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venerdì 26 febbraio 2021
primolunedìdelmese: Filantrocapitalismo
martedì 23 febbraio 2021
Vicenza, ancora coperte gettate via ai clochard. Parte raccolta firme: "Il Comune non ci parla"
domenica 21 febbraio 2021
Lettera del Consiglio Pastorale Diocesano
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Consiglio Pastorale Diocesano |
Vicenza, 17 febbraio 2021
A TUTTE LE SORELLE E A TUTTI I FRATELLI DELLE COMUNITÀ CRISTIANE
Carissime/carissimi,
Siamo i componenti del Consiglio Pastorale
diocesano. Come voi tutti, abbiamo vissuto le paure e i drammi di questo
periodo pandemico che ha così profondamente segnato le nostre comunità e la
società intera. In quest’ultimo anno, mediante un questionario (“Riflessioni
sulla pandemia”, agosto 2020), la testimonianza di persone vicine alle
situazioni di sofferenza (16 settembre 2020) e l’ascolto di chi, per competenza
ed esperienza, poteva suggerire prospettive nuove (2 dicembre 2020 e 10
febbraio 2021), abbiamo cercato parole nuove da vivere con fiducia e speranza.
Percepiamo con sempre maggior chiarezza che siamo tutti “sulla stessa barca” e
che, prima delle soluzioni, l’importante è condividere le sofferenze e sperare
insieme.
Siamo consapevoli che la pandemia non ha fatto
altro che “amplificare” e portare allo scoperto certe sofferenze o
trasformazioni già in atto da tempo, nella società e nelle comunità. La fede e
la preghiera ci assicurano tuttavia che stiamo vivendo un “kairòs”, un momento
di grazia, non facile per nessuno, ma in grado di generare un modo nuovo di
vivere le relazioni tra di noi.
Nella nostra ricerca ci siamo
lasciati condurre da un duplice desiderio: ascoltare le sofferenze dei fratelli
e sorelle più colpiti, e lasciarci guidare dalla Parola di Dio. In questo
orizzonte, la teologa Stella Morra ci ha invitati “a passare «da Ulisse a
Orfeo». «Dobbiamo smettere di essere Ulisse che per non farsi incantare dalle
sirene si tappa le orecchie e si lega al palo per restare fermo. Dobbiamo
diventare Orfeo, capace di cantare un canto così bello che è lui che incanta le
sirene”. In un momento come questo, chi può avere una parola di consolazione se
non noi che abbiamo sperimentato la potenza guaritrice della Parola di Gesù?
Siamo consapevoli che non abbiamo ricette o facili soluzioni da offrire, ma
possiamo presentare ciò che abbiamo vissuto e ascoltato. “Nella fine, c’è
l’inizio” ci ha ripetuto il sociologo Mauro Magatti: solo con la preghiera e il
discernimento comunitario possiamo cogliere segni esistenziali anche da questa
“catastrofe vitale”. Le relazioni di Stella Morra e di Mauro Magatti possono, a
nostro avviso, essere utilmente riprese dai Consigli Pastorali unitari e
parrocchiali.
Con questa lettera,
manifestiamo il desiderio di condividere parole e segni che in questo tempo
possono essere fonte di speranza, per tutti noi.
1. Abbiamo sofferto tutti per la mancanza di relazioni e di contatto con gli altri. La solitudine e l’isolamento ci hanno fatto percepire quanto siamo legati gli uni agli altri, fin dal respiro. Se rimaniamo individui isolati, egoistici, narcisisti, non abbiamo futuro.
2. Nei momenti di buio, abbiamo sentito in modo particolare la nostalgia della luce. “Lampada ai miei passi è la tua Parola”: senza la Parola di Dio, il nostro camminare è un vagare senza direzione e la vita non riconosce il senso che la nobilita. A volte, tuttavia, pur avendo la Parola con noi, non sappiamo dare tempo e cuore all’ascolto.
3. Abbiamo sperimentato la nostra fragilità, mentre ci pensavamo onnipotenti, invincibili, perfetti e ciò ha riempito il nostro cuore di paura. È tempo di metterci in ascolto della realtà e di guardarci gli uni gli altri in modo rinnovato, con umiltà, fiducia e cura reciproca.
4. Vecchie povertà si sono rafforzate e nuove povertà sono venute alla luce. La sfida che ci attende è continuare ad alimentare la solidarietà, come singoli e come comunità, partendo dagli ultimi, dalle solitudini, da chi è più fragile, dai contesti sociali che rivelano maggiori criticità. Concordiamo sulla necessità che la vita ecclesiale e sociale pongano al centro dell'attenzione questi “esiliati sociali”, come li chiama papa Francesco in FT 98.
5. Il desiderio di tornare a come eravamo prima della pandemia è la tentazione da evitare, perché significherebbe non aver compreso il messaggio della crisi e sarebbe uno spreco enorme della grazia che il Signore ci vuole donare. Siamo certi che anche in questo tempo, la Grazia del Signore è al lavoro e desidera più che mai il nostro contributo per ricostruire un presente e un futuro migliore, lasciando andare le strutture divenute pesante e inutili.
Alla luce di queste sfide, vorremmo condividere alcune parole di fiducia, di speranza, di stimolo a lasciarsi permeare dalla creatività del Vangelo. Anche in un periodo così faticoso, possiamo contare su tante e nuove risorse che ci permettono di crescere nel “noi” della fede.
