Commento ai vangeli della Quaresima a cura di Donatella Mottin
La
quaresima di quest’anno, anche per la fragilità del tempo
storico che stiamo vivendo, non deve essere un periodo in
cui vivere in un modo diverso dal solito, ma piuttosto
l’occasione di ritagliarsi degli spazi per riflettere
sull’Esodo che è la vita di ciascuna/o soprattutto in
questo periodo di pandemia, moderno “deserto” da
attraversare con difficoltà e scelte da operare, perché
sia anche occasione per scoprire la presenza di Dio in
queste note esistenze piccole e fragili.
Mercoledì
delle Ceneri / Mt 6,1-6.16-18
La
giustizia, aiutata dalla carità, il digiuno e la preghiera
sono elementi per cercare di attuare la volontà di Dio,
presenti in tutte le religioni pur con modalità diverse. È
particolarmente significativa, in questo brano di Matteo,
l’indicazione che Gesù dà rispetto a dove pregare: non in
piena vista nella sinagoga e ancor meno agli angoli delle
piazze per essere guardati, ma egli esorta a entrare nella
propria camera e a chiudere la porta.
A
quel tempo, nelle povere case ebree, non c’erano certo le
camere e la parola che è stata così tradotta, indicava la
dispensa, il luogo più nascosto e chiuso dell’abitazione,
dove si teneva quanto serviva alla vita di ogni giorno.
Ecco, Gesù ci indica di metterci a pregare lì, dove siamo
davvero soli, dove possiamo essere autenticamente noi
stessi: nel nostro cuore. Stare davanti a Dio senza
riempirci di parole, nel silenzio che ci permette di
ascoltarlo. È la preghiera più profonda, la più semplice e
nello stesso tempo la più difficile; che non dice nulla
perché osa fidarsi del fatto che Dio conosca già di cosa
abbiamo realmente bisogno e che a noi spetti solo di
comprenderlo.
I
domenica di quaresima / Mc 1,12-15
Spesso
invochiamo lo Spirito perché ci sostenga e ci illumini nelle
nostre scelte, soprattutto nei momenti più difficili. E
altrettanto spesso rischiamo di pensare che se lo Spirito è
con noi, siamo protetti da quanto di brutto ci può accadere.
Marco ci ricorda che non è così, o non è solo così; lo
Spirito sospinge, conduce Gesù nel deserto. I verbi tradotti
tolgono la forza del termine usato che meglio ci presenta
l’intenzionalità dell’evangelista: lo Spirito “scaraventa
Gesù fuori” nel deserto. Non in un posto privilegiato, ma
nelle incertezze, nelle domande, nelle prove da
attraversare: scaraventato nella vita, la nostra di esseri
umani, dove tentare di realizzare l’armonia con il cosmo (le
bestie e gli angeli, la terra e il cielo). Scaraventati
nella vita, immersi nella quotidianità e accogliendola
tutta, potremmo fare l’esperienza che il Regno di Dio è
vicino. Giovanni dirà: il Regno è dentro di voi.
II
domenica di quaresima / Mc 9,2-10
La
trasfigurazione spaventa i discepoli, fa straparlare Pietro
che non sa più cosa dire, ma in questa situazione in cui la
paura sembra inghiottire l’intera esperienza, il testo ci
dice: “venne una luce che li coprì con la sua ombra”. Senza
tornare alla presenza della nube di Dio nell’Esodo, possiamo
anche solo pensare a Maria. Anche per lei l’esperienza
dell’annuncio dell’angelo aveva stravolto la vita, anche lei
si chiedeva come fosse possibile, cosa fare, e l’unica
rassicurazione era stata quella: “il Signore ti coprirà con
la sua ombra”.
Fidarsi
di un’ombra, di una nube: che assurda può sembrare la nostra
fede!
Improvvisamente,
per i discepoli, viene meno la trasfigurazione e non c’è più
nessuno, solo Gesù e anche Gesù è solo, il Gesù di ogni
giorno, quella presenza che aveva cambiato la loro vita.
Gesù che stava salendo a Gerusalemme affrontando il cammino
che lo avrebbe portato al compimento della sua vita. È lo
stesso cammino di compimento che ognuna/o di noi affronta
quotidianamente, riconoscendo anche la normalità della paura
e fidandosi di una nube. I discepoli non vedono altri, solo
Gesù, ma è con loro, con noi.
