mercoledì 7 aprile 2021

Il lavoro, cura della casa comune

dalla pagina https://comune-info.net/il-lavoro-come-cura-della-casa-comune/

Paolo Cacciari


C’è un altro modo per intendere e praticare il lavoro? Sì, ma occorre cambiargli lo scopo. Per voltare radicalmente pagina si può attingere al patrimonio, creato dal pensiero femminista, della cura. Ci sono due condizioni fondamentali per ridare dignità e senso sociale al lavoro: primo, il lavoro deve essere una libera scelta sganciata dal ricatto del reddito (che fa del “sistema salariale la peggiore schiavitù”, come ricordava Paul Lafargue); secondo, ci deve essere una condivisione collettiva su cosa, come, quanto, dove e per soddisfare quali bisogni produrre

Ci sarebbe un altro modo per intendere e praticare il lavoro: cambiargli lo scopo. Da prestazione finalizzata alla produzione di merci da collocare sul mercato, ad attività orientata alla cura di sé stessi/e, degli/lle altri/e, dell’ambiente. Insomma, transitare Dal lavoro alla cura, come recita il titolo dell’ultimo libro di Guido Viale (Edizioni Interno 4, di cui Comune ha pubblicato un paragrafo). Un agile, spumeggiante scritto militante, ma assai impegnativo poiché affronta di petto il senso comune ontologico attribuito, a destra come a sinistra, al concetto di lavoro, inteso come principio regolatore della cooperazione e dell’ordine sociale. Il lavoro è il campo di battaglia culturale e politica su cui prende forma l’idea moderna di società.

Per voltare radicalmente pagina Guido Viale fa sua l’idea, creata dal pensiero femminista, della cura. La Caring economy ridefinisce le azioni umane nel loro complesso a partire dalle attività fondamentali dalla riproduzione sociale della vita e dalla rigenerazione dei cicli vitali naturali. Al contrario del “pensiero unico” moderno, per Viale, al centro delle preoccupazioni umane, non vi dovrebbe essere la massimizzazione della “potenza trasformatrice della moderna produzione”, sospinta dal mito prometeico del superamento dei limiti biofisici per affermare il dominio dell’uomo (maschio, adulto, occidentale e possidente) sulla natura. Il sottotitolo del libro di Viale è, appunto: “Risanare la terra per guarire insieme”. Dove la guarigione non si riferisce solamente alle numerose patologie biochimiche e funzionali dei corpi viventi inquinati e maltrattati dalle produzioni industriali, ma anche alla hybris psicosociale di cui è affetta la mente dell’Homo Oeconomicus. In particolare il pensiero ecofemminista considera la cura come l’oggetto principale dell’economia. È quindi giusto ricordare qui i lavori di alcune stidioseIda Praetorius, L’economia è curaLa riscoperta dell’ovvio, Altreconomia, 2019; Riane ElislerLa vera ricchezza delle nazioni. Creare un’economia di cura, Forum Udine, 2015; Bruna BianchiL’arma più potente del dominio maschile. Il Lavoro non pagato delle donne nella riflessione femminista, in Femen, 2013; Veronika Bennholdt-ThomsenIl denaro o la vita, Asterios, 2020.

Guido Viale rovescia l’idea antica, mitologica e religiosa del lavoro come condanna e sacrificio che conduce lavoratori e lavoratrici ad accettare come inevitabili forme di coercizione, sfruttamento, alienazione, sofferenze. Un’etica del lavoro astratta, che in nome delle “magnifiche sorti e progressive” dello “sviluppo delle forze produttive”, prescinde tanto dalle condizioni concrete del “lavoro vivo” impiegato come mero “strumento” nei cicli produttivi, quanto dall’effettiva utilità sociale dei beni prodotti. “Il lavoro – scrive Viale – ha una sua dignità solo quando concorre alla cura della casa comune”. Produrre pane o bombe è indifferente per il capitale investito nelle borse valori, un po’ meno per chi li riceve. Avere un’occupazione qualsiasi non è sufficiente a realizzare il pieno sviluppo della persona umana. È quindi necessario liberare il lavoro dalle regole del mercato.

Le encicliche e i discorsi sociali di papa Bergoglio sono per Viale una fondamentale voce di conferma. “Quando il lavoro non è più espressivo della persona, perché essa non comprende più il senso di ciò che sta facendo, il lavoro diventa schiavitù”. Anche nelle proposte per fuoriuscire dalla dittatura economicista papa Francesco è straordinariamente chiaro e avanzato, come nel rilancio della proposta della “Retribuzione universale di base”, fissa e incondizionata a tutti e a tutte, finanziata attraverso la fiscalità generale, che “darebbe alle persone la sicurezza basilare e cancellerebbe lo stigma dell’assistenzialismo” (Papa Francesco, Ritornare a sognare, 2020).