1. Il periodo vissuto ha messo a dura prova la nostra fede, che talvolta, ha rasentato la superstizione. Come ne uscirà la nostra fede da questa notte? Sarà più forte, più essenziale, più concreta, o semplicemente più smarrita? Le nostre comunità hanno saputo accettare, comprendere e vivere questo tempo, nella fede?
2. I gesti semplici di una telefonata, di una spesa fatta per l’altro, una visita… ci fanno desiderare di riprendere le relazioni, pur con tutte le accortezze necessarie, per vincere la solitudine e ritrovare la gioia dello stare insieme, di essere comunità. Come ritrovare il gusto della vita comunitaria, con piccoli gesti significativi?
3. Nella catechesi come
nell’animazione giovanile, diversi catechisti, animatori, responsabili di
associazioni e volontari, in questo tempo, hanno continuato fedelmente il loro
servizio, senza chiudersi in sé stessi. Abbiamo visto fare tante iniziative
a piccoli gruppi. Sarà molto importante darsi tempo per conoscerle e
diffonderle. Ugualmente, ci si può organizzare a piccoli gruppi, in videoconferenza
o in presenza, per meditare la Parola e pregare insieme.
4. L’esempio di Cristo che non ha paura di toccare persino i lebbrosi, ci invita a farci prossimi, a non temere di “toccare le ferite”, a mettere in opera forme nuove di ascolto. Nella Parola del Signore incontriamo la luce capace di farci nuovi e discernere in questo tempo di smarrimento, le strade nuove da percorrere per crescere in solidarietà e in fraternità.
5. L’esperienza di questo
tempo ci indica il grande valore del tempo donato per ascoltare e incontrare le
persone, facendoci “missionari della consolazione” e offrendo “sostegno
di vicinanza”. È opportuno, anche nelle nostre comunità ecclesiali, creare
luoghi e momenti di incontro tra le persone per condividere il vissuto; creare
spazi di dialogo dove ci si racconta liberamente paure e solitudini. Questo a
cominciare dai nostri consigli pastorali e dai gruppi parrocchiali.
Carissime e carissimi, questa lettera viene dal cuore e desidera essere un messaggio di condivisione, di fiducia, di vicinanza, e di incoraggiamento reciproco, perché “nella fine, c’è l’inizio” ed è ormai tempo di riconoscere con gratitudine “le cose nuove” che il Signore sta preparando per noi. Sarebbe davvero una pena, lo spreco di tanta sofferenza, il non accorgersene e il non valorizzarla. Spetta a noi assecondare il lavoro della Grazia e permetterle di portare frutti abbondanti nelle nostre vite e nelle nostre comunità.
Con simpatia, stima e gratitudine,
I
membri del Consiglio Pastorale Diocesano
Armi nucleari, i leader della Chiesa cattolica: I Governi firmino e ratifichino il trattato
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(Foto di Vatican News) |
Nel sostenere “la leadeship” che Papa Francesco sta esercitando “a favore del disarmo nucleare”, citando anche la sua visita a Hiroshima e Nagasaki del novembre 2019, quando il pontefice ha condannato sia l’uso del possesso di armi nucleari “da parte di qualsiasi Stato”, i leader cattolici sottolineano: “ci uniamo ad esortare i governi a firmare e ratificare il Trattato delle Nazioni Unite sulla proibizione delle armi nucleari”.
sabato 20 febbraio 2021
Una parola gloriosa
dalla pagina https://ilmanifesto.it/una-parola-gloriosa/
Internazionalismo. Senza la non brevettabilità universale e distribuzione incondizionata dei vaccini, bene comune, senza la messa al bando universale delle armi, senza la decisione unanime sul clima, tutto ciò che di negativo è temuto e previsto, nonostante ogni parziale beneficio in contrario, avverrà
Con la soluzione della crisi di governo, l’emergenza in Italia, e nel contempo in Europa e nel mondo, ha raggiunto la massima portata. Non c’è dubbio che secondo le categorie tradizionali si tratta di una soluzione di destra o, se si vuole, di un’uscita da destra dalla crisi, tanto più se il suo movente è stato, come si si sta delineando, il “business as usual”, gli affari come sempre, nonostante la pandemia.
Ma appunto a giudicare secondo le categorie del passato, mentre quello che oggi preme è il presente e il futuro. Non è di destra la scelta del Presidente della Repubblica, che ha anzi scongiurato il rotolamento elettorale verso il fascismo; non è di destra che Salvini sia stato personalmente costretto ad abbandonare il sovranismo orbanista o lepenista (la Lega e la borghesia produttiva ed egotista del Nord non l’avevano sposato neanche prima); non è di destra che l’on. Meloni si trovi collocata fuori dal gioco; non è di destra che il più autorevole o internazionalmente noto come Mario Draghi si sia esposto e prenda decisioni come autore finale. Ed è perfino un bene se non tutti i partiti votano compattamente la fiducia, senza sanzioni, non dovendosi attuare una “formula politica”. Ma sarebbe di destra il lamento senza vera politica.
Invece nella politica sta oggi tutta la strada. E la politica oggi, non solo per noi, ma per Draghi (Draghi contro Draghi!), per la cultura, per le fedi, per l’economia e per lo stesso capitale, vuol dire una parola che viene proprio dal passato e che abbiamo fatto male a dimenticare.
