venerdì 11 febbraio 2022

NATO, quel che la Russia vuole e quello che può

dalla pagina http://www.fulvioscaglione.com/2022/01/11/nato-quel-che-la-russia-vuole-e-quello-che-puo/

Le tappe dell'espansione della Nato verso Est.

Incontrarsi e dirsi addio? Il rischio che le trattative tra Usa e Russia si concludano qui, con una gita a Ginevra e la foto di gruppo, in effetti è grosso. D’altra parte i due contendenti l’avevano detto: Mosca chiarendo di non avere alcuna intenzione di trattare «per mesi o anni», Washington affidando alle seconde file il compito di sfogliare come una cipolla le proposte russe fino al gran finale del segretario di Stato Blinken, secondo il quale Vladimir Putin ha la fissa di restituire alla Russia ciò che un tempo fu dell’Urss, ovvero il controllo su Paesi poi diventati indipendenti. Così, una volta usciti dall’incontro, la vice-segretario di Stato Usa Wendy Sherman e il vice-ministro degli Esteri russo Sergey Ryabkov hanno sbrigato le formalità di rito («Incontro, serio, professionale, approfondito» ecc. ecc.) e poi hanno ricominciato a prendersi a pallate. «Vogliamo la garanzia granitica che Ucraina e Georgia non entreranno mai, mai, mai nella Nato», ha scandito il russo, un diplomatico di modi garbati e pacati che sta gestendo la crisi con grande grinta. «Nessuno può dire a un altro Paese in quale alleanza possa o non possa entrare», ha ribadito l’americana. I due tra l’altro si conoscono bene, si sono incontrati molte volte nelle commissioni impegnate sulla Siria e, prima ancora, per l’accordo sul nucleare iraniano del 2015. I bluff sono impossibili.

Sarebbe bello, però, se si trattasse solo di questioni personali. Perché il problema sta invece nella sostanza. La Russia si sente accerchiata e, soprattutto, vive come un incubo la prospettiva di avere armamenti Nato ai confini, ovvero così vicini da rendere un eventuale attacco missilistico o aereo non intercettabile e non replicabile. Per questo Mosca nel 2008 ha dato una lezione militare alla Georgia del provocatore Saakashvili, per questo nel 2014 non ha perso tempo nel rispondere all’Euromaidan di Kiev strappando all’Ucraina la Crimea e il Donbass. È una preoccupazione ragionevole? Dal punto di vista militare e strategico sì. Non c’è Paese della Nato che non ospiti basi e armi (anche atomiche) della Nato. Lo sa bene l’Italia, per fare un esempio geograficamente lontano dalla Russia, dall’Ucraina o dai Paesi Baltici. Negare questo significa dar ragione a Ryabkov quando dice: «Gli americani non capiscono quanto sia grave la situazione». Ovvero: che la Russia si sente davvero minacciata.

È altrettanto chiaro, però, che nessuna alleanza politico-militare (in questo caso la Nato) accetterebbe di farsi dire da un «avversario» chi può o non può farne parte. Nessun Paese, non solo Ucraina e Georgia, accetterebbe di farsi dire da altri con chi può o non può allearsi. E nessuna potenza, nel caso specifico gli Usa, accetterebbe di dare ad altri Paesi la patente di amici di serie B, come avverrebbe a Georgia e Ucraina se Biden accettasse le richieste russe. Tanto più che la collaborazione dei Paesi dell’Est europeo è utilissima agli Usa per tenere a bada eventuali smanie dell’Unione Europea.

Il cuore della questione è politico, anzi: geopolitico. La Nato ha iniziato a espandersi verso Est già negli anni Novanta. Cioè, quando a Mosca c’erano i governi più filo-occidentali della storia e la Russia tutto era tranne che bellicosa. L’idea degli Usa, di cui la Nato è un’estensione militare, era di approfittare delle debolezze altrui per «occupare» la maggiore quantità di spazio possibile. Quello che nessuno prevedeva allora (anzi, l’idea più comune era l’opposta) era che la Russia, e in misura anche maggiore la Cina, potesse risollevarsi così in fretta, recuperando orgoglio e potenza. Intendiamoci, Mosca non può competere con Washington (non solo in economia: il suo bilancio per la Difesa è un decimo di quello americano) ma può, per fare solo qualche esempio, mandare a monte i suoi piani in Siria o azzoppare l’Ucraina diventata feudo Usa. O stringere i rapporti con l’ex nemica Cina in un modo che fa tremare chi immagina le risorse energetiche russe al servizio della macchina produttiva cinese.

Per ottenere qualcosa, adesso, si tratterebbe di smontare decenni di politica mediocre e senza visione, concentrata solo su piccoli guadagni del breve periodo che hanno aperto la strada a disastri, come appunto ora si vede, nel lungo periodo. Cosa che verrebbe da definire impossibile, se non fosse che è meno triste chiamarla invece difficile.

