lunedì 19 dicembre 2022

Landini: «Cambiamo modello sociale». La Cgil in udienza da papa Francesco

dalla pagina https://www.avvenire.it/attualita/pagine/intervista-di-avvenire-a-landini-cgil-udienza-da-papa-francesco

 

Lunedì il segretario e 5.000 attivisti e dirigenti del sindacato in Vaticano. «Grande consonanza su pace, valore della persona e dignità del lavoro. Sui temi bioetici ascolto senza diffidenze» 

 

Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, in una foto di qualche giorno fa, a Perugia contro la manovra - Fotogramma

«Abbiamo bisogno di ascoltare, vogliamo confrontarci, costruire percorsi unitari perché nessuno si salva da solo. Stiamo vivendo tempi davvero difficili con la guerra nel cuore dell’Europa, la minaccia di uno scontro nucleare che rischia di diventare reale, la crisi ambientale e la povertà che aumenta». Tempi eccezionali, sfide enormi che hanno sollecitato un avvenimento di per sé “storico”: domani, per la prima volta, 5.000 tra delegati, attivisti e dirigenti della Cgil varcheranno le porte del Vaticano per essere ricevuti in udienza dal Papa. Un incontro che il segretario generale Maurizio Landini e il sindacato tutto hanno fortemente desiderato, dopo l’udienza privata con alcuni dirigenti avvenuta nel 2019.

Segretario, su quali temi sentite maggiore vicinanza al magistero del Papa?

Nelle sue encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti abbiamo trovato una riflessione comune: questione ambientale e questione sociale sono strettamente connesse. E per affrontarle occorre cambiare il modello di sviluppo e promuovere una nuova fratellanza tra le persone, un nuovo rapporto tra l’uomo e la natura. Siamo un sindacato che ha l’ambizione di essere un soggetto di trasformazione della società e quindi sentiamo particolarmente consonanti le parole del Papa che invitano a costruire una vera e propria rivoluzione, anche culturale, in termini di valori e di azione. Lottando contro le diseguaglianze, mettendo al centro le persone e il lavoro dignitoso, un’economia non fondata solo sul profitto. E, a unire tutti questi temi, un impegno forte, prioritario, per affermare la pace e superare la logica stessa della guerra.

In questi mesi avete manifestato per la pace, assieme a molta parte del mondo cattolico, attirandovi pure accuse di “ambiguità”. Ma come difendere gli ucraini?

Noi non siamo mai stati neutrali, siamo stati fin dall’inizio contro la guerra, contro chi l’ha scatenata, la Russia, e dalla parte di chi è stato aggredito: gli ucraini. E a loro abbiamo fornito aiuti umanitari, abbiamo accolto le donne e i bambini che scappavano dai bombardamenti. Oggi non riusciamo a vedere ancora la conclusione della guerra, mentre si fa purtroppo più concreto il pericolo di un allargamento del conflitto, fino allo scenario peggiore: quello di uno scontro nucleare. Ora c’è bisogno di un cessate il fuoco, di una tregua per il Natale cattolico e ortodosso come ha proposto Andrea Riccardi, di aprire un vero negoziato di pace.

Sbaglia quindi il governo attuale, come quello precedente, a inviare ancora armi?

Di armi, nel conflitto in Ucraina e in generale nel mondo, ce ne sono già troppe. La vera sicurezza viene dall’affermare la cultura della pace, non dall’aumento delle spese militari. L’Europa e il nostro governo dovrebbero agire con maggior forza perché sia convocata una seria conferenza di pace. L’altra strada, quella del conflitto infinito, porta solo distruzione e morte.

Francesco ha denunciato molte volte la “logica dello scarto”: è un rischio che avvertite anche voi?

Non è un rischio, è una realtà concreta in molti ambiti. Si diffondono le carestie nel mondo, crescono le diseguaglianze fra le nazioni e in ogni nazione, il lavoro viene considerato come una merce qualsiasi e con esso le stesse persone finiscono per perdere valore. Questa è la logica dello scarto: quella che misura tutto in base ai soldi anziché ai bisogni e al valore della persona.

Il sindacato, però, appare a volte come un soggetto conservatore, più attento alla difesa di chi è già tutelato, che non ai più deboli come i disoccupati e i precari.