III
domenica di quaresima / Gv 2,13-25 (s. Perpetua e s.
Felicita)
È
uno dei pochi passaggi dei vangeli in cui Gesù viene
presentato così arrabbiato da agire con una certa violenza.
Parla della casa del Padre ridotta a mercato, la casa che re
quali Davide e Salomone avevano voluto costruire per Dio.
Per gli ebrei era il luogo ritenuto il centro dell’incontro
e del dialogo tra il mondo terrestre e il mondo divino, tra
gli esseri umani e Dio.
Alla
casa del Padre Gesù contrappone il tempio del suo corpo. È
una affermazione straordinaria che non vuole semplicemente
fare riferimento alla sua morte e risurrezione, ma che
stravolge la tradizione giudaica. È il corpo di Gesù il
nuovo tempio di Dio, il corpo di ogni uomo e di ogni donna è
il luogo/spazio di incontro e dialogo con Dio.
È
bello che questo vangelo coincida con il ricordo di
Perpetua, vissuta a Cartagine tra il II e il III secolo
d.C., e di Felicita, la sua serva. Entrambe cristiane,
rifiutano di rinnegare la loro fede e verranno martirizzate
sostenendosi a vicenda fino alla morte. Il messaggio di
Cristo di uguaglianza e libertà, l’autonomia di scelta
rispetto alla propria vita erano un attacco al diritto
romano che riconosceva invece la schiavitù e la proprietà
del corpo femminile. Perpetua e Felicita avevano partorito
da poco quando vengono portate nell’arena per essere
sbranate. Avevano dato alla luce due figli e ora il loro
corpo “affermava la fede nella vittoria sul male e sulla
morte, confermando la stessa fedeltà alla vita”.
IV
domenica di quaresima / Gv 3,14-21
Nel
vangelo di Giovanni la parola mondo, che ha una varietà di
significati come universo, creato, umanità intera, assume
spesso una valenza negativa, ingloba chi coscientemente o
meno, rifiuta la giustizia, l’amore, lo Spirito. Eppure – ci
dice Giovanni – questo mondo Dio lo ama profondamente.
Il
testo è legato all’incontro con Nicodemo, che come tutti i
farisei al tempo di Gesù ( e come spesso noi oggi)
immaginava un Messia che separasse puri da impuri, santi da
peccatori.
Gesù
afferma di non essere venuto per condannare – e il verbo
usato indica, ancor prima, giudicare – ma per dirci che Dio
vuole che tutti siano salvati (1Tm 2,4) e che tutti abbiano
vita in abbondanza (Gv 10,10). Nel tempo di quaresima (che
non vuol dire essere tristi!) irrompe la gioia più vera: la
nostra fede è credere in un amore incredibile, in un Dio
sempre e nonostante tutto innamorato del mondo e
dell’umanità.
V
domenica di quaresima / Gv 12,20-33
In
Gesù si fa sempre più evidente verso cosa sta andando e
questo provoca in lui paura, un turbamento che dilaga
internamente, espresso con lo stesso verbo usato da Giovanni
pochi passaggi prima, davanti alla tomba che attestava la
morte dell’amico Lazzaro. È la consapevolezza del dolore e
del distacco da chi si ama e Gesù amava coloro che per anni
avevano condiviso le sue giornate, amava la vita.
In
questo momento di angoscia profonda cosa dire? A chi
rivolgersi? Solo all’abba’, al papà della preghiera
fiduciosa che aveva insegnato alle sue discepole e ai suoi
discepoli. La tentazione sarebbe quella di chiedere di poter
evitare la sofferenza e la morte, ma nello stesso tempo Gesù
ha la consapevolezza di aver vissuto una vita e operato
delle scelte che portavano inevitabilmente a questo.
Allora
non resta che proseguire e vivere le ore di angoscia che ha
davanti – quella notte oscura che è esperienza presente in
ogni cammino di fede – fidandosi totalmente del Dio che è
origine di vita e che non può venir meno alla sua promessa
di una vita che sa andare oltre la morte.
Donatella Mottin
Centro Documentazione e Studi