___________________________

Mi chiamo Fulvio Scaglione, sono nato nel 1957, sono giornalista professionista dal 1983. Dal 2000 al 2016 sono stato vice-direttore del settimanale "Famiglia Cristiana", di cui nel 2010 ho anche varato l'edizione on-line. Sono stato corrispondente da Mosca, ho seguito la transizione della Russia e delle ex repubbliche sovietiche, poi l'Afghanistan, l'Iraq e i temi del Medio Oriente. Ho pubblicato i seguenti libri: "Bye Bye Baghdad" (Fratelli Frilli Editori, 2003) e "La Russia è tornata" (Boroli Editore, 2005), "I cristiani e il Medio Oriente" (Edizioni San Paolo, 2008), "Il patto con il diavolo" (Rizzoli 2017).

___________________________

 

dalla pagina https://ilmanifesto.it/crisi-ucraina-le-gravi-e-storiche-responsabilita-dellunione-europea/

Crisi ucraina, le gravi e storiche responsabilità dell’Unione europea

Un po' di storia. Gorbaciov offrì il ritiro militare dai Paesi del Patto di Varsavia, con l’impegno paritario a non estendere a Est la Nato. Ma quella occasione di porre fine alla guerra fredda fu sepolta. L’Europa unita non è nata a Ventotene, ma a Washington: il primo voto a favore fu del Congresso Usa nel marzo del 1947. Serviva schierarla lungo la Cortina di ferro

Parigi, novembre del 1990, storico accordo all’Eliseo tra Gorbaciov e Mitterrand sulla riduzione delle atomiche in Europa 

Spero non dover chiarire che ritengo la scalata di Putin al vertice della Russia una sciagura e, sebbene sia tutt’altra storia, anche su Xi Ping avrei qualcosa da ridire. Ma quando hanno detto la loro sull’Ucraina ho pensato: menomale che ci sono.

Perché la cosa più insopportabile che ormai silenziosamente subiamo è l’arroganza del nostro Occidente nel presentarsi come il modello ottimale di società e per questo il garante della democrazia nel mondo, nonostante i disastri seminati in tutto il Medio Oriente, in Afghanistan, ma anche dalle nostre parti dove la disuguaglianza cresce ogni giorno di più.

MERAVIGLIA LA MERAVIGLIA di chi si allarma perché Putin ha schierato tanti carri armati al confine ucraino: e cosa si aspettavano che facesse uno come lui, cui così è stata regalata la possibilità di conquistare popolarità nel suo paese – e di usarla per il peggio – vista la scellerata politica dell’Occidente nei confronti della Russia? Dopo la caduta del Muro si sarebbe finalmente potuto dare avvio a un processo inclusivo, graduale adesione dell’Europa dell’est e collaborazione con la Russia, europea solo a metà, è vero, ma difficilmente separabile dal nostro contesto storico-culturale. E invece si è imboccata la strada opposta, in parte annettendo, in parte costruendo un lebbrosario dove isolare la Russia. Di cosa la accusiamo? Di aver ammassato carri armati ai suoi confini, sempre in terra russa, con l’Ucraina? Ma gli Stati Uniti, per conto loro o con gli alleati, non hanno forse riempito da decenni il mondo di centinaia basi militari e guerre ma a migliaia di chilometri dalle proprie frontiere?

RICORDO BENE COME fu avviata la politica dell’Unione Europea quando il Muro cominciò a vacillare, in quegli anni ero a Bruxelles nell’Europarlamento. A capo dell’ Unione sovietica c’era finalmente un uomo come Gorbaciov che generosamente offrì il ritiro delle sue truppe dai territori del Patto di Varsavia in nome di un superamento della guerra fredda e dunque con l’impegno che si facesse altrettanto, di non estendere all’est il Patto Atlantico. In favore di una simile ipotesi c’era un grande movimento pacifista, il solo grande movimento realmente europeo che ci sia stato, che lottava per «un’Europa senza missili dall’Atlantico agli Urali»; c’erano molti leader socialdemocratici di sinistra alla direzione dei loro rispettivi partiti che l’appoggiavano (Foot, Palme, Kreiski, Papandreu, molti Spd; in Italia, ma isolato nel suo stesso partito, Berlinguer). Si sarebbe potuto tentare un nuovo assetto che seppellisse la guerra fredda.

E INVECE QUELL’OCCASIONE fu sepolta e siamo oggi difronte a un rischio molto peggiore. Perché prima c’erano le grandi bombe atomiche di cui i presidenti avevano le chiavi, ora il nucleare è diventato componente di munizioni maneggevoli alla portata di molti, matti o umani che sbagliano. Ricordo quando, nel ’93, l’Europa, avendo già appiccato con gli americani il fuoco nel Medio Oriente, passò ufficialmente da Comunità, alla più impegnativa Unione, e per Costituzione al famigerato Trattato di Maastricht.

