venerdì 27 agosto 2021

L’insegnamento inascoltato della guerra

dalla pagina https://ilmanifesto.it/linsegnamento-inascoltato-della-guerra/

"La guerra porta solo rovine" 

In fuga da Kabul dopo la vittoria dei talebani 


, Portavoce di Sbilanciamoci

"In questi giorni molti parlano del fallimento in Afghanistan. Ed è sotto gli occhi di tutti. 20 anni in cui sono morti 170mila civili (a cui vanno aggiunti le migliaia di militari e combattenti uccisi) e sono stati spesi 5,4 mila miliardi di euro che, se utilizzati a fin di bene, avrebbero potuto debellare la povertà più estrema nel mondo e garantire l’accesso all’acqua potabile a chi non ha questa «fortuna» (2,5 miliardi di persone).
Per dare un’idea, abbiamo speso per la guerra in Afganistan 33 volte di più di quanto tutti i paesi dell’Ocse (il club delle nazioni più ricche) investono ogni anno per l’aiuto allo sviluppo (161 miliardi). In tutto questo l’Italia è stata attiva complice mandando sul campo migliaia di soldati e – come ha denunciato la campagna Sbilanciamoci – destinando 10 miliardi di euro, più del doppio di quanto spendiamo ogni anno per l’aiuto pubblico allo sviluppo (in tutto il mondo). Ora, le forze politiche italiane si stracciano le vesti, senza ammettere le proprie responsabilità, il fallimento oltre che della missione anche delle loro idee e politiche guerrafondaie.
La popolazione afghana torna sotto il giogo dei talebani, le speranze delle donne e degli uomini di quel paese di vivere senza l’oppressione e la cappa di una dittatura finiscono tragicamente e amaramente. Quanta retorica (umanitaria) è stata fatta su una guerra (camuffata da intervento di pace) che sarebbe servita per permettere alle donne di andare a scuola e all’università e di togliersi il burqa e alla popolazione di sperimentare le virtù della democrazia e dei diritti umani. Tutto finito. La guerra umanitaria, dai tempi del Kosovo, è solo un tragico inganno, un ossimoro insostenibile. La guerra è sempre contro l’umanità.
Nei giorni in cui piangiamo la scomparsa di Gino Strada, val la pena ricordare la sua condanna della guerra «senza se e senza ma». La guerra è un crimine, una violazione del diritto umanitario internazionale, non risolve i problemi ma aggiunge altra sofferenza, nuove vittime. Ci avevano detto che l’intervento in Afghanistan sarebbe servito a debellare il terrorismo, che invece si è propagato nel mondo: l’Isis non è certamente un lontano ricordo; che sarebbe servito a portare la democrazia e i diritti umani, e così non è stato; che sarebbe servito a stabilizzare la regione, e così non è. «L’imperialismo dei diritti umani», come una volta ebbe a definirlo infaustamente Tony Blair si è dimostrato per quello che è: imperialismo, e basta. Ora, Blair dice che l’errore è stato quello di avere affrontato l’Islam paese per paese, mentre va affrontato nella sua globalità: sì, una bella guerra umanitaria mondiale, una nuova crociata dei cristiani contro i musulmani. Una guerra infinita e permanente come – in piena sintonia con Bush jr- torna ad auspicare con la sua bulimia opinionistica Bernard Henry-Levy.
Quello cui assistiamo non è solo il fallimento dell’intervento in Afghanistan ma il fallimento della guerra. È quello che i pacifisti dicono da anni: le guerre sono sempre fatte per interessi economici e strategici, di potere, un affare per i produttori di armi e una tragedia per la popolazione civile.
Bisognerebbe mettere in campo una politica di prevenzione dei conflitti ma nessuno fa. Sarebbero necessarie Nazioni Unite con poteri e strumenti effettivi, veramente riformate e libere dal dominio delle grandi potenze, ma così non è.
Quando nel 1992 il segretario dell’Onu Boutrous Ghali promosse l’Agenda per la pace (che serviva a dare strumenti all’Onu per prevenire le guerre) fu irriso, sbeffeggiato. Quel documento finì nel cestino. Abbiamo visto che Piero Fassino in questi giorni, rivendicando le scelte fatte, ha detto che per la pace serve il «peace enforcement» alludendo alla Nato e ai suoi interventi, Con il piccolo particolare che il «peace enforcement» non è una guerra ed è regolamentato da un capitolo della carta delle Nazioni Unite, capitolo cui le grandi potenze non hanno mai voluto dare attuazione: avrebbe significato cedere sovranità al Palazzo di vetro. 
 
