Alessandra Ballerini 05 Gennaio 2020
Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Casamance, Colombia, Iraq, Kashmir, Kivu, (RDC), Libia, Mali, Myammar, Nagorno Karabakh, Niger, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Terra Santa, Ucraina, Yemen. Sono i paesi delle guerre dimenticate. Molti di questi paesi sono stati inseriti, con il decreto sicurezza, in un elenco di paesi considerati “sicuri”. Abbiamo sempre più bisogno di recuperare e condividere speranza
Una rivoluzione mite. Come l’ha definita don Francisco mentre offriva la sua testimonianza dall'altare della basilica dell’Annunziata. Il fatto che quasi tremila cittadini genovesi decidano di iniziare l’anno ascoltando parole di giustizia all'interno di una chiesa e partecipino sorridenti alla marcia per la pace organizzata dalla comunità di San Egidio, in questi tempi cupi di odio e insofferenza, ha il fascino irresistibile di una magia. E la forza di una rivoluzione. Sapere che la stessa manifestazione di pace si stava svolgendo in contemporanea in novecento città del mondo fa anche sperare che questa rivoluzione sia contagiosa ed efficace. Ed è forse per questo che ci siamo ritrovati così numerosi nel primo giorno dell’anno: per recuperare e condividere la speranza necessaria ad affrontare questo nuovo inizio.
Nella basilica affollata da “rivoluzionari miti” di varie età, diverse o nessuna fede e molteplici nazionalità (e anche da alcuni compostissimi quattrozampe), don Francisco, giovane prete originario di El Salvador, “il paese più piccolo del Centro America” ricordava, attingendo anche alla sua personale memoria, come la pace sia un sogno ancora in moltissimi luoghi: “la mia generazione ha ereditato dagli anni del conflitto la violenza diffusa, la povertà, il rancore, la sete di vendetta di tanta gente…”.
I nomi dei paesi devastati dalle guerre sono stati elencati dall'altare, ad uno a uno, sgranati come come un tragico rosario: Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Casamance, Colombia, Iraq, Kashmir, Kivu, (RDC), Libia, Mali, Myammar, Nagorno Karabakh, Niger, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Terra Santa, Ucraina, Yemen.
Tra il pubblico alcune teste annuiscono e si inumidiscono gli occhi di chi quelle guerre le ha vissute da vicino.
I nomi di questi Paesi e di altri violati da violenze diffuse ed endemiche (come l’Egitto), stampati sopra lo sfondo dei colori della pace, hanno sfilato per la città sbandierati da braccia di cittadini di qualsiasi nazionalità, non necessariamente coincidente con la regione di cui portavano e sorreggevano il peso.
Molti di questi paesi, sono stati inseriti di recente, in virtù (si fa per dire) del decreto sicurezza in un elenco di paesi considerati “sicuri” con la stesso arrogante cinismo con cui un uomo in buona salute potrebbe giudicare sano un malato terminale pur di evitare di prendersene cura.
In quei paesi che il nostro governo ritiene sicuri e dove invece – come ad esempio in Ucraina – si consumano sanguinarie quanto ignorate guerre civili, si è deciso per decreto, che sarà possibile rimpatriare i profughi che da lì erano faticosamente fuggiti.
Don Francisco sembra leggermi nel pensiero e cita il suo amico William, giovane maestro ucciso dalle bande armate locali: “la sicurezza non si ottiene solo con la fermezza, ma con l’amore”. E oggi, diversamente da quello appare leggendo i giornali, sembra esserci un’umanità silenziosa ma consapevole che crede e pretende questa “sicurezza amorosa”.
Se normalmente si preferisce non sapere e non vedere, i cittadini che hanno scelto di celebrare l’inizio del nuovo anno insieme alla comunità di San Egidio, hanno deciso di conoscere, anzi di “sentire” quello che succede fuori dai propri personali confini. Non mi viene in mente nessun modo migliore per affrontare i 365 giorni a venire.
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Alessandra Ballerini è avvocata civilista specializzata in diritti umani e immigrazione. Tra i suoi libri La vita ti sia lieve (per Melampo edizioni), storie di migranti e altri esclusi.