NON ERANO STATE ANCORA rimosse le bandiere disposte a ornamento della Sala dove si era tenuto il battesimo che uno dei suoi membri più autorevoli, la Germania, si affrettava a intervenire, inizialmente da sola poi seguita da tutta l’Unione, nelle vicende jugoslave riconoscendo, in barba ad ogni norma internazionale in vigore, l’indipendenza della Croazia che si proclamava tale su base etnica. Soffiando così sul fuoco che stava divampando con un ridicolo richiamo persino alla comune appartenenza al cattolico Impero Austroungarico, comunità storica da contrapporre a slavi e ortodossi. Il tutto accompagnato da una campagna di lusinghe per rendere più infuocata l’ossessione nazionalista e così smontare l’intrusa Repubblica jugoslava, corposo ingombro nel rapporto fra est e ovest. E così fin dall’inizio, l’«allargamento» comandato da Bruxelles, è diventato reclutamento di chi poteva presentare più similitudini con l’Occidente, nel bene e anche nel male.

UFFICIALMENTE la lungimirante linea venne lanciata a un summit a Copenaghen, nel 1999, nuovo Presidente della Commissione Ue Romano Prodi, appena reduce dalla presidenza del Consiglio italiano. Una operazione presentata come caritatevole, e a chi, come la nostra sinistra obiettava, il rimprovero di non esser generosi e perciò di voler escludere i poveri dell’est dall’accesso alla bella torta con la panna che l’Ue rappresentava. Una carità avvelenata: lunghe trattative preliminari per obbligare i candidati all’ingresso ad ingoiare tutto quello che era stato stabilito senza di loro nei quarant’anni precedenti – “l’acquis communautaire” (“il diritto comunitario acquisito”) – in buona sostanza le regole del libero mercato: la privatizzazione di banche, servizi pubblici, libera competitività e il libero scambio e dunque l’esposizione alla libera concorrenza internazionale, abbinata alla proibizione di sostegni statali alle aziende. Più o meno come in Africa: ottimo per una nuova borghesia compradora, ulteriore miseria per i più poveri (è bene guardare i dati completi, per capire cosa questo regalo ha prodotto).

IL VELENO PIÙ MORTALE è stato tuttavia quello le cui possibili nefaste conseguenze si vedono oggi: nell’“acquis communautaire”, mai ufficialmente validato da un atto formale, c’è di fatto la Nato, la libertà, dunque, di piantare missili nucleari ovunque arrivino le frontiere dell’Unione. Fin sotto il naso della Russia. Con che faccia possiamo protestare per la Crimea quando abbiamo riconosciuta una dopo l’altra l’indipendenza di tutte le nazioni della federazione Jugoslava, nonostante l’accordo postbellico di non toccare i confini di nessuno stato senza un negoziato fra tutte le parti? Perché mai adesso non riconosciamo uguale diritto alla Russia che ha almeno qualche ragione in più per appoggiare la scelta della grande maggioranza degli abitanti della Crimea, russa da secoli e poi, per un gesto di cui nessuno poteva allora valutare il peso, regalata all’Ucraina, allora federata, dall’ucraino Krusciov e che oggi, con un voto al 95 %, è tornata ad essere parte del paese cui è appartenuta per secoli?

NEL 1947 HENRY WALLACE, ministro e ex vice del presidente Roosvelt, disse in un grande raduno popolare a New York che bisognava condividere con l’Urss i segreti nucleari e garantire ai suoi confini, in qualche modo come la dottrina Monroe di cui godevano gli Stati Uniti: fu estromesso dalla sua carica entro 12 ore. E 15 anni dopo, in nome di quella dottrina, rischiammo la guerra perché la piccola Cuba, concretamente minacciata come sappiamo, per via di quattro missili impiantati a sua difesa veniva ridicolmente accusata di voler attentare all’impero americano, un azzardo per il quale da più di 60 anni paga il prezzo altissimo delle sanzioni.

PURTROPPO L’EUROPA unita non è nata a Ventotene, ma a Washington: il primo voto in suo favore non fu di un Parlamento europeo, ma del Congresso americano, il 10 marzo 1947, su proposta di John Foster Dallas, Segretario di Stato e fratello di Alan, potente capo della Cia. La guerra fredda era appena cominciata e l’Occidente aveva bisogno di garantirsi una forza politicamente e militarmente unita lungo la Cortina di Ferro. Quell’impronta è rimasta sempre, e la nostra battaglia è recuperare l’ispirazione dei prigionieri antifascisti che mentre la guerra ancora infuriava avevano disegnato tutt’altro progetto. Dio mio che fatica continuare ad essere europeisti! Se insistiamo è solo perché l’idea di affidarsi al proprio Stato nazionale sarebbe infinitamente peggio.