online, ogni gesto viene usato
per alimentare il plusvalore. Tutto ciò, però, potrebbe essere solo
l’effetto di uno sguardo miope sulla transizione in corso, che potrebbe
anche essere quella definitiva, che renderebbe impossibile una
riconversione dello status quo. Un ultimo stadio dello sfruttamento, in
attesa che il sistema sia in grado di riorganizzarsi con pratiche di
cooperazione, sottraendosi alla morsa del capitale.
AL CENTRO DEL CAMPO discorsivo c’è una diversa
interpretazione del futuro del lavoro salariato. La sinistra non
dovrebbe limitarsi a difenderlo. È evidente che questo tipo di
contrattualizzazione della prestazione lavorativa si offre allo
sfruttamento perché si fonda su una asimmetria inequivocabile tra chi
offre il lavoro e le relative tutele e chi ne accetta le condizioni.
L’attività sindacale del Novecento si è concentrata sulla costruzione
delle tutele dei salariati, mentre l’equivoco del capitalismo era la
previsione che lo sviluppo avrebbe prodotto anche la piena occupazione
con la conseguente protezione di tutti i lavoratori.
Così non è avvenuto anche a causa di una sottovalutazione della
componente della finanziarizzazione del capitale che non è stata
sottoposta né a vincoli, né a processi di redistribuzione. Al centro
dell’azione sindacale c’era il lavoro salariato, che prevedeva di cedere
le proprie capacità lavorative in cambio di una garanzia sulla
sicurezza dell’occupazione e sulla socializzazione dei rischi del
lavoratore.
Un elemento ulteriore messo al centro della scena è la necessità di un
reddito di esistenza o di cittadinanza, una volta accertato che il
capitale non produce la piena occupazione e quindi una parte sarà sempre
esclusa dalle tutele, talvolta anche quando è parzialmente inclusa in
attività lavorative.
NE SONO UN ESEMPIO i rider, che rappresentano solo
la punta a vista di un fenomeno complesso di parzializzazione,
standardizzazione e spezzettamento dei lavoretti prodotto dalla
tecnologia. Questo risultato produce un doppio sfruttamento: da parte
dei datori di lavoro che richiedono prestazioni senza una vera e propria
contrattualizzazione e da parte di piattaforme, di cui Mechanical Turk
di Amazon è solo l’esempio più famoso. Sappiamo che l’intelligenza
artificiale si nutre del lavoro di etichettatori sottopagati e
invisibili spesso collocati nel sud globale, mentre i suoi frutti si
colgono nel mondo industrializzato.
Tra chi propone di andare oltre il capitalismo e chi chiede una
tassazione più equa di piattaforme e ricchezze finanziarie non c’è un
vero conflitto, ma solo una diversa visione strategica sui tempi delle
rivendicazioni e delle azioni da esercitare.
Su un punto ci sarebbero da sollevare alcune perplessità, la
digitalizzazione con conseguente distanziamento e dematerializzazione di
molte funzioni di lavoro datoriali non significa che manchi una forte
infrastruttura industriale, che invece è geo-politicamente globalizzata e
si avvantaggia della propria delocalizzazione. Il fatto che una parte
di questa infrastruttura consista di conoscenze tecniche, informazioni –
aggiungerei di ideologia dominante – non rende questi conglomerati più
scalabili dal basso, ancorché tecnicamente sarebbe forse possibile.
SAREBBE NECESSARIO un progetto politico animato da una visione del mondo alternativa a quella basata su profitto, accumulazione, competizione, valutazione ai fini dell’esclusione della diversità. Se non si condivide un’idea di società che tuteli la natura, di cui siamo parte, è difficile costruire soluzioni diverse dal capitalismo. Ma forse l’obiettivo del libro è mettere un tassello teorico in favore di un progetto di convivenza antagonista a quello vigente.