Diciamo anzitutto che la produzione legislativa dei diversi governi negli ultimi decenni ha aumentato la precarietà nel lavoro e favorito una frantumazione dei diritti dei lavoratori. Aumentando la competizione tra le persone che per vivere hanno bisogno di lavorare. Occorre quindi ripristinare un principio di equità e di uguaglianza con un nuovo Statuto dei diritti delle lavoratrici e dei lavoratori, che sancisca uguali diritti e tutele per tutti, a prescindere dal tipo di rapporto di lavoro: a tempo indeterminato o a termine, autonomo o a partita Iva. Questo penso sia il compito primario del sindacato e della politica: mettere al centro la persona ed evitare che chi per vivere deve lavorare debba accettare qualsiasi condizione. Dopodiché, anche le organizzazioni sindacali, a partire da quella che io rappresento, devono cambiare, essere sempre più in grado di rappresentare l’intero mondo del lavoro e le sue diverse forme. Per questo, però, è necessario anche un sostegno legislativo alla contrattazione collettiva, che cancelli i “contratti pirata” e dia valore generale ai contratti nazionali, sancisca così anche un salario minimo e gli altri diritti normativi. Penso alla malattia, gli infortuni, le ferie, il Tfr, solo per citarne alcuni, che debbono essere garantiti a tutti i lavoratori e le lavoratrici.

La dottrina sociale della Chiesa auspica un lavoro che sia «libero, creativo, partecipativo e solidale». Vi riconoscete in questa definizione? Come si realizza tale obiettivo?

Sì, il lavoro è lo strumento fondamentale per la realizzazione della persona. Ma oggi purtroppo il lavoro è precario e non di rado chi lavora è comunque povero, è aumentato lo sfruttamento, manca la sicurezza tanto che si continua a morire in maniera tragica e scandalosa. L’obiettivo di un lavoro migliore si può realizzare introducendo per legge e nei contratti un diritto alla formazione, perché ciò che fa la differenza oggi è la conoscenza. Anche l’impresa deve ripensarsi come luogo nel quale imprenditore e lavoratori possano discutere e realizzare accordi non solo su salari e orari ma anche su ciò che fanno e di come lo fanno, con quale sostenibilità ambientale, sociale. I lavoratori devono avere il diritto di essere informati preventivamente sulle scelte di investimento e su queste poter esprimere un parere, poter partecipare alla fase decisionale, visto che tutto ciò riguarda anche le condizioni e il futuro degli stessi lavoratori.

Ecco, appunto: il futuro delle relazioni industriali può essere ancora caratterizzato dal conflitto e non dalla partecipazione? Verso quale modello evolve il sindacato?

Noi proponiamo un’idea di impresa nel quale tutti i soggetti possono essere protagonisti attivi, in cui venga superato il modello del comando, unico ed esclusivo, in cui il sindacato è ammesso solo se assume a prescindere gli obiettivi dell’impresa. Per questo io penso che contrapporre il sindacato conflittuale e quello partecipativo come due modelli antitetici non ha senso, perché questi due momenti – conflitto e partecipazione – sono sempre necessariamente intrecciati e insieme determinano un equilibrio, che può di volta in volta variare a seconda delle situazioni concrete. Per questo io penso a un sindacato confederale fondato sulla rappresentanza e la democrazia, nel senso del diritto delle persone che lavorano di poter votare, di poter partecipare. E allo stesso tempo fondato sulla contrattazione, intesa come mediazione tra due soggetti portatori di interessi – il lavoro e l’impresa – che debbono riconoscersi reciprocamente.

Avete scelto di fare scioperi articolati contro La legge di bilancio: c’è una filosofia sottesa che vi preoccupa, al di là dei singoli provvedimenti?

C’è alla base di questa manovra una filosofia profondamente sbagliata. Sul fisco anzitutto. Con 100 miliardi di evasione all’anno, il 95% dell’Irpef pagato da lavoratori dipendenti e pensionati, non solo non si dà vita alla riforma necessaria per alleggerire il peso sui dipendenti e far crescere i loro salari, ma si va in direzione contraria con la flat tax che diminuisce la progressività dell’imposizione e crea nuove disparità. Ancora, di fronte a giovani che trovano occupazioni sempre più precarie, tanto da emigrare in massa all’estero, reintrodurre i voucher significa penalizzarli ulteriormente. Così come è inaccettabile cancellare il Reddito di cittadinanza in un Paese in cui la povertà è in aumento. Mancano poi veri investimenti per creare lavoro, in particolare nel Mezzogiorno e sono preoccupanti i tagli che si prospettano a sanità, formazione e istruzione.