Dal passato infatti non viene solo il male onde noi oggi giudichiamo il presente: economicismo, monetarismo, diseguaglianza, bellicismo, austerità, neoliberismo, indifferentismo, Maastricht (tutte ideologie!), ma vengono anche delle grandissime cose, la Costituzione, il diritto, l’Europa, la tradizione pacifista, per non parlare del cristianesimo.
A questo passato va oggi non contrapposta né dialettizzata secondo la cattiva filosofia delle opposizioni, ma va integrata e immedesimata una parola gloriosa che viene fino a noi tra le più grandi eredità del comunismo e ancora prima dall’umanesimo, e questa parola è l’internazionalismo.
La sovranità non basta e fallisce, l’Europa non basta e da sola fallisce, il Regno Unito esce dall’Unione e si perde, la cosiddetta “America first”, proprio l’America della Normandia, stava rischiando come tale di precipitare nel fascismo e la pandemia irrompente in tanti filoni indipendenti e mutanti e non affrontata insieme rischia di vincere la partita e di sconfiggere anche noi.
Nonostante tutte le buone intenzioni e perfino le giuste scelte che potranno fare il governo Draghi, la Commissione Ursula e quanti altri, senza l’internazionalismo, cioè senza soluzioni che oltrepassino il quadro dato, ossia le regioni, le nazioni, l’Europa i singoli ordinamenti e le consuete aggregazioni politiche e geografiche, non potranno trovare risposta né la transizione ecologica, né la transizione sanitaria, né la transizione digitale.
Senza la non brevettabilità universale e distribuzione incondizionata dei vaccini, bene comune, senza la messa al bando universale delle armi, senza la decisione unanime sul clima, tutto ciò che di negativo è temuto e previsto, nonostante ogni parziale beneficio in contrario, avverrà.
Come deve essere evidente l’internazionalismo comincia dal condominio. Ma guai al provincialismo o al moralismo o al fai da te di chi dice: “ci basti intanto partire da noi”. La raccolta differenziata non significa niente (è uno sberleffo, un fastidio!) se dietro l’angolo il camion è lo stesso. L’internazionalismo è una politica. È un fare. Atto dopo atto, decisione dopo decisione, fatti dopo scelte, “recuperi” confronti e processi avviati. Di tale internazionalismo noi conosciamo il nome.
Si chiama costituzionalismo internazionale, si chiama, quale obiettivo storico e politico, Costituzione della Terra. Esso infatti non vuol dire un potere universale, ma una molteplicità di poteri armonizzati e reciprocamente garantiti sul piano mondiale. Dalle istituzioni sanitarie a quelle giurisdizionali, dall’Organizzazione del Lavoro all’Alta Autorità per il diritto, la libertà e il finanziamento solidaristico delle Migrazioni.
Però questo – costituzionalismo – è un nome colto, almeno per ora, non è ancora pronto a entrare come un vento impetuoso nel linguaggio politico, nel discorso popolare, nell’ottusità dei mass media e perfino nei gabinetti raffinati delle stanze dei bottoni.
Non è ancora pronto a farsi partito, a essere adottato come programma di partiti. Perciò il suo nome di battaglia, la sua gestione in forma popolare deve avvenire nel nome e nei nomi dell’internazionalismo. È una parola già fondata sul sangue di infiniti martiri, di cui vogliamo ricordare qui un solo nome per tutti, Marianella Garcia Villas, uccisa in quanto internazionalista dagli stessi assassini dell’eroico vescovo di San Salvador Oscar Arnulfo Romero.
Dunque davvero un nome che rinvia alla testimonianza, alla responsabilità, alla lucidità politica e all’impegno civile di donne e uomini, di laici e religiosi, atei e credenti, deboli e forti, poveri e ricchi.
E dunque internazionale dovrebbe essere l’ambito e l’orizzonte nel quale deve operare, fin da ora, la comune iniziativa politica.
mercoledì 17 febbraio 2021
In Quaresima, la Parola
Commento ai vangeli della Quaresima a cura di Donatella Mottin
La
quaresima di quest’anno, anche per la fragilità del tempo
storico che stiamo vivendo, non deve essere un periodo in
cui vivere in un modo diverso dal solito, ma piuttosto
l’occasione di ritagliarsi degli spazi per riflettere
sull’Esodo che è la vita di ciascuna/o soprattutto in
questo periodo di pandemia, moderno “deserto” da
attraversare con difficoltà e scelte da operare, perché
sia anche occasione per scoprire la presenza di Dio in
queste note esistenze piccole e fragili.
Mercoledì
delle Ceneri / Mt 6,1-6.16-18
La
giustizia, aiutata dalla carità, il digiuno e la preghiera
sono elementi per cercare di attuare la volontà di Dio,
presenti in tutte le religioni pur con modalità diverse. È
particolarmente significativa, in questo brano di Matteo,
l’indicazione che Gesù dà rispetto a dove pregare: non in
piena vista nella sinagoga e ancor meno agli angoli delle
piazze per essere guardati, ma egli esorta a entrare nella
propria camera e a chiudere la porta.
A
quel tempo, nelle povere case ebree, non c’erano certo le
camere e la parola che è stata così tradotta, indicava la
dispensa, il luogo più nascosto e chiuso dell’abitazione,
dove si teneva quanto serviva alla vita di ogni giorno.
