Associazione Presenza Donna
Centro Documentazione e Studi
Nuova notte di bombardamenti a Gaza, con oltre 60 raid in quella che è stata la giornata più intensa dall’inizio della crisi. Razzi dalla Striscia sono stati lanciati da Hamas verso il sud di Israele, dove ad Ashdod è stato colpito un edificio, mentre a largo di Gaza è stata bersagliata una nave israeliana. Dal 10 maggio, secondo fonti dell’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) sono 220 i palestinesi uccisi, tra cui 58 bambini, mentre dieci sono le vittime israeliane finora, con oltre 300 feriti. Tra le vittime dei raid di questa notte c’è anche Hussam Abu Harbid, uno dei maggiori comandanti della Jihad islamica di Hamas e leader da 15 anni delle operazioni contro Israele dal nord della Striscia.
40mila sfollati a Gaza
Intanto a Gaza sono 40 mila i palestinesi che hanno dovuto abbandonare le proprie case, mentre il World Food Program ha annunciato aiuti per 51 mila persone. La centrale che fornisce energia elettrica alla città ha poi annunciato che le sue scorte di combustibile sono quasi finite e che stasera potrebbe essere obbligata a sospendere le attività, in un luogo dove gli abitanti già ricevono solo 4 ore di corrente al giorno. Previsto per domani in Israele uno sciopero generale degli arabi israeliani in segno di solidarietà con la Moschea di Al-Aqsa e con gli abitanti del quartiere di Sheikh Jarrah, la cui minaccia di sfratto è tra le cause della crisi.
La ricerca di un dialogo
Al lavoro le diplomazie di tutto il mondo per cercare una soluzione pacifica. Telefonata tra il cancelliere tedesco Angela Merkel e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Anche la Russia chiede l’apertura di un dialogo, mentre il Segretario di Stato americano, Antony Blinken, chiede spiegazioni sul bombardamento, ieri, della sede dell’Associated Press a Gaza. Confermato anche il colloquio telefonico tra Papa Francesco e il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, con il Pontefice che ieri al Regina Coeli aveva lanciato un accorato appello alla pace in Terra Santa.
La testimonianza di Suor Alicia
Le parole di Francesco hanno molto colpito Suor Alicia Vacas, Provinciale per il Medio Oriente delle Suore Comboniane. A Vatican News, la religiosa insiste sul fatto che si trascina un conflitto da troppo tempo, che “c’è una palese disuguaglianza: negli aiuti, nelle possibilità, nell’uso militare, della forza. In più di trent’anni non sono state date risposte”, scandisce. “Negli ultimi mesi abbiamo visto un crescendo di tensioni e disagi. L’ultimo colpo di grazia è stata l’incursione dell’esercito e l’aggressione alla moschea di El Aqsa; anche i cristiani sono rimasti sconvolti. Era chiaro che un affronto così avrebbe avuto conseguenze gravissime, e così è successo”.
La società è ammalata dentro
“La violenza non può portare da nessuna parte”, ripete Suor Alicia. Le speranze della religiosa sono riposte nella comunità internazionale, “affinché possa contribuire a fermare questa pazzia, questa voragine”. Racconta: “Stiamo vedendo cose che non avevamo visto da quando siamo qua, cose che non erano accadute nemmeno nel corso della seconda intifada. I conflitti all’interno delle comunità, che più o meno convivevano pacificamente, – spiega - fanno paura per il nostro presente, ma soprattutto per il nostro futuro. La violenza scoppiata sulle strade preoccupa ancora di più rispetto a quella manifestata con le bombe che fanno saltare i palazzi, anche se è meno visibile, meno ‘scandalosa’. Il tessuto sociale è ferito, profondamente lacerato. La società è ammalata dentro”.
Preoccupano le “amputazioni morali” dei giovani
“Ogni vita umana è preziosa. La proporzione nella morte di civili e di bambini è evidente. E la cosa va avanti”. Suor Vacas si sofferma sull’aspetto che “questo attacco su Gaza rischia di deviare l’attenzione da quello che è il cuore del conflitto, che è nato a Gerusalemme per questioni molto concrete: l’impunità dei coloni, lo sfratto delle case, la difficoltà dei palestinesi di recarsi nella città santa.... Purtroppo, non si dà risposta ai veri problemi che la gente vive quotidianamente”. La missionaria comboniana fotografa una realtà, a Gerusalemme Est, contrassegnata da una calma apparente, molto tesa, finta. “La presenza dei militari è molto forte, anche all’interno della parte araba. Dappertutto ci sono transenne. A volte le persone riescono ad andare a lavoro – racconta – a volte no. Questo non è normale. Spesso ci sono scontri tra giovani e soldati e la repressione è molto forte. Tanti i punti dolenti”. È una recrudescenza di un conflitto in cui si registrano vittime ovunque. “Io sono molto preoccupata delle amputazioni morali dei giovani”, continua la suora. “Quando si arriva a tale devastazione, vuol dire che devi fare un taglio drastico ai valori. Entrambe le parti sono molto ferite, amputate”.
Essere “ponti”: la missione delle Comboniane nelle periferie
La missione delle comboniane, ovunque, è stare sulle periferie. A Gerusalemme è molto evidente questa peculiarità: vivono sul Monte degli Ulivi, ai tre lati del giardino della casa passa il muro di separazione che divide la città di Gerusalemme dai territori occupati. “Abbiamo voluto preservare una presenza anche dall’altra parte del muro: ci si vede, ma non ci si può incontrare facilmente. Stiamo molto attente a collaborare con entrambe le parti, con i due popoli della Terra Santa”, precisa, accennando al lavoro sia con gli attivisti israeliani, “che veramente vogliono aprire brecce, trovare soluzioni, costruire ponti”, sia con i palestinesi. In Israele il lavoro è con i medici per i diritti umani, con le organizzazioni che lavorano soprattutto nell’ambito dei rifugiati e richiedenti asilo. In Palestina l’impegno è con i beduini, nel deserto di Giuda, attraverso una rete di scuole materne, progetti di promozione delle donne, di animazione missionaria nella Chiesa. E conclude facendo riferimento alla presenza di alcune “suore nella comunità cattolica di lingua ebraica che vivono particolarmente le tensioni politiche e sociali. È una minoranza nella minoranza”.
'Perdono' è la parola profetica, altrimenti non se ne esce
Sembra quasi retorico un appello alla riconciliazione e al perdono, eppure forse è proprio quella la parola profetica, secondo Suor Alicia. “Se non siamo capaci di rompere il cerchio della violenza, anche se ci sentiamo nel giusto, non ne veniamo fuori. La parola del Papa non è retorica. Si abbia questo coraggio di rompere il cerchio, anche se non ne siamo capaci per il peso della storia; inventiamocelo, altrimenti non ce la caviamo.