Torniamo al magistero del Papa e alla Dottrina della Chiesa. Un rischio che corrono tutti – per primi i cattolici – è quello di condividere solo ciò che ci piace, non cogliendo il disegno complessivo sull’uomo. Non rischia di essere così anche per la Cgil: adesione sulle battaglie sociali, ma visione opposta sulla vita, ad esempio con la promozione dell’aborto come diritto e il sostegno alle scelte eutanasiche?

Ma la Cgil non ha mai promosso l’aborto, che rimane un passaggio doloroso e traumatico nella vita di qualsiasi donna. Semmai ha sempre tutelato la salute e la sicurezza delle donne che possono decidere di non portare a termine una gravidanza per diversi motivi. Anche perché l’alternativa è il rischio che si torni agli aborti clandestini, con la morte di migliaia di donne. Per questo noi chiediamo di investire sulla prevenzione delle cosiddette gravidanze indesiderate attraverso una corretta educazione alla sessualità e il potenziamento dei consultori. Quanto ad eutanasia e suicidio assistito, non c’è una posizione formale della Cgil. È un tema sul quale mi interrogo. Certo, occorre anche ascoltare chi vive una condizione di sofferenza insopportabile. Credo sia fondamentale su temi di questa natura e portata l’apertura e la disponibilità all’ascolto reciproco.

La Cgil è un’organizzazione laica, a cui peraltro partecipano anche molti credenti. Se posso entrare nel personale, qual è il suo rapporto con la fede?

Posso dire che credo nella possibilità di lottare, qui ed ora, per affermare la libertà delle persone nel lavoro e credo nella giustizia sociale. E penso che per farlo serva anche superare qualsiasi diffidenza verso i diversi atteggiamenti personali. Fratellanza, per me, significa essere sempre pronti ad aiutare quelli che stanno peggio di te e renderli protagonisti del cambiamento delle loro condizioni.

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dalla pagina https://www.vatican.va/content/francesco/it/speeches/2022/december/documents/20221219-cgil.html

DISCORSO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
A DIRIGENTI E DELEGATI DELLA
CONFEDERAZIONE GENERALE ITALIANA DEL LAVORO (CGIL)

Aula Paolo VI
Lunedì, 19 dicembre 2022

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi do il benvenuto e ringrazio il Segretario Generale per le sue parole. Questo incontro con voi, che formate una delle storiche organizzazioni sindacali italiane, mi invita ad esprimere ancora una volta la mia vicinanza al mondo del lavoro, in particolare alle persone e alle famiglie che fanno più fatica.

Non c’è sindacato senza lavoratori e non ci sono lavoratori liberi senza sindacato. Viviamo un’epoca che, malgrado i progressi tecnologici – e a volte proprio a causa di quel sistema perverso che si definisce tecnocrazia (cfr Laudato si’, 106-114) – ha in parte deluso le aspettative di giustizia in ambito lavorativo. E questo chiede anzitutto di ripartire dal valore del lavoro, come luogo di incontro tra la vocazione personale e la dimensione sociale. Lavorare permette alla persona di realizzare sé stessa, di vivere la fraternità, di coltivare l’amicizia sociale e di migliorare il mondo. Le Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti possono aiutare a intraprendere percorsi formativi che offrano motivi di impegno nel tempo che stiamo vivendo.

Il lavoro costruisce la società. Esso è un’esperienza primaria di cittadinanza, in cui trova forma una comunità di destino, frutto dell’impegno e dei talenti di ciascuno; tale comunità è molto di più della somma delle diverse professionalità, perché ognuno si riconosce nella relazione con gli altri e per gli altri. E così, nella trama ordinaria delle connessioni tra le persone e i progetti economici e politici, si dà vita giorno per giorno al tessuto della “democrazia”. È un tessuto che non si confeziona a tavolino in qualche palazzo, ma con operosità creativa nelle fabbriche, nelle officine, nelle aziende agricole, commerciali, artigianali, nei cantieri, nelle pubbliche amministrazioni, nelle scuole, negli uffici, e così via. Viene “dal basso”, dalla realtà.

Cari amici, se richiamo questa visione, è perché tra i compiti del sindacato c’è quello di educare al senso del lavoro, promuovendo una fraternità tra i lavoratori. Non può mancare questa preoccupazione formativa. Essa è il sale di un’economia sana, capace di rendere migliore il mondo. In effetti, «i costi umani sono sempre anche costi economici e le disfunzioni economiche comportano sempre anche costi umani. Rinunciare ad investire sulle persone per ottenere un maggior profitto immediato è un pessimo affare per la società» (Enc. Laudato si’, 128).