Vi sono due condizioni fondamentali per ridare dignità e senso sociale al lavoro: primo, il lavoro deve essere una libera scelta sganciata dal ricatto del reddito (che fa del “sistema salariale la peggiore schiavitù”, secondo la nota definizione di Paul Lafargue); secondo, vi deve essere una condivisione collettiva su cosa, come, quanto, dove e per soddisfare quali bisogni produrre. Viale quindi torna sul tema del lavoro come bene comune: “Affermare che il lavoro è un bene comune è proposizione che riguarda in primo luogo la salvaguardia della dignità del lavoro (…), ma significa anche, e soprattutto, che le modalità in cui il lavoro viene impiegato, le finalità di questo impiego e, conseguentemente, il prodotto stesso di quel lavoro sono questioni che possono, e dovrebbero, vedere coinvolti innanzitutto i lavoratori stessi, ma anche tutta la comunità che insiste sul territorio con cui quel lavoro si intreccia” (La conversione ecologica, NdA Press, 2011).

Viale pensa quindi a lavori “eco-autonomi” (come li avrebbe definiti Lucia Bertell, Lavoro ecoautonomo. Dalla sostenibilità del lavoro alla praticabilità della vita, Elèuthera, 2018, leggi anche Si vive con meno di quanto si pensi) inerenti alle attività di cura delle persone, di manutenzione del patrimonio ambientale, di produzioni artigianali, contadine, anche industriali, ma a determinate condizioni, riprendendo Keynes che era favorevole ad una “certa autarchia” territoriale.

Nella seconda parte del libro Viale passa a trattare i temi a lui più cari delle conseguenze ecologiche del produttivismo lavorista. La logica espansiva e predatoria del mercato (“bulimia del mercato”) rende impossibile immaginare un modello di economia sostenibile (green, circolare, smart… a dir si voglia) restando all’interno di un regime dominato dall’impresa capitalista. Attenzione, quindi, a una “transizione ecologica” (leggi i programmi del nuovo superministro Cingolani) senza una profonda trasformazione degli assetti socioeconomici, senza “un cambio di paradigma e una nuova struttura delle relazioni degli esseri umani sia con l’ambiente nel suo complesso – la madre Terra – sia con l’assetto dei rapporti sociali ed economici che intercorrono tra le persone”. Gli stessi Sustainable Development Goals delle Nazioni Unite sono destinanti a rimanere un miraggio senza una “conversione ecologica”. Niente di meno che un “superamento dell’approccio antropocentrico”. Un superamento dell’antico dualismo (cartesiano) tra materia e anima, tra corpo e mente. Bisogna tornare a Spinoza, quindi, alla complessità inseparabile delle funzioni biologiche e mentali, emozionali e razionali. Riscopriremo che la natura non è solo la nostra “casa comune”, ma che noi siamo incorporati nella natura, che “la natura è dentro di noi”. Questo modo di pensarci nel rapporto con gli altri e con il “creato” ci permetterebbe di sviluppare una conoscenza meno meccanicistica, “frammentata e scomposta” della rete che connette ogni forma di vita e, soprattutto, ci permetterebbe di acquisire una coscienza del “noi”, planetaria, anzi universale. Allora – e solo allora – capiremmo che suolo, acqua, materiali ed energia non sono “risorse”, “materie prime”, “capitale naturale”, “servizi ecosistemici”… ma, come bene scrive Guido Viale a proposito dell’atmosfera: “L’aria è, dalle origini dell’umanità, pneuma, respiro, spirito, vita”.

Chi può prendersi cura di Gaia? Di nuovo Viale è ispirato da papa Francesco. In particolare dal Sinodo sull’Amazzonia e dai tre incontri con i movimenti popolari mondiali (Tierra, Techo, Trabajo). La conversione ecologica è una lotta dei popoli che si fanno “comunità agenti”, fraterne, portatrici di una “cultura pratica” ecosostenibile. Viale sposa la “prospettiva territorialista”. Ipotizza (con Alberto Magnaghi) “una serie di accordi tra governances locali che esautorino da molte delle loro prerogative le autorità nazionali, per organizzare un coordinamento multilaterale e costruire nuove entità che restituiscano ai governi locali il massimo delle competenze gestibili al loro livello. Non quindi Regioni o super-regioni, ma soprattutto municipalità”. E ancora: “Un rapporto autentico tra l’umanità e la Terra ha due dimensioni fondamentali: locale, per costruire e gestire comunità aperte entro il raggio operativo dell’azione diretta di ognuno; e globale, per promuovere e imporre misure che ne prevengano il collasso climatico, ambientale e sociale”. Lo scontro per risanare il pianeta e guarire l’umanità non ha confini.