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Paolo Cacciari - 28 Luglio 2020
Instancabile divulgatore scientifico, con una forte vocazione pedagogica, e militante ecologista, Giorgio Nebbia ha saputo muoversi negli orizzonti del marxismo e del cristianesimo, consapevole che la cultura della sinistra politica è sempre stata intrisa di sviluppismo. “Se è possibile sintetizzare il pensiero che è alla base dell’ecologia politica di Nebbia – scrive Paolo Cacciari commentando il libro La Terra brucia, dedicato alla sua memoria -, esso parte dalla constatazione che la violenza strutturale contro la natura è insita nei modi di produzione capitalisti… Nebbia insegue l’incontro tra ecologia e lotta di classe non nell’astratto delle teorie politiche, ma in ogni luogo dove esplodono le drammatiche contraddizioni che si vengono a creare tra lavoro e salute… a Cengio, Seveso, Brescia, Alessandria, Torino, Porto Marghera, Taranto, Manfredonia…”
Le foto di questa pagina sono di Ambra Pastore |
A un anno dalla scomparsa di Giorgio Nebbia (Bologna 23 aprile 1926 – Roma 4 luglio 2019) la Fondazione Luigi Micheletti di Brescia – custode del suo ricchissimo archivio – e la casa editrice Jaca Book, per mano di Pier Paolo Poggio, Marino Ruzzenenti e Lelio Demichelis, dedicano alla sua memoria un prezioso volume – Giorgio Nebbia, La Terra brucia. Per una critica ecologica al capitalismo, collana Dissenze, pp.170, 22 Euro – che contiene una biografia curata da Luigi Piccioni e una significativa raccolta di scritti da cui emerge la personalità e lo spessore scientifico, culturale e politico di uno dei principali ispiratori del movimento ecologista italiano.
Nebbia studia ingegneria e chimica, insegna all’università a Bologna e a Bari sarà il pilastro del Laboratorio di merceologia presso la facoltà di Economia. Precursore degli studi integrati sul ciclo di vita degli oggetti (Life-cycle assessment, si direbbe oggi) a partire dai processi estrattivi delle materie prime, attraverso le tecnologie di produzione, fino al loro “consumo” e re-immissione nell’ambiente come rifiuti, sovvalli, inquinanti. Da questa visuale sugli impatti delle attività antropiche, Nebbia si avvicina alle problematiche ecologiche.
Già negli anni della prima “breve primavera ecologica” (Silent Spring della Carson è del 1962) entra in Pro Natura di Dario Paccino e in Italia Nostra, si mette in contatto con Fulco Prtasi (WWF), Ernst Friedrich Schumaher, Barry Commoner, Aurelio Peccei che lo farà partecipare al ristretto novero dei membri del Club di Roma (fondato nel 1968, pubblica il rapporto The Limits to Growth nel 1972). Sono anche gli anni post-conciliari e della Populorum progressio di Paolo VI (1967). Da credente, Nebbia si mette in contatto con il cardinale Siri e il gesuita Sorge e sarà incaricato di rappresentare la Santa Sede alla prima grande conferenza dell’Onu sull’ambiente a Stoccolma nel 1972, nell’“ambizioso tentativo – come scrive Piccioni – di sistemazione del rapporto tra cristianesimo ed ecologia”. Per avere una risposta convincente dalla Chiesa Giorgio Nebbia – come tutti noi – ha dovuto aspettare mezzo secolo, con il pontificato di Bergoglio.
“Le contraddizioni fra necessità umane e bisogni futuri possono essere superate, almeno in parte, ripensando i modi di produzione e di consumo, soprattutto nei Paesi ricchi – scriverà Nebbia recentemente commentando l’enciclica – come raccomanda la Laudato si’ di papa Francesco”.
Ciò che spinge il professore di merceologia a dedicarsi instancabilmente alla divulgazione scientifica e alla militanza ecologista è la sua vocazione pedagogica. In un saluto che rivolgerà nella festa per i novant’anni nella biblioteca del Senato dirà: “Gli studenti sono stati la mia vita, il sangue della mia esistenza per tanti anni” (in: La mia vita in breve, Per Giorgio Nebbia. Ecologia e giustizia sociale, Fondazione Luigi Micheletti, 2016). Oltre che dalla cattedra, il suo insegnamento è arrivato a noi attraverso migliaia di articoli sulle riviste e sui quotidiani (il Popolo, Il Giorno, La Gazzetta del Mezzogiorno, il manifesto…) e in cui non si è mai stancato di spiegare le relazioni ecosistemiche:
“I beni materiali provengono tutti dalla biosfera, il grande serbatoio di acqua, di gas, di minerali, di ricchezze fisiche, di energia, affollato di esseri viventi, legati tra loro da rapporti di scambio che non esiterei a chiamare ‘merceologici’: i vegetali trasformano, grazie all’energia solare, l’anidride carbonica dell’atmosfera, insieme all’acqua e ai Sali tratti dal terreno, in complicate molecole organiche; un processo durante il quale i vegetali liberano ossigeno che viene ceduto all’atmosfera e alle acque. Gli animali traggono alimenti dai vegetali (…)” e così via, da cui si deve evincere che: “I beni materiali necessari per soddisfare tutti i bisogni umani possono essere tratti soltanto dalla natura” (Altronovecento, 2006).