Ecco, Gesù ci indica di metterci a pregare lì, dove siamo
davvero soli, dove possiamo essere autenticamente noi
stessi: nel nostro cuore. Stare davanti a Dio senza
riempirci di parole, nel silenzio che ci permette di
ascoltarlo. È la preghiera più profonda, la più semplice e
nello stesso tempo la più difficile; che non dice nulla
perché osa fidarsi del fatto che Dio conosca già di cosa
abbiamo realmente bisogno e che a noi spetti solo di
comprenderlo.
I
domenica di quaresima / Mc 1,12-15
Spesso
invochiamo lo Spirito perché ci sostenga e ci illumini nelle
nostre scelte, soprattutto nei momenti più difficili. E
altrettanto spesso rischiamo di pensare che se lo Spirito è
con noi, siamo protetti da quanto di brutto ci può accadere.
Marco ci ricorda che non è così, o non è solo così; lo
Spirito sospinge, conduce Gesù nel deserto. I verbi tradotti
tolgono la forza del termine usato che meglio ci presenta
l’intenzionalità dell’evangelista: lo Spirito “scaraventa
Gesù fuori” nel deserto. Non in un posto privilegiato, ma
nelle incertezze, nelle domande, nelle prove da
attraversare: scaraventato nella vita, la nostra di esseri
umani, dove tentare di realizzare l’armonia con il cosmo (le
bestie e gli angeli, la terra e il cielo). Scaraventati
nella vita, immersi nella quotidianità e accogliendola
tutta, potremmo fare l’esperienza che il Regno di Dio è
vicino. Giovanni dirà: il Regno è dentro di voi.
II
domenica di quaresima / Mc 9,2-10
La
trasfigurazione spaventa i discepoli, fa straparlare Pietro
che non sa più cosa dire, ma in questa situazione in cui la
paura sembra inghiottire l’intera esperienza, il testo ci
dice: “venne una luce che li coprì con la sua ombra”. Senza
tornare alla presenza della nube di Dio nell’Esodo, possiamo
anche solo pensare a Maria. Anche per lei l’esperienza
dell’annuncio dell’angelo aveva stravolto la vita, anche lei
si chiedeva come fosse possibile, cosa fare, e l’unica
rassicurazione era stata quella: “il Signore ti coprirà con
la sua ombra”.
Fidarsi
di un’ombra, di una nube: che assurda può sembrare la nostra
fede!
Improvvisamente,
per i discepoli, viene meno la trasfigurazione e non c’è più
nessuno, solo Gesù e anche Gesù è solo, il Gesù di ogni
giorno, quella presenza che aveva cambiato la loro vita.
Gesù che stava salendo a Gerusalemme affrontando il cammino
che lo avrebbe portato al compimento della sua vita. È lo
stesso cammino di compimento che ognuna/o di noi affronta
quotidianamente, riconoscendo anche la normalità della paura
e fidandosi di una nube. I discepoli non vedono altri, solo
Gesù, ma è con loro, con noi.
III
domenica di quaresima / Gv 2,13-25 (s. Perpetua e s.
Felicita)
È
uno dei pochi passaggi dei vangeli in cui Gesù viene
presentato così arrabbiato da agire con una certa violenza.
Parla della casa del Padre ridotta a mercato, la casa che re
quali Davide e Salomone avevano voluto costruire per Dio.
Per gli ebrei era il luogo ritenuto il centro dell’incontro
e del dialogo tra il mondo terrestre e il mondo divino, tra
gli esseri umani e Dio.
Alla
casa del Padre Gesù contrappone il tempio del suo corpo. È
una affermazione straordinaria che non vuole semplicemente
fare riferimento alla sua morte e risurrezione, ma che
stravolge la tradizione giudaica. È il corpo di Gesù il
nuovo tempio di Dio, il corpo di ogni uomo e di ogni donna è
il luogo/spazio di incontro e dialogo con Dio.
È
bello che questo vangelo coincida con il ricordo di
Perpetua, vissuta a Cartagine tra il II e il III secolo
d.C., e di Felicita, la sua serva. Entrambe cristiane,
rifiutano di rinnegare la loro fede e verranno martirizzate
sostenendosi a vicenda fino alla morte. Il messaggio di
Cristo di uguaglianza e libertà, l’autonomia di scelta
rispetto alla propria vita erano un attacco al diritto
romano che riconosceva invece la schiavitù e la proprietà
del corpo femminile. Perpetua e Felicita avevano partorito
da poco quando vengono portate nell’arena per essere
sbranate. Avevano dato alla luce due figli e ora il loro
corpo “affermava la fede nella vittoria sul male e sulla
morte, confermando la stessa fedeltà alla vita”.
IV
domenica di quaresima / Gv 3,14-21
Nel
vangelo di Giovanni la parola mondo, che ha una varietà di
significati come universo, creato, umanità intera, assume
spesso una valenza negativa, ingloba chi coscientemente o
meno, rifiuta la giustizia, l’amore, lo Spirito. Eppure – ci
dice Giovanni – questo mondo Dio lo ama profondamente.
Il
testo è legato all’incontro con Nicodemo, che come tutti i
farisei al tempo di Gesù ( e come spesso noi oggi)
immaginava un Messia che separasse puri da impuri, santi da
peccatori.
