dalla pagina https://ilmanifesto.it/combattere-la-transazione-ecologica/
Attenti ai dinosauri. La rubrica a cura della Task Force Natura e Lavoro
“Per l’Italia il NGEU (Next Generation EU) rappresenta un’opportunità imperdibile di sviluppo, investimenti e riforme. L’Italia deve modernizzare la sua pubblica amministrazione, rafforzare il suo sistema produttivo e intensificare gli sforzi nel contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze. Il NGEU può essere l’occasione per riprendere un percorso di crescita economica sostenibile e duraturo, rimuovendo gli ostacoli che hanno bloccato la crescita italiana negli ultimi decenni”. Così sta scritto nella premessa, a firma Mario Draghi, del PNRR.
E inoltre: “Il Governo stima che gli investimenti previsti nel Piano avranno un impatto significativo sulle principali variabili macroeconomiche. Nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, il prodotto interno lordo sarà di 3,6 punti percentuali più alto rispetto all’andamento tendenziale”.
Dunque l’obiettivo è quello di migliorare il funzionamento dell’attuale sistema economico, centrato sull’aumento del PIL, cercando di attenuarne le storture attraverso gli “sforzi di contrasto alla povertà, all’esclusione sociale e alle disuguaglianze”. Il tutto infiocchettato con la magica parola “sostenibile”.
Nessuna indicazione sul fatto che una vera transizione ecologica è legata a un sostanziale cambiamento di paradigma, che non si concilia col perseguimento dell’approccio “business as usual”. Affinché le nuove generazioni siano veramente salvaguardate occorre una diversa visione del futuro.
Ci saremmo aspettati che la premessa ci facesse intravvedere una “visione” dell’Italia sostenibile che si vuole. E invece no: di concreto ci sono solo i punti di PIL.
Fosse almeno stato citato anche il BES, quell’indice di Benessere Equo e Sostenibile che è obbligo da anni che faccia parte delle misure di sviluppo economico, perché indica se quelle misure portino effettivamente benessere alla popolazione, o invece determinino un peggioramento di questo benessere, anche se il PIL aumenta.
Ma forse questa mancanza di anima, nel PNRR, è giustificata dalla fretta con cui il governo Draghi ha dovuto scriverlo. Non è però in alcun modo giustificabile che questa mancanza di anima fosse già nelle bozze da lui ereditate, perché per introdurla nelle bozze il tempo ci sarebbe stato.
Tuttavia, seppure la versione definitiva del PNRR non faccia di certo esultare per la gioia di essere finalmente, in modo inequivocabile, su un percorso di transizione ecologica, va però riconosciuto che si tratta di un documento semplicemente inimmaginabile prima dell’avvento della pandemia per l’impegno sull’ambiente, sia pure con un approccio che porta a gravi errori e lacune che necessitano correzioni.
Prima del virus, l’European Green Deal c’era già, ma non era supportato dalla necessità di ricostruzione di una economia in ginocchio in tutta Europa e, soprattutto, non era supportato dal fiume di denaro messo a disposizione per la ripresa, e condizionato ai vincoli del Green Deal.
Insomma, senza il malefico SARS-CoV 2 non avremmo avuto nessun documento programmatico che anche lontanamente somigliasse a quello, pur insufficiente, che invece abbiamo. Mai lo avremmo avuto, conoscendo l’inettitudine e indifferenza al futuro del paese che caratterizza la nostra classe politica (con le poche eccezioni, che hanno ben poco peso, purtroppo).
Per una volta guardiamo il bicchiere mezzo pieno, e partiamo dal bicchiere che abbiamo, cioè il testo definitivo, approvato dai due rami del parlamento; e, se è vero che il PNRR non rappresenta il cambiamento di paradigma che avrebbero voluto tutti coloro che hanno a cuore il futuro del nostro pianeta, cioè il nostro futuro, anzi quello dei nostri figli e nipoti, è anche vero che si può utilizzare come cavallo di Troia per avviare un reale cambiamento di paradigma.
Sta a noi essere vigili, esercitare la pressione necessaria perché questo cambiamento di paradigma abbia luogo, bloccando sul nascere azioni direttamente o indirettamente favorite dal PNRR.
Un esempio da portare subito, a questo proposito, è quello dell’ENI che, assieme alle altre aziende del settore Oil&Gas e con il sostegno aperto della Agenzia Internazionale dell’Energia che è diventata (o sempre stata?) la portavoce istituzionale, preme per continuare a estrarre combustibili fossili e a bruciarli, e poi sotterrare la CO2 che ne deriva (CCS, Carbon Capture and Storage). Il progetto ENI di cattura e stoccaggio nei giacimenti esausti dell’Adriatico della CO2 prodotta nell’area industriale di Ravenna è il caso paradigmatico. Il CCS è portato avanti anche con la scusa della espressa volontà europea di puntare sull’idrogeno.
Ebbene, nel PNRR sembra che si parli solo di idrogeno verde, però ci sono alcuni passaggi in cui potrebbero annidarsi delle brecce attraverso cui far passare l’idrogeno blu, come si chiama quello fatto con l’energia elettrica prodotta con fonti fossili e la CO2 derivante sotterrata.
Speriamo che questo retropensiero che attraversa tutte le associazioni ambientaliste e chiunque abbia a cuore l’ambiente si riveli falso; ma come si suol dire: a pensar male si fa peccato…
Detto questo, limitandoci all’esame alla missione “Rivoluzione verde e transizione ecologica” e ad un aspetto della missione ”Infrastrutture per una mobilità sostenibile” e lasciando da parte quelle azioni del PNRR che sono condivisibili, e ce ne sono, restano alcuni punti che invece non sono condivisibili e che richiedono, un attento ri-orientamento delle azioni previste.
