martedì 9 novembre 2021

I dati sul clima non tornano

dalla pagina https://comune-info.net/i-dati-sul-clima-non-tornano/

Alberto Castagnola

C’è un problema importante che emerge dagli ultimi testi degli scienziati che sono al lavoro per l’Ipcc. Leggendo questi testi risulta che i dati utilizzati si fermano al gennaio di quest’anno, mentre durante gli ultimi mesi, e in particolare nel periodo estivo dell’emisfero settentrionale, sono esplosi fenomeni da tempo previsti e ora verificatisi in tutta la loro drammaticità. In primo luogo, lo scioglimento dei ghiacciai sta procedendo rapidamente e gli ultimi dati complessivi, relativi a 220 mila ghiacciai, indicano una perdita globale di 267 miliardi di tonnellate; sono però esclusi da queste rilevazioni la calotta antartica e la Groenlandia, dalle quali provengono invece segnali molto preoccupanti, come il distacco di grandi iceberg che navigano negli oceani negli ultimi due anni. Solo nell’anno in corso saranno più di trenta milioni, secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, gli sfollati interni e i migranti per cause climatiche
Foto Unspash

La lettura dei primi documenti di lavoro della Conferenza delle Parti numero 26 dell’IPCC evidenzia la massima concentrazione degli scienziati sulla difesa del limite massimo della temperatura media del Pianeta da non superare, 1,5 gradi C, mentre l’ultimo limite finora preso in considerazione, quello dei 2,0 gradi, viene descritto come causa di molti disastri ambientali.

E qui si pongono subito due questioni molto importanti. La prima riguarda il fatto che in realtà  stiamo già oggi raggiungendo gli 1,2 °C e non è in vista ancora nessuna misura di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra  e quindi la diffusione di documenti e studi assume i caratteri di un astratto confronto di posizioni molto lontano dalla realtà effettiva.

Il secondo aspetto è contenuto in un recente articolo di “Domani” (24 ottobre, pag.9) nel quale è ampiamente citato un documento ufficiale pervenuto a Greenpeace Inghilterra che contiene i 32.000 commenti o richieste  di Stati membri dell’Accordo di Parigi inviate all’IPCC con la richiesta di modifiche o attenuazioni su temi di loro specifico interesse, facenti parte dei documenti ufficiali finora approvati o dostribuiti.

Ad esempio, un consigliere dell’Arabia Saudita chede che venga eliminata una frase sull’urgenza di una mitigazione delle emissioni a ogni livello, oppure c’è l’intervento di un funzionario del governo australiano per cancellare il collegamento tra chiusura di  centrali a carbone e obiettivi dell’Accordo di Parigi.

Il numero e il carattere di queste richieste è ben lontano da un qualunque tipo di intervento realistico che i paesi dell’IPCC possano in modo unitario realizzare in tempi brevi, mentre il documento meriterebbe effettivamente uno studio approfondito come prova delle difficoltà che incontrano ancora oggi tutti i governi.

Ma c’è un  problema più importante,  che emerge dagli ultimi testi degli scienziati che vogliamo approfondire. Infatti leggendo questi testi risulta che i dati utilizzati si fermano al gennaio di quest’anno, mentre durante gli ultimi mesi e in particolare nel periodo estivo dell’emisfero settentrionale sono esplosi fenomeni da tempo previsti e ora verificatisi in tutta la loro drammaticità.

Ovviamente, è da sperare che gli scienziati abbiano in primo luogo fatto  pervenire  qualche aggiornamento alle delegazioni governative prima che partissero per Glasgow, altrimenti il dibattito di questi giorni non si svolgerà con il dovuto senso di urgenza e i risultati positivi – seppur ci saranno – rischiano di essere svuotati in partenza.

Cosa è successo al clima negli ultimi mesi, per citare almeno i meccanismi dannosi principali? In primo luogo, lo scioglimento dei ghiacciai sta procedendo rapidamente e gli ultimi dati complessivi, relativi a 220 mila ghiacciai e al periodo 2000-2020, indicano una perdita globale di 267 miliardi di tonnellate; sono però esclusi da queste rilevazioni la calotta antartica e la Groenlandia, dalle quali provengono invece segnali molto preoccupanti, come il distacco di grandi iceberg che navigano negli oceani negli ultimi due anni.

In un recente studio, pubblicato sulla rivista “The Cryosphere”, i ricercatori dello University College di Londra affermano inoltre che la banchisa costiera artica si sta sciogliendo ad un ritmo dal 70 al 100% più rapido rispetto alle stime attuali. Se ciò fosse confermato, molte delle previsioni finora formulate andrebbero riviste. Il riscaldamento globale continua ad aumentare anno dopo anno.