Gesù
afferma di non essere venuto per condannare – e il verbo
usato indica, ancor prima, giudicare – ma per dirci che Dio
vuole che tutti siano salvati (1Tm 2,4) e che tutti abbiano
vita in abbondanza (Gv 10,10). Nel tempo di quaresima (che
non vuol dire essere tristi!) irrompe la gioia più vera: la
nostra fede è credere in un amore incredibile, in un Dio
sempre e nonostante tutto innamorato del mondo e
dell’umanità.
V
domenica di quaresima / Gv 12,20-33
In
Gesù si fa sempre più evidente verso cosa sta andando e
questo provoca in lui paura, un turbamento che dilaga
internamente, espresso con lo stesso verbo usato da Giovanni
pochi passaggi prima, davanti alla tomba che attestava la
morte dell’amico Lazzaro. È la consapevolezza del dolore e
del distacco da chi si ama e Gesù amava coloro che per anni
avevano condiviso le sue giornate, amava la vita.
In
questo momento di angoscia profonda cosa dire? A chi
rivolgersi? Solo all’abba’, al papà della preghiera
fiduciosa che aveva insegnato alle sue discepole e ai suoi
discepoli. La tentazione sarebbe quella di chiedere di poter
evitare la sofferenza e la morte, ma nello stesso tempo Gesù
ha la consapevolezza di aver vissuto una vita e operato
delle scelte che portavano inevitabilmente a questo.
Allora
non resta che proseguire e vivere le ore di angoscia che ha
davanti – quella notte oscura che è esperienza presente in
ogni cammino di fede – fidandosi totalmente del Dio che è
origine di vita e che non può venir meno alla sua promessa
di una vita che sa andare oltre la morte.
Donatella Mottin
Centro Documentazione e Studi
sabato 13 febbraio 2021
Fridays For Future: serve un “Whatever it takes” per il clima
dalla pagina https://valori.it/whatever-it-takes-per-il-clima/
I ragazzi di Fridays For Future scrivono una lettera aperta a Mario Draghi: il recovery fund deve essere usato per affrontare la crisi climatica
“State scrivendo il recovery fund pensando agli anni Venti, ma del Novecento!”. Inizia così “ritorno al futuro”, un documento redatto da Fridays For Future con 7 proposte per una ripartenza sostenibile, equa e in grado di affrontare le crisi che stiamo vivendo.
7 proposte per una ripartenza sostenibile
Fridays for future chiede che il recovery fund venga utilizzato per finanziare le fonti rinnovabili, eliminando i 18 miliardi annui di sussidi ambientalmente dannosi e approvando una carbon tax. Obiettivo: 100% di energia prodotta da fonti rinnovabili entro il 2030.
Non solo, si propone di investire nell’efficienza energetica di edifici pubblici e privati e di passare sempre più a un trasporto elettrico possibilmente via rotaia accompagnato da una decarbonizzazione dell’industria, in primo luogo l’automotive. Mettere in cantiere, per il 2030, 200 km di metropolitane, 250 km di servizi tramviari metropolitani, 5.000 km di percorsi ciclabili e nessuna infrastruttura stradale che sia in competizione con queste per il trasporto di merci e persone.
Ci sono poi proposte per i territori fragili, investimenti per adattarsi ai cambiamenti climatici e un fondamentale sostegno alla ricerca pubblica e privata, con focus sulle produzioni circolari. Così come sostegno a una filiera agroalimentare a filiera corta, sostenibile e biologica.
La lettera a Draghi
Questi sono i temi ora sottoposti a Draghi, con una lettera aperta, dai ragazzi di Fridays For Future. Uno scritto dettato dalla constatazione che in queste consultazioni la crisi climatica sia sembrata relegate a un orpello da sbandierare senza troppa convinzione, salvo poi l’apparizione di un Ministero per la Transizione Energetica non meglio specificato.
In questo video, Laura ci spiega il senso del loro scritto.
Qui il testo della lettera: “In questi giorni sta svolgendo le consultazioni per la formazione di un nuovo Governo. Da quello che i media hanno riportato pare che la crisi climatica ed ecologica non esista. Che non sia stata trattata come una emergenza all’interno delle consultazioni. Abbiamo sentito rievocare molte volte “Whatever It takes”, ormai passata alla storia come “la frase che ha salvato l’Euro”.
Le viene attribuito il merito di aver tenuto insieme l’Unione Europea e sappiamo che – nonostante le criticità – l’Unione è l’unica opzione per fare a differenza in un’emergenza globale come la crisi climatica. Nel 2021 l’Italia è chiamata a fare la Storia: per la prima volta saremo ospiti del G20, e co-ospiti della COP26 – forse la conferenza per il clima più osservata di sempre, dopo che nel 2019 milioni e milioni di persone sono scese in piazza a chiedere azioni e giustizia climatica.
A maggior ragione in questo contesto, la sua prima responsabilità sarà far sì che il clima e l’ambiente innervino ogni aspetto dei fondi del Next Generation EU. Sappiamo infatti che una profonda riconversione ecologica è la migliore strategia anche per creare nuovi posti di lavoro e costruire una società più resiliente, l’unica possibile se vogliamo affrontare l’emergenza climatica.
Lo farete?
Come per la gestione della pandemia, anche per la crisi climatica dobbiamo appoggiarci alla miglior scienza di cui disponiamo, che da anni ci indica le misure da intraprendere per seguire un percorso sicuro per restare sotto I +1,5°C di aumento della temperatura media globale.