Il primo punto, di enorme importanza, riguarda l’economia circolare, che viene letta in maniera riduttiva, confinandola al problema del trattamento dei rifiuti e agli impianti che occorrono, specie al sud.
Il cuore del problema, invece, viene rinviato al quando verrà adottata, entro giugno 2022, la nuova strategia nazionale per l’economia circolare.
Suona un po’ strano che la parte più importante del concetto di energia circolare secondo il Green Deal Europeo – e cioè che i prodotti devono essere progettati in modo da avere una bassa impronta di carbonio e di materiali, ed essere durevoli, riparabili, riusabili, rimodernabili e riciclabili – venga rinviata all’anno prossimo, senza peraltro prevedere adeguate risorse per attuarla.
Si tratta di un ambito che richiede sostanziali trasformazioni del modello di produzione e di consumo, primo fra tutti il passaggio da una economia centrata sulla produzione a una che valorizzi la manutenzione.
Inoltre, bisogna tenere gli occhi bene aperti al fine di evitare che gli interventi sul tema dei rifiuti, al sud, finiscano per focalizzarsi sulla realizzazione di inceneritori, che è quello che tutte le lobby, a partire da quelle mafiose, vogliono.
Poi ci sono le azioni sulla filiera agroalimentare. Non una parola sul sostegno allo sviluppo di una agricoltura basata sui principi dell’agroecologia, ignorando ciò che invece promuove la strategia europea “From Farm to Fork”. Ci sono solo azioni miranti a rafforzare, e razionalizzare, l’attuale modello di produzione di tipo industriale, introducendo innovazione volta ad aumentarne l’efficienza.
Un’altra mancanza riguarda un sia pure piccolo accenno alla eliminazione dei sussidi ambientalmente dannosi. E mancano incentivi alla efficienza energetica nell’industria. Come pure manca un accenno, e i conseguenti finanziamenti, all’accumulo mediante impianti di ripompaggio, utilizzando intanto i bacini artificiali già esistenti e creandone eventualmente di nuovi.
Gravissima poi, e da combattere con tutti i mezzi, è la volontà di aumentare la produzione di biometano attraverso il rinforzo degli impianti biogas agricoli esistenti e il supporto per la realizzazione di nuovi, attraverso un contributo del 40% dell’investimento.
Ciò significa incentivazione degli allevamenti intensivi, che sono fra le cause principali del contributo dell’agricoltura al cambiamento climatico, alla alterazione dei cicli biogeochimici, al consumo di acqua, al cambiamento di uso del suolo, alla perdita di biodiversità, e costringono a importare cibo che potrebbe essere prodotto al posto del mangime.
Questo è il secondo punto più importante, dopo quello sull’economia circolare, su cui occorre esprimere il più netto dissenso e operare per modificarlo.
Per contro, si sottovaluta il potenziale della produzione di biometano da acque reflue urbane. C’è solo un piccolo accenno in: “Dove possibile, gli impianti di depurazione saranno trasformati in ‘fabbriche verdi’, per consentire il recupero di energia e fanghi, e il riutilizzo delle acque reflue depurate per scopi irrigui e industriali”, nel capitolo“Tutela del territorio e della risorsa idrica”.
Infine, da più parti si osserva che le risorse destinate al solare e all’eolico, in particolare off-shore, sono scarse, e come incompatibili con l’esigenza di raggiungere l’obiettivo della riduzione del 55% delle emissioni nel 2050 siano le previsioni di crescita delle rinnovabili solare ed eolica.
Su questo punto si potrebbe osservare che le esigenze effettive dovranno essere definite dall’aggiornamento del PNIEC e che le risorse previste sull’eolico e il solare debbano servire solo per rendere competitive determinate soluzioni tecnologiche che oggi ancora non lo sono, dopo di che dovrebbe essere il mercato a provvedere, senza o con ridottissimi incentivi pubblici, guidato da opportuni provvedimenti normativi.
Ma è così, o è solo una benevola interpretazione di un disegno malevolo? Pertanto questo è un altro settore, estremamente critico, su cui occorre tenere altissima l’attenzione.
Infine, qualche notazione sulla mobilità sostenibile.
Si finanziano 570 km di ciclovie urbane e 1200 km di ciclovie turistiche, e non si capisce perché questa sproporzione: sono quelle urbane che riducono la mobilità motorizzata, quella che consuma carburanti fossili, non certo quelle turistiche.
Inoltre si finanziano pochissimo i bus elettrici e molto di più quelli a gas. Strano, data la tendenza verso l’uso di veicoli elettrici. Ma la mancanza di gran lunga più grave è un’altra: nessun accenno all’approccio più sostanziale che mira alla riduzione del traffico urbano: la ridistribuzione spaziale dei servizi in modo da rendere possibile che quelli di uso più frequente siano raggiungibili più comodamente a piedi o in bici che in macchina.
Cioè manca completamente qualsiasi accenno, e quindi incentivo, alla messa in atto della “città dei 15 minuti” che per esempio la Hidalgo sta sviluppando a Parigi.
La carne al fuoco è tanta, e non entriamo, questa volta, nel merito della filiera idrogeno verde, che è di grandissima importanza per tante ragioni, riservandocela per un’altra occasione di riflessione.
La parola d’ordine è: vigilare. Vigilare al fine di non trasformare la transizione ecologica in una transazione ecologica, dove ci si accorda per accontentare entrambe le parti, e prevale il più forte.
Federico Butera è Professore emerito di Fisica Tecnica Ambientale al Politecnico di Milano, membro Comitato scientifico WWF e consulente ONU per la progettazione di insediamenti ed edifici sostenibili