Accanto alla formazione, è sempre necessario segnalare le storture del lavoro. La cultura dello scarto si è insinuata nelle pieghe dei rapporti economici e ha invaso anche il mondo del lavoro. Lo si riscontra ad esempio là dove la dignità umana viene calpestata dalle discriminazioni di genere – perché una donna deve guadagnare meno di un uomo? Perché una donna, appena si vede che incomincia a “ingrassare”, la mandano via per non pagare la maternità? –; lo si vede nel precariato giovanile – perché si devono ritardare le scelte di vita a causa di una precarietà cronica? –; o ancora nella cultura dell’esubero; e perché i lavori più usuranti sono ancora così poco tutelati? Troppe persone soffrono per la mancanza di lavoro o per un lavoro non dignitoso: i loro volti meritano l’ascolto, meritano l’impegno sindacale.

Vorrei condividere con voi in modo particolare alcune preoccupazioni. In primo luogo, la sicurezza dei lavoratori. Il vostro Segretario generale ne ha parlato. Ci sono ancora troppi morti – li vedo sui giornali: tutti i giorni c’è qualcuno –, troppi mutilati e feriti nei luoghi di lavoro! Ogni morte sul lavoro è una sconfitta per l’intera società. Più che contarli al termine di ogni anno, dovremmo ricordare i loro nomi, perché sono persone e non numeri. Non permettiamo che si mettano sullo stesso piano il profitto e la persona! L’idolatria del denaro tende a calpestare tutto e tutti e non custodisce le differenze. Si tratta di formarsi ad avere a cuore la vita dei dipendenti e di educarsi a prendere sul serio le normative di sicurezza: solo una saggia alleanza può prevenire quegli “incidenti” che sono tragedie per le famiglie e le comunità.

Una seconda preoccupazione è lo sfruttamento delle persone, come se fossero macchine da prestazione. Ci sono forme violente, come il caporalato e la schiavitù dei braccianti in agricoltura o nei cantieri edili e in altri luoghi di lavoro, la costrizione a turni massacranti, il gioco al ribasso nei contratti, il disprezzo della maternità, il conflitto tra lavoro e famiglia. Quante contraddizioni e quante guerre tra poveri si consumano intorno al lavoro! Negli ultimi anni sono aumentati i cosiddetti “lavoratori poveri”: persone che, pur avendo un lavoro, non riescono a mantenere le loro famiglie e a dare speranza per il futuro. Il sindacato – ascoltate bene questo – è chiamato ad essere voce di chi non ha voce. Voi dovete fare rumore per dare voce a chi non ha voce. In particolare, vi raccomando l’attenzione per i giovani, spesso costretti a contratti precari, inadeguati, anche schiavizzanti. Vi ringrazio per ogni iniziativa che favorisce politiche attive del lavoro e tutela la dignità delle persone.

Inoltre, in questi anni di pandemia è cresciuto il numero di coloro che presentano le dimissioni dal lavoro. Giovani e meno giovani sono insoddisfatti della loro professione, del clima che si respira negli ambienti lavorativi, delle forme contrattuali, e preferiscono rassegnare le dimissioni. Si mettono in cerca di altre opportunità. Questo fenomeno non dice disimpegno, ma la necessità di umanizzare il lavoro. Anche in questo caso, il sindacato può fare opera di prevenzione, puntando alla qualità del lavoro e accompagnando le persone verso una ricollocazione più confacente al talento di ciascuno.

Cari amici, vi invito ad essere “sentinelle” del mondo del lavoro, generando alleanze e non contrapposizioni sterili. La gente ha sete di pace, soprattutto in questo momento storico, e il contributo di tutti è fondamentale. Educare alla pace anche nei luoghi di lavoro, spesso segnati da conflitti, può diventare segno di speranza per tutti. Anche per le future generazioni.

Grazie per quello che fate e che farete per i poveri, i migranti, le persone fragili e con disabilità, i disoccupati. Non tralasciate di prendervi cura anche di chi non si iscrive al sindacato perché ha perso la fiducia; e di fare spazio alla responsabilità giovanile.

Vi affido alla protezione di San Giuseppe, che ha conosciuto la bellezza e la fatica di fare bene il proprio mestiere e la soddisfazione di guadagnare il pane per la famiglia. Guardiamo a lui e alla sua capacità di educare attraverso il lavoro. Auguro un Natale sereno a tutti voi e ai vostri cari. Il Signore vi benedica e la Madonna vi custodisca. E se potete, pregate per me. Grazie!