Proprio assieme a scienziati ed esperti , nelle sere e notti del lockdown, abbiamo scritto Ritorno al Futuro, un progetto con 7 proposte per una ripartenza sostenibile, equa e in grado di affrontare le tre crisi che stiamo vivendo: sanitaria, economica e climatica.
Ad agosto scorso, lei ha detto che “privare I giovani del futuro è la più grande forma di disuguaglianza”. Il suo governo agirà per non privarci del nostro futuro e garantire giustizia climatica, per non far pagare queste crisi ai più fragili e a chi ha meno responsabilità?
Non che più tempo per “fare il possibile”. Va fatto il necessario “whatever it takes” a qualunque costo.
La sentiremo citare di nuovo, tra un po’ di anni, nei video su YouTube o nei libri di storia, come la “la frase che ha salvato il clima”?
Ai posteri l’ardua sentenza. A questo Governo, però, la scelta di garantirci o negarci il futuro”.
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dalla pagina https://altreconomia.it/la-transizione-ecologica-o-mette-in-discussione-la-crescita-o-non-e-vera-transizione/
La transizione ecologica o mette in discussione la crescita o non è “vera” transizione
Efficienza e riduzione sono le due gambe della transizione ecologica, scrive Francesco Gesualdi, fondatore del Centro nuovo modello di sviluppo e anima del consumo critico. Altrimenti resisterà il “gigantismo” capitalista e il suo “mito della ricchezza”, causa del degrado attuale e nemico della dignità delle persone
Dopo aver messo il Pianeta a ferro e a fuoco, ora il sistema capisce di dover fare qualcosa, ma lo fa con lo stesso istinto che ha provocato il disastro e non fa che ingannare se stesso. Diciamolo chiaramente: il Pianeta vive uno stato di crisi a 360 gradi che si manifesta sotto due forme. L’assottigliamento delle risorse e l’accumulo dei rifiuti.
Per quanto riguarda le risorse, fino a ieri la preoccupazione principale era il petrolio, oggi si guarda soprattutto all’acqua, alla terra fertile, alla biodiversità, alle foreste, ma anche ai minerali, in particolare le cosiddette terre rare che stanno alla base delle nuove tecnologie dell’energia rinnovabile, della digitalizzazione, della robotizzazione. Ma è rispetto ai rifiuti che il sistema sta tentando la più grande operazione di autoinganno facendoci credere che il problema sia limitato all’anidride carbonica. Da quando abbiamo scoperto che il clima ha già cominciato a cambiare e che le sue conseguenze possono essere catastrofiche per gli eventi estremi che possono condurre ad alluvioni e canicole, alla desertificazione, alla perdita di raccolti agricoli, a migrazioni di massa connesse all’innalzamento dei mari, anche i capi di Stato hanno riconosciuto che bisogna cercare di ridurre le emissioni di gas serra.
Ma che dire della plastica che si sta accumulando ovunque e che ci torna indietro sotto forma di particelle dissolte nell’acqua che beviamo e nei pesci che mangiamo? E che dire dei veleni e delle sostanze chimiche che ogni anno buttiamo a milioni di tonnellate sui suoli agricoli che oltre a provocare l’avvelenamento delle falde acquifere, ci fanno perdere migliaia di tonnellate di suolo fertile? E che dire delle polveri sottili che appestano l’aria delle città esponendo a rischio cancro non solo i nostri polmoni ma qualsiasi altro organo?
Se facciamo un’analisi seria del come siamo arrivati a tanto degrado, scopriamo che parte della colpa è di una mentalità che considerando la natura un bene senza valore, l’ha trattata come un magazzino da saccheggiare e una pattumiera da riempire. Ma l’altra pezzo di colpa sta nei miti posti a fondamento della concezione capitalistica: il mito della ricchezza, della mercificazione, dell’accumulo, dell’onnipotenza. In una parola il mito della crescita che ha portato al gigantismo, all’inurbamento, al produttivismo, al consumismo, all’accelerazione, da cui derivano tutti i nostri guai. Dunque se volessimo davvero fare pace con la natura e riportarci nel perimetro della sostenibilità, quella vera che tiene conto dell’equità a livello planetario e del rispetto delle generazioni future, è la crescita che dovremmo mettere in discussione. Ma da questo orecchio il sistema non ci sente e riduce tutto a una questione di efficienza.
venerdì 12 febbraio 2021
La pandemia prova generale della crisi ambientale
La causa principale alla base delle pandemie dell’ultimo secolo è il cambiamento della destinazione d’uso dei terreni (distruzione di aree naturali) per favorire l’intensificazione dell’agricoltura, causa che è rinforzata dal commercio e dal consumo di fauna selvatica. La sostituzione di foreste, aree umide, praterie con campi agricoli e allevamenti, infatti, porta bestiame e persone a più stretto contatto con animali selvatici, permettendo ai microrganismi in essi ospitati di compiere il cosiddetto salto di specie, o spillover, trasferendosi nell’organismo umano. Da ciò deriva che la probabilità che i salti di specie abbiano luogo con l’aumento dell’uso del suolo, che è anche la principale causa della perdita di biodiversità, assieme al riscaldamento globale, che a sua volta è influenzato dal cambiamento di uso del suolo. Il fenomeno dello spillover è tutt’altro che raro. La maggior parte (il 70%) delle malattie emergenti (es. Ebola, Zika, encefalite di Nipah), e quasi tutte le pandemie conosciute (es. influenza, Hiv/Aids, Covid-19), sono zoonosi – cioè sono causate da microbi di origine animale, e quindi si tratta di malattie favorite dal degrado ambientale.