Dal suo impegno pedagogico il passo alla politica gli viene quasi naturale. Non così scontato il campo di gioco scelto da Nebbia: il Pci. Deputato e senatore come “indipendente” dal 1983 al 1992. Sono gli anni della costruzione delle Liste dei Verdi sulla scia dei successi dei Grünen in Germania, ma Nebbia (assieme a Laura Conti) preferisce la via più ardua: per potersi affermare – ritiene – l’ecologia avrebbe dovuto entrare nella strategia di trasformazione sociale della sinistra. E non sarà un compito facile pensando che ieri come oggi la cultura della sinistra politica è intrisa di sviluppismo produttivista e che allora il Pci e i sindacati erano schierati a favore del nucleare civile. Bene ha fatto Lelio Demichelis ad aprire la piccola collezione di scritti raccolti nel volume di cui ci occupiamo con il discorso che Nebbia fece al Congresso nazionale del Pci dell’83:
“Ecologia è la bandiera di un movimento che aspira a una maggiore giustizia realizzata attraverso la difesa dei beni collettivi – acqua, aria, spiagge, mare, boschi, animali – contro la speculazione privata, contro la loro appropriazione a fini di profitto”.
Preziosa e illuminante la corrispondenza dei primi anni Settanta tra Nebbia e Paccino in preparazione del famoso convegno dell’Istituto Gramsci “Uomo, natura e società: ecologia e rapporti sociali” organizzato da Giovanni Berlinguer nel tentativo di “investire il partito comunista della problematica ecologica”. Da una parte il timore che la tutela dell’ambiente potesse “fregare ancora una volta i deboli, i poveri”, una giustificazione per chiudere le fabbriche licenziare gli operai e aumentare lo sfruttamento altrove (secondo la tesi di Paccino autore di un libro di successo, L’imbroglio ecologico, e critico delle posizioni malthusiane del Club di Roma), dall’altra la consapevolezza che “il deterioramento dell’ambiente ricade più pesantemente proprio sui figli dei lavoratori e dei poveri” (la tesi di Nebbia). Uscire dal ricatto “inquinamento o fame” è il nodo che il movimento operaio non è mai riuscito a tagliare.
Se è possibile sintetizzare il pensiero che è alla base dell’ecologia politica di Nebbia (così come del gruppo che si raccoglierà attorno alla rivista marxista “Capitalismo Natura e Socialismo”), esso parte dalla constatazione che la violenza strutturale contro la natura (e quindi anche contro il genere umano) è insita nei modi di produzione capitalisti – che sono “intrinsecamente incompatibili con la difesa dei valori collettivi e planetari, cioè con la salvaguardia delle risorse naturali scarse” – e, quindi, la possibilità di salvezza dalla “morte ecologica” della biosfera può avvenire solo dalla liberazione delle classi sfruttate.
Nebbia insegue l’incontro tra ecologia e lotta di classe non nell’astratto delle teorie politiche, ma in ogni luogo dove esplodono le drammatiche contraddizioni che si vengono a creare tra lavoro e salute, tra insediamenti industriali e popolazioni, tra le ragioni della valorizzazione economica e la conservazione dei servizi eco-sistemici: a Cengio, a Seveso, a Brescia, ad Alessandria, a Torino, a Porto Marghera, a Taranto, a Manfredonia… La sua critica al capitalismo non vuole lasciare adito a interpretazioni arbitrarie, “ideologiche”, ma è sempre meticolosamente, ostinatamente fondata sull’analisi dei processi produttivi e di “consumo” delle merci.
Si parlerà di lui come uno dei fondatori dell’“ambientalismo scientifico”, cioè basato sulle evidenze materiali, misurabili, storicamente determinabili degli impatti dei processi di produzione dei beni materiali e del sistema economico e sociale sui “corpi ricettivi ambientali” (oggi diremmo sui cicli rigenerativi degli ecosistemi), ma sbaglieremmo di grosso se non comprendessimo che il suo impegno scientifico e politico in realtà prende le mosse da una visione del mondo etica e dall’imperativo morale per ognuno e, prima di tutto, per la politica, di assumersi le proprie responsabilità. Scrivono molto bene Poggio e Ruzzenenti nell’introduzione: Giorgio Nebbia ha “attinto risorse ed ispirazione da due matrici che avevano assunto come orizzonte il cristianesimo e il marxismo”.