di Chiara Saraceno
IL RIFIUTO dei governatori delle Regioni del
Nord ad accogliere anche un solo immigrato in più, la minaccia di Maroni
di punire i Comuni non possono essere accantonate come un atto del
conflitto maggioranza-opposizione e di quello interno al centrodestra.
È UN vero e proprio atto di insurrezione, una
secessione vissuta con tanto più gusto in quanto lascia il Sud, luogo di
approdo dei migranti che vengono dal mare, a sbrogliarsela da solo. Non
si tratta più di bruciare bandiere o di inveire contro Roma ladrona
(anche perché si è scoperto che il ladrocinio non ha frontiere né
geografiche né ideologico-partitiche). È l’annuncio di una disobbedienza
sistematica, condita di minacce — illegali — a chi non si adegua.
Qualsiasi privato cittadino chiamasse all’insurrezione verrebbe
immediatamente denunciato.
Si può lasciar passare senza sanzioni che lo
facciano dei governatori di Regione, incluso un ex ministro dell’Interno
che chiede di disobbedire oggi a una norma che ha fatto ieri? In
un’Italia sempre più frantumata nella difesa di diritti e interessi
categoriali, sempre più impaurita da una crisi troppo lunga di cui,
specie i ceti più modesti non vedono una via di uscita a tempi brevi, i
flussi migratori incontrollati offrono il capro espiatorio perfetto.
Lasciare che chi ha responsabilità di governo utilizzi questo capro
espiatorio non solo per soffiare sulla xenofobia, ma anche per rompere
il patto di solidarietà territoriale che costituisce l’Italia in una
nazione, è doppiamente pericoloso.
Sia chiaro, i numeri di chi viene soccorso in
mare e viene sbarcato sulle nostre coste — al di là delle importanti
distinzioni tra profughi, richiedenti asilo e migranti economici — è
davvero impressionante e pone problemi seri e per certi versi inediti. È
una emergenza, non perché fosse del tutto imprevista, al contrario,
stante il permanere e l’incancrenirsi delle cause che inducono migliaia
di persone a lasciare il loro Paese. È una emergenza perché poco o nulla
si è fatto sia per modificare le situazioni di partenza, sia per
attrezzarsi a fronteggiare il flusso degli arrivi. La solidarietà
dell’Europa è vergognosamente latitante e finora si manifesta nel
paradosso delle navi inglesi che collaborano sì al salvataggio in mare,
ma si lavano immediatamente le mani di chi raccolgono portando il loro
carico nel più vicino porto greco o italiano. Anche lo striminzito
accordo per redistribuire ventiquattromila dei potenziali rifugiati ora
presenti in Italia tra i diversi Paesi è stato sconfessato dal rifiuto
di molti Paesi di accoglierne qualcuno.
L’Europa così pronta ad imporre le proprie
regole draconiane di austerity a Italia e Grecia, poco o nulla si
interessa di come questi due Paesi possano fare fronte alla necessità di
alloggiare, nutrire, offrire conforto alle migliaia che ogni giorno
arrivano sulle loro coste. Certo non aiuta a chiedere maggiore
solidarietà, in Europa e in Italia, scoprire che i finanziamenti —
inclusi quelli europei — dati a questo scopo sono in larga misura finiti
nelle tasche di faccendieri rapaci, che, come gli scafisti, hanno fatto
della migrazione e del sostegno ai disperati un business che lascia ai
destinatari solo briciole condite da inciviltà. Ma è paradossale che a
pagare il prezzo di questa sfiducia siano proprio le vittime del
malaffare. Ed è ancora più paradossale che i tre governatori motivino il
proprio rifiuto di accoglienza anche con quello ricevuto dall’Europa.
Dato che il governo non è riuscito ad ottenere solidarietà dall’Europa,
le regioni del Nord destro-leghista la rifiutano a loro volta,
confermando il cinico scarica barile dal Nord al Sud, da chi può
permettersi di rifiutare (ma Germania, Inghilterra e Francia hanno molti
più richiedenti asilo di quanti non ne abbiano in proporzione Lombardia
e, soprattutto Veneto e Liguria) a chi non può farlo, salvo ributtare a
mare chi arriva sulle sue coste.
La Sicilia, dove abita solo l’8,4% della
popolazione residente, ospita nelle varie strutture di prima accoglienza
il 22% dei migranti. La Lombardia, con il doppio dei residenti, ne
ospita solo il 9%, poco più della Campania, che però ha solo il 9,7% dei
residenti, e molto meno del Lazio, che con il suo 9,7% di residenti
accoglie nei centri il 12% dei migranti. Il Veneto, con l’8,7% dei
residenti, ospita nei suoi centri il 4% dei migranti, mentre la Liguria
ha un rapporto quasi alla pari: 2,6% di residenti, 2% di immigrati nei
centri di prima accoglienza. Saremmo un po’ più forti nelle nostre
negoziazioni con l’Europa se il nostro record amministrativo nella
gestione dei fondi per l’emergenza migranti fosse un po’ più specchiato,
le condizioni dei centri di accoglienza più civili, la solidarietà
territoriale interna più salda e visibile. Affrontare questa drammatica
emergenza umana, prima che organizzativa, all’ombra di discorsi
xenofobici e minacce secessioniste favorisce solo il malaffare, non
certo la ricerca, difficile, di soluzioni praticabili nell’immediato e
nel medio periodo.
da “la Repubblica” del 9 giugno 2015