Ma non solo questo lega la pandemia che stiamo vivendo, e qualsiasi altra, al degrado ambientale. Il legame è molto più profondo, in quanto l’una è lo specchio dell’altro. Guardando alla diffusione del virus e al dispiegarsi dei suoi effetti, possiamo vedere con chiarezza quale è il futuro che ci aspetta se non fermiamo il riscaldamento globale e la perdita di biodiversità. Infatti, le analogie fra pandemia e degrado ambientale sono numerose. Proviamo ad elencarle.
LA PRIMA È CHE ENTRAMBI i fenomeni sono globali, e richiedono azioni globali. Il virus si è diffuso in tutto il mondo, senza risparmiare nessuno. Il degrado ambientale è pure globale e non risparmia nessuno: più alluvioni, siccità, uragani e incendi e perdita di biodiversità sono già in atto dappertutto.
LA SECONDA È CHE GLOBALI sono pure le soluzioni. Nessuno potrà mai essere al sicuro dal Covid-19 se non lo sono tutti. Vaccinare tutti nei paesi ricchi e non farlo per quelli poveri lascia che il virus circoli e aumenta la probabilità che muti, rendendo inefficaci i vaccini, e quindi riesponendo all’infezione chi il vaccino l’ha avuto. Dunque non ci si può permettere di essere egoisti, perché è controproducente. È forse la prima volta nella storia in cui l’egoismo si soddisfa attraverso l’altruismo. Lo stesso per il degrado ambientale. È inutile che i paesi ricchi riducano le loro emissioni e la perdita di biodiversità, se non avviene lo stesso nei paesi poveri. Quindi dobbiamo fornirli non solo di vaccini, ma anche di tutte le tecnologie e le risorse umane e finanziarie affinché possano svilupparsi controllando il degrado ambientale. Anche in questo caso l’egoismo si soddisfa attraverso l’altruismo. Pandemie e rischio ambientale non possono essere affrontati senza coordinamento e cooperazione globale.
LA TERZA ANALOGIA È CHE VIRUS E DEGRADO ambientale hanno un comportamento, nei confronti dell’umanità, che potremmo definire efferato: se la prendono prima di tutto e più di tutto con i più deboli, i più indifesi. Il virus non colpisce solo i più anziani, ma soprattutto i più i poveri, quelli che si infettano di più perché sono costretti a vivere in spazi ristretti e affollati, perché devono per forza prendere mezzi pubblici affollati per andare al lavoro, e non fanno lavori compatibili con lo smart working. Non solo muoiono di più, ma soffrono di più, perché sono i primi a perdere quelle sia pur precarie fonti di reddito su cui hanno finora contato, e sono costretti a mettersi in fila per un pasto. Anche quando si hanno le ondate di calore sono i vecchi i primi a morire, e sono i primi a morire assieme ai bambini quando, poveri e abitanti in paesi poveri, sono costretti a sfollare a causa di una inondazione, di un uragano, di una persistente siccità e sono i poveri che finiscono nei campi profughi, e si mettono in fila per un pasto. Dunque gli effetti dannosi della pandemia e del degrado ambientale sono distribuiti con la stessa legge delle disuguaglianze sociali ed economiche, e le esasperano.
LA QUARTA ANALOGIA È CHE PANDEMIA e degrado ambientale condividono una caratteristica che li rende particolarmente difficili da governare perché sono sistemici. Le loro manifestazioni dirette e i loro effetti a catena si propagano rapidamente in un mondo interconnesso e in entrambi ognuno di noi è una parte della soluzione, piccola ma fondamentale. Indossare la mascherina, lavarsi le mani, mantenere le distanze sono comportamenti individuali che permettono di controllare il diffondersi del virus. Se non lo facciamo tutti non otteniamo il risultato voluto. Lo stesso col degrado ambientale. Ridurre il consumo di carne, non usare prodotti a perdere, rifiutare il consumismo, assumere la sobrietà come valore guida delle scelte, sono comportamenti individuali che, se condivisi da tutti, contribuiscono alla soluzione del problema. In entrambi i casi, la decisione ad adottarli deve essere forzata. Nello stesso modo in cui se non si indossa la mascherina si viene multati, così se si prediligono comportamenti che favoriscono il degrado ambientale, questi comportamenti devono costare più cari, per esempio attraverso una opportuna tassazione.
LA QUINTA ANALOGIA È CHE LA PANDEMIA e il degrado ambientale, essendo sistemici, sono processi non lineari. Abbiamo visto con quale velocità può salire la curva dei contagi, tanto da arrivare rapidamente alla saturazione della capacità degli ospedali, con le conseguenze catastrofiche che sappiamo. Anche il degrado ambientale può acquistare una velocità tale da dare luogo a fenomeni catastrofici, incontrollabili. Basti pensare allo scioglimento dei ghiacci dell’Artico, che sta avendo una impressionante accelerazione, o a una carestia di grandi proporzioni in un grande paese quale l’India, che scardinerebbe in poco tempo il sistema alimentare mondiale.