Il 2020 è stato l’anno più caldo per l’Europa, con temperature autunnali e invernali da record. A livello globale è stato uno dei tre anni più caldi mentre anche gli ultimi sei anni sono stati i più caldi mai registrati. Nell’insieme, il riscaldamento totale medio è stato di 1,20 gradi centigradi più elevato rispetto  agli anni 1850-1900. Quindi ci avviciniamo rapidamente a quel mitico livello massimo che si ritiene ormai il pianeta possa sopportare senza che si scatenino fenomeni incontrollabili.

Tra le cause, la concentrazione dei principali gas serra, anidride carbonica e metano, stanno toccando i livelli più alti registrati dal 2003, anno in cui sono iniziate le rilevazioni dei satelliti. In base ai dati dell’ultimo Rapporto 2020 sullo stato del clima in Europa, l’anno scorso il’inverno ha fatto registrare temperature di 3,4 gradi sopra la media stagionale. A marzo un vortice polare artico particolarmente forte aveva determinato una riduzione da record dell’ozono nell’emisfero settentrionale.

Ma i cambiamenti più rilevanti si sono verificati nel 2021, poichè una ondata precoce di calore, con temperature di undici gradi superiori alla media del periodo che si sono registrate nell’ovest degli Stati Uniti.

In Arizona e in Nevada le temperature hanno superato i 50 gradi. Le autorità della California hanno dichiarato lo stato di emergenza in 41 contee su 50 a causa della siccità per il secondo anno consecutivo. A metà giugno il caldo record ha colpito 50 milioni di persone, a Phoenix la temperatura ha superato i 47 gradi, mentre nella Valle della Morte ha superato i 53 gradi.

In Canada, nel mese di giugno, l’ondata di caldo ha colpito in particolare   le città di Seattle, Vancouver e Portland, che insieme contano nove milioni di abitanti, le temperature hanno raggiunto i 49,5 gradi, il livello più alto da quando sono iniziate le rilevazioni. La temperatura record di 49,6 gradi è stata raggiunta, sempre in Canada, nella cittadina di Lytton, che subito dopo è stata praticamente distrutta da un incendio.

Anche in Siberia, il paese del freddo nella nostra immaginazione, a Verchojanks, sono state registrate temperature superiori ai 47 gradi.  In India, l’ondata di caldo ha interessato decine di milioni di persone, superando i 40 gradi, mentre a New Delhi, con 43,1 gradi si sono registrate le temperature più alte dal 2012. Fenomeni analoghi, con un mese di giugno più caldo di sempre, sono stati segnalati nel Nord America, in Finlandia e in alcune zone della Svezia.

All’inizio del mese di luglio, la “cupola di calore” che ha investito in Canada un territorio che in genere era caratterizzato da un clima moderato e piovoso, ha registrato temperature record, incendi, fulmini e centinaia di vittime.

Nella Columbia Britannica in una settimana si sono registrate 719 vittime, cioè il triplo del normale, e 710mila fulmini, oltre a 136 incendi. La temperatura, che di solito si aggirava intorno ai 30 gradi, ha raggiunto il livello record di 49,6 gradi centigradi.

Ci si deve chiedere cosa stia succedendo, se un meteorologo si dichiara “interdetto” davanti ad un aumento di dieci gradi rispetto ai valori massimi raggiunti negli ultimi cento anni e di almeno venti gradi rispetto alle medie e alle rilevazioni meteorologiche. Una fonte di stampa azzarda una descrizione pura e sempice, senza osare indicare cause probabili o meccanismi complessi. Si parla quindi di un fronte d’aria calda, proveniente dal Pacifico, che ha viaggiato verso l’est e poi verso nord, è rimasta bloccata e la “cupola bollente” è stata anche alimentata dal calore proveniente dalle superfici.

Ma con ogni probabilità le dimensioni assolutamente inusuali e finora imprevedibili dipendono dal riscaldamento complessivo delle terre e dei mari, ancora non abbastanza studiati.

Fonti scientifiche,  qualche mese prima di questa estate rovente, hanno delineato un indebolimento della Corrente del Golfo, che avrebbe influito sul livello dei mari sulla costa est degli Stati Uniti, ma che sarebbe anche stata all’origine di uragani e piogge di portata finora sconosciuta nei paesi europei. Proprio ciò che è accaduto in Germania a metà luglio 2021, quando un uragano imprevisto e improvviso ha colpito la Renania-Palatinato e il Nord Reno-Westfalia, e ha causato oltre 160 morti e mille dispersi,  e con  le piogge pesanti che hanno devastato la Sicilia.