Quasi nessuno dei politici italiani ha il coraggio di ammettere che sull’Afghanistan (e sulle altre guerre) avevano ragione i pacifisti. Servirebbe una politica (non militare) di promozione della pace, della cooperazione, dei diritti umani, ma non succede. Servirebbe il disarmo, ma le spese militari continuano a crescere. Di chi è la responsabilità? Dei governi che continuano ad investire nella guerra, nelle armi, in politiche di potenza economica e strategica. Quello che l’Afghanistan ci insegna è che dobbiamo cambiare strada. La guerra porta solo rovine.
 
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Afghanistan, il coraggio della pace e il fallimento della guerra

La tragedia afghana e il magistero dei Pontefici: percorrere la strada pacifica è sempre possibile

 
Amedeo Lomonaco – Città del Vaticano

Cinque anni fa, in un’intervista concessa al quotidiano cattolico francese La Croix, Papa Francesco invitava a interrogarsi sul modo in cui "un modello troppo occidentale di democrazia è stato esportato in Paesi come l’Iraq, dove un governo forte esisteva già in precedenza. Oppure in Libia, dove esiste una struttura tribale". "Non possiamo andare avanti - aggiungeva nell’intervista - senza prendere in considerazione queste culture”. Domande sempre attualissime, in particolar modo nei giorni in cui si è reso evidente il fallimento del tentativo americano e più in generale occidentale, in Afghanistan. Si può esportare, in questi Paesi, la democrazia con le armi? Oppure la guerra si rivela sempre un’avventura senza ritorno? A guardare la situazione in cui versa oggi l’Afghanistan ma anche la devastazione a cui è stato sottoposto l’Iraq, si dovrebbe riconoscere la profetica lungimiranza del “magistero di pace” degli ultimi Pontefici. “Per fare la pace – ha detto Papa Francesco nel 2014 - ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra. Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialogo e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto dei patti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Per tutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo”.
 
Le ragioni della pace

“Le ragioni della pace sono più forti di ogni calcolo di interessi particolari e di ogni fiducia posta nell’uso delle armi”. Questa convinzione espressa nel 1963 da Giovanni XXIII nella lettera enciclica “Pacem in Terris” in un periodo di forte tensione internazionale e rilanciata da Papa Francesco nell’enciclica “Fratelli tutti”, risuona oggi forte anche di fronte allo scenario afghano, sull’orlo della guerra civile. Le tribolazioni della nazione afghana non possono e non devono sfociare in un nuovo conflitto. Anche quando soffiano venti di guerra, il futuro si deve edificare sulla ricerca del dialogo e della pace. “Non è certo con le bombe - afferma nel mese di gennaio del 1992 di Giovanni Paolo II rivolgendosi al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede - che si può costruire l’avvenire di un Paese”. Quando vengono pronunciate queste parole l’anno 1991 si è appena concluso nel frastuono delle armi con immagini sconvolgenti che mostrano popolazioni martoriate dalla guerra in Jugoslavia.

Far prevalere le ragioni della pace


Oggi altre strazianti immagini giungono dall’Afghanistan, dove la disperazione di uomini e donne attaccati ai carrelli degli aerei in partenza da Kabul si somma a quella di madri e padri che lasciano i loro figli tra le mani di soldati e diplomatici stranieri, affidandoli all'ignoto. Ma anche tra le ombre più oscure e l’angoscia più profonda, si possono scorgere le luci della speranza e le ragioni della pace. È possibile, chiede Papa Francesco durante la veglia di preghiera per la pace in Siria nel 2013, percorrere la strada della pace ed uscire da una spirale di dolore e di morte? “Sì, è possibile per tutti!”. “Ognuno - aggiunge in quell’occasione - si animi a guardare nel profondo della propria coscienza e ascolti quella parola che dice: esci dai tuoi interessi che atrofizzano il cuore, supera l’indifferenza verso l’altro che rende insensibile il cuore, vinci le tue ragioni di morte e apriti al dialogo, alla riconciliazione: guarda al dolore del tuo fratello e non aggiungere altro dolore, ferma la tua mano, ricostruisci l’armonia che si è spezzata”. 
 
Non più la guerra

Anche il popolo afghano, in questo tempo così difficile, ha bisogno di ricostruire l’armonia, di levare il suo grido come Paolo VI all’Onu nel 1965: “Non più la guerra, non più la guerra! La pace, la pace deve guidare le sorti dei popoli e dell'intera umanità!”. Le armi non sono mai la soluzione. Lo ricorda in particolare Giovanni Paolo II nel messaggio, nel 1991, al presidente iracheno Saddam Hussein: “Nessun problema internazionale - scrive - può essere adeguatamente e degnamente risolto col ricorso alle armi”. Al presidente statunitense il Pontefice polacco chiede di non risparmiare sforzi per “evitare decisioni che sarebbero irreversibili”. Le parole di Papa Wojtyła non vengono ascoltate. Prevale, invece, la voce delle armi e il 17 gennaio del 1991 ha inizio l’operazione “Desert Storm”. L’opzione militare ancora una volta aggiunge sofferenze, dolore.