LA SESTA ANALOGIA È CHE PANDEMIE e rischio ambientale non possono essere considerati un “cigno nero”, come gli economisti chiamano gli eventi rarissimi e del tutto imprevedibili, perché gli esperti hanno costantemente messo in guardia contro entrambi nel corso degli anni. e per entrambi non c’è stata e non c’è preparazione. Ci sono anche delle diversità, e sono quelle che hanno finora indotto ad agire sul rischio ambientale con minore fermezza e tempestività di quanto non si sia fatto con la pandemia.
Una importante diversità è che una crisi globale per la salute pubblica presenta pericoli imminenti, distinti e direttamente riconoscibili, ai quali siamo stati condizionati per garantire la nostra sopravvivenza. i rischi del cambiamento climatico e della perdita di biodiversità, al contrario, richiedono un’azione oggi per fare fronte a pericoli futuri. In altre parole la scala temporale all’interno della quale la pandemia si presenta e si risolve è molto diversa da quella in cui si presenta e si può risolvere l’emergenza ambientale. Con la pandemia si tratta di settimane, mesi e anni; per la crisi climatica di anni, decenni e secoli.
Ma la diversità più grande è che per la crisi ambientale non c’è un vaccino che magicamente risolve il problema e tutto può tornare come prima. La soluzione passa attraverso una profonda trasformazione: dopo non può essere come prima.
mercoledì 10 febbraio 2021
Le politiche di Pace e Disarmo siano al centro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza
dalla pagina Le politiche di Pace e Disarmo siano al centro del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (pressenza.com)
La Rete Italiana Pace e Disarmo nasce il 21 settembre 2020 dalla unificazione di due organismi storici del movimento pacifista e disarmista italiano: la Rete della Pace (fondata nel 2014) e la Rete Italiana Disarmo (fondata nel 2004). Entrambe le reti hanno potuto contare fin dalla loro fondazione sul sostegno di decine di associazioni, organizzazioni, sindacati, movimenti della società civile italiana. Lo scopo è quello di creare insieme la pace a partire dall’unione delle nostre forze, degli obiettivi comuni, per rafforzare e far crescere il lavoro collettivo per la pace ed il disarmo.
martedì 9 febbraio 2021
Quotazione in Borsa dell’acqua: NO grazie
dalla pagina https://ilmanifesto.it/quotazione-in-borsa-dellacqua-no-grazie/
Noi sottoscritte/i ci uniamo alla denuncia del Relatore Speciale delle Nazioni unite sul diritto all’acqua Pedro Arrojo-Agudo che l’11 dicembre scorso ha espresso grave preoccupazione alla notizia che l’acqua, come una qualsiasi altra merce, verrà scambiata nel mercato dei «futures» della Borsa di Wall Street.
L’inizio della quotazione dell’acqua segna un prima e un dopo per questo bene indispensabile per la vita sulla Terra.
Si tratta di un passaggio epocale che apre alla speculazione dei grandi capitali e alla emarginazione di territori, popolazioni, piccoli agricoltori e piccole imprese ed è una grave minaccia ai diritti umani fondamentali.
L’acqua è già minacciata dall’incremento demografico, dal crescente consumo ed inquinamento dell’agricoltura su larga scala e della grande industria, dal surriscaldamento globale e dai relativi cambiamenti climatici.
È una notizia scioccante per noi, criminale perché ucciderà soprattutto gli impoveriti nel mondo.
Secondo le Nazioni unite già oggi un miliardo di persone non ha accesso all’acqua potabile e dai tre ai quattro miliardi ne dispongono in quantità insufficiente.
Per questo già oggi ben otto milioni di esseri umani all’anno muoiono per malattie legate alla carenza di questo bene così prezioso.
Questa operazione speculativa renderà vana, nei fatti, la fondamentale risoluzione dell’Assemblea Generale dell’Onu del 2010 sul diritto universale all’acqua e, nel nostro paese, rappresenterà un ulteriore schiaffo al voto di 27 milioni di cittadine/i italiane/i che nel 2011 si espressero nel referendum dicendo che l’acqua doveva uscire dal mercato e che non si poteva fare profitto su questo bene.
Se oggi l’acqua può essere quotata in Borsa è perché da tempo è stata considerata merce, sottoposta ad una logica di profitto e la sua gestione privatizzata.
Per invertire una volta per tutte la rotta, per mettere in sicurezza la risorsa acqua e difendere i diritti fondamentali delle cittadine/i
CHIEDIAMO
Al Governo italiano che si sta delineando nel nostro paese chiediamo di:
- prendere posizione ufficialmente contro la quotazione dell’acqua in borsa;
- approvare la proposta di legge Disposizioni in materia di gestione pubblica e partecipativa del ciclo integrale delle acque» (A. C. n. 52) in discussione presso la Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera dei Deputati;
- sottrarre ad Arera le competenze sul Servizio Idrico e di riportarle al Ministero dell’Ambiente;
- di investire per la riduzione drastica delle perdite nelle reti idriche;
- di salvaguardare il territorio attraverso investimenti contro il dissesto idrogeologico;
- impedire l’accaparramento delle fonti attraverso l’approvazione di concessioni di derivazione che garantiscano il principio di solidarietà e la tutela degli equilibri degli ecosistemi fluviali.
* * * primi firmatari
Alex Zanotelli, Dacia Maraini, Moni Ovadia, Luciana Castellina, Emilio Molinari, Nando Dalla Chiesa, Don Virginio Colmegna, Gino Strada, Mimmo Lucano..
Info: www.acquabenecomune.org