La stessa isola è stata colpita colpita successivamente dalla perturbazione Apollo e poi da un ciclone che si è abbattuto a più di 100 chilometri all’ora su Catania e Siracusa il 28 agosto, potrebbero essere la conseguenza di questi fenomeni di portata globale.

Non casualmente, quest’ultimo evento è stato classificato come “Medicane”, un ciclone con caratteristiche di uragano tropicale ma con estensione ed energia minore, e una struttura interna in parte diversa.

È stato sottolineato che finora eventi di questa natura avevano colpito l’Italia solo molto raramente, ma poichè la temperatura del mare è aumentata nelle zone di sviluppo iniziale degli uragani , saranno più probabili i contrasti con masse di aria fredda e con conseguente formazione di medicane (il nome deriva da una combinazione tra Mediterraneo e hurricane), cioè tra il nostro bacino marino e gli uragani dei tropici.

Questi elementi sono tratti da una intervista a Massimiliano Fazzini, esperto della Società italiana di geologia ambientale, apparsa sul Corriere della Sera del 30 ottobre 2021, a pag. 27. Evidentemente l’immagine di una Sicilia a clima ormai africano è molto più complessa di quanto potessimo immaginare.

Negli stessi giorni, l’uragano Ida con venti a 240 chilometri orari, ha colpito le coste della Louisiana, causando pesanti danni a New Orleans e vittime fino a NewYork.

E’ forse troppo presto per trarre delle indicazioni complessive sul significato a medio termine di questi fenomeni, così nuovi e dalle cause non ancora ben precisate. Tuttavia in sede COP 26 non si dovrebbe trascurare il fatto che i giorni in cui le temperature superano i 50 gradi nel corso di un anno sono raddoppiati dagli anni ’80 e soprattutto che le emissioni dannose per l’ambiente aumenteranno come minimo del 16% e  che ciò comporterebbe un aumento minimo della temperatura globale del pianeta fino a 2,7 gradi centigradi entro la fine del secolo, almeno in base alle politiche finora seguite dai paese maggiori inquinatori.

Infine, non possiamo trascurare i fenomeni di freddo estremo che si stanno verificando nel periodo più recente. Nella fase attuale, la crisi climatica potrebbe portare ad ondate di freddo estremo in alcune aree dell’emisfero settentrionale. Dei ricercatori hanno analizzato il vortice di correnti che circola sopra il Polo Nord, isolando e intrappolando al suo interno l’aria più fredda. Oggi però, a causa del progredire della crisi climatica, il vortice polare si sta indebolendo e contribuiscono a questo fenomeno la perdita di ghiaccio marino e l’aumento delle nevicate nelle parti meridionali del circolo polare artico. Di conseguenza l’aria gelida dell’Artico a intervalli è libera di spostarsi verso latitudini inferiori.

Episodi di freddo estremo sono stati registrati tra gennaio e febbraio scorsi in Asia, Europa e in Nordamerica. In particolare, il Texas è sta investito da una ondata di freddo eccezionale, che è durata a lungo ed è stata accompagnata da abbondanti nevicate. Gli oleodotti si sono ghiacciati, la rete elettrica è andata in panne, con danni che hanno sfiorato i 200 miliardi di dollari.

Il presente articolo aveva solo lo scopo di mettere in evidenza fenomeni meteorologici e climatici che sembrano a un occho profano essere peggiorati o aver addirittura cambiato modello di comportamento, durata e intensità.

Dalle reazioni degli scienziati non sembra che si possa trattare di eventi eccezionali, destinati a non ripetersi nel tempo; anzi molte sono le sottolineature in direzione di una serie di fenomeni destinati a peggiorare ulteriormente e a moltiplicarsi in tempi ravvicinati.

Sarà quindi opportuno, mentre si stanno svolgendo i lavori della COP 26, verificare che questi eventi più recenti non vengano trascurati o dimenticati, mentre invece dovrebbero indurre gli Stati ad assumere responsabilità precise da attuare in tempi molto stretti.

Anche i movimenti ambientalisti, sempre più motivati e incisivi, dovranno esigere scelte e comportamenti governativi coerenti con i tempi sempre più ristretti della crisi climatica, da sorvegliare senza sosta dopo la chiusura dei lavori dell’Assemblea. 

Inoltre non possiamo dimenticare che solo nell’anno in corso saranno più di trenta milioni, secondo l’Organizzazione Mondiale per le Migrazioni, gli sfollati interni e i migranti per cause climatiche.